Atto III

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Atto II Atto IV

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Stanza inserviente ad una bottega di caffè, con vari tavolini e sedie.

Risma, garzone della bottega del caffè, con altri garzoni che ripuliscono i tavolini e le sedie; poi il Conte di Belpoggio.

Conte. Risma.

Risma.   Signor.
Conte.   Balestra s’è qui veduto ancora?
Risma. Non signor.
Conte.   Ci doveva essere a ventun’ora.
Credo le ventidue saran poco lontane.
Voglio essere obbedito da chi mangia il mio pane.
Risma. Signor, vorrei pregarla...
Conte.   Di che?

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Risma.   So che una festa

Fa ella questa sera; se la domanda è onesta,
Desidero...
Conte.   Che cosa?
Risma.   Servirla dei rinfreschi.
Conte. L’impegno è grande; io temo che poi non ci rieschi.
Risma. Signor, di me le genti son meglio persuase;
Io soglio di Venezia servir le prime case.
Vengono alla bottega, e in queste stanze mie,
La sera e la mattina le meglio compagnie.
Saran tre anni al meno, se forse non è più,
Che noi al signor Conte prestiamo servitù.
Anzi la pregherei, or che mi vien in mente,
Saldar quel contarello ch’è una cosa da niente.
Conte. Tempo or non ho; stassera tieni le cose in pronto;
Viemmi a servire, e poi si farà tutto un conto.
Risma. Ringrazio vossustrissima, e vado a preparare
Tutto quel che stassera potrebbe abbisognare.
(Ma gli darò, col rischio d’esser pagato male,
Rinfreschi scellerati, e un conto da speziale). (da sè, e parte)

SCENA II.

Il Conte solo.

Disgraziato Balestra! gli dissi a ventun’ora.

Che diamine sarà, che non si vede ancora?
Se due fette di zuppa son state il pranzo mio,
Dovea spicciarsi anch’egli, e far quel ch’ho fatt’io.
Servirà la Contessa; ella non ha mai fretta.
Si dice alla padrona: il padrone mi aspetta.
Bisogno ho di denari; stassera convien spendere:
L’anello che ho impegnato, necessario è di vendere.
E se costui non viene, mi vedo disperato.
Non so per mio malanno dove l’abbia impegnato.

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SCENA III.

Targa e il suddetto.

Targa. Oh signor, per l’appunto in traccia ero di lei;

M’han detto ch’era qui.
Conte.   Un grand’uomo tu sei.
Hai qualche novità?
Targa.   Una ne ho assai buona.
Un viglietto per lei. (presentandoglielo)
Conte. Di chi?
Targa.   Della padrona.
Conte. Viene alla festa?
Targa.   Viene.
Conte.   L’argento?
Targa.   Va benissimo.
Conte. L’abito sarà fatto?
Targa.   A momenti.
Conte.   Bravissimo.
Sentiam che cosa dice Madama gentilissima.
(aprendo il ciglietto)
Ti par che sia contenta?
Targa.   Contenta ed allegrissima.
Conte. Buono buono. Leggiamo. Manda i suoi complimenti
Al Conte di Belpoggio Doralice Studenti.
L’avvisa che stassera sarà a goder la festa,
Cessato il fier dolore di stomaco e di testa.

(Il mal dell’emicrania guarito ha coll’argento;
E uscì dalla mia borsa il suo medicamento).
Se stranamente accolto da lei fu questa mane,
Sa ben che qualche volta le donne sono strane.

(Lo so, lo so per prova; dacchè le vado intorno,
Senza che mi maltratti non è passato un giorno).
Per altro lo assicura la mano che gli scrive,
Che al Conte sarà grata la dama, finchè vive.
E a titol si protesta di mera confidenza,

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Trattarlo qualche volta con qualche inavvertenza.

(Se questa cosa è vera, si vede certamente
Ch’io sono di Madama il maggior confidente).
E se di tal protesta scontento egli non è,
L’attende in propria casa a bevere il caffè.

(Ho inteso, andar conviene a prendere il mio resto:
Di già se mi strapazza, il mio destino è questo).
Va pur dalla padrona; falle i miei complimenti,
Dille che a riverirla mi porterò a momenti.
Che intanto la ringrazio dei sentimenti umani;
Che intorno a tutto il resto, io son nelle sue mani.
Targa. Glielo dirò, signore. Ma Targa, il poveretto...
Conte. Che vuoi?
Targa.   Non ho tabacco...
Conte.   Vanne, Balestra aspetto;
Mi spiccio d’un affare, e poscia vengo subito.
Vanne, sarai contento.
Targa.   Eh sì, signor, non dubito. (parte)

SCENA IV.

Il Conte solo, poi Risma.

Conte. Ecco, spendere è forza, chi vuol cotesti onori,

Se non colla padrona, almen coi servitori.
E Balestra non viene. Chi diamine sarà
Quella maschera donna?... mi par... si volta in là.
Affè, l’ho conosciuta; quella è la moglie mia.
Ha un uom che l’accompagna; non so chi diamin sia.
Ella si è travestita, ma la conosco all’aria.
Per qual motivo in giro la donna solitaria?
Vi sarà il suo mistero, vi sarà il suo perchè.
Chi sa ch’ella non venga a ricercar di me?
E meglio da Madama andarmene a drittura,
Prima che mi assalisca con qualche seccatura.
(in atto di partire)

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Risma. Signor, è domandato.

Conte.   Da chi?
Risma.   Non so chi sia.
Conte. Rispondi a chi mi cerca, ch’io sono andato via. (parte)
Risma. Ci giocherei la testa, che il povero signore
Si crede che lo cerchi un qualche creditore.
Me se saputo avesse ch’era donna...

SCENA V.

La Contessa e Balestra mascherati, e detto.

Balestra.   E così

Non viene il signor Conte?
Risma.   Già un momento partì.
Contessa. (Oh! questo mi dispiace). (da sè)
Balestra.   Sai dove andato sia?
Risma. Nol so.
Balestra.   Non vorrai dirlo.
Risma.   Nol so in parola mia. (parte)
Balestra. E pur qui m’aspettava.
Contessa.   Che ci abbia egli veduti?
Balestra. Non crederei potesse averci conosciuti.
Contessa. Questo di mia sorella novissimo vestito
Credo anch’io conosciuto non sia da mio marito.
Balestra. Ed io son mascherato in guisa tal, che certo
Non mi conoscerebbe un uom di lui più esperto.
Contessa. Aspettiamolo dunque. (si pone a sedere)
Balestra.   Dubito ben che irato
Mi sgridi, se con voi mi vede mascherato.
Ma a costo anche di perdere la grazia del padrone,
Mi sprona e mi consiglia per voi la compassione.
A tante inconvenienze, in verità, signora,
Rimedierei, potendo, con il mio sangue ancora.
Contessa. Caro Balestra mio, tu sei un uom da bene;
Ma dolce qualche volta sei più che non conviene.

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I quattro sonatori trovar non si doveva;

E d’impegnar l’anello sospender si poteva.
Balestra. Lo so, ma nell’impegno sì caldo l’ho veduto,
Che esimermi di farlo davver non ho potuto.
Contessa. Basta, vediamo il Conte, sentiam che cosa dice.
Ricever io non voglio madama Doralice.
Balestra. Oh! signora padrona, veda il suo genitore.
Contessa. La vista di mio padre mi dà qualche timore.
Conosco il suo costume, egli mi sgriderà,
Veggendomi al caffè.
Balestra. Non vi conoscerà.
Contessa. Stiamo zitti.
Balestra.   Non parlo.
Contessa.   Certo vi son de’ guai.
Mio padre in questi luoghi non suol vedersi mai.

SCENA VI.

Don Maurizio, Risma e detti.

Maurizio. Vi è stato, ed è partito?

Risma.   Sì, signor.
Maurizio.   Tornerà?
Risma. È facil ch’egli torni.
Maurizio.   Dunque l’aspetto qua. (Risma parte)
Contessa. (Cerca di mio marito). (a Balestra)
Balestra.   (Qualcosa avrà saputo).
Contessa. (Qualche cosa io gli ho detto).
Balestra.   (Per questo è qui venuto).
Maurizio. Quell’abito è simile a quello di mia figlia.
Giocherei ch’ella fosse, cotanto l’assomiglia.
(osserva il vestito della Contessa)
Lucrezia non sarà, di ciò non è capace.
Una fanciulla onesta troppo sarebbe audace.
Contessa. (Molto attento mi guarda). (a Balestra)

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Balestra.   (Ch’ei conosca il vestito?)

Contessa. (Povera me! gli è vero). (si copre col (abarro)
Balestra.   (Or siamo a mal partito).
Maurizio. (Si copre? Dal mio sguardo nasconderlo procura?
Fosse Lucrezia? Oh cieli!)
Contessa.   (Smania, mi fa paura).
Maurizio. (Conoscerla vogl’io). Maschera, umil perdono
Chiedovi, se m’avanzo. Mi pare... in dubbio sono,
Se siate o se non siate tal che conoscer parmi.
Contessa. (Egli mi ha conosciuta; più non posso celarmi). (da sè)
Maurizio. Maschera, un tal silenzio a scoprirvi mi appella.
Foste per avventura...
Contessa.   Ah sì, signor, son quella.
(s’alza e si smaschera)
Maurizio. Voi?
Contessa.   Sì, signor.
Maurizio.   Ma come intorno col vestito
Della germana?
Contessa.   In traccia men vo di mio marito.
Maurizio. Ah Contessa, il marito s’attende in propria casa;
Di rintracciarlo altrove chi mai vi ha persuasa?
Se mal con voi si regge, convien rimproverarlo
In guisa che non possa giustamente irritarlo.
Lagnarvi pretendete invan de' torti suoi,
In luogo ov’ei potrebbe lagnarsi anche di voi.
Figlia, per una dama, credetemi, non è
Opportuna dimora la stanza d’un caffè.
E se di mal condotta potrà intaccarvi il Conte,
Cambiar voi l’udirete i rimproveri e l’onte;
Tutto perdendo il merto di vostra sofferenza
Per un delitto solo di poca convenienza.
Non fate che vi acciechi furor geloso e rio.
Tornate al tetto vostro. Questo è il consiglio mio.
Contessa. Signor, dall’amor vostro l’util consiglio accetto.
Ritornerò fra poco, ritornerò al mio tetto.

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L’uso della città, che in pratica si vede,

Alle più oneste mogli la maschera concede.
Entrar negli onorati caffè qui non disdice.
Maurizio. Far scena collo sposo in pubblico non lice.
Contessa. S’ei non mi ascolta in casa, lo cerco in altro sito.
Maurizio. No, non è questo il luogo da parlare al marito.
Contessa. È ver, ma questa sera ei condurrammi in faccia
Madama a mio dispetto; e sarà ver ch’io taccia?
Maurizio. Madama Doralice di voi parlò con stima.
Contessa. Se fingere sapesse, non sarebbe la prima.
Quel cor non conoscete.
Maurizio.   Io pur di lei sospetto;
Ma giova in ogni guisa accogliere il rispetto.
Poichè se in lei1 non spiega verso di voi l’amore,
Almen la soggezione dimostra ed il timore.
E allor che un cuor superbo umiliato2 si veda,
Politica l’accetta, ancor che non gli creda.
Contessa. Dunque voi mi volete esposta a sì gran prova?
E si farà il festino...
Maurizio.   Balestra ove si trova?
Contessa. Balestra eccolo qui.
Maurizio.   Balestra è il cavaliere?
Contessa. Sola non son che in maschera conduca il cameriere.
Maurizio. E ben, signora maschera, la cosa come andò?
Trovaste i sonatori? (a Balestra)
Balestra. Questa sera li avrò.
Maurizio.   L’opera in fatti è degna d’un peregrino ingegno:
Si ama il padrone a costo di metterlo in impegno;
E d’una prepotenza condotta con valore,
E della sua rovina Balestra avrà l’onore.
Balestra. Signor, chiedo perdono. Fermati ho i sonatori
Senza oltraggiar nessuno. Non vi saran rumori.
Un accidente ha fatto ch’eran disimpegnati;
Li ho avuti senza briga, e poco li ho pagati.

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Maurizio. Quand’è così, son pago. Figlia, può tollerarsi

Che possa col festino il Conte soddisfarsi.
Contessa. Facciasi pur, nol niego, se divertirsi ei brama,
Ma tollerar non posso che vengavi Madama.
Maurizio. Ella non vi sarà.
Contessa.   Signor, se l’ha invitata...
Maurizio. Meco di non venirvi Madama si è impegnata.
Contessa. Possibile?
Maurizio.   Lo dico; crederlo a me dovete.
Contessa. Madama vi deride, signor, voi lo vedrete.
Maurizio. Sì facile non credo ch’ella cotanto ardisca.
Contessa. Stassera lo vedrete. Voglia il ciel ch’io mentisca.
Maurizio. No, no, ne son sicuro.
Contessa.   Ma perchè mai non viene?
Maurizio. Vi basti che non venga; cercar più non conviene.
Contessa. Eppur non me ne fido,
Maurizio.   Figlia, la diffidenza
Che in donna è sì comune, mi muove ad impazienza.
Non vi verrà, vi dico: e s’ella vi venisse,
Son cavalier, lo giuro, farei che si pentisse.
Credete o non credete, su ciò garrir non soglio.
Contessa. Ascoltate, signore.
Maurizio.   Altro ascoltar non voglio. (parte)

SCENA VII3.

La Contessa e Balestra.

Contessa. Balestra, che Madama non venga, sarà vero?

Balestra. Se ’l dice don Maurizio, verissimo lo spero.
Contessa. Se così è, si balli; ch’ei si diverta è giusto.
Che nato sia fra loro qualche novel disgusto?
Balestra. Può darsi.

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Contessa.   S’è così, venir tu la vedrai.

Di questi lor disgusti ne hanno aggiustati assai.
Oh quante volte il Conte da lei fu strapazzato,
E sempre alla sua bella s’è poi raccomandato.
Capace è di pregarla, capace è il babbuino
Di porsi anche in ginocchio per averla al festino.
Sì, mi par di vederla; sì, ci verrà l’audace.
Chi sa che ora non sia il Conte a far la pace?
Perdoni il padre mio, se ora non l'obbedisco.
A casa non ritorno, se pria non mi chiarisco.
Balestra. Vien gente.
Contessa.   Mascheriamoci.
Balestra.   Andiam, padrona mia.
Contessa. Il Conte ha da venire. Per or non vado via.
Balestra. (Oh povero Balestra! Sono bene imbrogliato!) (da sè)
Contessa. (Mio padre colle donne ha poco praticato). (da sè)

SCENA VIII.

La Marchesa Dogliata, la Baronessa Oliva mascherate, servite da un uomo in maschera, che non parla, e detti; poi il Giovane del caffè. Vanno a sedere ad un tavolino, dirimpetto a quello ove sta la Contessa.

Marchesa. Vede, signor Barone? si pratica così:

Il caffè si suol bere tre quattro volte al dì;
E par che quel di casa non piaccia e non sia buono;
E piene le botteghe di gente ogni ora sono.
Barone. (S'inchina senza parlare.)
Baronessa. (S’inchina e non risponde). (alla Marchesa)
Marchesa. Niente niente italiano?
(al Barone)
Damone. (Inchinandosi fa cenno di no.)
Marchesa. Che dite, Baronessa?
Baronessa.   Mi pare un bel baggiano.
Possiamo tralasciare di più complimentarlo.

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Marchesa. Possiam, quanto vogliamo, francamente mandarlo.

Contessa. (Le conosci?) (a Balestra)
Balestra.   (Mi pare).
Contessa.   (La marchesa Dogliata,)
La baronessa Oliva).
Balestra.   (L’avea raffigurata).
(vien portato il caffè. Le due si levano la maschera)
Contessa. (Quella maschera uomo chi diamine sarà?) (a Balestra)
Balestra. (Mi pare un forestiere, non lo so in verità).
Baronessa. (Si smascheri, signore). (al Barone)
Marchesa.   (Io non gli parlo più), (da sè)
Baronessa. Così, si levi il volto. (gli leva la maschera)
Marchesa.   (Oh che bel turlulù). (bevono il caffè)
Baronessa. Stassera vuol venire con noi ad una festa? (al Barone)
Barone. (S’inchina.)
Baronessa. Egli non sa far altro che dimenar la testa.
Marchesa. Buono questo caffè? (al Barone)
Barone. (S’inchina.)
Baronessa.   Servitor umilissimo.
(burlandolo con una riverenza)
Mi fa crepar di ridere. (ridendo jorte)
Marchesa.   Vi assicuro, è bellissimo.
(ridendo forte)
Barone. (S’alza, prende la sua maschera, e parte.)
Marchesa. Padrone.
Baronessa.   Riverito.
Marchesa.   Che grazia!
Baronessa.   Se n’è andato.
Marchesa. Affè, se n’è avveduto che l’abbiamo burlato.
Se vedo mia cugina, vuò dirle in fede mia,
Se ha più di tai foresti da darmi in compagnia.
Baronessa. Fa cento mille inchini, e non sa dir parole.
Marchesa. Da bravo ci ha piantate, e ci ha lasciate sole.
Contessa. (Ha fatto ben davvero; perch’ei non sa parlare,
Chi sa la civiltà, non l’ha da corbellare).

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Baronessa. A casa con chi andremo?

Marchesa.   La gondola è vicina.
Baronessa. Bene: verrò con voi, mia cara Marchesana.
Marchesa. Anche al festin poss’io servirvi, se vi aggrada.
Baronessa. Sì, mi farete onore; già anch’io sto sulla strada.
Marchesa. Vedrem questo bell’abito, che sfoggierà Madama.
Baronessa. Secondo me, la sua superbiaccia si chiama.
Marchesa. Quel caro suo marito mi par che abbia del matto.
Baronessa. Eh, non mi fate dire. Chi sa chi gliel’ha fatto?
Marchesa. Certo che don Alessio non può far certe spese.
Baronessa. Egli non ha d’entrata cento ducati al mese.
Marchesa. Ed ella a tutta moda sempre ha le cose pronte.
Baronessa. Per niente non coltiva l’amicizia del Conte.
Contessa. (Senti?) (a Balestra)
Marchesa.   Non dite forte.
Baronessa.   Non san di chi si parli.
Marchesa. Cento ducati al mese fa presto a consumarli.
Baronessa. Per questo dalla gente si pensa e si ragiona,
E poi chiaro si vede, che del Conte è padrona.
Avete voi sentito, che al ballo ed alla cena
Condurrà la figliuola di donna Rosimena?
Marchesa. E condurrà la madre e il suo don Peppe ancora.
Baronessa. Madama è la padrona.
Marchesa.   Il Contino l’adora.
Contessa. (Senti?) (a Balestra)
Balestra.   (Non so che dire).
Marchesa.   E la consorte?
Baronessa.   Oh bella!
Marchesa. Conviene che stia zitta.
Contessa.   Perchè è una scioccarella.
(Non posso più). (a Balestra)
Balestra.   (Signora, andiam per carità).
Contessa. (Zitto, non inquietarmi. Io voglio restar qua).
Baronessa. Vedrete questa sera Madama esser padrona,
E la moglie in un canto.

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Contessa.   (No, non sarò sì buona.)

Padrone altre non voglio in casa mia soffrire;
Non si farà la festa, se credo di morire).
Marchesa. Quella maschera chi è? (osservando di dentro)
Baronessa.   Se il core il ver mi dice,
.Esser quella dovrebbe...
Marchesa.   Madama Doralice.
Baronessa. Senz’altro. Ha il suo vestito che aveva stamattina.
Per dirla in veneziano, in maschera fa mina4.
Contessa. (Senti?) (a Balestra)
Balestra.   (Qualche periglio la sorte ci minaccia).
Contessa. (Par che il demonio istesso me la conduca in faccia).
Balestra. (Andiamo via).
Contessa.   (Sta cheto).

SCENA IX.

Madama Doralice con una Maschera uomo, e detti.

Madama.   Amiche, oh ben trovate.

(alle dame)
Già sono in compagnia; se andar volete, andate.
(alla sua Maschera, che parte)
Marchesa. (E ardita a questo segno).
Baronessa.   (Ammiro la franchezza).
Contessa. (Resistere non posso. Il cuore mi si spezza), (a Balestra)
Balestra. (Andiamo via).
Contessa.   (Sta cheto).
Madama.   (Eccola lì. Il vestito)
È quello che mi disse il Conte suo marito).
(osservando la Contessa)
Marchesa. Madama, che fortuna vi guida ora da noi?
Madama. (Quella maschera chi è?)
(alia Marchesa, additando la Contessa)
Marchesa.   (Non la conosco. E voi?)

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Madama. (Nè anch’io).

Baronessa.   (Prima di noi era colà seduta).
Madama. (Ho piacer che non sia da loro conosciuta), (da sè)
Marchesa. Chi è quel che vi ha lasciato? (a Madama
Madama.   È un dottor.
Marchesa.   Un dottore?
Baronessa. L’avete licenziato?
Madama.   Lo mandai dal sartore.
Baronessa. Vi servite di lui per galoppino.
Madama.   Appunto.
Servirmi e riservirmi a lui par un pan unto.
Contessa. (Così fa mio marito). (da sè)
Marchesa.   Questa sera al festino
Lo condurrete?
Madama.   No.
Baronessa.   Perchè no, poverino?
Madama. Non son sì temeraria condur gente in un loco,
Ove, se andar io posso, ancor non sarà poco.
Il Conte mi ha invitata; ma l’ora ormai s’appressa,
E a me giunto l’invito non è dalla Contessa.
Da ciò par ch’ella poco gradisca ch’io ci sia;
Andar non mel permette la convenienza mia.
Può darsi che tornando a casa mio marito,
Mi porti della dama il grazioso invito.
Allor tutta contenta andrò per ringraziarla;
Ma certo non v’andrei, se avessi a incomodarla.
Balestra. (Sentite?) (alla Contessa)
Contessa.   (Sto a sentire).
Baronessa. Non venne il suo consorte
Ad invitarvi? (a Madama)
Madama.   Il Conte non venne alle mie porte.
Dopo che mi fu detto un certo non so che,
Da me non fu veduto.
Baronessa.   È vero?
Madama.   Così è.

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Della Contessa amica io sono ed esser voglio.

Recare altrui spiacere non devesi e non soglio:
A lei principalmente, che tanto stimo ed amo.
Anzi l’unica cosa che ardentemente io bramo,
È di giustificarmi, ed il momento attendo
Per renderle giustizia.
Balestra.   (Sentite?) (alla Contessa)
Contessa.   (Io non l’intendo).
Marchesa. Madama, voi parlate con un linguaggio nuovo.
Che il creda la Contessa, sì facile non trovo.
Madama. Voi conoscete poco, signora, al parer mio,
Chi è la Contessa, e meno sapete chi son io.
Ella è una saggia dama, che ha virtuoso il cuore;
Io sono una che apprezza le massime d’onore.
In lei non si condanna l’amor che ha per lo sposo;
Fa torto all’onor mio, chi lo dipinge odioso.
Esempio è la Contessa di nobile costume,
Io venero ed apprezzo della mia fama il nume.
Chi lei, chi me tentasse schernir con lingua ardita,
Son dama, e son capace di dargli una mentita.
Baronessa. Non vi scaldate, amica.
Marchesa.   Schernirvi io non pretendo.
Madama. In ciò son delicata.
Balestra.   (Sentite?) (alla Contessa)
Contessa.   (Io non l’intendo).
Marchesa. A donna Rosimena non deste voi parola
Di condurla al festino unita alla figliuola?
Madama. Allor che di servirla tempo a risponder presi,
Di pregar la Contessa per introdurla intesi.
Baronessa. Se attender voi volete che la Contessa il dica,
In casa sua al festino andrete con fatica.
Madama. Protesto che del ballo non spingemi il desio;
Ma s’ella lo gradisse, v’andrei per l’onor mio.
Il mondo scellerato di noi parla in tal guisa,
Che siamo ingiustamente l’una e l’altra derisa.

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Di noi che si direbbe, se non foss’io invitata?

Di me non so, ma lei sarebbe criticata.
Chi mi conosce appieno, sa ch'io non son capace
Di rendermi molesta, di turbar l’altrui pace.
E la Contessa istessa, che la giustizia apprezza,
Che in seno ha per costume nutrir la gentilezza,
Che ha un’anima sì bella, un cuor sì onesto e saggio,
A me si pentirebbe d’aver fatto un oltraggio.
Volesse il ciel che a lei parlar mi fosse dato;
Vorrei che chi m’insulta, restasse svergognato.
Vorrei gettarmi al collo della Contessa mia:
Scaccia, le vorrei dire, l’ingiusta gelosia.
L’amato tuo consorte il ciel ti benedica.
Contessa, ti son serva, ti son verace amica.
Marchesa. (Che vi par, Baronessa?) (alla Baronessa, piano)
Baronessa.   (Di più dir non si può).
Madama. (Arrendersi dovrebbe). (da sè, osservando la Contessa)
Contessa.   (Che deggio far?) (a Balestra)
Balestra.   (Nol so).
Contessa. (Andiamo). (s’alza)
Balestra.   (Un tal discorso...)
Contessa.   (Sieguimi, ho già risolto). (parte)
Balestra. (Per dir la verità, Madama ha detto molto), (parte)

SCENA X.

Le suddette Baronessa, Marchesa, Madama.

Marchesa. La maschera è partita.

Baronessa.   (Chi sa chi diavol sia?) (da sè)
Madama. (Che mai sperar io posso della invenzione mia?) (da sè)
Marchesa. Ora sarà che andiamo.
Baronessa.   Andiam, se lo bramate,
Madama. Son sola; ancora un poco, care amiche, aspettate.
Marchesa. Possiam restare ancora.
Madama.   Voi mi farete onore.
Baronessa. Restiam, finchè ritorni il povero dottore.

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SCENA XI.

Balestra smascherato, e dette.

Balestra. Madama, al vostro albergo io fui, nè vi trovai;

Finora in più d’un loco in van vi rintracciai.
A caso al caffettiere chiesi se foste qui,
Egli con mio piacere mi ha risposto di sì.
Pregavi la padrona vogliate in cortesia
Favorirla al festino, o sola, o in compagnia.
Madama. Ditele che gradisco il generoso invito:
Goderò le sue grazie unita a mio marito;
E che, se mel permette, con donna Rosimena,
E colla sua figliuola verrò al festino.
Balestra.   E a cena.
Madama. Fatele i miei divoti sinceri complimenti;
Avrà poi da me stessa i miei ringraziamenti.
Balestra. (Sarà servita. Ancora non so s’io vegli o sogna;
Ma il sospettar di tutto mi pare una vergogna).
(da sè, e parte)

SCENA XII.

La Marchesa, la Baronessa, Madama.

Madama. Amica, che ne dite?

Balestra.   Con voi me ne consolo.
Madama. (Questo sì che può dirsi della finezza un volo). (da sè)
Marchesa. Oh, oh, guardate, amica.
Baronessa.   Che maschera da scena!
Marchesa. Chi è quella?
Baronessa.   Non saprei.
Madama.   È donna Rosimena.
Marchesa. Vecchia pazza!
Baronessa.   Tacete.
Madama.   Dirolle del festino.
Baronessa. Chi è quel che l’accompagna?
Marchesa.   Il caro don Peppino.

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SCENA XIII.

Donna Rosimena con don Peppe mascherati, e dette col giovine Caffettiere.

Rosimena. Oh chi vedo! Madama! Oh Baronessa, addio.

Oh Marchesa, anche voi? Che bell’incontro è il mio?
Madama. Per me posso ben dire che una fortuna è questa,
Per dirvi che senz'altro vi servirò alla festa.
Rosimena. Anche don Peppe?
Madama.   Certo.
Rosimena.   Davver?
Madama.   Ve lo prometto.
Rosimena. Don Peppe, noi faremo il nostro minuetto.
Marchesa. (Sarà una bella cosa). (alla Baronessa)
Baronessa.   (Bellissima per certo).
Peppe. Madama, favorito son io senz’alcun merto.
Madama. È gloria mia, signore, servire un cavaliero.
Rosimena. Don Peppe è tanto buono! è tanto un uom sincero.
Vi ricordate voi quando in commedia han fatto
L’Uomo sincero?5 Egli era di don Peppe il ritratto.
Baronessa. Sì, sì, me ne ricordo di quella commediaccia.
Vi è piaciuta?
Rosimena.   Sì certo.
Baronessa.   Davver, buon pro vi faccia.
Rosimena. Mi piace tanto tanto sentir parlar latino;
Mi fa crepar di ridere quel bel don Pirolino.
Madama. Ma qui si torna sempre al proposito antico.
Sempre, sempre commedie.
Marchesa.   Questo è quello ch’io dico.
Finiamola una volta.
Baronessa.   Andiam, che il tempo vola.
Rosimena. Don Peppe, andiamo a casa a dirlo alla figliuola.
Madama. Ecco il mio mascherotto. (viene chi l’ha accompagnata)

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Marchesa.   Or siete accompagnata.

Madama. Amiche, ci vedremo. (Alfin l’ho superata.
Andrò alla festa, e androvvi con grazia e con decoro.
Un po’ di buona testa affè val un tesoro).
(da se, e parte colla sua Maschera)
Marchesa. Andiamo, Baronessa.
Baronessa.   Eccomi, con voi sono.
Marchesa. A donna Rosimena domandiamo perdono, (s inchinano)
Rosimena. Serva; ci rivedremo.
Baronessa.   Ci vedremo al festino.
Rosimena. A principiar la festa verrò con don Peppino.
Baronessa. (Madama e la Contessa le ho fisse nel pensiero;
Che sian fra loro amiche, ancor non mi par vero).
(alla Marchesa, e parte)
Marchesa. (De’ dubbi anch’io ne ho. Ancora ho nella testa
Che senza qualche imbroglio non termini la festa).
Rosimena. Andiamo, il mio don Peppe.
Peppe.   Vi servo.
Rosimena.   Senza fallo
Fra voi e me stassera vedranno Amore in ballo.

Fine dell’Atto Terzo.

  1. Zatta: in sè.
  2. Zatta: s’abbassi e umil si veda ecc.
  3. Nelle edd. Pitteri, Guibert-Orgeas ecc. è sbagliata la numerazione delle scene, fino al termine dell’atto presente.
  4. Bell’aria brillante. [nota originale]
  5. Alludasi alla Donna di testa debole.