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Capitolo II.


LA PERSONA DEL DIAVOLO.


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Gli uomini non riescono se non con somma difficoltà, se pur vi riescono, a formarsi il concetto di una sostanza incorporea, essenzialmente diversa da quella che cade loro sotto i sensi. L’incorporeo per essi non è di solito altro che un’attenuazione, una rarefazione del corporeo, uno stato di minima densità, paragonabile, anche se minore, a quella propria dell’aria, o della fiamma. Per tutti gli uomini non civili, e per la massima parte ancora di quelli che si chiamano civili, l’anima è un fiato, o un vapor leggiero, e si può vedere sotto apparenza di ombra. Gli dèi di tutte le mitologie sono o poco o molto corporei; quelli della greca si nutrono d’ambrosia e di nettare, e se si cacciano, come usan [p. 40 modifica]di fare, nelle zuffe dei mortali, corron pericolo di toccare, come i mortali, di buone busse. Per ciò non deve sembrare strano che le dottrine pneumatologiche, così giudaiche, come cristiane, attribuiscano di solito un corpo agli angeli e ai demonii.

Dottori e Padri della Chiesa, son quasi unanimi nel credere che i demonii sieno provveduti di un corpo, già posseduto da essi quando ancora duravano nella condizione di angeli, ma fatto dopo la caduta, più denso e più grave. La densità di quel loro corpo, assai più lieve sempre che non sia il corpo degli uomini, non è da tutti stimata egualmente: nel secondo secolo Taziano la faceva simile a quella dell’aria o del fuoco, e un corpo formato d’aria dava ai demonii Isidoro di Siviglia in principio del settimo. Altri, come san Basilio Magno, inchinarono ad attribuir loro un corpo anche più sottile. Ma ben s’intende come non potesse esservi in sì fatto argomento una opinione unica, da doversi seguire universalmente, e come potesse Dante, senza offendere la coscienza di nessuno, dare al suo Lucifero, là fra i ghiacci di Cocito, un [p. 41 modifica]corpo saldo e compatto, al quale egli e Virgilio si aggrappano come ad una roccia.

Avendo corpo, i demonii debbono anche avere certe necessità naturali, come hanno tutti gli esseri, corporei viventi; prima fra tutte quella di riparar l’organismo, la cui trama, con l’esercizio della vita, perpetuamente si logora. I diavoli debbono aver bisogno di nutrirsi, e in fatti, Origene, Tertulliano, Atenagora, Minucio Felice, Firmico Materno, san Giovanni Crisostomo, ed altri parecchi, dicono che i diavoli assorbono avidamente il vapore e il fumo delle vittime sacrificate dai pagani; cibo poco sostanzioso a dir vero, ma non disdicevole alla complessione loro. Alcuni rabbini, largheggiando un po’ più, e pensando a introdurre nella diabolica vivanda qualche maggior varietà, dissero che i diavoli si nutrono dell’odore del fuoco e del vapore dell’acqua, ma sono anche avidissimi di sangue, quando ne possono avere, e un proverbio tedesco soggiunge che il diavolo, quando è affamato, mangia le mosche.

Il popolo parla volentieri di diavoli vecchi e di diavoli giovani, e sono parecchi i proverbii [p. 42 modifica]che, in varie lingue, traggono il tema da quella sua credenza. Si sa che il diavolo, divenuto vecchio, si fece eremita, e parrebbe ragionevole che ancor egli dovesse invecchiare, dacchè tutti gli esseri che hanno organismo invecchiano; ma il già citato Isidoro di Siviglia afferma che non invecchiano, e noi non possiamo dir altro fino a che l’anatomia e la fisiologia diabolica non sieno meglio studiate. Se non invecchiano, non debbono neanche morire, e una grande bugia avrebbero detto quei rabbini i quali asserirono che anch’essi, come gli uomini, muojono, non tutti veramente, ma la maggior parte. Ammalare sembra che dovrebbero potere; tanto è vero che le streghe, quando ce n’erano, giunsero a dire qualche volta nelle loro deposizioni, dopo ricevuti due o tre tratti di corda, che il diavolo di tanto in tanto cadeva ammalato, e che allora toccava ad esse vegliarlo e curarlo.

Alcuni Padri e Dottori, come, per non ricordarne altri, san Gregorio Magno, vollero i diavoli al tutto incorporei; ma fu questa, come ho detto, l’opinione meno accreditata. Ad ogni modo si poteva credere così o così, come meglio [p. 43 modifica]piaceva, e san Tommaso, riferite le contrarie sentenze, concludeva con dire che, abbiano i demonii o non abbiano corpo, ciò poco importa alla fede. Ma se poco importa alla fede, molto importa alla fantasia, e il popolo non mancò mai di dare ai diavoli un corpo quanto più sodo gli fu possibile.


E come era fatto cotesto corpo? Badisi che qui si tratta del corpo che i diavoli hanno naturalmente, non di quello che essi possono assumere a lor piacimento e di cui dovrò parlare più innanzi.

In generale, e di regola, il corpo dei demonii aveva forma umana. Ciò non deve recar meraviglia: l’uomo che ha fatto a propria immagine gli déi, ha fatto pure a propria immagine gli angeli e i diavoli. Se non che, quando si dice forma umana, non si deve intendere forma in tutto simile alla nostra. In conseguenza del peccato e della caduta, Satana

La creatura ch’ebbe il bel sembiante,

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come dice l’Alighieri, e con Satana gli altri ribelli, videro, non solo il corpo loro farsi più denso e più grossolano, ma ancora mutarsi in obbrobriosa deformità la bellezza sovrana di cui Dio li aveva vestiti. La forma dei diavoli è pertanto una forma umana deturpata e mostruosa, nella quale il ferino si mescola con l’umano, e non di rado soperchia; e se per ragion della forma si dovesse assegnare ai diavoli (mi perdonino i naturalisti) un posto nella classificazione zoologica, bisognerebbe raccoglierli per buona parte in un’apposita famiglia di antropoidi.

Una bruttezza eccessiva, quando spaventosa e terribile, quando ignominiosa e ridicola, fu dunque tra i caratteri, dirò così, fisici del diavolo, il più spiccato ed appariscente; e non senza ragione, giacchè se non è vero, come si volle far dire a Platone, che il bello è lo splendore del buono, è per contro verissimo che gli uomini sono tratti da una specie d’istinto di cui non cercheremo ora le origini, ad accoppiare bellezza e bontà, malvagità e bruttezza. Dare a Satana una bruttezza eccessiva fu considerato [p. 45 modifica]come un’opera meritoria, che per sè stessa faceva bene all’anima, e nella quale trovava anche legittimo sfogo l’odio contro un nemico non mai temuto abbastanza. Autori di leggende, pittori, scultori, spesero in raffigurar Satana il meglio della lor potenza inventiva, e così bene, o, se vogliamo dir più giusto, così male lo raffigurarono, che Satana stesso ebbe a risentirsene, sebbene sia da credere che egli della sua bellezza non si tenga troppo. È nota la storia, narrata da molti nel medio evo, di quel pittore, che avendo dipinto un diavolo più brutto assai dell’onesto, fu da esso diavolo precipitato dal palco su cui lavorava. Buon per lui che una Madonna, da lui figurata bellissima, sporse il braccio fuor del dipinto, e lo sostenne, a mezz’aria.

Del resto non c’era bisogno d’inventar nulla di proposito. Il diavolo molti l’avevano veduto co’ proprii occhi, e potevan dire com’era fatto: nella vorticosa fantasia dei visionarii, egli ad ogni minimo urto, si formava di rottami e di cascami d’immagini, a quel modo che si formano, di pezzetti di vetro multicolore, le capricciose figure del caleidoscopio.

[p. 46 modifica]I manichei, eretici famosi sorti verso il mezzo del terzo secolo, attribuivano al principe dei demonii, non solo forma umana, ma gigantesca, e gli uomini dicevano fatti ad immagine sua. Sant’Antonio, che sotto tanti altri aspetti ebbe a vederlo, lo vide appunto una volta in figura di smisurato gigante, che toccava col capo le nubi, e tutto nero; ma un’altra volta in figura di un fanciullo, nero del pari, ed ignudo. Il color nero si trova dato ai diavoli, come loro color naturale, sino dai primi secoli del cristianesimo, e le ragioni che suggerivano di darglielo si palesan da sè, tanto sono ovvie e spontanee. Più di un anacoreta della Tebaide vide il demonio in figura di Etiope, il che prova una volta di più come il demonio ritragga sempre de’ tempi e de’ luoghi in mezzo ai quali si muove, o è fatto muovere; ma infiniti altri santi di poi continuarono a vederlo a quel modo, non ultimo san Tommaso d’Aquino. La figura gigantesca non è nemmen essa senza ragione, giacchè in tutte le mitologie, i giganti sogliono essere malvagi. Nella greca i Titani sono gli avversari di Giove, e però Dante li pone in inferno. Lo stesso Dante [p. 47 modifica]fa gigantesco il suo Lucifero: nelle epopee francesi del medio evo i giganti sono assai spesso diavoli, o figli di diavoli. Nella Visione di Tundalo, composta verso il mezzo del XII secolo, il principe dei demonii, che in eterno cuoce sopra una graticola, non solo è gigantesco, ma ha, come Briareo, cento braccia, e simile a Briareo, con cento mani e cento piedi, lo vide nel secolo XIV santa Brigida. Per contro qualche volta il diavolo è rappresentato come nano, probabilmente per influsso di miti germanici, di cui non serve ora discorrere.

Il Lucifero di Dante ha tre facce, ma non è Dante il primo a dargliele. La Trinità fu qualche volta rappresentata nel medio evo sotto specie di un uomo con tre volti; e poichè il concetto della Trinità divina suggerisce, per ragion di contrasto il concetto di una Trinità diabolica, e poichè, inoltre, nello spirito del male si supponeva essere tre facoltà o attributi opposti e contraddicenti a quelli che si spartiscono fra le tre persone divine, così era naturale che si ricorresse per rappresentare il principe dei demonii a una figurazione atta a far riscontro [p. 48 modifica]a quella con cui si rappresentava il Dio trino e uno. Questo Lucifero con tre facce, che è come l’antitesi della Trinità, o come il suo rovescio, appare in iscolture, in pitture su vetro, in miniature di manoscritti, quando cinto il capo di corona, quando sormontato di corna, tenendo fra le mani talvolta uno scettro, tal altra una spada, o anche due. Quanto tale figurazione sia antica è difficile dire, ma certo è anteriore a Dante che la introdusse nel suo poema, e a Giotto che prima di Dante la recò in un suo affresco famoso: essa si trova già nel secolo XI; e di un Beelzebub tricipite è cenno nell’Evangelo apocrifo di Nicodemo, il quale, nella forma che ha presentemente, non è posteriore al secolo VI.

Come più cresce negli animi e si dilata nel mondo la paura di Satana, più la bruttezza di lui si fa orrenda e fantastica; ma s’intende bene che a fargli dare piuttosto una che un’altra figura contribuivano non poco le occasioni, le credenze, i temperamenti. La forma più semplice di cui egli sia stato vestito è quella di un uomo alto, macilento, fuligginoso o livido, [p. 49 modifica]straordinariamente magro, con occhi accesi e sbarrati, spirante da tutta la sua tetra persona un orrore di larva. Tale lo descrive più di una volta nel secolo XIII Cesario di Heisterbach, monaco cisterciense, il cui nome ricorrerà frequente in queste pagine, e tale lo introduce ancora Teodoro Hoffmann nel suo strano racconto, che appunto s’intitola l’Elisir del diavolo. Un’altra forma, infinite volte rappresentata dalle arti, è quella di un angelo annerito e deturpato, con grandi ali di pipistrello, corpo asciutto e peloso, due o più corna in capo, naso adunco, orecchie lunghe ed acute, denti porcini, mani e piè con artigli. Così è fatto il demonio che nell’inferno dantesco butta giù nella pegola spessa dei barattieri uno degli anziani di Santa Zita:

Ahi, quanto egli era nell’aspetto fiero!
    E quanto mi parea nell’atto acerbo,
    Con l’ale aperte e sovra i piè leggiero!
L’omero suo, ch’era acuto e superbo,
    Carcava un peccator con ambo l’anche,
    E quei tenea de’ piè ghermito il nerbo.

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Questa forma non esclude una certa eleganza; ma appunto perchè non l’esclude doveva facilmente trovare chi l’imbruttisse. Le corna diventarono spesso corna di bue, le orecchie, orecchie d’asino; la coda si munì in cima di una bocca di serpente; ceffi mostruosi, simili a mascheroni di fontana, copersero le giunture, boccheggiarono sul petto, sul ventre, sulle natiche; il membro virile s’inserpentì, si contorse in istrane fogge, così da ricordare certe bizzarre creazioni dell’arte antica; le gambe si mutarono in gambe di capro, reminiscenza del satiro pagano, o l’una di esse soltanto in gamba di cavallo; i piedi furono talvolta artigli d’uccel di rapina, o zampe d’oca.

Ma con ciò non si toccavano ancora gli ultimi termini del mostruoso. Una strana credenza voleva che il corpo dei diavoli non avesse che la parte anteriore, e fosse cavo dentro, simile a quei vecchi tronchi d’albero cui una lenta dissoluzione ha votato della sostanza legnosa. San Furseo vide una volta una turba di diavoli con lunghi colli e capi come caldaje di rame. Certi altri diavoli, veduti da san Gutlaco, avevano [p. 51 modifica]grandi teste, colli lunghi, volto lurido e macilento, barba squallida, orecchie ispide, fronte torva, occhi truci, denti equini, chiome arsicce, bocca ampia, petto sollevato, braccia scabre, ginocchia nodose, gambe arcate, calcagna massicce, piedi stravolti. Di giunta avevano voce clamorosa e rauca, e dalla bocca vomitavano fuoco. E questo vomitar fuoco dalla bocca non è gran cosa, perchè di solito schizzavano fiamma viva da tutte le aperture del corpo. A santa Brigida apparve una volta un diavolo che aveva il capo simile a un mantice munito di lunga canna, le braccia come serpenti, le gambe come un torchio, i piedi come uncini.

Ma chi mai potrebbe descrivere sotto tutti i suoi aspetti questa nuova Chimera? L’opinione che ciascun demonio dovesse avere una sua forma particolare, conveniente al suo particolar carattere, al suo grado, e alla natura del suo magistero infernale, moltiplicava le immaginazioni strane, accresceva la confusione. Abbiam veduto membra bestiali accoppiarsi nel corpo dei demonii alle umane; non di rado il bestiale soperchia l’umano, e in tal caso si ha, poniamo, [p. 52 modifica]una fiera con capo d’uomo, come il Gerione di Dante: talvolta ancora il bestiale esclude interamente l’umano, e allora si ha una fiera diabolica, la quale può essere anche una bestia composita, fatta di pezzi tolti di qua e di là, un mostro che fa violenza alla natura, un vivo simbolo di prevaricazione e di disordine.


Durante tutto il medio evo il diavolo s’immagina, come abbiam veduto, bruttissimo, e a questa regola, più morale ancora che estetica, gli è molto difficile trovare eccezione. Tuttavia qualche rarissima eccezione si trova. Una Bibbia latina del IX o X secolo, la quale si conserva nella Biblioteca Nazionale di Parigi, ha tra molt’altre una miniatura che rappresenta Satana e Giobbe. Satana vi è ritratto in modo da non potersi dir brutto. Dell’angelo antico esso serba ancora le ali e, cosa assai più strana, il nimbo che cerchia il capo; ma i piedi ha muniti di artigli, e nella mano sinistra tiene un vaso pien di fuoco, col quale sembra voglia dar segno dell’esser suo. Un diavolo che il poeta chiama bello, ma che nondimeno ha gran bocca e naso [p. 53 modifica]adunco, è descritto in un’epopea francese del XII secolo, la Bataille Aliscans. Federigo Frezzi, vescovo di Foligno, e autore del Quadriregio (m. 1416), trova in inferno, contro l’aspettazion sua, un Satana bellissimo:

Credea veder un mostro dispettoso,
    Credea veder un guasto e tristo regno,
    E vidil trionfante e glorïoso.
Egli era grande, bello, e sì benegno
    Avea l’aspetto, di tanta maestà,
    Che d’ogni riverenza parea degno.
E tre belle corone avea in testa,
    Lieta la faccia e ridenti le ciglia
    E con lo scettro in man di gran podesta.
E benchè alto fosse ben tre miglia,
    Le sue fattezze rispondean sì eguali,
    E sì a misura ch’era maraviglia.
Dietro alle spalle sue avea sei ali,
    Di penne sì adorme, e sì lucenti,
    Che Cupido e Cillen non l’han cotali.

Ma non è questa se non una bugiarda apparenza, e il poeta, guardando attraverso lo scudo adamantino di Minerva, sua guida, vede il [p. 54 modifica] principe dei demonii qual è veramente, di ferissimo aspetto, tutto nero, con gli occhi accesi, cinto il capo, non di corona, ma di draghi, mutati in serpi i capelli e i peli tutti del corpo, le braccia armate di artigli, il ventre e la coda come di smisurato scorpione. Satana comincia a rabbellirsi alquanto col sopravvenire, o meglio con l’esplicarsi del Rinascimento, e si capisce come una età innamorata della bellezza, e che al culto della bellezza diede il meglio delle proprie energie, non dovesse comportare nemmeno in Satana una deformità troppo turpe e spaventosa. Nel Giudizio di Michelangelo le figure dei demonii non sono gran che diverse da quelle dei dannati, e fanno impressione più per la terribilità loro che per l’orridezza. I demonii del Milton serbano nella caduta non piccola parte dell’antica bellezza e dell’antica maestà; ma quelli del Tasso hanno strane ed orribili forme, anzi riproducono i mostri tutti dell’antichità. La figura del cavaliere, col giustacuore di velluto, il mantello di seta, il berretto adorno di una lunga penna di gallo, la spada al fianco, è immaginazione moderna.

[p. 55 modifica]I demonii, che avevano le proprie lor forme, potevano anche, a piacimento, assumerne altre; ma tanta è la varietà, e tanto il viluppo dell’une e dell’altre, che non sempre vien fatto distinguerle. In genere si può dire non esservi forma che il diavolo non possa rivestire all’occorrenza, e questa sua attitudine lo rende ben meritevole del nome di Proteo infernale che gli fu dato. Il Milton ben lo sapeva. Gli spiriti, egli dice, parlando appunto degli angeli caduti,

Pigliano a grado lor l’un sesso e l’altro,
O li fondono insieme. È tanto molle,
Semplice tanto la spirtale essenza,
Che libera da fibre e da giunture,
E non come la carne al frale appoggio
Dell’ossa accomodata, in qual sia forma
O lucida od opaca, o rara o densa,
Può gli aerei seguir divisamenti,
Ed all’opre dell’ira e dell’amore
Dar l’effetto proposto.

Vediamo un po’ di raccapezzarci in mezzo a questa interminabile mascherata infernale.

I diavoli, brutti per natura, potevano [p. 56 modifica]procacciarsi con artifizio un aspetto bello e seducente; potevano anche procacciarsi una deformità diversa da quella lor propria. A seconda degli intendimenti e dei bisogni loro, facevano l’una cosa o l’altra.

Che i diavoli, specie nel tempo più antico, apparissero alcuna volta ai cristiani in figura delle tali o tali altre divinità pagane, non parrà strano a nessuno. San Martino, il famoso vescovo di Tours, ebbe a vederli camuffati da Giove, da Mercurio, da Venere, da Minerva. Ma san Martino visse nel IV secolo, in un tempo in cui il paganesimo era, se non vegeto, vivo ancora, e però quelle sue visioni s’intendono facilmente: non così facilmente s’intende che vedesse ancora diavoli in figura di Giove, di Venere, di Mercurio, di Bacco, di Ebe, san Rainaldo, vescovo di Nocera nel secolo XIII. In questo secondo caso dobbiam riconoscere gli effetti di certe letture di autori classici, e i sintomi dell’approssimarsi del Rinascimento. Le ragioni stesse che inducevano i demonii a mascherarsi da divinità pagane, potevano indurli a vestirsi delle sembianze di illustri antichi. Nel X secolo, [p. 57 modifica]a un grammatico di Ravenna, per nome Vilgardo, apparvero una notte alcuni diavoli sotto le spoglie di Virgilio, di Orazio, di Giovenale, e ringraziatolo della diligenza che egli adoperava intorno ai loro scritti, gli promisero di farlo dopo morte partecipe della stessa loro gloria.

Spessissimo i diavoli, che già avevano, di solito, forma umana, ne prendevano un’altra, pure umana, ma più conveniente al bisogno loro. Innumerevoli storie di santi ci narrano di demonii apparsi in figura di donne avvenenti, e infinite storie di sante ci narrano di demonii nascosti sotto le apparenze di bei giovani procaci. Su queste apparizioni pericolose dovrò ritornare quando parlerò del diavolo tentatore. Non di rado i diavoli si prendevano il gusto di capitare innanzi a colui o a colei cui volevano dar noja, sotto sembianze di amici, di parenti, o di persone in altro modo cognite e familiari; dal che poteva venire, e venne qualche volta, danno e scandalo grande. La venerabile Maria di Maillé scoperse il diavolo sotto la scorza di un eremita che tutti reputavano santo. Alla beata Gherardesca Pisana, e ad altre sante, il [p. 58 modifica]diavolo apparve in figura degli sposi loro; in figura di cavaliere uscì un giorno dalla camera da letto di santa Cunegonda. Una volta poi ne fece una anche più grossa. Prese l’aspetto di san Silvano, vescovo di Nazaret, scoperse ad una fanciulla il suo amore, e si lasciò trovare sotto il letto di lei. Messosi un giorno alla finestra, Tommaso Cantipratense, domenicano del secolo XIII, vide il diavolo in figura di un prete, che (bisogna dirlo in latino) si mostrava nudato inguine, ex tento asinino veretro velut ad urinam faciendam. Chiamatolo, quello immantinente sparì. Lo stesso Tommaso racconta che nell’anno 1258, presso Colonia, fu veduta una gran ridda di diavoli, in figura di monaci bianchi, trascorrere danzando pei prati.


Assai di frequente i diavoli si lasciarono vedere sotto forma di varii animali. Non parlo del drago, perchè non s’intende bene se quella del drago sia una propria forma di alcuni diavoli, oppure una forma assunta accidentalmente. Come drago, senz’altro, appare Satana nell’Apocalisse, e sono molti i santi a cui apparvero [p. 59 modifica]draghi diabolici. Nel secolo VIII Giovanni Damasceno descriveva i demonii come draghi volanti per l’aria. Alcuna volta il drago sembra un essere intermedio fra il demonio e la bestia. Ma infinite altre forme animalesche usavano rivestire i demonii per tormentare, intimorire, infastidire i buoni fedeli. Sant’Antonio, là nel deserto, ebbe a vederli in forma di belve ruggenti, e muggenti, di serpi e di scorpioni, e, più di mille anni dopo, santa Coleta li vedeva ancora trasformati in volpi, in serpenti, in rospi, in lumache, in mosche, in formiche. Nel secolo XIII sant’Egidio riconobbe il demonio sotto il guscio di una smisurata testuggine. In figura di leone il demonio uccise un fanciullo, cui sant’Eleuterio, vescovo di Tournay, ridiede la vita; in figura di corvo si mostrò a molti. Nella leggenda di san Vedasto si ricorda che i diavoli furono veduti una volta oscurare il giorno sotto forma di un nugolo di pipistrelli. Cane, il diavolo si fece compagno di papa Silvestro II, sospetto di magia; cane apparve a Fausto, e cane fu veduto custodire tesori nascosti sotterra; caprone, si lasciò vedere nelle tregende; [p. 60 modifica]gatto, si strofinò nelle cucine delle maliarde; mosca, ronzò ostinatamente intorno ad uomini dabbene. Insomma non è animale feroce, o deforme, o schifoso, sotto le cui sembianze i demonii non siensi celati talvolta.

Tutta questa zoologia diabolica non deve recar meraviglia. Non solo era naturale che i demonii prendessero, per raggiungere i particolari loro fini, quali forme animalesche più loro piacessero; ma tra gli animali stessi, o almeno tra parecchi di essi e i demonii, era una certa affinità, era talvolta una vera medesimezza di natura. Lasciamo stare che nel simbolismo cristiano parecchi animali, come il serpente, il leone, la scimia, rappresentano il diavolo; lasciamo stare che i demonii stessi sono molto sovente chiamati col nome poco complimentoso di bestie; ma certi animali sono a dirittura trasformati in demonii, o confusi coi demonii. In un’antica formola di esorcismo si prega Dio di voler preservare i frutti della terra da bruchi, topi, talpe, serpenti ed altri spiriti immondi. Da altra banda mi ricordo di aver veduto in un antico Bestiario, o trattato zoologico del medio [p. 61 modifica]evo, il diavolo messo in ischiera con l’altre bestie. Ho già notato che il drago era alcun che di mezzo tra il demonio e la bestia; altrettanto può dirsi del basilisco. Il rospo, che molto spesso compare in compagnia delle streghe, riesce in certi racconti assai più demonio che bestia. A provarlo può bastare la seguente spaventevole istoria narrata da Cesario di Heisterbach. Un fanciullo trova in un campo un rospo e lo ammazza. Il rospo morto perseguita il suo uccisore, non dandogli requie nè giorno nè notte; ammazzato più altre volte, continua a perseguitarlo, e non ismette nemmeno dopo essere stato arso e ridotto in cenere. Il povero perseguitato, non trovando altro modo di liberarsi, si lascia mordere dal suo nemico, e sfugge alla morte tagliando rapidamente via con un coltello la carne in cui era penetrato il morso velenoso. Appagato il suo furore di vendetta, il terribile rospo non si lasciò più vedere.

San Patrizio, san Goffredo, san Bernardo, altri santi parecchi, scomunicarono mosche e altri insetti nocivi, o anche rettili, e liberarono dalla loro presenza case, città, province. I [p. 62 modifica]processi fatti agli animali nel medio evo, e ancora in pieno Rinascimento, sono famosi nella storia della superstizione: si citavano le bestie, come si citavano i diavoli. Nel 1474 i magistrati di Basilea giudicarono e condannarono al fuoco un gallo diabolico, che aveva ardito di fare un uovo. Se gli animali si trasformavano in demonii, era pur giusto che i demonii si trasformassero in animali.

Nè bastava loro di trasformarsi in animali, chè si trasformavano ancora in cose inanimate. San Gregorio Magno narra il lacrimevole caso di una monaca, la quale, credendo di mangiare una foglia di lattuga, mangiò il diavolo, e se lo tenne in corpo un pezzo. Un discepolo di sant’Ilaro, abate di Galeata, vide una volta il diavolo sotto forma di un appetitoso grappolo d’uva. Ad altri, secondo i casi e le occorrenze, il diavolo si lasciò vedere sotto specie di un bicchiere di vino, di un pezzo d’oro, di una borsa piena di monete, di un tronco d’albero, di una botte che ruzzola, e persino di una coda di vacca. Non senza ragione dunque l’olandese Gerolamo Bosch, e qualche altro tra’ più famosi [p. 63 modifica]pittori di diavoli, avvivarono spesso di diabolica vita alberi, pietre, fabbriche, suppellettili casalinghe, arnesi di cucina.

Se non che non finiscon qui gl’immascheramenti diabolici, e se quelli che ho ricordati danno prova di non poca versatilità di natura e di non picciola fantasia, altri ne sono che rivelano grandissima temerità ed impudenza veramente diabolica. Più di una volta osò Satana di assumere le venerate sembianze di alcun santo famoso, vivo ancora, o già morto e levato all’onor degli altari. Assai spesso ancora si lasciò vedere in figura di angelo, splendente di luce e di gloria. Ponendo il colmo all’audacia egli apparve a parecchi in sembianza della Vergine Maria, di Cristo crocifisso, o risorto, dello stesso Dio Padre, e insieme co’ satelliti suoi giunse talvolta a simulare, a porre in iscena l’intera corte celeste.


I demonii potevano, addensandosi l’aria d’attorno, o foggiando acconciamente alcun altro elemento, fingersi il corpo che loro meglio piaceva; ma potevano anche cacciarsi in un corpo bell’e [p. 64 modifica]formato, e servirsene non altrimenti che se fosse il loro proprio. Non intendo qui parlare della possessione, di cui avrò a dire a suo luogo, e che i demonii esercitavano invadendo corpi tuttora vivi; ma della intrusione loro in corpi morti, che per loro virtù ostentavano le apparenze della vita. Dante fa dire a frate Alberigo de’ Manfredi che i traditori della patria, puniti nella Tolomea, hanno tal sorte, che mentre l’anime loro penano nell’ultimo fondo d’inferno, i corpi, governati da demonii, durano per un certo tempo nel mondo, ancora vivi in apparenza. Questa fu giudicata una ingegnosa fantasia di Dante, e non è. Cesario racconta la lugubre storia di un chierico morto, il cui corpo era animato e tenuto su da un diavolo. Questo chierico di contrabbando cantava con voce così soave che tutti in udirlo trasecolavano; ma un bel giorno un sant’uomo, dopo averlo ascoltato alquanto, disse senza smarrirsi: “Questa non è voce d’uomo, anzi è voce di un dannatissimo diavolo;„ e fatti suoi bravi esorcismi, forzò il diavolo a venir fuori, e quando il diavolo fu fuori, il cadavere cascò in terra. Tommaso Cantipratense racconta [p. 65 modifica]come un demonio entrò nel corpo di un morto, che era deposto in una chiesa, e tentò con sue ciurmerie di spaventare una santa vergine che pregava; ma la santa vergine, conosciuto l’inganno, diede al morto un buon picchio sul capo, e lo fece chetare. Di un diavolo, che per tentare un povero recluso tolse il corpo di una donna morta, narra Giacomo da Voragine (m. 1298) nella sua Legenda aurea. Ma questa immaginazione è assai più antica. Di un diavolo che, entrato nel corpo di un dannato, traghettava a un fiume i viandanti, con isperanza di farli affogare, si legge nella Vita di san Gilduino: di un altro, che teneva vivo il corpo di un malvagio uomo, si legge nella Vita di sant’Odrano. I teologi ammisero ciò che le leggende narravano; solo determinarono in loro sapienza che i diavoli non potessero cacciarsi nei morti di buona riputazione, approvati dalla Chiesa. La credenza, con o senza questa restrizione, non è così innocua come potrebbe a primo aspetto sembrare. Ad essa si legano parecchie superstiziose opinioni circa il male che corpi morti possono fare, e parecchie orribili pratiche intese a [p. 66 modifica]impedir che lo facciano. Se uno creduto morto faceva alcun movimento, tosto si pensava esser quella una illusione del diavolo, e al morto che voleva esser vivo davasi sepoltura in tutta fretta. La credenza durava tuttavia in pieno Rinascimento, e nel secolo XVIII non era ancora del tutto dileguata.


Il diavolo poteva a posta sua assumere forme onorate e piacenti, ma non cessava però d’essere diavolo; fatta invisibile, la diabolicità sua non cessava di raggiargli da tutta la persona come un influsso maligno. Anche quando si celava sotto le sembianze di una bella fanciulla, o sotto quelle di un angelo, della Vergine Maria, di Cristo medesimo, egli col suo appressarsi turbava e sgomentava l’umana natura, inspirava ribrezzi inesplicabili, o lasciava dietro sè ansie e terrori profondi. L’influsso pernicioso poteva rafforzarsi d’assai se egli si lasciava vedere sotto il proprio suo aspetto, o sotto alcun altro aspetto mostruoso. Il bravo Cesario mostra, con varii esempii, quanto pericolo porti la vista del diavolo. Due giovani ammalarono dopo aver [p. 67 modifica]veduto il diavolo in figura di donna; parecchi, dopo averlo veduto, morirono. Tommaso Cantipratense dice che la vista del diavolo fa ammutolire. Dante, giunto in presenza di Lucifero, divien gelato e fioco, non muore e non è vivo. Nè ciò deve far meraviglia se si pensa che alla donna bianca e ad altri spettri fu spesso data facoltà di uccidere con lo sguardo e con l’aria del volto.

Infinite erano le forme sotto cui il diavolo poteva celarsi, e infiniti gl’inganni che per esse poteva fare altrui; ma c’era pure chi, come san Martino, sapeva scovarlo sotto le forme più inusitate e più ingannevoli. Scoperto, il diavolo travisato si dileguava improvvisamente, o riprendeva l’aspetto suo consueto.

Questa era la natura fisica del diavolo: della morale non parlo ora, giacchè noi la vedremo esplicarsi nei capitoli seguenti. Dirò solo che, contro alla sentenza di san Tommaso d’Aquino, il quale non gl’imputa altro peccato che la superbia e l’invidia, la opinion popolare ha regalato al diavolo tutti e sette i peccati capitali.