Il festino/Atto IV
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ATTO QUARTO.
SCENA PRIMA.
NOTTE.
Camera in casa del Conte, con lumi.
Il Conte e Balestra.
Mandata ad invitare madama Doralice?
Balestra. Sì signore, ed io stesso l’invito le ho recato.
Conte. Questo per me è un prodigio, un caso inaspettato.
Come andò la faccenda? come cambiò il pensiero?
Chi mai l’ha consigliata? Dimmi, Balestra, il vero.
Balestra. Nol so, signor.
Conte. Veduta l’hai tu con don Maurizio?
Balestra. Sì signore.
Conte. Suo padre è un uomo di giudizio.
Salvar le convenienze di lei, di suo marito.
Balestra. Tutto andrà ben, signore.
Conte. Finora io vissi in pene.
Denaro...
Balestra. Egli è finito.
Conte. Oh va, che anderà bene.
Balestra. Ecco qui il vostro conto.
Conte. Tu pure mi dicesti,
Che con quattro zecchini i sonatori avesti.
Balestra. Ecco il conto vi dico: quattro nei sonatori,
Sei nelle cose dolci, nei vini e nei liquori.
Dieci ne diedi a voi, dieci ne ha avuti il cuoco.
Ecco trenta zecchini, e per la cena è poco.
Conte. È poco certamente, il cuoco mi ha parlato:
Pochissimo salvatico finora ha comperato.
E questi bottegai vili, scortesi, avari,
Non vogliono dar nulla, se lor non do denari.
Balestra. Guardi che brutta usanza!
Conte. Balestra, che faremo?
L’anello?
Balestra. È già impegnato.
Conte. E ben, lo venderemo.
Balestra. Venderlo a precipizio, signor, non è ben fatto.
Conte. Trovami del denaro; ne voglio ad ogni patto.
Balestra. Trovami del denaro? mostratemi la strada.
Conte. Eccola. Quell’anello a vendere si vada.
Balestra. Ma perchè?
Conte. Non più ciarle. Io vendere lo vuò.
Balestra. Per quanto?
Conte. Che si venda per quello che si può.
Allor ch’io lo comprai, costò zecchini ottanta.
Di venderlo procura almeno per sessanta.
Balestra. Ma a quest’ora?
Conte. A quest’ora.
S’incomodi a quest’ora, e contimi il denaro.
Ma lo vorrà per niente.
Conte. Si venda a precipizio.
Balestra. (Donne, festini e giuoco fan perdere il giudizio).
(da sè, e parte)
SCENA II.
Il Conte, poi la Contessa.
Col tempo e coll’entrate rimedierò a ogni male.
Contessa. Conte, mi permettete ch’io dicavi una cosa?
Conte. Ditela, cuor gentile, anima generosa.
So quel che avete fatto, amabile Contessa.
Contessa. Da chi vi è stato detto?
Conte. Da Doralice istessa.
Contessa. (Dunque si va da lei). (da sè)
Conte. Dite quel che bramate.
Contessa. Dove vel disse?
Conte. In casa.
Contessa. Dunque in sua casa andate.
Conte. V'andai per un affare... l’andai per suo marito...
Per una informazione... ed anche per l’invito.
Contessa. Quattro ragioni unite, che non stan bene insieme.
Conte. Ma che vorreste dire?
Contessa. Si vede che vi preme.
Conte. No davver, ve lo giuro...
Contessa. Basta, per or si taccia.
Direi un’altra cosa, ma temo vi dispiaccia.
Conte. No, dite pur...
Contessa. Balestra... con lui non vi sdegnate.
Conte. No, non mi sdegnerò; presto, via terminate.
Contessa. M’ha detto dell’anello che avete...
Contessa. E dice che ora venderlo pensate.
Conte. (Scellerato!) (da sè)
Contessa. In verità mi spiace di quella gioja...
Conte. (Indegno!) (da sè)
Contessa. Serbarla, se volete, potrei...
Conte. (Ardo di sdegno), (da sè)
Contessa. Potrei qualche denaro somministrarvi anch’io.
Se dodici zecchini vi bastan... (colla borsa in mano)
Conte. Sì, amor mio. (riceve la borsa)
Contessa. Compatite Balestra; lo fa per il decoro
Della famiglia nostra.
Conte. Val Balestra un tesoro.
Contessa. Gradite l’amor mio?
Conte. Sì, cuor pietoso umano.
Vado a supplir... lasciate ch’io vi baci la mano, (parte)
SCENA III.
La Contessa, poi Lesbino.
Non so per interesse sel1 faccia, o per amore.
Lesbino. Vengono delle dame.
Contessa. Se son delle invitate,
Passin liberamente senza far imbasciate.
Quel che alla porta bada, la lista ha dell’invito;
Se nasce qualche impegno, s’avvisi mio marito.
Lesbino. Sì, signora. (in atto di partire)
Contessa. Ma senti: pian piano, e con bell’arte,
Quando Madama viene, avvisami in disparte.
Lesbino. Sarà servita. (come sopra)
Non lo dir al padrone, dillo a me.
Lesbino. Sì, signora.
Contessa. S’ella chiedesse il Conte, dille: la servo, e lesto
Viemmi a dare l’avviso senza dir nulla, e presto.
Lesbino. La servirò. (come sopra)
Contessa. Se mai, ascoltami, se mai (richiamandolo)
Ti prevenisse il Conte, tanto e tanto verrai.
Lesbino. E s’egli non volesse...
Contessa. E tu lascialo dire.
Che il paggio da me venga, nessun lo può impedire.
Sento l’orchestra in moto. Principiano la festa.
Gran cose questa sera mi passan per la testa, (parte)
Lesbino. La povera padrona ha nella fantasia
Impresso il brutto male che ha nome gelosia.
Mi pare una gran cosa. Tre case ho già servito,
E mai di gelosia parlar non ho sentito.
Veduto ho dei mariti levarsi di buon’ora,
Senza veder in faccia nemmeno la signora;
E qualchedun trovando su per le scale in fretta,
Dir con indifferenza: andate, che vi aspetta.
Veduto ho delle mogli che ridon del marito,
Se san ch’egli si lagni d’avere il cuor ferito.
E due, marito e moglie, da me serviti in prima,
Avevano l’un l’altro di lor cotanta stima,
Che per non abusare di troppa confidenza,
Scontrandosi per casa faceansi riverenza.
E se per accidente chiedean: dove si va?
Dicean, vo dove voglio, con tutta civiltà.
Qui pur si fa lo stesso; ma vi è un divario solo,
Altrove si sta in pace, e qui si vede il duolo.
Onde chi faccia peggio di lor non so decidere;
Ma so che questi e quelli il mondo fanno ridere.
SCENA IV.
Madama, don Alessio e detto.
Alessio. Passiamo2 alla Contessa l’uffizio che conviene.
Madama. Alla Contessa o al Conte la stessa cosa è questa.
Dimmi, dov’è il padrone? (a Lesbino)
Lesbino. Ei sarà sulla festa.
Madama. Il ballo è principiato?
Lesbino. Oh sì, signora.
Madama. Che?
Lesbino. Mezz’ora è che si balla.
Madama. (Ballan senza di me?) (da sè)
Alessio. Possiamo andar innanzi.
Madama. Chiamami il tuo padrone.
Lesbino. Sì signora.
Madama. Non farti sentir dalle persone.
Puoi dirgli nell’orecchio che tosto ei venga qui.
Lesbino. (Avviso la padrona). Vado, signora sì. (parte)
SCENA V.
Madama e don Alessio.
Madama. Faccio per non recare disturbi sulla festa.
Alessio. Bene.
Madama. (Dell’aspettarmi così mantiene il patto?)
Vuò che mi paghi il Conte l’affronto che mi ha fatto).
(da sè)
Alessio. Ma dirlo alla Contessa mi par più convenienza.
Madama. Il disturbar la dama sarebbe un’insolenza.
Alessio. Benissimo.
Se non si scusa il Conte, se non sa far... chi sa?) (da sè)
Alessio. Pericolo non vi è, che mormorin di noi?
Madama. Apprender non ho d’uopo a vivere da voi.
Alessio. Non parlo più.
Madama. (Non viene, s’accresce il mio dispetto).
(da sè)
Alessio. Ecco qui la Contessa.
Madama. (Oh paggio maladetto!) (da sè)
SCENA VI.
La Contessa e detti.
Madama. Vi son serva.
Alessio. Con il rispetto mio...
Contessa. Perchè non inoltrarvi?
Alessio. Glielo diceva anch’io.
Madama. Tacete. (a don Alessio)
Alessio. Tacerò.
Contessa. Bisogno d’imbasciata
Non vi è per una dama che fu da me invitata.
Alessio. Sentite? (a Madama)
Madama. Don Alessio, tacete in cortesia.
Lasciatemi parlare, che l’incombenza è mia.
Alessio. Andrò, se il permettete, Contessa, in sulla festa.
(alla Contessa)
Madama. Andate, seccatore.
Alessio. Ma la gran bestia è questa! (parte)
SCENA VII.
La Contessa e Madama.
Madama. Ciascun, Contessa mia, l’intende come vuole.
Basta che dei mariti lascino stare il mio.
Madama. Amica, io non intendo quello che dir vogliate.
Contessa. Possiamo sulla festa andar, se comandate.
Madama. Spiegatevi, se avete di me qualche sospetto.
Contessa. No, Madama: che dite? troppo ho per voi rispetto.
Solo mi parve strano, che sendo mio l’invito,
Mandaste dell’arrivo l'avviso a mio marito.
Madama. È ver, chiesi del Conte. Per questo? Vi dirò...
La civiltà, Contessa, mi piace; e anch’io la so.
Incomodar la dama pareami incoveniente,
Immersa in complimenti in mezzo a tanta gente.
Contessa. Troppo gentil, Madama. (con una riverenza)
Madama. E poi quell’imbasciata
Non io, ma don Alessio al paggio ha incaricata.
Contessa. Scusate se non venne il Conte al suo dovere.
Ei balla; e quando balla, vi ha tutto il suo piacere.
Ei lascia a peso mio cotai ricevimenti,
E mandami in sua vece a far suoi complimenti.
Madama. Ei vi mandò a onorarmi?
Contessa. A me diè quest’onore.
(inchinandosi)
Madama. Possibile?
Contessa. Vi prego d’aggradir...
Madama. Troppo onore, (inchinandosi)
(Manda la moglie il Conte; ei balla, e me non cura.)
Ah! vorrei, se potessi, andarmene a drittura). (da sè)
Contessa. Andiam; sono a servirvi.
Madama. Vi è molta gente?
Contessa. Molta.
Madama. La sala sarà piena.
Contessa. Certo la sala è folta.
Madama. Caldo grande?
Contessa. Eccessivo.
Madama. Il caldo è il mio tormento.
Madama. Dunque è meglio ch’io vada.
Contessa. Perchè?
Madama. Perchè la festa
Non abbia a rovinarmi, scaldandomi la testa.
Contessa. Non crederei... ma siamo soggette a cento mali,
Da che le convulsioni son rese universali.
Madama. Voi ne patite?
Contessa. Assai; perciò fa il mio Contino
Per mio divertimento la cena ed il festino.
Tanto il pregai, che alfine fece per me l'invito,
In cui l’amor si vede spiccar di mio marito.
Madama. Per voi la festa è fatta?
Contessa. Per me; sembravi strano,
Che sia colla sua sposa sposo gentile e umano?
Non usasi, egli è vero, che soglia far la corte
Con tai divertimenti lo sposo alla consorte.
Ma in casa mia per altri, lo giuro e lo protesto,
Farlo non ardirebbe un cavaliere onesto.
E chi è colei che avesse spirti sì vili e rei,
D’esser da lui servita in fin su gli occhi miei?
Tutte le dame, tutte, furo da me invitate,
Venute da me sola, qual foste voi, pregate.
E se scoprir potessi che fossevi un mistero,
Che alcuna mascherasse colla menzogna il vero,
Qual mi vedete umile, avrei spirito ardito
Per discacciarla ancora in faccia a mio marito.
Madama. Par vi scaldiate meco; e intanto state qui,
E il Conte si diverte, nè sapete con chi.
Contessa. Lascio ch’ei si diverta; a me non preme niente
Ch’ei tratti, ch’ei conversi col cuore indifferente.
Sceglier lo vidi al ballo la vaga e la vezzosa;
In pubblico può farlo.
Madama. (Son di lei più gelosa), (da sè)
Madama. Dite che mi perdoni.
Contessa. Perchè venir negate?
Madama. Ho le mie convulsioni.
Contessa. (Maschera, ti conosco). (da sè)
Madama. Voglio partir, Contessa.
Chiamisi don Alessio.
Contessa. Il Contino si appressa.
SCENA VIII.
Il Conte e dette.
V’attendono alla festa.
Contessa. Vuol Madama andar via.
Conte. Ma perchè? Don Alessio, il mio gentile amico,
Balla, v'aspetta e cerca.
Madama. Voglio partir, vi dico.
Conte. Eh via!
Contessa. Non so che dire, anch’io pregata l’ho;
Ma quando vuol partire, fermarla non si può.
Conte. La fermerò ben io. Cara Madama...
Contessa. Cara?
Conte. Termine d’amicizia.
Contessa. Ogni di più s’impara.
Madama. Ma non c’è un uomo, un paggio, un diavolo vestito?
Conte. Che volete, Madama?
Madama. Io voglio mio marito.
Contessa. Lasciate che si servi; quest’è il minor de’ mali,
Prima che le si destino gli effetti matricali.
Conte. Tacete. (alla Contessa)
Madama. Troppo amore ha per me la Contessa.
Contessa. Volete don Alessio? lo chiamerò io stessa.
Conte. Non tocca a lei, signora. (alterato, alla Contessa)
Se vuol partir Madama, non si dee trattenere.
Madama. (Or di restarci ho voglia). (da sè)
Conte. So da che il mal procede;
Che siete ognor più pazza in pratica si vede.
Contessa. Sì, lo sarò; ma intanto le mie pazzie raffreno;
Vi lascio colla bella in libertade appieno. (parte)
SCENA IX.
Madama ed il Conte.
Conte. Non badate. Sentite una parola...
Madama. O venga don Alessio, o partirò io sola.
Conte. Se parte don Alessio, se voi tornate via,
Che mai di tale evento dirà la compagnia?
Se preme a voi l’onore, venir dovete al ballo,
Andarvene in tal guisa sarebbe il maggior fallo.
Madama. Pensi come l’intende, ciascuno a’ casi suoi.
Apprender non ho d’uopo a vivere da voi.
Conte. Via, Madama.
Madama. Son stanca. (gli volta le spalle)
Conte. Volgete a me quegli occhi.
Madama. Non serve.
Conte. (Maledetta! vorrà ch’io m’inginocchi), (da sè)
Per questa sera sola4 deh siate sofferente.
Eccomi a’ vostri piedi in atto riverente.
Vi supplico, vi prego pel mio, pel vostro onore;
Donate a chi vi serve quest’ultimo favore.
(in atto di prostrarsi)
SCENA X.
Don Maurizio e detti.
Qui, Madama? m’avete in tal guisa ingannato?
Madama. Non v'ingannai, signore, qui non m’avrei portata,
Se la figliuola vostra non mi avesse invitata.
Al ballo ora m’invio. Femmina vil si mostra
Colei che grazia nega ad uomo che si prostra. (parte)
Maurizio. Son fuor di me; che intesi?
Conte. Avete il ver sentito.
Mia moglie, e figlia vostra, a lei mandò l’invito;
S’ora è pentita e freme, che farle io non saprei:
Non voglio comparire ridicolo per lei. (parte)
SCENA XI.
Don Maurizio, poi la Contessa.
Fu mandato l’invito. Nol credo; ella s’appressa.
Contessa. Ah signor, riparate i miei scorni, i miei danni.
Per tutto ove mi volgo, non ritrovo che inganni.
Maurizio. Ditemi, è ver che voi invitaste alla festa
Madama?
Contessa. È ver, signore, ma la ragione è questa...
Maurizio. Non odo altre ragioni; così mi basta, e vedo
Che siete forsennata assai più che non credo.
Doletevi di voi, cagion d’ogni periglio:
Da me più non chiedete nè aiuto, nè consiglio.
Contessa. Signor...
Maurizio. Più non ascolto gli stolidi lamenti
D’una che può sì tosto cambiar di sentimenti.
Contessa. Ah genitor pietoso, uditemi, vi prego;
Io fui che l’ho invitata, l’accordo, e non lo nego.
Con tal sincero affetto mostrò parlar di me;
Mostrò cotanta pena degli spiaceri miei,
Che d’ogni mio sospetto pentimmi, e le credei.
Maurizio. Quel labbro v’ha ingannata; figlia, se così è,
Voi foste nell’udirla più debole di me.
Contessa. È ver.
Maurizio. Qual nuovo avete motivo di lagnarvi?
Contessa. Mi sprezzano, m’insultano. Oh Dio! non vuò annoiarvi.
Maurizio. Povera figlia! andiamo.
Contessa. Dove, signore?
Maurizio. Al ballo.
Contessa. Ah, non ho cuore.
Maurizio. Il piede por non si deve in fallo.
Si termini il festino, consumisi la cena;
Frenate per poch’ore nell’animo la pena;
E questa cautamente agli occhi altrui celata,
Ridicola sfuggite di farvi alla brigata.
In tempo della festa, o in tempo del convito,
Io stesso di Madama ragionerò al marito.
Con lei più non favello, starò da lei lontano,
Scorgendo che con donna si getta il tempo invano.
Mi udirà il Conte vostro, saprà la mia intenzione,
E al nuovo sol farassi miglior risoluzione.
Intanto la prudenza di regola vi sia.
Andiam, venite meco; andiam, figliuola mia. (parie)
Contessa. Vengo; pietoso il cielo conservi a me l’amore,
Se non del sposo ingrato, almen del genitore.
Oimè! mi dà conforto il genitor pietoso;
Ma quel che più mi preme, è il cuor del caro sposo.
(parte)
Fine dell’Atto Quarto.