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capitolo viii. — la caccia al negriero. | 71 |
— Andiamo, signore, — rispose Nunez che era diventato pallido e che aveva gettato sull’inglese uno sguardo feroce.
L’ufficiale, preceduto dal negriero, e seguìto da sei dei suoi soldati, scese la scala e mise piede nel frapponte. Gli bastò un solo sguardo per indovinare a quale traffico si dedicava l’Albatros.
— Degli anelli e delle catene fissati alle pareti e al tavolato! — esclamò, sorridendo con aria di trionfo. — Come spiegherete la presenza di queste ferramenta sospette, signor Fernando Nunez? —
Il negriero, che ormai si vedeva perduto, si sentì inondare la fronte d’un freddo sudore, e in cuor suo maledì l’istante in cui aveva imbarcato il giovane marchese, causa unica della sua disgrazia. Pure, volle tentare un ultimo colpo.
— Che cosa volete dire? — chiese, sforzandosi di mostrarsi tranquillo.
— Che voi esercitate la tratta degli schiavi.
— Io!...
— Gli anelli e le catene lo affermano.
— Ma quando acquistai la nave, le catene e gli anelli vi esistevano.
— Ah! Voi avete acquistata la nave da un negriero? E vi siete dato alla fuga temendo che noi fossimo dei pirati? Eh via! Che corbellerie volete darmi ad intendere, signor Nunez?
— Vi giuro...
— Giurerete più tardi, quando vi avremo condotti tutti alla Giamaica. Le autorità di Kingston s’incaricheranno di fare un po’ di luce sui vostri traffici.
— Badate!... — gridò Nunez coi denti stretti. — Sono suddito spagnolo.
— I negrieri vivono fuori dalle leggi e non hanno patria. Risaliamo! —
Stava per porre il piede sul primo gradino quando una voce soffocata, che pareva venire dalla profondità della stiva, si udì gridare:
— Aiuto! Aiuto! —