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144 Capitolo ventesimo


— Giungerai troppo tardi, — aveva gridato Pram-Li.

Il coraggioso chinese, quantunque sapesse a quale pericolo si esponeva, evitò la coda del serpente che cercava di avvolgerlo, poi vibrò a tutta forza un colpo disperato.

Il rettile, tagliato in due, si distese al suolo sibilando di rabbia, ma non abbandonò la preda, anzi raccolse le ultime forze e strinse le spire.

Si udì un lugubre scricchiolìo di ossa infrante, seguìto da un rantolo strozzato sfuggito dalle labbra del pirata, poi uomo e serpente caddero al suolo come se la vita si fosse spenta in entrambi nello stesso momento.

Sheu-Kin guardò per qualche istante, con due occhi smarriti, Pandaras, ridotto ormai in un ammasso di carne sanguinolenta e di ossa spezzate, poi s’affrettò a raggiungere il malese che si dirigeva correndo verso l’albero della canfora al cui piede era caduto Hong.

Con loro grande sorpresa e gioia, videro il valoroso chinese seduto in mezzo all’erba, il quale sorrideva tranquillamente a Than-Kiù che si affaccendava a fasciargli il braccio destro.

— Vivo!... Ancora vivo!... — esclamarono.

— Ho la pelle dura, — rispose Hong, sempre sorridendo, — ma sarò invalido per parecchio tempo, è vero Than-Kiù?... Pandaras ha avuto troppa fretta a far fuoco.

— Hai il braccio ferito!...

— Spezzato dalla palla di quel furfante, amici, ed è proprio il destro, il più importante. Non so con quale palla avesse caricato il suo moschettone; doveva essere ben grossa per conciarmi in questo modo e per gettarmi a terra. Bah! — aggiunse poi, alzando le spalle. — Meglio che abbia colpito me anzichè Than-Kiù, perchè la mirava proprio in mezzo al petto. Che cos’è accaduto di quel miserabile?... È riuscito a fuggire?...

— È morto.

— Ucciso da voi?

— No, Hong, — disse Sheu-Kin. — È stato stritolato da un pitone tigrato.

— Siete proprio certi che sia morto?...

— È ridotto in un ammasso informe.

— Voglio andare a vederlo. Temo sempre che risusciti. —

Il chinese, non ostante la sua ferita, fece atto d’alzarsi. Than-Kiù lo arrestò, dicendogli con voce dolce:

— Tu mi hai salvata la vita; ora tocca a me guarire la tua ferita, e perciò ti proibisco di commettere imprudenze.

— Le gambe sono ancora buone; non si tratta che d’un braccio spezzato.