Il Re della Prateria/Parte prima/8. La caccia al negriero
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Capitolo Ottavo.
La caccia al Negriero.
La caccia cominciava. Il vascello negriero, che non voleva affrontare un abbordaggio, ben sapendo che la goletta, quantunque quattro volte più piccola, portava un equipaggio due volte più numeroso del suo e che non voleva venire a spiegazioni e tanto meno a lasciarsi visitare, non ignorando come sarebbe andata a finire con quegli inglesi, che sono acerrimi nemici dei negrieri, trattati da loro al pari dei pirati, invece di ubbidire all’intimazione, si era coperto di vele, cercando uno scampo nella fuga.
Il capitano Nunez, a cui premeva assai la propria pelle e che non voleva terminare la sua esistenza su un pennone con un laccio al collo, si affidava alla velocità della propria nave ritenuta da tutti i suoi colleghi per una delle più rapide che allora solcassero l’Atlantico, dalle coste orientali dell’Africa a quelle occidentali dell’America del Sud.
Se avesse potuto prolungare la fuga fino al calar delle tenebre, senza venire a tiro delle artiglierie, poteva ritenersi salvo, poichè avrebbe approfittato dell’oscurità e di qualche salto di vento per fare falsa rotta.
Disgraziatamente dovette ben presto convincersi che quel giorno la fortuna, che lo aveva protetto tante volte sulle coste dell’Africa contro la caccia degli incrociatori, non gli arrideva. Aveva trovato nella piccola ma agguerrita nave nemica una rivale in fatto di velocità e nel suo capitano un lupo di mare dei più abili e dei più intrepidi.
Non avendo ottenuto alcun risultato col colpo in bianco, il comandante inglese si era slanciato animosamente sulle tracce della nave negriera, risoluto a raggiungerla e a visitarla, avesse dovuto lanciare i suoi uomini all’arrembaggio.
La piccola nave era lontana milledugento metri, ma lentamente guadagnava. Le sue immense rande e le sue controrande, stringendo il vento più che potevano, la facevano volare sulle spumeggianti onde dell’Atlantico pari ad un immenso alcione, lasciandosi a poppa una candida scia, che si perdeva in lontananza.
Il negriero non si perdeva d’animo per questo, e continuava a far aggiungere nuove vele al suo brick, sperando sempre di guadagnarla sulla velocità del nemico. Non soddisfatto di aver fatto spiegare i coltellacci e gli scopamari, aveva fatto issare anche la randa, sciogliere gli stragli e aggiungere una vela quadra sul bompresso, facendola trattenere con un pennone legato ai paterazzini dei flocchi.
L’Albatros filava con crescente rapidità, essendo il vento in favore e assai fresco, ma quella goletta guadagnava ancora. Si sarebbe detto che a poppa avesse un’elica od una ruota, tanta era la sua velocità.
— Carramba!... — esclamò Nunez che diventava di momento in momento più inquieto e che non perdeva un solo istante di vista la piccola nave da guerra.
— Che il mio Albatros sia diventato vecchio di già? E la prima volta che si lascia raggiungere; eppure il vento è buono e siamo carichi di vele.
— Guadagna sempre quella dannata goletta? – chiese il barone con ansietà.
— Sì, e se continua così, fra un’ora e forse meno sarà a tiro.
— Cosa pensate di fare? Bisogna decidersi.
— Lo so; e per quanto pensi non trovo un’uscita.
— Hanno buona portata i vostri cannoni?
— Sì, ma la goletta ne possiede almeno otto, o dieci. Se una palla ci spezza un albero, per noi è finita.
— Noi possiamo spezzarlo alla goletta...
— Non dico di no; ma quei legni hanno dei valenti cannonieri, che difficilmente sbagliano il colpo.
— Se ci arrestassimo?
— Verranno a bordo, vorranno sapere chi era il giovanotto che abbiamo salvato, visiteranno il mio legno e scopriranno che io sono un negriero. E poi, come spiegare il motivo che ci spinse a darci alla fuga? Carramba! Quel vostro marchese ci ha messi in un brutto imbarazzo.
— Giuochiamo d’audacia, capitano, — disse Mumbai che si era avvicinato.
— In qual modo?
— Lasciamoli venire a bordo, poi gettiamoci improvvisamente addosso a loro coi coltelli in pugno.
— Credi tu che verranno tutti? Buon numero rimarrà sulla goletta, e al primo allarme faranno piovere su di noi una tempesta di mitraglia.
— E dunque, cosa concludete? — chiese il signor di Chivry. — Vi ho avvertito che le altre trentamila piastre non ve le consegnerò che a cosa finita, e quindi le perderete se il marchese mi sfugge di mano.
— È nella cabina Almeida, Mumbai? — chiese Nunez.
— L’ho celato nel pozzo delle catene dopo d’averlo imbavagliato e legato.
— Chi è il marinaio più giovane? Rascal, mi pare!
— Sì, — disse il mastro.
— Bisogna fargli rappresentare la parte.
— Quale parte? — chiese di Chivry.
— Fingeremo che l’uomo caduto o gettatosi in mare sia stato lui.
— Bell’idea! — esclamò Mumbai.
— Ma come spiegherò il motivo di quel salto? Voi non avrete scordato che Almeida gridava: «Fate fuoco su questi pirati!».
— Diremo che si era gettato in mare per evitare un castigo, e Rascal lo confermerà!
— Ma ci lasceranno liberi poi gl’Inglesi? — chiese il mastro. — Voi sapete, capitano, che hanno giurato una guerra mortale ai negrieri e che li cacciano su tutti i mari, anche se li incontrano a mille leghe dalle coste africane.
— Lo so, — rispose Nunez che diventava sempre più impensierito. — Non sarà possibile ingannarli e ci condurranno con loro al porto vicino per farci giudicare. Bah!... La Giamaica è lontana, e prima di giungervi, il loro legno potrebbe saltare in aria.
— Avete qualche progetto? — chiese di Chivry.
— Forse... ma stiamo prima a vedere come vanno le cose. Ti raccomando, Mumbai, che il marchese non fugga, o tutto è perduto.
— Ho fatto collocare tre botti sull’orifizio del pozzo. Non troveranno il nascondiglio, ve lo assicuro.
— E non soffocherà il marchese? — chiese il barone impallidendo.
— Ho aperto un buco attraverso la coperta e un altro attraverso la parete, — rispose Mumbai. — Dell’aria per respirare ne avrà a sufficienza, e poi gli ho dato un compagno incaricato di vegliare su di lui e, nel caso, di soccorrerlo.
— Badate però... —
La frase fu spezzata bruscamente da un colpo di cannone partito dalla goletta. Ma questa volta non era a sola polvere, poichè si udì in aria un acuto fischio e si vide la palla sprofondarsi in mare a soli quindici passi dalla prua dell’Albatros.
— Grandina! — esclamò Mumbai. — Brutto segno!... —
Il capitano fece intendere un brontolìo minaccioso e fece un gesto di rabbia. Salì sul cassero, dove otto uomini si tenevano dietro al cannone da caccia, pronti a scaricarlo sul legno nemico appena fosse a portata, e lo guardò con profonda attenzione.
Nello spazio di dieci minuti la goletta aveva già guadagnato due gomene e non si trovano più che a millequattrocento o millecinquecento metri. Sul suo ponte si vedeva il capitano con a fianco i suoi due ufficiali; disposti lungo le murate, si scorgevano i marinai armati di carabine e sulla prua un gruppo d’uomini che si affaccendavano attorno ad un cannone.
— Sessanta uomini, — mormorò il negriero aggrottando la fronte e diventando torvo. — Se mi abbordassero, tenterei la partita; ma sono troppo prudenti quegl’inglesi. Mumbai! — Il mastro d’equipaggio lo raggiunse.
— Spiega le bandiere dei segnali e domanda cosa vogliono quei curiosi.
— Non c’è speranza di perderli?
— Bisognerebbe che scoppiasse un uragano; ma per ora l’Oceano non ha nessuna voglia di sconvolgersi.
— Ha il vento nella stiva, quella goletta?
— Spicciati, Mumbai! I minuti sono preziosi. —
Il mastro fece portare in coperta le bandiere, mediante le quali due navi possono intendersi a parecchie miglia di distanza, facendo uso di speciali combinazioni, che sono conosciute da quasi tutte le nazioni marinaresche.
Con una serie di segnali, Mumbai chiese alla goletta:
— Che cosa desiderate? —
Pochi istanti dopo sulla cima dell’albero maestro del legno da guerra apparivano altrettante bandiere che significavano:
— Fermatevi, o facciamo fuoco.
— Chi siete? — chiese Mumbai.
— Nave da guerra, — risposero gl’inglesi.
— Che cosa volete?
— Visitarvi.
— Furfanti! — esclamò il mastro. — Come vi caccerei volentieri un paio di granate in corpo.
— Rispondete, — chiesero le bandiere della nave inglese.
— Che cosa devo rispondere? — chiese il mastro al capitano.
— Che obbediamo, — rispose Nunez. — La fuga ormai è impossibile.
— Un momento, — disse il barone. — Come spiegherò la mia presenza a bordo?
— Dirò che vi ho imbarcato a Rio Janeiro in qualità di passeggiero, — disse Nunez.
— Senza alcun documento che provi l’asserzione mia e vostra?
— Ecco un nuovo imbroglio. Ma... per Bacco! Diremo che vi abbiamo raccolto sull’Oceano e che siete un naufrago.
— Rispondete o apro il fuoco! — segnalò ancora la goletta, che era ormai a soli milledugento metri.
— Rispondi, Mumbai, — disse Nunez, — e voi, ragazzi, mollate le gabbie, mollate i bracci, alate la borina di rovescio, e tu, timoniere, caccia la barra tutta sottovento! —
Eseguite quelle diverse manovre, l’Albatros perdette gradatamente la sua rapidità, finchè rimase quasi completamente immobile. La goletta invece continuò la corsa quasi avesse intenzione di abbordare il legno fuggiasco; ma giunta a quattrocento metri imbrogliò rapidamente le sue immense rande e le controrande, ammainò i flocchi del bompresso e si arrestò.
Aveva però avuta la precauzione di presentare alla nave negriera un fianco, onde infilarla di bordata coi suoi cannoni, al primo tentativo di fuga o di ribellione.
Subito un gran canotto venne calato in mare, e vi presero posto un ufficiale, dieci marinai e dodici soldati di fanteria di marina armati di carabine, sulle quali erano state inastate le baionette.
— Mumbai, — gridò Nunez, — fa’ aprire l’armeria e trasportare nella camera comune fucili e pistole e una quarantina di sciabole d’abbordaggio. Non si sa mai ciò che può accadere. —
Poi volgendosi verso il signor di Chivry, che pareva tranquillo:
— Lasciate che risponda io a quella canaglia. Forse tutto non è ancora perduto, ma tenetevi pronto a lanciare l’equipaggio contro gl’inglesi al mio segnale. Siete armato? —
Il barone sollevò la larga fascia che cingevagli i fianchi, e mostrò i calci di due pistole.
— Tengo la vita di due uomini, — disse sorridendo. — I miei colpi sono sicuri. —
Il grande canotto era giunto a sole poche braccia, e stava per abbordare l’Albatros sotto l’anca di tribordo. L’ufficiale che lo comandava, un biondone barbuto, cogli occhi azzurri, fra i trenta e trentadue anni, fece segno all’equipaggio negriero di gettare la scala.
— Rascal, — disse Nunez mentre i suoi uomini eseguivano l’ordine ricevuto. — Sai la tua parte?
— A meraviglia, capitano, — rispose il marinaio che portava quel nome.
— A noi, allora, signori curiosi! —
L’ufficiale inglese salì sul ponte colla sciabola in mano, seguìto dai soldati di fanteria di marina, mentre i marinai rimanevano nel grande canotto.
Il capitano Nunez lo accolse sulla cima della scala col più amabile sorriso sulle labbra e lo salutò cortesemente, dicendo:
— A quale onore debbo la vostra visita, signore? —
L’inglese lo squadrò dal capo alle piante con una certa arroganza, restituì il saluto abbassando leggermente la sciabola, poi chiese:
— Siete voi il comandante?
— Sì, signor ufficiale, — rispose Nunez con fina ironia. — Forse ciò vi sorprende?
— Chi è costui? — chiese, additando il barone.
— Il barone Renato di Chivry, suddito degli Stati dell’Unione Americana e mio passeggiero.
— Chi siete voi?
— Il capitano Fernando Nunez, di Cadice.
— È vostra questa nave?
— Mia.
— Di dove siete partito?
— Da Rio Janeiro.
— E vi recate?
— Nel Golfo del Messico.
— Sono in ordine le vostre carte?
— Lo credo. —
L’inglese tornò a squadrare dall’alto in basso il negriero, poi gittò un lungo sguardo sull’equipaggio, che si era schierato parte a poppa e parte a prua, e disse:
— Perchè tenete un equipaggio così numeroso, mentre dodici uomini basterebbero per manovrare il vostro brick?
— Perchè così mi garba, signore, — rispose il negriero con tono acre. — Si deve forse chiedere il permesso all’Ammiragliato inglese per portare trenta uomini invece di dodici? Sono suddito spagnolo e non devo render conto che alle autorità del mio paese.
— Tranquillatevi, capitano Fernando Nunez, di Cadice, — disse l’inglese con ironia accentuata. — Prima datemi delle spiegazioni.
— E con quale diritto me le chiedete?
— Col diritto che hanno le navi da guerra di tutte le nazioni civili, di visitare le navi sospette. —
Il negriero impallidì, non di paura, ma di rabbia.
— E che?... La mia nave è sospetta?
— Pare, — rispose flemmaticamente l’inglese. — Ditemi, capitano Fernando Nunez, di Cadice, chi era quell’uomo che si gettò in acqua da un sabordo di poppa e che voi riprendeste dopo una lotta ostinata?
— Uno dei miei marinai.
— Dov’è?
— Eccomi, — disse il marinaio Rascal, facendosi audacemente innanzi.
L’inglese l’osservò attentamente per alcuni istanti, poi gli chiese:
— Perchè siete saltato in mare?
— Per isfuggire ad una pena inflittami, — rispose il marinaio.
— Il vostro capitano abusa egli forse della sua autorità?
— Signore!... — esclamò Nunez.
— Lasciate parlare quest’uomo, — disse l’ufficiale.
— No, — rispose Rascal. — Mi ero meritata la pena, ma volevo evitarla.
— Sta bene. —
Poi, rivolgendosi verso lo spagnolo, gli chiese:
— Quale carico portate?
— Non ho carico.
— Che cosa andate a fare nel Golfo del Messico?
— Vado a cercare del carico a Vera-Cruz.
— Lasciatemi visitare la vostra nave; poi mi mostrerete le vostre carte.
— Accomodatevi: Rascal, conduci il signore.
— Una parola ancora.
— Perchè vi siete dato alla fuga, quando vi invitammo a fermarvi?
— Eh, buon Dio! Sapevo io con chi avevo da fare?
— Non avete veduto il grande nastro rosso sulla cima del nostro albero maestro? Ciò bastava per indicare che la nostra nave era da guerra.
— L’ho veduto, ma a Rio Janeiro sono stato avvertito che una nave montata da pirati e che portava il gran nastro dei legni da guerra, aveva assalito un brigantino brasiliano a cento miglia dalla foce dell’Amazzoni, — rispose il negriero audacemente.
L’inglese lo guardò con stupore.
— Eh via! — disse poi. — Voi scherzate con me, ma la vostra carta è in pericolo. Seguitemi nel frapponte, dove spero di scoprire qualche cosa di buono.
— Andiamo, signore, — rispose Nunez che era diventato pallido e che aveva gettato sull’inglese uno sguardo feroce.
L’ufficiale, preceduto dal negriero, e seguìto da sei dei suoi soldati, scese la scala e mise piede nel frapponte. Gli bastò un solo sguardo per indovinare a quale traffico si dedicava l’Albatros.
— Degli anelli e delle catene fissati alle pareti e al tavolato! — esclamò, sorridendo con aria di trionfo. — Come spiegherete la presenza di queste ferramenta sospette, signor Fernando Nunez? —
Il negriero, che ormai si vedeva perduto, si sentì inondare la fronte d’un freddo sudore, e in cuor suo maledì l’istante in cui aveva imbarcato il giovane marchese, causa unica della sua disgrazia. Pure, volle tentare un ultimo colpo.
— Che cosa volete dire? — chiese, sforzandosi di mostrarsi tranquillo.
— Che voi esercitate la tratta degli schiavi.
— Io!...
— Gli anelli e le catene lo affermano.
— Ma quando acquistai la nave, le catene e gli anelli vi esistevano.
— Ah! Voi avete acquistata la nave da un negriero? E vi siete dato alla fuga temendo che noi fossimo dei pirati? Eh via! Che corbellerie volete darmi ad intendere, signor Nunez?
— Vi giuro...
— Giurerete più tardi, quando vi avremo condotti tutti alla Giamaica. Le autorità di Kingston s’incaricheranno di fare un po’ di luce sui vostri traffici.
— Badate!... — gridò Nunez coi denti stretti. — Sono suddito spagnolo.
— I negrieri vivono fuori dalle leggi e non hanno patria. Risaliamo! —
Stava per porre il piede sul primo gradino quando una voce soffocata, che pareva venire dalla profondità della stiva, si udì gridare:
— Aiuto! Aiuto! —
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