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262 | selvaggina |
Dal suo posto, sotto un gruppo di tamerici alla cui ombra si rifugiava in cerca di un po’ di frescura che smorzasse la sua febbre di malaria, Rasalia vedeva dunque passare sullo sfondo azzurro dell’orlo del ciglione le figure nere delle vecchiette e quelle delle fanciulle dal corsetto d’oro; ed erano anche donne benestanti, che avevano pozzi e cisterne in casa, che andavano in cerca d’acqua.
Qualche ragazzo si sporgeva dal muricciuolo e buttava un sasso fra le tamerici con la speranza di farne sbucare qualche biscia o di snidare almeno le lucertole; ma nel veder la testa verdastra di Rasalia, che col suo viso stretto e gli occhi obliqui lucenti aveva davvero una vaga rassomiglianza con quei rettili, scappava imprecando anche lui.
Quel giorno — era verso la fine di maggio e già un gran caldo e la serenità desolata del cielo annunziavano una spaventosa estate di sete, di carestia e di febbre — il sentiero era più che mai animato: tutti ormai andavano alle fonti lontane, poichè i pozzi del paese erano completamente asciutti.
Rasalia, con la sua febbre addosso, stendeva invano le mani ardenti sull’erba gial-