Il figlio di Grazia/XXIV
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XXIV.
Al di là della terribile cresta ch’era costata due ore e mezzo di faticosa e pericolosa salita, riparata da una roccia, giaceva la capanna fabbricata dal Club Alpino, e i nostri viaggiatori vi spinsero subito lo sguardo avidamente. Le imposte delle finestrine erano aperte e una bandiera sventolava sulla roccia.
«Ci sono! ci sono! Dio sia lodato!» E sparì la loro stanchezza, il loro affanno: affrettarono il passo gridando tutti insieme. La porticina si aperse e le teste dei viaggiatori della prima spedizione si sporsero a guardare, poi uscirono tutti, stendendo le mani, con volti raggianti.
«Come! sono già arrivati al paese i nostri portatori? Sono partiti appena da due ore....»
«Noi non li abbiamo neppure incontrati: siamo i partiti alle tre di notte, non sapevamo più che pen
«È Vincenzo, Vincenzo che fu preso da un gran male: abbiamo creduto che ci morisse sulla cima, lo abbiamo portato giù a stento, smarrendo la strada perchè lui era così sfinito che non sapeva più indicarla e le altre guide avevano persa la testa. Avete portato cognac? Non ne abbiamo più.»
Entrarono tutti nella piccola cucina piena di fumo, dove fra uomini, gerle e sacelli non ci si poteva più muovere. Vincenzo, disteso in terra ravvolto nelle coperte, respirava affannosamente cogli occhi chiusi. Furono levate le nuove provviste: del buon brodo dato dal locandiere, che ristorò il malato; delle buone fette di carne che scomparvero tosto in tutte le bocche dei sani.
Natale solo non mangiò: s’era inginocchiato accanto a Vincenzo e gli dava a intervalli cucchiaiate di brodo e di cognac: Vincenzo apriva ogni tanto gli occhi e lo guardava, come se lo riconoscesse ma non potesse raccapezzarsi in che modo fosse lì. Sollevò una mano dalle coperte e prese la mano sinistra del giovane. Egli s’accorse allora di non sentire il contatto e la stretta del suo amico, ma non osò dir nulla: solo quand’egli si fu addormentato quietamente si sollevò tenendosi colla destra il braccio divenuto pesantissimo e, voltosi a un dottore, gli disse: «Signore, credo d’avere questo braccio gelato; favorisca guardarlo.»
Gli levarono la giacca e il giubbone, sollevarono la manica della camicia e un’esclamazione uscì dalla bocca di tutti. Quel braccio portava sette od otto cicatrici divenute violacee e il braccio pendeva immobile, insensibile come il braccio di un morto.
«Che è questo?!» dimandò il dottore. «Siete stato ferito? in che modo? che strana cicatrice! sembrano tanagliate.»
Nocente, in un angolo, sussultò, rannicchiandosi come faceva sempre quando la paura lo prendeva. E aspettò ansiosamente la risposta di Natale.
Natale rispose: «sono morsicate di una mucca infuriata.»
Uno dei portatori, dietro ordine del medico uscì a prendere della neve, e cominciarono a fargli fregagioni, poi gliele ripeterono con lo spirito canforato, e, cosa insperata, il braccio cominciò a scaldarsi, a riprendere a poco a poco sensibilità, e un ora più tardi gli fu possibile di sollevarlo. Allora il medico 10 fasciò tutto con cotone fenicato, e glielo appese al collo con una cintura di pantaloni.
«Scommetto che voi nella salita lo avete adoperato come se fosse sano.»
«Precisamente, signor dottore. Non mi sono più ricordato che fosse malato.»
Intanto Vincenzo s’era svegliato e non staccava gli occhi dall’angolo della stanza dov’era Nocente.
11 vecchio aggrottava le sopracciglia per poter pensare, poi fece cenno a Natale di chinarsi e gli chiese colla voce fievole: «Chi è quello là?»
«È Innocente dei Caprezzi.»
«Innocente.... Perchè è venuto?»
«Tutti siamo venuti per aiutarvi.»
«Sì; ma lui....» ma non potè proseguire: le idee gli si confondevano.
Era scoraggiante per tutti quegli uomini che sapevano di dover affrontare una discesa pericolosa, il veder buttato là senza forza, bisognoso del loro aiuto, il più forte, il più coraggioso, il più pratico di tutti loro.
Un’ora dopo dovettero pensare al ritorno se non volevano che la notte li sorprendesse in punti difficili. Adagiarono sulla barella il malato, il quale parve improvvisamente riacquistare la lucidità della sua mente perchè si guardò in giro, fece delle raccomandazioni, disse che strada dovevano pigliare, più lunga, ma meno ripida, poi soggiunse: «voglio che mi porti, qui davanti, Natale.»
«Natale ha il braccio al collo.»
«Non importa: potrà sostenere le stanghe ugualmente. Voglio Natale qui davanti.»
«Non vi pare, Vincenzo, ch’egli è più pratico e ci farebbe servizio aprendoci la strada?»
«No: Natale deve star qui.»
Non ci fu verso di smuoverlo dalla sua idea e molti scossero il capo.
Uscirono e s’incamminarono: la carovana era lunga e il pensiero di tornare finalmente e l’essersi rifocillati, rendeva tutti forti e sicuri. Dovettero fare un lungo giro per evitare le discese a picco, le pareti di ghiaccio dove sarebbe stato impossibile trasportare l’infermo; pure venne un momento in cui dovettero proprio levarlo dalla barella e pensare a un altro mezzo di trasporto. Vincenzo stesso si fece legare alla vita, e legato così agli altri che lo seguivano, con Natale in capo fila, discesero pian piano, egli puntandosi coi talloni, aggrappandosi nel ghiaccio colle unghie per arrestare la rapida discesa e non trascinare giù gli altri col suo peso; gli altri buttandosi colla vita indietro, puntandosi sui garetti robusti e sulle punte dei bastoni per non essere trascinati.
Uno solo della comitiva pensò: — arrischiare la vita in diciassette per salvarne uno malato è proprio da matti — e quest’uno voi sapete chi fosse.
Per un altro tratto, dove bisognava passare su uno stretto sentiero con un precipizio da un lato, Natale si prese sulle larghe spalle quell’enorme corpo e passò tenendosi aggrappato alla montagna coll’unico bracciò sano; e Dio lo aiutò.
Finalmente arrivarono al bosco di faggio, al nevaio, poi sul sentiero senza pericoli. Fu ripresa la barella e, sebbene sfinito, Natale dovette cedere alla insistenza di Vincenzo e seguitare a portarlo. Un momento, quando fecero una sosta, Natale si avvicinò a Nocente; Vincenzo lo seguì coll’occhio inquieto, e quando il giovine gli tornò vicino gli chiese: «dove sei andato? che hai fatto?»
«Ho dato una sorsata di acquavite a Nocente.»