Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa di madama Doralice.

Don Alessio e Targa servitore.

Alessio. Che diavolo ha mia moglie, che grida in tal maniera?

L’ha con me? l’ha con te? l’ha colla cameriera?
Targa. Vada, signor: non sente che strilli, che schiamazzo?
Alessio. Andar quand’è infuriata? affè, non son sì pazzo.
Madama è una bestiaccia, e per poter soffrirla,
Non trovo altro rimedio che quello di sfuggirla.
Ma si sa perchè grida?
Targa.   Grida perchè dal sarto
Di certa guarnizione si è errato nel comparto.

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Mancano dieci braccia di pizzo, e questa sera

Dee andar ad un festino, e smania e si dispera.
Alessio. Ho inteso; del suo sdegno se la cagione è questa,
Sulle mie spalle avrebbe a cader la tempesta;
Ma dica quel che vuole, la cosa è disperata:
Tutti li ho spesi, e in erba ci mangiammo l’entrata.
Lo sai che per comprare un abito per lei,
Venduti ho l’altro giorno due de’ vestiti miei;
E ieri, per il pizzo da far la guarnizione,
Speso ho il denar che a parte avea per la pigione.
Non posso più. Trar sangue chi può da una muraglia?
Altro non ho da darle, se il naso non mi taglia.
Targa. Eccola qui.
Alessio.   Sto fresco. Meglio è ch’io me ne vada.
Targa, Targa, fa presto, il cappello e la spada.
(Targa parte)

SCENA II.

Madama Doralice e detto.

Madama. Vi è nota, don Alessio, la bella bricconata?

Alessio. Di chi?
Madama.   La guarnizione il sarto ha rovinata.
Mancano dieci braccia, e me lo dice adesso.
Alessio. Ma come? la misura l’ha data il sarto istesso.
Madama. È vero, egli l’ha data: è un stolido, è un briccone.
Alessio. Che n’abbia qualche pezzo trafugato il garzone?
Madama. Potrebbe darsi ancora.
Alessio.   Andiamo a misurarlo.
Madama. Pensate se ora voglio dall’abito staccarlo!
Intorno vi lavorano tre donne, per far presto;
E della guarnizione s’ha da comprare il resto.
Alessio. (Buon per bacco!) (da sè)
Madama.   Che Targa sen vada in Merceria,
E compri i dieci bracci, e presto, a me li dia.

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Alessio. Si dice facilmente: si mandi dal mercante;

Ma il pizzo non l’avremo senza il denar contante.
Madama. Spropositi! Il denaro so anch’io che vi vorrà.
Alessio. Ma ch’io ne sono senza, vossignoria non sa.
Madama. Ridicola1 sarebbe. Non ha denar? Cospetto!
Che l’abito per poco mi restasse imperfetto!
Tra le maledizioni mancherebbe anche questa,
Per voi ch’io non potessi andarmene alla festa.
Alessio. Avete pur quell’altro nuovo, alla moda e bello.
Madama. Il diavol che vi porti; vuò comparir con quello.
Alessio. Bene. (Targa colla spada, il cappello ed il bastone)
Madama.   E voi, Don Alessio, pensare ci dovete.
Alessio. Ci penserò. (si mette la spada)
Madama.   Ma quando?
Alessio.   Ci penserò, il vedrete.
(prende il cappello ed il bastone)
Madama. Ite a comprarlo voi?
Alessio.   Vedrò.
Madama.   Che si vedrà?
Date il denaro a me.
Alessio.   Denaro? Eccolo qua.
Vi do la borsa tutta, tale e quale com’è;
Due soldi pel tabacco non mi tengo per me.
Cara consorte mia, vi prego, compatite;
Non so quel che ci sia; ma il mio buon cuor gradite.
(parte)

SCENA III.

Madama Doralice e Targa.

Madama. La spesa non è molta; bastan zecchini sei.

Che ci fossero questi, almeno io crederei. (apre la borsa)
Come! Olà, don Alessio. Chiamalo. (a Targa) Ha tanto ardire?
Darmi una borsa in cui non ci son dieci lire?

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Così da me s’invola? Mi lascia nella peste?

Dieci lire a una moglie? Non vuò nemmeno queste.
(getta la borsa, e coglie Targa che viene)
Targa. Signora...
Madama.   L’hai veduto?
Targa.   L’ho visto e l’ho sentito.
Madama. Che cosa?
Targa.   Il borsellino che in petto m’ha colpito.
Madama. Foss’egli una sassata, tristo briccon che sei.
Targa. Son tutte sue finezze contro i meriti miei.
Madama. Ma che farò.
Targa.   Signora...
Madama.   Che vuoi?
Targa.   Un’imbasciata.
Madama. Di chi?
Targa.   Vi è il signor Conte.
Madama.   Digli ch’io son spogliata.
Targa. Ma ch’è padron...
Madama.   No, dico: son spogliata, non senti?
Targa. Ei di passar è solito senz’altri complimenti.
Madama. Sono arrabbiata a segno, che al diavol manderei
Gli amici ed i serventi, e anco i parenti miei.

SCENA IV.

Il Conte e detti.

Conte. Madama non è in casa?

Madama.   Ci sono e non ci sono.
Si aspetta la risposta.
Conte.   Vi domando perdono.
So che mi concedeste finor libero accesso.
Madama. Quel che si accorda un giorno, sempre non è concesso.
Conte. Siete sdegnata meco? qual novitade è questa?
Madama. Lasciatemi, di grazia; ho altro per la testa.
(si volge arrabbiata dall’altra parte)

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Conte. Pazienza; questa sera a che ora comandate

Ch’io la gondola mandi?
Madama.   No, non v incomodate.
Conte. Bene; ma vi sia noto, che principiar trattengo
La festa al vostro arrivo.
Madama.   Stassera io non ci vengo.
Conte. Ma perchè mai, signora? Pensate in qual imbroglio
Sarei, se non veniste.
Madama.   Non posso; e poi non voglio.
Conte. L’ora è troppo avanzata. Son le dame invitate;
Verranno per ballare. Io che farò?
Madama.   Ballate.
Conte. Senza di voi?
Madama.   Che importa?
Conte.   Madama, per pietà.
Madama. Così la moglie vostra più contenta sarà.
Conte. Lasciam la moglie in pace coi pregiudizi suoi.
Vi è noto che il festino è ordinato per voi.
Per aver suonatori, usata ho la violenza;
Mi può qualche malanno costar la prepotenza.
Madama. Sia come esser si voglia, Conte, vi torno a dire
Non vengo.
Conte.   Non venite?...
Madama.   Se credo di morire.
Conte. Eccomi in un impegno. Destino maledetto!
Il ballo ed il convito farassi a mio dispetto?
Madama. Si farà dunque?
Conte.   E come poss’io farne di meno?
Madama. Io starò sola in casa a rodere il veleno.
Conte. Madama, per pietà, deh! venite da noi.
Madama. Se ballano, se cenano, che bisogno han di voi?
Conte. Ma che direbbe il mondo, s’io non ci fossi?
Madama.   Andate;
Divertitevi bene, e più non mi annoiate.
Conte. Ma in carità, Madama...

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Madama.   A me codesti torti?

Conte. Farò quel che volete.
Madama.   Il diavol che vi porti. (parte)

SCENA V.

Il Conte, poi Targa.

Conte. Oh vita di chi serve miserabile e trista!

Ecco a servir le donne il premio che si acquista.
Ma che farò?
Targa.   Signore, ora ch’ella è partita,
Tutta vi narrerò la cosa com’è ita:
Son dieci braccia sole di guarnizion d’argento,
Che fan della padrona l’affanno ed il tormento.
Conte. Non altro?
Targa.   Per comprarlo è ricorsa al marito,
Ed ei con uno scherzo s’ha sciolto, e se n’è ito.
Smania, delira e freme, e si è cacciata in testa,
Che senza quel vestito non vuol ire alla festa.
Conte. Targa, se si potesse porvi rimedio! Quanto
Costa la guarnizione?
Targa.   Dieci zecchini.
Conte.   Tanto?
Targa. Si è vista e si è pesata; da battere non c’è.
(Ne voglio, se mi riesce, una porzion per me), (parte)
Conte. Ma come far? sai pure ch’ella i regali sdegna.
Targa. Quando una cosa preme, chi ha giudizio s’ingegna2.
Conte. Non posso col marito pigliar tal confidenza.
Targa. Troverò io il rimedio, se mi date licenza.
Conte. Ma come?
Targa.   Stanno in dubbio che il sarto abbia rubato.
Dirò che fu l’argento dal sarto ritrovato.
Con lui s'andrà d’accordo, e la maniera è questa
Di far che abbia il vestito e veggasi alla festa.

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Conte. Facciasi pur. (Dieci zecchini!) (da sè) Andiamo.3

Dieci braccia d’argento.
Targa.   Signor, sollecitiamo.
Conte. Averete la mostra.
Targa.   L’argento so com’è:
Contatemi i zecchini, fidatevi di me.
Conte. Andiamo da Balestra, ei tiene il mio denaro.
(L’impegno in cui mi trovo, mi costa troppo caro).
(da sè; e partono)

SCENA VI.

Madama Doralice, poi Stanga servitore.

Madama. Senza di me la festa? senza di me, per cui

Dice di farla il Conte, si ballerà da lui?
Dirà, se non mi vede, la critica brigata
O ch’io non so ballare, o che non mi ha invitata.
Ma l’uno e l’altro è poco; diran, non è venuta,
Forse perchè non l’ha la Contessa voluta.
E il Conte che mi teme almen, se non mi ama,
Ardisce a un tale insulto esponere una dama?
In casa mia finito ha di venir l’audace...
Ma si farà la festa; questo è quel che mi spiace.
Per far che non seguisse, lo giuro, pagherei
Tutte le gioie ancora, non che i vestiti miei.
Chi sa? farò di tutto per ritrovar maniera...
Può darsi che mi riesca qualcosa innanzi sera.
Stassera tu non balli, Conte, te lo prometto,
A costo anche di farti precipitare il tetto.
Stanga. Signora, c’è il padrone?
Madama.   Fuori di casa è andato.
Per qual ragion ne chiedi?
Stanga.   Egli era domandato.

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Madama. Da chi?

Stanga.   Da don Maurizio.
Madama.   Digli ch’egli è sortito.
Ma... aspetta. (Che mai puote voler da mio marito?)
Son curiosa). (da sè) Va, digli che ci son io, che onore
Mi farà s’egli passa, ch’io l’avrò per favore. (Stanga va via)
Chi sa ch’egli non tenti, spronato dalla figlia,
La pace per vendetta turbar4 di mia famiglia?
Se accorgermi potessi ch’ei ciò tentasse, il giuro...
Ma in tempo egli è venuto che il Conte più non curo;
E posso cautamente con lui giustificarmi,
Merto acquistando, allora ch’io penso a vendicarmi.

SCENA VII.

Don Maurizio, Stanga e la suddetta.

Maurizio. Madama. (inchinandosi)

Madama.   O mio signore, qual onore è mai questo?
Presto una sedia.
Maurizio.   Io sono...
Madama.   Un’altra sedia, presto.
(Stanga dà le sedie, e parte)
Favorite. (lo vuol far sedere alla dritta)
Maurizio.   Madama, così non si sta bene.
Madama. No, signor, favorite. So quel che mi conviene. (siedono)
Sortito è don Alessio; ma se comandi avete,
Senza riguardo alcuno esporli a me potete.
Comuni son gli arcani, comuni son le voglie
In questa casa nostra ha il marito e la moglie.
Maurizio. Invidiabil fortuna! felice matrimonio,
Dove della discordia non penetra il demonio!
Volesse il ciel, che tale fosse quel di mia figlia;
Ma il Conte è giovinotto, non pensa alla famiglia.

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Madama. Il Conte, per dir vero, non ha molto giudizio;

Se libera favello, perdoni don Maurizio.
Egli è genero vostro, ma d’esserlo non mostra;
Ha una consorte degna, onor dell'età nostra;
Fa torto ad ambidue la vita ch’egli mena.
Ecco qui: questa sera dà un ballo ed una cena!
Non dico ch’ei non possa spender cento zecchini,
Ma mormoran di lui gli amici ed i vicini;
E dicono (io non soglio entrar ne’ fatti altrui),
Dicono ch’ei rovina la casa e i beni sui.
Maurizio. Madama, una tal frase mi giunge inaspettata.
Al ballo ed alla cena voi pur siete invitata;
E so...
Madama.   Mi maraviglio; non vado alla sua festa.
Chi avesse un tal pensiero, sel levi dalla testa,
Lo so che il mondo parla di me senza rispetto;
Il Conte non vedrete venir più nel mio tetto.
Finor, se lo trattai, lo feci in mezzo a tanti
Che vengono a graziarmi, amici e non amanti5.
Appena me ne accorsi ch’egli era il più osservato,
Signore, immantinente gli diedi il suo commiato.
Non son di senno priva, non vuò fra le mie soglie
Un uom che per me faccia temer la propria moglie.
Vi prego alla Contessa parlar per parte mia.
Ella mi fa gran torto, di me se ha gelosia.
Però la compatisco, e voglio esserle amica,
E vuò che il mondo insano lo sappia, e si disdica.
Pur troppo il mondo è pieno d’inganni e di malizia;
Ma cavalier voi siete, mi farete giustizia.
Maurizio. (Le credo, o non le credo?) (da sè) Madama, io non saprei..
Dell’espressioni vostre temer non ardirei.
Solo dirò che lodo il vostro pensamento
Di non andar stassera a un tal divertimento.

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Madama. Non vi anderei, lo giuro, nemmen per un milione.

Oltre quel che vi dissi, evvi un’altra ragione.
Il Conte, non so dire per qual novella ardenza,
Rapiti ha i sonatori altrui con prepotenza;
Schernite ed affrontate due case a questo segno,
Vorranno vendicarsi, a costo d’un impegno.
E certo del festino vedrassi in sul più bello
Da gente puntigliosa produr qualche flagello.
Per me non mi vedranno entrar in quelle porte;
Ma spiacemi soltanto, davver, per sua consorte.
Maurizio. Madama, voi mi dite cosa che mi sorprende.
Madama. Il Conte, quand’è acceso, non vede e non intende.
Signor, in quella casa vedrassi una tragedia,
Se il vostro buon consiglio a tempo non rimedia.
Maurizio. Farò... ma che far posso?
Madama.   Cercate di Balestra.
Egli vi saprà dire l’istoria dell’orchestra.
Scoperti i sonatori, saputo il loro nome,
Di metterli in dovere non mancheravvi il come.
Maurizio. Questo si potrà fare.
Madama.   Ma se per l’attentato
Gli offesi una vendetta avesser preparato,
Tardo sarebbe e vano un tal provvedimento.
Compatite, signore, dirò il mio sentimento.
Il differir la festa, il differir la cena
La povera Contessa esime da ogni pena.
Mancan dell’ore tante all’ora del convito,
Si può colle imbasciate distruggere l’invito.
S’io fossi in caso tale, sull’onor mio v’accerto,
Vorrei cercar la strada di mettermi al coperto.
Ma voi prudente siete; in simile periglio
Bisogno non avete di norma e di consiglio.
Maurizio. (Stupisco sempre più. Strano mi par tal zelo), (da sè)
Madama. (Se il suocero mi crede, mi vendico e mi celo), (da sè)
Maurizio. Madama, inutilmente da voi non son venuto,

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Se di consigli e lumi mi avete provveduto.

Partirò per non darvi più lungamente un tedio.(s’alza)
Madama. Ponete al precipizio sollecito il rimedio.
Vada il festino a monte, e al genero s’insegni
Dal suocero prudente sfuggir cotali impegni,
Maurizio. Madama, vi ringrazio.
Madama.   Di che?
Maurizio.   Perdon vi chiedo, (inchinandosi)
Madama. (Il vecchio l’ha bevuta). (da sè)
Maurizio.   (A lei tutto non credo), (da sè)

SCENA VIII.

Madama Doralice, poi Targa.

Madama. Se ama la figlia, e se ama il genero davvero,

Ha da impedir la festa. L’impedirà, lo spero.
La rabbia mi divora, l’invidia mi tormenta;
Ed altro non vi vuole per rendermi contenta.
Targa. Signora.
Madama.   E tu, che vuoi?
Targa.   Un’imbasciata.
Madama.   Evviva.
Targa. La marchesa Dogliata, la baronessa Oliva.
Madama. Padrone.
Targa.   Ho poi da darle una novella buona.
Madama. Di che?
Targa. Sarà contenta oggi la mia padrona.
Madama. Perchè?
Targa.   Perchè il sartore l’argento ha ritrovato,
E l’abito stassera l’avremo terminato.
Madama. Come? Che dici?
Targa.   Il sarto trovò la guarnizione.
L’aveva trafugata un discolo garzone.
Con quattro bastonate l’indegno ha discacciato.
Madama. E l’abito?

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Targa.   Stassera è bello e terminato.

Madama. Povera me!
Targa.   Signora, dovrebbe in lei rivivere
La gioia, l’allegria.
Madama.   Povera me! Da scrivere.
Targa. Ma le dame?
Madama.   Le dame... non so che far.
Targa.   Signora.
Madama. Dopo che hanno aspettato... vengano in lor malora6.
(Targa parte)

SCENA IX.

Madama Doralice sola.

Affè, l’ho fatta bella. L’abito è ormai finito;

Ed io il povero Conte l’ho messo a mal partito.
Ma in ogni guisa ei merta l’ira e lo sdegno mio;
La festa si faceva, senza che vi foss’io.
Ma non potea, per dirla, sottrarsi dall’impegno.
Troppo presto m’accendo. Maledetto il mio sdegno!
Se il suocero impedisce che facciasi il festino?
Bene, sarà cogli altri comune il mio destino.
Ma se la festa segue, grazie alla sorte amica,
Ch’io sia delle scartate non voglio che si dica.
Che dirà don Maurizio, se vedemi al convito?
Dirò che mi ha costretta andarvi mio marito.
Il Conte che dirà, se il suocero gli parla?
Col Conte in due parole m’impegno d’aggiustarla.
Gli scriverò un viglietto, l’avviserò di tutto;
Dirò che d’altra parte il suocero fu instrutto.
Dea quel che sa dire, son pronta all’occasione,
E a forza di gridare io voglio aver ragione.

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SCENA X.

La Marchesa Dogliata, la Baronessa Oliva, la suddetta, poi Stanga.

Baronessa. Madama, vi son serva.

Marchesa.   Madama, riverente.
Madama. M’inchino a queste dame divotissimamente.
(Stanga porta da sedere, e parte)
Baronessa. Siamo da voi venute, Madama gentilissima,
Bramando una notizia, che certo è importantissima.
Marchesa. Un consiglio da voi avere si desidera.
Madama. Mi onora chi di darlo capace mi considera.
Baronessa. Saprete che una festa si fa dal Conte... e poi,
Che occorre dir saprete, s’egli la fa per voi?
Madama. Non merto questi onori; ma pur7 la sua bontà...
Marchesa. Non dite d’avvantaggio, il resto già si sa...
Madama. Amica, andiam bel bello. Se voi vi supponete...
Marchesa. Non vi pensate, amica...
Baronessa.   Eh via, si sa chi siete.
Madama. Orsù, parliamo d’altro; che avete a comandarmi?
Marchesa. Son qui da voi venuta, Madama, ad informarmi
Di cosa che, per dirla, mi pare interessante;
Se devesi stassera venir col guardinfante.
Madama. Io credo che si possa andar come si vuole.
Baronessa. Andar tutte uniformi è meglio, se si puole.
Marchesa. Io so che in qualche festa si sta in osservazione,
Che non ci sia negli abiti veruna distinzione.
Madama. La festa che fa il Conte, è cosa assai privata;
Ciascuna può ballare e vestita e spogliata.
Baronessa. Voi come andate? (a Madama)
Madama.   Ancora non ci ho pensato su.
Marchesa. Coll’abito di stoffa?
Madama.   Oh, non lo porto più.

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Marchesa. Vi mettete quel rosso?

Madama.   Non credo.
Baronessa.   Il giallo?
Madama.   Oibò!
Marchesa. Ora capisco: un nuovo.
Baronessa.   Dite davver?
Madama.   Non so.
Baronessa. Brava, brava, un vestito novissimo. L’ho a caro.
Marchesa. Ma! così fa chi può.
Baronessa.   Lo fa chi ha del denaro.
Madama. Cosa di poca spesa. Non è di soggezione.
Baronessa. Di broccato?
Madama.   Oh pensate! Un po’ di guarnizione.
Marchesa. D’oro, o d’argento?
Madama.   Argento.
Baronessa.   Le mostre, o tutto il resto?
Madama. Vi dirò, Baronessa, son delicata in questo.
Non voglio che le genti mi dicano a un invito:
Guardate quella voglia di abito guarnito.
Marchesa. Se lo dico, mi aspetto vedere un abitone.
Madama. Sarà quel che sarà.
Baronessa.   Ma dite, col cerchione?
Madama. Cerchio grande.
Marchesa.   Vedete? e noi porre in periglio
Vorreste di una critica col facile consiglio.
Baronessa. Noi pur col guardinfante ci avremo da vestire.
Marchesa. Non ho vestiti nuovi, ma posso comparire.

SCENA XI.

Targa e dette.

Targa. Vien donna Rosimena.

Marchesa.   Oh bella!
Baronessa.   Oh la vecchiona!
Madama. È sola?

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Targa.   È con don Peppe.

Madama.   Passi pure, è padrona.
(Targa parte)
Marchesa. Oh, questa si può dire ch’è donna fortunata!
Ha settant'anni, e è ancora servita e corteggiata.
Madama. Questo, per dire il vero, è un caso inusitato,
Che s’abbia per tant’anni l’amico conservato.
Marchesa. Tarda molto a venire.
Baronessa.   Sentitela, che sale.
Madama. Povera vecchierella! le pesano le scale.
Baronessa. Eccola. Com’è brutta!
Marchesa.   Vi par poco lisciata?
Madama. Non siam di carnevale? La vecchia è mascherata.

SCENA XII.

Donna Rosimena, don Peppe e detti.

Targa mette le sedie.

Rosimena. Madama, vi son serva. Marchesa, Baronessa.
Baronessa. Serva.
Marchesa.
Madama.   Serva divota.

Madama.   Peppe. M’inchino.
Peppe.   (È ognor la stessa) (da sè)
Madama. Si servano, di grazia, si servano, signore. (tutti siedono)
Oh donna Rosimena, che vuol dir quest’onore?
Rosimena. Scusatemi, Madama, s’io vengo a incomodarvi;
D’una finezza, amica, son venuta a pregarvi.
Io so che questa sera il Conte dà una festa,
So che sarà composta di gente tutta onesta;
So quanto voi potete, dicendo una parola;
Vorrei col vostro mezzo condur la mia figliuola.
Madama. Ben volentier, signora.
Baronessa.   Ma le fanciulle oneste
Pare non sia ben fatto condurle sulle feste.

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Rosimena. Che cara Baronessa! correggere mi vuole.

È peggio le ragazze lasciarle in casa sole.
Marchesa. Le madri che han giudizio...
Rosimena.   So che volete dirmi;
Ma vecchia ancor non sono, e voglio divertirmi.
Madama. Dunque voi pur, signora...
Rosimena.   Si sa, vengo ancor io.
E meco mi lusingo verrà don Peppe mio.
Peppe. Se mi sarà permesso.
Madama.   Non so, perchè ristretto
È il luogo della festa; di ciò non mi prometto.
Rosimena. Madama Doralice, parlo col cuore aperto,
Quando non vien don Peppe, anch’io non vengo certo.
Marchesa. Sì, donna Rosimena, vi lodo in verità;
Un po’ di cicisbeo fa bene in quella età.
Rosimena. Don Peppe onestamente mi serve e mi ha servito,
E gli voleva bene ancora mio marito.
Baronessa. Vostro marito in fatti era buon uomo assai.
Rosimena. Che tu sia benedetto! Non mi gridava mai.
Madama. Voi mi permetterete, che pria ne parli al Conte.
Rosimena. Mi piacciono, Madama, le femmine più pronte.
Dite di sì a drittura; il Conte non disdice,
Allora che comanda madama Doralice.
Anch’io, quando una grazia voluta ho da don Peppe,
A donna Rosimena negarla egli non seppe.
Chiedetegli, s’è vero. Don Peppe eccolo qui;
Non ha mai detto un no, quando gli ho chiesto un sì.
Peppe. A una discreta dama negar non si dee nulla.
Rosimena. Basta dir che mi amava ancora da fanciulla.
Madama. Amica, compatite; non prendo alcun impegno.
Vi darò la risposta.
Rosimena.   Ma presto.
Madama.   Sì, m’impegno.
Rosimena. E dove?
Madama.   Questa sera, innanzi, dove andate?

[p. 55 modifica]
Rosimena. Dove andiamo, don Peppe?

Peppe.   Dove voi comandate.
Madama. Datemi il luogo certo.
Rosimena.   Se una chiave si trova,
Andremo questa sera alla commedia nuova.
Madama. Forse anch’io v’anderò.
Rosimena.   Bene, ci troveremo.
Madama. Ci troveremo tutti.
Baronessa.   Noi altre non ci andremo.
Madama. Perchè?
Baronessa.   Perchè mai più vogliam commedie nuove,
Se prima non si sentono dell’esito le nuove.
Madama. Io poi la prima sera, sia buona o sia cattiva,
Per dubbio che mi spiaccia, non voglio esserne priva.
Marchesa. A tante commediaccie avrete avuto gusto.
Madama. Ho ben colla Persiana compensato il disgusto.
Marchesa. Ecco qui: la Persiana sempre si mette in campo,
Eppur la sua bellezza sparisce come un lampo.
E buona, se vogliamo, diletta, e non attedia,
Ma in verità, Madama, non si può dir commedia.
Baronessa. Cogli abiti, col verso, col merto degli attori,
Con qualche novità l’autor la porta fuori.
Madama. Eppure è un’opra tale, che trentaquattro sere
Ha sempre fatto gente, e a tutti diè piacere.
Marchesa. A tutti? Se sentiste quel che ne dicon tanti!
Vi è chi l’ha esaminata ben ben8 da tutti i canti;
E vi ha trovato dentro di molte improprietà.
Baronessa. Dicon che nei caratteri non ci sia verità.
Rosimena. Oh, qui poi perdonate: di questo me n’appello.
Carattere può darsi di Curcuma più bello?9
Veder una vecchiaccia che fa da giovinetta,
È cosa veramente che piace e che diletta;

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Vederla disperata per causa dell’eunuco,

È cosa che da ridere farebbe ad un sambuco.
E quando della schiava in vece si offeriva,
Guardando un po’ don Peppe, da rider mi veniva.
Baronessa. Appunto con tal donna l’autor preso ha dei sbagli.
Son savie, son matrone le vecchie dei serragli.
Meglio doveva gli usi esaminar dei popoli.
Vi sono dei serragli anche in Costantinopoli.
Madama. L’autor di quei di Persia dipinto ha il ver costume.
Dai viaggiatori ha preso norma, consiglio e lume;
E accordano i migliori, che sono tai custodi
Esperte nell’inganno, maestre delle frodi.
Marchesa. E quando quella vecchia discorre del caffè,
E fa da semplicista senza saper perchè?
Madama. Lo fa, perchè ad Alì vuol dar trattenimento.
L’autor ve l’ha innestato per suo divertimento.
È ver che si poteva ancora farne senza;
Ma prendersi un poeta può ben questa licenza.
Peppe. E poi lo fa la vecchia, perchè è una linguacciuta,
Che entrar volendo in grazia, per ogni via s’aiuta.
Che parla d’una cosa che a lei non disconviene.
Rosimena. Oh caro quel don Peppe! oh come parla bene!
Baronessa. Condannano poi molto di Fatima l’amore.
Dicono che non puossi accendere in poche ore.
E dicon che sia falsa l’ipotesi galante,
Che fosse innamorata pria di veder l’amante.
Madama. Chi parla in guisa tale, mostra che le sia oscura
La condizion di donna chiusa fra quattro mura.
L’unico ben di donna in Oriente è lo sposo,
E tanto di ottenerlo è il di lei cuore ansioso,
Che quando l’Europea principia a essere amante,
L’amor nell’Orientale divenuto è gigante.
Rosimena. Viva Madama, e viva.
Marchesa.   E poi, che donna strana,
Che donna indiavolata è mai la schiava Ircana?

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Madama. Amica, a piacer vostro tutt’altro criticate;

Ma Ircana io la proteggo, e non me la toccate.10
Marchesa. Non parlo dell’attrice, favello con modestia;
Mi piace di vederla smaniar come una bestia;
Del carattere suo sol favellare intendo.
Madama. Ircana, la sua parte, il suo smaniar difendo.
Finor son stata cheta, or mi si scalda il sangue:
Se mi toccate Ircana, io fremo come un angue.
Io trovo il suo carattere bellissimo, perfetto.
Mille volte al poeta io dissi: oh benedetto11
Baronessa. Credetemi, Madama, che vi è da dire assai.
Madama. L’ho caro12. (s’alza)
Baronessa.   Ma sentite.
Madama.   Orsù, ho sentito assai.
Restate, se volete, io vi domando scusa;
So che piantar le visite la civiltà non usa,
Ma un affar di premura m’obbliga un sol momento
Passar, se il permettete, nell’altro appartamento.
Tre dame che son piene di tanta discrezione,
Spero che mi daranno benigna permissione.
Baronessa. Io vi levo l’incomodo.
Marchesa.   Faccio lo stesso anch’io.
Rosimena. Attenderò l’avviso, Madama, al palco mio.
Ricordatevi bene parlar per tutti tre13:
Per la figliuola mia, pel mio don Peppe e me.
(parte inchinandosi, con don Peppe)
Marchesa. Madama, compatite. (inchinandosi)
Madama.   Giust’è che a voi domande...
Baronessa. Dunque vi metterete stassera il cerchio grande.
Madama. Può darsi.

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Baronessa.   V’ho capito, già me lo metto anch’io.

Riverisco Madama.
Marchesa.   Serva, Madama.
Baronessa.   Addio.
(Madama s’inchina, e le accompagna alla porta)

SCENA XIII.

Madama Doralice sola.

Perduto ho più di un’ora con queste vanarelle.

Perchè io sarò col cerchio, lo vogliono ancor elle.
Si rodon dalla rabbia, perchè ho vestito nuovo;
Ma quando viene il sarto? Ma quando me lo provo?
E il Conte che lasciommi ripiena di dispetto,
Perchè non lo consolo almen con un viglietto?
Farlo volea; ma il diavolo mandò più d’un imbroglio.
Ora con quattro versi formo un tenero foglio:
Farò che a me ne venga, l’informerò del tutto;
Non voglio più vederlo per amor mio distrutto.
Un misto di finezze, un misto di strapazzi,
Mantiene a noi soggetti tanti poveri pazzi.

Fine dell’Atto Secondo.

  1. Zatta: Da ridere.
  2. Guibert-Orgeas e Zatta: s’impegna.
  3. Così è il verso in tutte le edizioni.
  4. Guibert-Orgeas e Zatta: sturbar.
  5. Guibert-Orgeas e Zatta: e amici, non amanti.
  6. Così tutte le edizioni. Ma nell'ed. Pitteri è rimasta per isbaglio una virgola dopo Signora, e probabilmente nel testo si leggeva: «Targa. Signora, - Dopo che hanno aspettato... Madama. Vengano in lor malora».
  7. Zatta: per.
  8. Guibert-Orgeas e Zatta: bene da tutti ecc.
  9. Il personaggio medesimo rappresentato aveva quello di Curcuma. [nota originale]
  10. L’attrice medesima rappresentò nell’anno stesso il personaggio d’Ircana. [nota originale]
  11. Guibert-Orgeas e Zatta: io dissi: benedetto.
  12. Zatta: a caro.
  13. Zatta: e tre.