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200 Capitolo XVI.


— No, signore, — rispose il cosacco.

— Potete passare?

— Sì, con qualche fatica. Bah!... La mia pelle è dura.

Il cosacco spinse innanzi il fucile prima di tutto, poi, aiutandosi colle mani e coi piedi, si avanzò. Subito un grido di meraviglia gli sfuggì.

— Per le steppe del Don!... Che cosa è ciò?

Ursoff e l’ingegnere, che erano meno corpulenti, non avevano tardato a raggiungerlo.

La sorpresa del cosacco era più che naturale.

Quell’ultimo passaggio, semi-rovinato dallo scoppio della mina, li aveva condotti in una immensa sala sotterranea, aperta nel centro dello scoglio, la quale aveva delle numerose aperture circolari attraverso le quali si scorgeva qualche stella che faceva capolino fra le tempestose nubi. La mina doveva essere stata fatta scoppiare in quel luogo, poichè si scorgevano dovunque enormi massi accumulati qua e là, capricciosamente.

Quello però che maggiormente fece stupire i due russi ed il cosacco fu il vedere, fra quel rovinìo di macerie, delle poltroncine di velluto azzurro fracassate, un lusso assolutamente sconosciuto agli isolani di quel minuscolo gruppo; gli avanzi d’un pianoforte; dei frammenti di specchi e di lampade; degli arazzi bellissimi mezzi consunti dalla fiamma sprigionata dalla formidabile mina e che fumavano ancora, nonchè dei veri ammassi di cristallerie che scintillavano vivamente sotto i riflessi delle torcie che Ursoff andava accendendo.

Intorno alle pareti, che erano state sventrate dalla forza immensa dell’esplosione, si vedevano ancora dei divani turchi in broccato pure azzurro ricamato in oro e alle finestre delle tende di seta d’egual colore.

— Questo doveva essere l’asilo di qualche fata! — esclamò Rokoff, raccattando alcune candele che erano cadute insieme ai lampadarii. — Non deve essere un nido di corsari.

Che cosa dite, signor Wassili?

— Io mi domando se sto sognando, — rispose l’ingegnere.

— No, perchè io bevo, — disse il cosacco, — e questo è vero sliwovitz!

Il cosacco fra quei rottami, oltre a parecchie candele, aveva scoperta una bottiglia miracolosamente sfuggita alla strage ed il briccone beveva a garganella, con l’avidità già ormai proverbiale dei figli del Don. Ad un tratto però la lasciò cadere, mandandola in pezzi, mentre stramazzava addosso a Ursoff.