Il Fiore delle Perle/20. La morte di Pandaras
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Capitolo XX
la morte di Pandaras
Passarono due minuti d’angosciosa attesa.
Quel grido strano non si era più ripetuto ed il silenzio più profondo regnava ora nella grande foresta. Perfino i calaos dal becco enorme, le colombe coronate, i fagiani ed i pappagalluzzi, quegli eterni chiacchieroni, erano ammutoliti come se fossero stati, al pari degli uomini, spaventati da quell’improvviso segnale od allarme che fosse.
Hong, Than-Kiù ed i loro compagni, immobili dietro all’immenso tronco dell’albero della canfora, colle dita sui grilletti delle carabine, spiavano attentamente i dintorni, scrutando le macchie e cercando fra le immense foglie dei banani, dei betel e dei sagu.
— Orsù, — disse Hong, — non possiamo rimanere qui, immobili come tronchi. Qualunque cosa debba succedere, cerchiamo l’autore di quel grido che a me è sembrato un segnale.
— E fatto da chi? — domandò Than-Kiù.
— Io non lo so; guardo in tutte le direzioni, e non vedo uomini, nè animali.
— Che qualche selvaggio abbia voluto spaventarci?...
— È possibile, e per questo vorrei andarmene, prima che giungano altri suoi compagni.
— Sta’ in guardia, Hong. In quest’isola non s’ignora l’uso della cerbottana e del velenoso succo dell’upas. Una freccia si fa presto a mandarla a destinazione, specialmente in mezzo a tante piante che possono nascondere il nemico, — disse il malese.
— Apriremo bene gli occhi.
— Gli orecchi soprattutto. Al primo sibilo che udite, gettatevi tutti a terra.
— Seguiremo il tuo consiglio, Pram-Li, ma andiamo innanzi.
— Se battessimo prima i dintorni? — disse Sheu-Kin. — Suppongo che l’autore di quel segnale non si sarà nascosto sottoterra.
— Forse tu hai ragione, — rispose Hong. — Prima di esporre Than-Kiù al pericolo di ricevere qualche freccia mortale, sarà meglio frugare le macchie. Io visiterò quei macchioni di destra; voi quelli che abbiamo a sinistra e tu, fanciulla, non abbandonare questo tronco protettore.
— E vuoi che io rimanga inoperosa?... — disse Than-Kiù.
— Ci guarderai le spalle. —
I tre uomini si erano appena allontanati d’alcuni passi, quando Than-Kiù, nel voltarsi, vide una testa umana apparire cautamente fra le grandi foglie d’un banano selvatico, lontano appena una trentina di passi, e quindi la lucente canna d’un lungo fucile che s’alzava per prenderla di mira.
Fu tale lo stupore che la colse nel vedere e nel riconoscere l’uomo che stava per farle fuoco addosso, che non pensò nè a fuggire, nè ad alzare la propria arma. Un solo grido le sfuggì, ma un grido di terrore:
— Pandaras!... — aveva esclamato con voce soffocata.
Hong, che si trovava a pochi passi, l’aveva udita. Con un balzo straordinario, che avrebbe fatto invidia ad una tigre, si era prontamente slanciato dinanzi all’albero, facendo scudo alla giovanetta.
— Ah!... Cane!... — urlò, imbracciando la carabina.
Il capo dei pirati, poichè era proprio lui, lo prevenne.
Si udì una detonazione ed il prode chinese cadde sulle ginocchia, lasciandosi sfuggire l’arma.
Sheu-Kin e Pram-Li, ritornati prontamente, avevano appena avuto il tempo di vedere Pandaras fuggire e Hong cadere.
Assetati di vendetta non pensarono al ferito a cui già Than-Kiù prodigava le prime cure e si slanciarono dietro all’assassino, il quale s’apriva impetuosamente il passo fra i rami e le liane, cercando di porsi in salvo.
— Fermati, miserabile!... — gridavano. — Fermati, o facciamo fuoco!... —
Pandaras, invece di obbedire, raddoppiava gli sforzi e la velocità, ma ad un tratto fu visto incespicare, cadere, poi librarsi bruscamente a tre metri dal suolo, all’estremità d’una specie di cilindro grosso come la coscia d’un uomo, e che lo aveva avvinto come una gigantesca spirale.
Un urlo orribile era sfuggito dalle labbra del traditore, cangiandosi subito in un rantolo. La faccia di quell’uomo esprimeva in quel momento un terrore impossibile a descriversi, e gli occhi gli schizzavano dalle orbite.
Il malese aveva arrestato Sheu-Kin, il quale stava per precipitarsi sull’assassino, dicendogli:
— Fermati, se ti è cara la vita!...
— È nostro, — rispose il chinese. — Afferriamolo prima che ci sfugga e che... —
La frase gli si gelò sulle labbra. Solamente in quel momento si era accorto che un nemico ben più terribile di loro stava per far pagare al traditore il suo delitto.
Un pitone mostruoso, un serpente tigrato, lungo cinque metri, urtato forse dal fuggiasco, si era improvvisamente rizzato fra i cespugli, e con la rapidità del lampo aveva imprigionato fra le sue possenti spire il pirata.
Il disgraziato, che si sentiva stritolare le ossa e soffocare, dimenticandosi forse che il chinese ed il malese lo inseguivano per vendicare Hong, tendeva verso di loro il braccio rimastogli libero, urlando:
— Aiuto!... Aiuto!... —
Il malese, vendicativo come tutti i suoi compatrioti, aveva lasciato cadere il fucile incrociando le braccia, ma Sheu-Kin, più generoso, aveva snudato il kampilang si era precipitato sul mostruoso serpente che continuava ad agitare la preda umana a tre metri dal suolo, coprendola di bava.
— Giungerai troppo tardi, — aveva gridato Pram-Li.
Il coraggioso chinese, quantunque sapesse a quale pericolo si esponeva, evitò la coda del serpente che cercava di avvolgerlo, poi vibrò a tutta forza un colpo disperato.
Il rettile, tagliato in due, si distese al suolo sibilando di rabbia, ma non abbandonò la preda, anzi raccolse le ultime forze e strinse le spire.
Si udì un lugubre scricchiolìo di ossa infrante, seguìto da un rantolo strozzato sfuggito dalle labbra del pirata, poi uomo e serpente caddero al suolo come se la vita si fosse spenta in entrambi nello stesso momento.
Sheu-Kin guardò per qualche istante, con due occhi smarriti, Pandaras, ridotto ormai in un ammasso di carne sanguinolenta e di ossa spezzate, poi s’affrettò a raggiungere il malese che si dirigeva correndo verso l’albero della canfora al cui piede era caduto Hong.
Con loro grande sorpresa e gioia, videro il valoroso chinese seduto in mezzo all’erba, il quale sorrideva tranquillamente a Than-Kiù che si affaccendava a fasciargli il braccio destro.
— Vivo!... Ancora vivo!... — esclamarono.
— Ho la pelle dura, — rispose Hong, sempre sorridendo, — ma sarò invalido per parecchio tempo, è vero Than-Kiù?... Pandaras ha avuto troppa fretta a far fuoco.
— Hai il braccio ferito!...
— Spezzato dalla palla di quel furfante, amici, ed è proprio il destro, il più importante. Non so con quale palla avesse caricato il suo moschettone; doveva essere ben grossa per conciarmi in questo modo e per gettarmi a terra. Bah! — aggiunse poi, alzando le spalle. — Meglio che abbia colpito me anzichè Than-Kiù, perchè la mirava proprio in mezzo al petto. Che cos’è accaduto di quel miserabile?... È riuscito a fuggire?...
— È morto.
— Ucciso da voi?
— No, Hong, — disse Sheu-Kin. — È stato stritolato da un pitone tigrato.
— Siete proprio certi che sia morto?...
— È ridotto in un ammasso informe.
— Voglio andare a vederlo. Temo sempre che risusciti. —
Il chinese, non ostante la sua ferita, fece atto d’alzarsi. Than-Kiù lo arrestò, dicendogli con voce dolce:
— Tu mi hai salvata la vita; ora tocca a me guarire la tua ferita, e perciò ti proibisco di commettere imprudenze.
— Le gambe sono ancora buone; non si tratta che d’un braccio spezzato.
— Che curato male, potrebbe incancrenirsi e costringerci ad amputartelo; ed il Fiore delle perle non si consolerebbe mai più d’aver un marito privo d’un braccio.
— Ah!... Than-Kiù!... — gridò Hong. — Ripetimi queste parole!...
— Taci, — diss’ella, ponendogli un dito sulle labbra.
— Tu m’ami finalmente!... Dimmelo, Fiore delle perle!
— Se tu lo sai, perchè vuoi che te lo dica?...
— E Romero?...
— Perchè nominarmelo, Hong?... — diss’ella con tristezza. — Lascia che i ricordi dormano per sempre. —
Poi forzandosi a sorridere:
— Basta: io sono l’infermiera e tu l’ammalato e t’impongo silenzio ed immobilità.
— Un ammalato che è più vivo di prima, ora che sa d’essere amato.
— Finiscila, Hong; ho da curarti.
— Cosa vuoi fare, se manchi di tutto?... Fascia stretto il braccio e lascia che guarisca da sè.
— E lo perderai. Lascia fare a me; so curare le ferite e sui campi dell’insurrezione ho guarito non pochi combattenti, ridotti a malpartito dalle palle degli spagnuoli. Rimani qui sotto la guardia di Pram-Li e attendi il mio ritorno. —
Fece segno a Sheu-Kin di seguirla e rifece per qualche tratto il sentiero che avevano tracciato attraverso il bosco nel loro passaggio, arrestandosi sul margine d’un gruppo di bambù altissimi e di varie grossezze.
Con un colpo di kampilang ne abbattè uno, un po’ più grosso del braccio d’un uomo, poi tagliò un pezzo di quel tubo fra i due nodi, della lunghezza di venti centimetri, quindi lo spezzò a metà.
— Questo si adatterà perfettamente al braccio di Hong, — disse. — Ed ora, Sheu-Kin, sali su quell’albero e fa’ raccolta di cotone. —
Il giovane chinese, che aveva già compreso come Than-Kiù voleva medicare il ferito, s’arrampicò lestamente sulla pianta indicata, un bellissimo vegetale dalle grandi foglie ed i cui rami erano forniti di bacche che lasciavano vedere una materia candida e lucente come la seta.
Era un albero di bambagia serica, vegetale che cresce anche allo stato selvaggio nelle grandi isole malesi e che, coltivato, produce una quantità notevole di splendido cotone, molto usato da quelle popolazioni, e specialmente dai sumatrini.
Raccolse alcune manate di quella materia, poi entrambi tornarono sotto l’albero della canfora.
— Dammi il tuo braccio ora, amico mio, — disse la giovanetta ad Hong. — Esaminiamo meglio la ferita, poi applicheremo il mio apparecchio. —
Il chinese porse il braccio alla graziosa infermiera, la quale con mano abile lo sbarazzò delle fascie che vi aveva prima applicate per arrestare l’emorragia e guardò attentamente la ferita.
La palla del moschettone, un proiettile molto grosso senza dubbio, aveva colpito Hong tre o quattro centimetri sotto il gomito, tracciando nella carne un solco sanguinoso e spezzando nettamente l’osso.
La ferita doveva essere dolorosissima, ma Hong pareva che non si preoccupasse, anzi che non provasse molto fastidio, non avendogli il sorriso abbandonate le labbra. Oltre ad essere coraggioso all’estremo doveva possedere una grande forza d’animo.
— È cosa da nulla? — chiese egli.
— Non così lieve come credi, — rispose Than-Kiù. — Guarirai però perfettamente, lo spero.
— Se dovessi perdere il braccio, tu non mi vorresti più bene; sarebbe quindi meglio che io morissi.
— Ti preoccupi di questo, Hong?...
— Assai, Than-Kiù.
— Pazzo!... E tu credi che il Fiore delle perle respingerebbe un valoroso come te, che ha esposto la propria vita per salvare la donna che ama?...
— Tu mi togli un grande peso che mi schiacciava il cuore e che cominciava ad inquietarmi assai.
— Pensa solo a guarire, Hong, e non preoccuparti d’altro per ora: è il Fiore delle perle che te lo dice.
— Grazie, fanciulla mia. Se tu continui, finirai per farmi morire davvero di gioia.
— Sta’ zitto e non muoverti, Hong. Sheu-Kin, hai preparata la bambagia?...
— Sì, Than-Kiù.
— Allora operiamo. —
Con una delicatezza estrema congiunse l’osso dell’avambraccio, poi riunì le carni strappate dalla palla, fasciò la ferita con uno spesso strato di quel cotone sottile e morbido al pari della seta, quindi racchiuse il braccio fra i due mezzi cilindri di bambù, in modo che combaciassero perfettamente.
Ciò fatto legò e rilegò strettamente l’apparecchio, adoperando altro cotone ed una sottile liana.
— È fatto, — disse.
Hong, che durante quell’operazione non aveva mandato un solo gemito, quantunque il suo viso irrigato da un freddo sudore indicasse quanto dolore avesse sofferto, alzò gli sguardi sulla fanciulla, che stava china su di lui, mormorando:
— Grazie, Fiore delle perle. Ecco una ferita che io non rimpiangerò mai, dovesse pure costarmi la perdita del braccio, perchè mi darà finalmente la felicità da tanto tempo sognata. Tu lo hai dimenticato Romero, è vero, Fiore delle perle?...
— Sì, mio valoroso, — rispose la giovanetta. — Avevo creduto che il mio cuore non dovesse battere per nessun altro uomo, nè che il mio amore dovesse più mai rifiorire, nè che un raggio di sole dovesse scendere nella mia anima, ma vedo che mi ero ingannata.
Il passato, così doloroso per me, a poco a poco si è dileguato come uno di quei sogni che conturbano la fantasia dei nostri compatrioti dopo che hanno fumato l’oppio. Mi sembra che una nebbia scenda lentamente fra me e quei ricordi, avvolgendo l’uomo che ho amato e la donna bianca che ho odiato.
Vedo ancora comparire, di tratto in tratto, l’immagine di Romero, ma quell’uomo non turba più la mia anima ed io lo guardo serenamente, senza rancore forse, e anche senza che il mio cuore provi un solo sussulto.
Credevo che quella fatale passione non dovesse più mai guarire, e dovesse ruggire sempre tremenda nel petto del Fiore delle perle. Ora si è spenta o almeno va rapidamente spegnendosi. La ferita che otto giorni or sono ancora sanguinava, va adesso rimarginandosi.
— E tu credi che non si riaprirà più mai, mia adorata Than-Kiù?...
— No, Hong, più mai.
— Nemmeno quando tu ti troverai dinanzi a Romero?...
— No, te lo giuro, poichè allora il cuore del Fiore delle perle batterà solo per l’uomo che appartiene alla sua stessa razza, che è nato nella stessa patria, che l’aveva amata lungamente in silenzio, che l’ha seguìta spontaneamente su quest’isola per proteggerla e che ha esposta la vita per salvarla.
— Ma anche Romero aveva esposta la sua sui campi dell’insurrezione, e per te.
— È vero, ma egli amava anche un’altra donna, mentre tu mi offrivi il tuo cuore puro da ogni altra passione.
— Tu adunque mi ami, e non per compensarmi di quanto io ho avuto la fortuna di fare per te?
— Hong, — esclamò la giovinetta, con tono di rimprovero. — Than-Kiù è leale.
— Perdonami, Fiore delle perle, io ho sempre paura di lui e tremo all’idea che tu m’offrissi il cuore per sola riconoscenza o per vendicarti di Romero.
— No, io t’amo, perchè sei un valoroso e perchè mi farai felice.
— Oh sì, Fiore delle perle, immensamente! — esclamò il chinese. — Quando tu avrai pagato il tuo debito verso Romero e lo avremo salvato, io ti condurrò nel tuo paese, sulle rive di quel fiume Giallo che tante volte hai rimpianto, nella tua casetta dal tetto azzurro e dalle pareti dipinte, all’ombra della grande cupola a scaglie di ramarro, presso la quale dorme il sonno eterno l’eroe degli uomini gialli, e vivremo felici.
Là, nell’aria natìa, lontana dai paesi dove hai veduto ed amato Romero, presso la tomba del più valoroso uomo del Celeste Impero, la tua ferita guarirà completamente e finirai col credere d’aver fatto un triste sogno.
Nel paese dei lillà da te tanto amato, il Fiore delle perle tutto dimenticherà e tornerà a rifiorire più bello e più rigoglioso.
— Sì, Hong, nel paese del sole dimenticherò tutto, tutto per amare solamente l’uomo che m’ha reso la vita e la tranquillità.
— Than-Kiù, tu mi farai morire di gioia.
— Bisogna invece vivere, — rispose la giovanetta, sorridendo.
— Sì, per fare la felicità di Than-Kiù, la più bella e più valorosa fanciulla del nostro Celeste Impero.
— Taci, Hong; tu hai bisogno di riposo. Coricati all’ombra di quest’albero e dormi tranquillo, sotto la guardia della tua fidanzata.
— Ti obbedisco, fanciulla: io sono ormai il tuo schiavo. —