Il Novellino/Parte terza/Novella XXI

Novella XXI - Messer Bertramo d'Aquino ama infelicemente una donna, e per lo marito dire bene de lui se conduce a donarli il suo amore: lui il sente e per gratitudine refuta il suo amore

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Novella XXI - Messer Bertramo d'Aquino ama infelicemente una donna, e per lo marito dire bene de lui se conduce a donarli il suo amore: lui il sente e per gratitudine refuta il suo amore
Parte terza - Prologo Parte terza - Novella XXII
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NOVELLA XXI.




ARGOMENTO.


Messer Bertramo d’Aquino ama e non è amato. Il marito della donna amata a la similitudine d’un falcone dà molte lodi all’amante, per le quali la moglie s’induce a dargli il suo amore. Sono insieme: messer Bertramo la domanda della cagione che s’era condotta. Il Cavaliero usa gratitudine, e senza toccarla la lascia schernita.


ALLA ECCELLENTE MADONNA ANTONELLA D’AQUINO CONTESSA CAMERLINGA.1


ESORDIO.


Volendo a la mia deliberatione, eccellentissima Contessa, dare principio, e con dieci altre novelle la prava natura, gli scelesti vizii, e dolose arti di [p. 244 modifica]malvage donne mordere, mi pare utile e necessario alcuna cosellina nella seguente novella a te intitolata trattarne, a tale che Tu, della virtuosa scola e insegna seguace, de te medesima gloriandote, che con le proprie virtù hai del femineo sesso superata e vinta la natura, possi vero e perfetto giudicio donare quanto e quale è differentiata la qualità e costume delle donne da quella degli uomini, siccome la singolare virtù e magnificentia usata per un eccellente cavaliero di tua generosa stirpe presso la fine te ne renderà testimonio manifesto. Vale.


NARRAZIONE.


Non sono egli molti dì passati che da un notevole cavaliero mi fu per verissimo ricontato come nel tempo che fu debellato e morto Manfredi da Carlo Primo, e per lui occupato e vinto tutto il reame, con la detta conquista fu un valoroso e strenuo cavaliere, il cui nome fu Messer Bertramo d’Aquino, vigoroso nell'arme, e nominato capitano, e oltre ciò savio, provveduto, e gagliardo più che cavaliere che nell’esercito di detto Re Carlo se retrovasse; siccome agli amici facea con piacer vedere, e agl’inimici con rincrescimento gustare la sua prodezza. Ove doppo l’acquisto del regno il Re con suoi baroni e cortegiani condottosi in Napoli per li dilettevoli e soavi frutti che rende la pace ai vincitori, cominciarono ad attendere in giostre, in balli, e in altre trionfose feste; e tra gli altri che più a sì fatti piaceri attendeva, e forse per ricompensa degli affanni nei bellicosi esercitii ricevuti, si era messer Bertramo. Al quale avvenne che vedendo un dì a un ballo [p. 245 modifica]Madonna Fiola Torrella, per sì fatta maniera di lei s’innamorò che in niuna altra parte potea i suoi pensieri dirizzare; e non ostante che messer Corrado suo marito a lui fosse singolare amico e nella speditione della guerra con esso avesse vigorosamente militato, pure preso e ligato da colui che al suo vigore niuna forza puote o vale, del tutto si dispose con bono animo seguir la cominciata impresa, e per lei cominciò a giostrare, e a fare di molte magnificentie, e in diversi modi spendendo e donando del suo, de continuo le faceva intendere lei più che sé medesimo amare. La donna o che onestissima fosse, o vero per lo soverchio amore che al marito portava, del cavaliere e de’ suoi vagheggiamenti facendosi beffe, e ogni suo operare avendo a nulla, ogni dì più rigida e fiera gli si dimostrava; e come che di tale impresa a lui del tutto fosse fuggita la speranza, nondimeno come è costume di chi ferventemente ama, de continuo il desiderio in maggior fiamma crescendo augmentava. E in tale reo stato dimorando senza mai una sola guardatura con piacevolezza essergli concessa, avvenne che un dì Misser Corrado e la moglie andando a caccia di spravieri con altri cavalieri e donne, impensatamente si levarno una brigata di starne, dietro a le quali veddero un selvaggio falcone che in quello istante tutte le desbarattò, e in maniera che a niuna fu concesso con le altre insieme unirsi. Di che coloro ne fecero gran festa, e tra gli altri Messer Corrado con allegro volto disse, che gli parea aver visto a la similitudine del falcone Messere Bertramo suo capitano nella battaglia cacciando e fugando gl’inimici, e per modo tale che ove lui apparea con la lanza o con la [p. 246 modifica]spata niuno de’ suoi avversarii ardiva aspettarlo; aggiungendo che non solo come il visto falcone seguendo le fuggitive starne, ma come un fiero leone tra vilissime pecore tra il fatto d’arme de continuo si dimostrava. Ed oltre a quello sopra di ciò continuando, non sapendo che il cavaliero di cui sì largo parlava della moglie fosse in alcun modo invaghito, ricontò tante altre degne parti di sue virtù, piacevolezze, e magnificentie, che ivi non restò persona alcuna che non gli dovenisse assai più partigiana che non era lui; e tra gli altri madonna Fiola, che giammai né lui né sue virtù le erano nel petto potute entrare, vedendo tante lodi dargli dal suo marito, alle parole del quale dava mirabile fede, le fu cagione de la passata durezza in sommamente amarlo convertire; e ritornata a casa legata onde sciolta ne era uscita, desiderava che il suo amante passasse, acciò che con piacevol vista mostrandoglisi il facesse accorto essere di qualità e complessione mutata. E come volse la lieta fortuna di tutti due che la donna in questi pensieri stando vide venire il cavaliere, più polito e bello parendoli che l’usato assai; alla quale senza speranza di risposta al modo solito fece un’amorosa inclinata, la quale da la donna vista, come già proposto avea, con piacevolezza grande gli rendè il saluto debito. Di che il cavaliere oltremodo contento e maravigliato si partì, e a casa ritornato cominciò a pensare e con seco medesimo a travagliarsi di tale novità; e cognoscendo lui non aver niuna cosa nova o strana adoperata che a tanto graziosa gli si mostrare l’avesse indotta, nè sapendo di ciò vero giudicio dare, così confuso dimorando mandò per un suo privatissimo amico [p. 247 modifica]consapevole d’ogni suo secreto, al quale lo avvenuto accidente e tutti i suoi maravigiiosi pensieri pontualmente ricontò. L’amico che prudente era molto e fuori d’ogni amorosa passione, di lui e dei suoi pensieri facendosi beffe, così gli rispose: Io non mi maraviglio del tuo poco conoscimento, per averti amore abbagliato l’intelletto da non farti conoscere la qualità e costume delle femmine, e quello a che la loro difettiva natura le ha prodotte: pensa tu che in niuna di loro, per savia che sia tenuta, si trova fermezza o stabilità alcuna: certo le più di loro sono incontinenti, senza fede, ritrose, vendicatrici, e piene di sospetto, con poco amore, e vote d'ogni carità. La invidia come a propria passione tiene il sommo loco nel centro del loro cuore; in esse non è ragione, né con veruna temperata maniera si movono: giammai nelle cause loro alcun ordine giudiciario si serva, se non alla scapestrata eleggendo sempre il peggio, secondo da loro leggiero cervello sono tirate. E che ciò sia vero, quante volte avemo visto ai dì nostri una donna essere amata e vagheggiata da più e diversi valorosi e di virtù ornati amanti, ed essa togliendo esempio de la libidinosa lupa, schernendoli tutti, si è data a un vile ribaldo di ogni scelleragine ripieno? Dunque credi tu che costei al mostrarti tanta salvatichezza, per la quale sei stato più volte vicino a la morte, abbia in ciò servato ordine o ragione, se non gloriandosi di avere un lungo tempo uccellato un cosi fatto amante come tu se’, e con colore di onestà si è goduta di vederti stentare, e con questo si fa augmentare la fama di sue bellezze; e cosi anche ti puoi rendere sicuro che senza ordine, o tu avernele data di nuovo cagione, [p. 248 modifica]per non deviare da loro reprobata natura, se ti è mostrata tanto graziosa. Però non dubito che tu seguendo la pista anzi che il pianeto che adesso regna, tre volte tenerai vittoria de tua lunga impresa; e però senza più indugiare le scrivi in bona maniera, e cerca di poterli parlare, battendo il ferro nella sua caldezza, che di certo il disegno riuscirà al tuo optato fine. E con queste e assai parole gli fè intendere la qualità e natura de le femmine, confortandolo che di niuna loro buona grazia molto si rallegrasse, né de contrario soperchiamente si attristasse, però che né de l’uno, né de l’altro era da fare molto caso, sì come di cose non durevoli e senza fermezza alcuna; anzi di loro cogliere il frutto secondo il dì e la stagione non pensando mai al passato, né al futuro porti alcuna speranza: e ciò adoperando e questa e ognuna delle altre si troveranno de continuo beffate, e poco o niente goderanno di loro innata malizia e cattività. Il cavaliero dalle parole del vero amico tutto racconfortato, subito con gran piacere della nuova speranza la carta prese, e all’amata donna con gran passione scrisse, e dopo lo narrarle il suo ferventissimo amore della sua soperchia bellezza causato, rinnovò offerirsi, e insieme con alcune altre ornate e affettuose parole le concludeva si degnasse donargli tempo e loco di compita udienza, acciò che tanti lunghissimi affanni de una sola volta parlarle fossero restorati. E quella cautamente mandatala, e da lei con festa ricevuta, e letta, notando tutte le sue parti, per sì fatta maniera le introrono al suo di nuovo contaminato cuore, che non solo di prestargli compita udienza, ma senza alcun ritegno donargli il suo amore del tutto si dispose; e subito [p. 249 modifica]con acconcia maniera gli rispose, che la seguente sera ai suo giardino a piede di cotal albero si conducesse e l’attendesse, che addormito che fosse il suo marito, e il resto de le brigate poste in assetto, a lui andarebbe più che volentieri. Il cavaliere lietissimo, come ciascuno può pensare, parendogli che il consiglio dell’amico procedesse, come notte fu, accompagnalo da suoi famigli, quando ora gli parve, al signato loco aspettando la sua donna si condusse: la quale non doppo molto aspettare, sentendo che il cavaliero era venuto, chetamente aperto l’uscio che al giardino usciva, con menuti passi a lui se ne venne; il quale fattolesi incontro con le braccia aperte graziosamente la ricevette dicendo: Ben venga l’anima mia, per la quale tanti affanni ho già sostenuti. E doppo mille dolcissimi baci e dati e ricevuti, sotto un odorifero pomo arancio si posero a sedere, aspettando il segno di una fida fante che a una camera terrena li conducesse ove un letticino con dilicatura e ben profumato per loro avea acconciato. E qui per mano tenendosi, sollazzando, e baciandosi come negli aspettati ultimi termini d’amore si richiede, venne nel disio al cavaliere di domandarla de la cagione di tanta fiera rigidezza per sì lungo tempo dimostratagli, e come così di subito fuori d’ogni speranza tanto graziosa e benigna gli era dinanzi apparuta, e fattogli conseguire il degno effetto, quale pur vedendolo appena credere il potea. La donna senza prendere tempo a la risposta gli disse: Caro e dolcissimo signore de la vita mia, a la tua piacevole domanda satisfacendo per quello più breve modo che posso risponderò. Egli è vero, e forse che tanto tempo cruda e fiera mostrata me te [p. 250 modifica]sono più assai che a la tua nobiltà e virtù non si richiedeva; e certo tale rigidezza non è stata da altro causata, oltre la conservatione del mio onore, che dal ferventissimo amore che porto e ho portato al mio marito, al quale, per niuno accidente per grande che stato fosse, io non averia non che fatta ma pur pensata cosa alcuna che in disonore gli ritornasse; e questo medesimo amore che a lui porto è stato di tale natura ed ha avuta in sé tanta forza di condurmi nelle tue amorose braccia: e dirotti il come. L’altro ieri andando a caccia con mio marito e con alcune altre de le donne nostre, vedemmo un falcone seguendo certe starne, quale e come è di loro costume subito tutte le disperse: di che mio marito disse che gli parve vedere misser Bertramo alla battaglia cacciando gl’inimici; e oltre a ciò continuando sopra di te il suo ragionare ricontò tante altre mirabili virtù e lodi dei fatti tuoi, che non solo io che di amarte di ragione era costretta, ma quante ivi ne eravamo ognuna pregava Iddio per lo tuo felice stato, e tutte divenimmo desiderose di compiacerti. E più disse che a lui pareva per debito di tue virtù essere obbligato amare chi te amava, ed i contrarii avere per capitali nemici: di che io che a lui sono tutta ossequiosa, cognoscendo esserli sommamente caro che ognuno ti amasse, compresi che maggiormente gli era piacere che le cose2 sue cordialmente ti amassero; e così a non partir da quindi sentii in me esserne rotte e spezzate tutte catene e ripari che al mio duro core per non amarti avea già fatti; e assalita da una nova e calente fiamma tutta mi [p. 251 modifica]struggea d’essere dove al tuo piacere sono pure, e intendo di essere fin che il vivere mi sarà concesso. Messer Bertramo, che di usar magnificentie e liberalità grandissime da li teneri anni era accostumato, udendo che il marito di colei per sì eccessivamente lodarlo ed amarlo la grazia della moglie li avea acquistata, mosso da una virtude di vero e buon cavaliero, fra sé pensando disse: Deh, messere Bertramo, sarai mai tu villano cavaliere per sì vile e minima cosa, com’è l’usare con donna, ancora che tanti anni l’abbi desiderala? E posto che questa fosse la maggiore e più cara cosa che donar potesse, non sarà tanto più lodata la tua usata virtù. Le magnificentie non consistono a dimostrarsi a le cose di poca qualità, ma a le alte e quando a sé medesimo dispiaceno. Tu non trovasti al tuo vivente uomo alcuno che di usar cortesie e liberalità ti avantaggiasse mai; e in che atto potrai mostrare la integrità di tue virtù, più che in questo, e massimamente avendola in tua balia, e credendo con lei lungo tempo con felicità godere, e con la virtù e ragione vincendo te medesimo, del tuo tanto aspettato desiderio ti privi? Ed oltre ciò, se il marito di costei ti fosse capitale inimico, e di continuo avesse cercato di abbatter la tua fama e gloria, che peggiore e più odiosa vendetta potresti di lui pigliare che vituperarlo in eterno? Dunque qual ragione e qual onestà il vuole, che si debbono gli amici come li nimici trattare? E che questo ti sia perfettissimo amico, oltre ogni altra passata esperienza, tu lo hai da lei medesima sentito apertamente, che non per altro che per amor che suo marito ti porta si è qui condotta a donarte il suo amore; il quale tu [p. 252 modifica]pigliando, che degno merito averà lui del suo verso di te ben volere, e del sommamente lodarti in assenza come nei veri amici si richiede? Or non piaccia a Dio che in cavaliere d’Aquino tal villania caschi giammai. Cosi senza più de l’amore o delle bellezze della donna ricordarsi, a lei rivolto disse: Cara madonna, toglialo Dio che l’amor che mi porta il tuo virtuoso marito, con lo soperchiamente lodarmi insieme con tante altre cose per lui dette e operate verso di me, ricevano tale vizioso guidardone di farmi in alcun atto procedere contro le più sue care cose che in disonore gli possano né poco né molto ritornare: anzi sempre da qui davanti ponerò per lui la persona e le facoltà, come per proprio fratello e lealissimo amico si devono porre, e te averò di continuo per sorella, offerendomi di quanto che io mi sia e vaglia, con lo avere e le corporali forze insieme, per lo conservare del tuo onore e buona fama. E sciolte da un fazzoletto certe ricche gioie che per donargliele avea portate, gliele buttò in grembo, dicendo: Porterai queste per mio amore: e ricordandoti del mio presente adoperare, pensa di essere più leale a tuo marito che stata non sei. E teneramente in fronte baciatala, e molte grazie renduteli della sua liberale venuta, da lei si partì. Se la donna restasse confusa e schernita facilmente si può considerare; pure tirata da loro innata avarizia stringendo a sé le carissime gioie a casa se ne ritornò. La novella dopo alcun tempo fu risaputa, dove fu dato avanto a messer Bertramo come era soprano nell’arme, animoso, discreto, e provveduto, così di magnificentie, liberalità, e somme virtù avanzare ogni altro cavaliero che dentro e fuori Italia nella sua età fosse stato giammai. [p. 253 modifica]

MASUCCIO.


Però che non si potria tanto eccessivamente commendare la ricontata virtù di messer Bertramo verso il suo amico dimostrata, quanto li meriti suoi lo ricercano maggiore, lo lascio a giudicare a coloro che hanno ferventemente amato ed amano, chè ciascuno a sé pensando quelle degne lodi li darà che io per non bastare a tanto di narrarle mi rimango. Nondimeno ricordandomi del notevole consiglio del suo amico, e quanto nel suo vero e commendevole trascorso dichiarò la qualità natura e costumi de le femmine, per volermi col suo giudicio confirmare mostrerò in quest’altra prossima novella quello che una scellerata ribalda adoperasse per satiare in parte la sua sfrenata libidine, come da chi legge ed ascolta sarà con ammiratione non piccola cognosciuto.

  1. Morto il Marchese di Pescara dell’antichissima casa d’Aquino, lasciò Antonia sua figlia unica erede d’un grandissimo stato, e il Re Alfonso I la diede subito a Don Indico d’Avalo, il quale era cavaliero ornato dei beni del corpo e dell’animo, e il Re se gli sentiva grandemente obbligato... quella magnanima donna e generosa supplicò il re che facesse fare il matrimonio con questi patii che quelli figli e discendenti che aveano da possedere o tutto o parte di quello stato che li dava in dote se avessero da chiamare d’Avali d’Aquino, a che portassero sempre le armi d’Aquino con le Davalesche: questa fu una coppia molto onorata e carissima e fedelissima a Re Alfonso e a Re suoi successori. Costanzo, Istoria lib. 18. Questa Antonella Contessa Camerlinga fu moglie di quel Conte d’Avalos Camerlingo che avèa nome Indico, o Innigo, e Masuccio chiama Federico, e gli dedica la nov. 12. Forse Masuccio scrisse Indico, e fu stampato Federico.
  2. Queste cose per persone di famiglia è da notare come ricordo romano.