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154 | parte ii. — la grande prateria degli apaches. |
loro piccini. A forza di strappar macigni e di urti e scosse potenti, aprirono una breccia, facendo crollare parte della barricata. Il più forte e il più ardito introdusse il muso attraverso l’apertura, ed allargando il passaggio con due colpi di zampa fece la sua comparsa nella caverna, mettendo un urlo così potente da far gelare il sangue a tutti.
Gaspardo che teneva in pugno una pistola, gliela scaricò fra le aperte mascelle, mentre Sanchez, raccolta una scure, vibrava alla fiera un colpo tale da spaccarle il cranio. Colpita a morte, si accasciò su se stessa, cacciando un sordo grugnito, richiudendo l’apertura col suo enorme corpo.
Gli arrieros, ai quali l’imminenza del pericolo aveva restituito un po’ di coraggio, fecero una scarica generale attraverso alle fessure.
Al di fuori si udirono grugniti ed urli, poi si videro quelle masse nere ritirarsi precipitosamente, quasi ne avessero avuto fin troppo di quella pioggia di proiettili.
Per alcuni istanti si udirono i loro fremiti rauchi nei pressi della caverna; poi più lontani, e infine si spensero, soffocati dai ruggiti della burrasca.
— Sono partiti? — chiese il marchese a Sanchez, che ascoltava con profonda attenzione.
— Non li odo più, — rispose il messicano.
— Dio sia ringraziato!
— Non ancora, marchese.
— Che cosa temete? Un ritorno offensivo?
— No, ma quei dannati ci aspetteranno fuori.
— Lo credete?
— Ne sono certo, marchese. Gli orsi sono testardi e ci assedieranno.
— Si stancheranno, spero.
— Se non si stancheranno, li costringerà la fame a levare l’assedio; ma quando?
— Non abbiamo fretta, Sanchez, tanto più che con questa burrasca non possiamo lasciare il ricovero.
— Che si siano nascosti presso di noi?