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142 | Capitolo ventesimo |
spiavano attentamente i dintorni, scrutando le macchie e cercando fra le immense foglie dei banani, dei betel e dei sagu.
— Orsù, — disse Hong, — non possiamo rimanere qui, immobili come tronchi. Qualunque cosa debba succedere, cerchiamo l’autore di quel grido che a me è sembrato un segnale.
— E fatto da chi? — domandò Than-Kiù.
— Io non lo so; guardo in tutte le direzioni, e non vedo uomini, nè animali.
— Che qualche selvaggio abbia voluto spaventarci?...
— È possibile, e per questo vorrei andarmene, prima che giungano altri suoi compagni.
— Sta’ in guardia, Hong. In quest’isola non s’ignora l’uso della cerbottana e del velenoso succo dell’upas. Una freccia si fa presto a mandarla a destinazione, specialmente in mezzo a tante piante che possono nascondere il nemico, — disse il malese.
— Apriremo bene gli occhi.
— Gli orecchi soprattutto. Al primo sibilo che udite, gettatevi tutti a terra.
— Seguiremo il tuo consiglio, Pram-Li, ma andiamo innanzi.
— Se battessimo prima i dintorni? — disse Sheu-Kin. — Suppongo che l’autore di quel segnale non si sarà nascosto sottoterra.
— Forse tu hai ragione, — rispose Hong. — Prima di esporre Than-Kiù al pericolo di ricevere qualche freccia mortale, sarà meglio frugare le macchie. Io visiterò quei macchioni di destra; voi quelli che abbiamo a sinistra e tu, fanciulla, non abbandonare questo tronco protettore.
— E vuoi che io rimanga inoperosa?... — disse Than-Kiù.
— Ci guarderai le spalle. —
I tre uomini si erano appena allontanati d’alcuni passi, quando Than-Kiù, nel voltarsi, vide una testa umana apparire cautamente fra le grandi foglie d’un banano selvatico, lontano appena una trentina di passi, e quindi la lucente canna d’un lungo fucile che s’alzava per prenderla di mira.
Fu tale lo stupore che la colse nel vedere e nel riconoscere l’uomo che stava per farle fuoco addosso, che non pensò nè a fuggire, nè ad alzare la propria arma. Un solo grido le sfuggì, ma un grido di terrore:
— Pandaras!... — aveva esclamato con voce soffocata.
Hong, che si trovava a pochi passi, l’aveva udita. Con un balzo straordinario, che avrebbe fatto invidia ad una tigre, si era prontamente slanciato dinanzi all’albero, facendo scudo alla giovanetta.
— Ah!... Cane!... — urlò, imbracciando la carabina.