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146 | Capitolo ventesimo |
— Dammi il tuo braccio ora, amico mio, — disse la giovanetta ad Hong. — Esaminiamo meglio la ferita, poi applicheremo il mio apparecchio. —
Il chinese porse il braccio alla graziosa infermiera, la quale con mano abile lo sbarazzò delle fascie che vi aveva prima applicate per arrestare l’emorragia e guardò attentamente la ferita.
La palla del moschettone, un proiettile molto grosso senza dubbio, aveva colpito Hong tre o quattro centimetri sotto il gomito, tracciando nella carne un solco sanguinoso e spezzando nettamente l’osso.
La ferita doveva essere dolorosissima, ma Hong pareva che non si preoccupasse, anzi che non provasse molto fastidio, non avendogli il sorriso abbandonate le labbra. Oltre ad essere coraggioso all’estremo doveva possedere una grande forza d’animo.
— È cosa da nulla? — chiese egli.
— Non così lieve come credi, — rispose Than-Kiù. — Guarirai però perfettamente, lo spero.
— Se dovessi perdere il braccio, tu non mi vorresti più bene; sarebbe quindi meglio che io morissi.
— Ti preoccupi di questo, Hong?...
— Assai, Than-Kiù.
— Pazzo!... E tu credi che il Fiore delle perle respingerebbe un valoroso come te, che ha esposto la propria vita per salvare la donna che ama?...
— Tu mi togli un grande peso che mi schiacciava il cuore e che cominciava ad inquietarmi assai.
— Pensa solo a guarire, Hong, e non preoccuparti d’altro per ora: è il Fiore delle perle che te lo dice.
— Grazie, fanciulla mia. Se tu continui, finirai per farmi morire davvero di gioia.
— Sta’ zitto e non muoverti, Hong. Sheu-Kin, hai preparata la bambagia?...
— Sì, Than-Kiù.
— Allora operiamo. —
Con una delicatezza estrema congiunse l’osso dell’avambraccio, poi riunì le carni strappate dalla palla, fasciò la ferita con uno spesso strato di quel cotone sottile e morbido al pari della seta, quindi racchiuse il braccio fra i due mezzi cilindri di bambù, in modo che combaciassero perfettamente.
Ciò fatto legò e rilegò strettamente l’apparecchio, adoperando altro cotone ed una sottile liana.
— È fatto, — disse.