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60 ATTO TERZO
Risma.   So che una festa

Fa ella questa sera; se la domanda è onesta,
Desidero...
Conte.   Che cosa?
Risma.   Servirla dei rinfreschi.
Conte. L’impegno è grande; io temo che poi non ci rieschi.
Risma. Signor, di me le genti son meglio persuase;
Io soglio di Venezia servir le prime case.
Vengono alla bottega, e in queste stanze mie,
La sera e la mattina le meglio compagnie.
Saran tre anni al meno, se forse non è più,
Che noi al signor Conte prestiamo servitù.
Anzi la pregherei, or che mi vien in mente,
Saldar quel contarello ch’è una cosa da niente.
Conte. Tempo or non ho; stassera tieni le cose in pronto;
Viemmi a servire, e poi si farà tutto un conto.
Risma. Ringrazio vossustrissima, e vado a preparare
Tutto quel che stassera potrebbe abbisognare.
(Ma gli darò, col rischio d’esser pagato male,
Rinfreschi scellerati, e un conto da speziale). (da sè, e parte)

SCENA II.

Il Conte solo.

Disgraziato Balestra! gli dissi a ventun’ora.

Che diamine sarà, che non si vede ancora?
Se due fette di zuppa son state il pranzo mio,
Dovea spicciarsi anch’egli, e far quel ch’ho fatt’io.
Servirà la Contessa; ella non ha mai fretta.
Si dice alla padrona: il padrone mi aspetta.
Bisogno ho di denari; stassera convien spendere:
L’anello che ho impegnato, necessario è di vendere.
E se costui non viene, mi vedo disperato.
Non so per mio malanno dove l’abbia impegnato.