Il Fiore delle Perle/11. I pirati del Talajan
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Capitolo XI
I pirati del Talajan
La luce del ramo resinoso, filtrando attraverso il tramezzo che era formato di bambù e di foglie intrecciate, rischiarava sufficientemente la cucina, per vedere quanto vi succedeva.
La prima cosa che Hong e Than-Kiù videro, fu il malese ritto in piedi, armato d’un lungo pisan-laut, una specie di pugnale acuminatissimo. Stava curvo innanzi, come se ascoltasse con viva attenzione.
Stette in quella posa alcuni istanti, poi s’avvicinò alla porta e l’aprì lasciando il passo a due uomini seminudi al par di lui, armati di bolo e di kriss. Sembravano due malesi, ma non permettendo la scarsa luce di vedere la loro tinta, potevano anche essere due mindanesi.
Fra quei tre individui s’impegnò sottovoce una rapida conversazione.
— Dormono, orang-kaja?1
— Sì, — rispose il pescatore, — due di loro poi, ai quali ho dato da bere dell’oppio sciolto nel bram, non si sveglieranno prima di ventiquattro ore.
— E gli altri due?...
— Una è una fanciulla, e non ci darà impaccio, l’altro è il più vigoroso, e fors’anche il più ardito, e non vorrà di certo abbandonare i suoi due compagni che non si possono svegliare.
— Allora possiamo agire.
— Con piena sicurezza. La giunca è ancorata alla foce del fiume e fra tre ore sarà in nostra mano.
— È armata?...
— Ha un solo cannone e quindici uomini d’equipaggio.
— Essendo ancorata alla foce del fiume può sfuggirci, orang-kaja.
— Vi sono dei banchi di sabbia alla foce, manderemo quindi alcuni abili nuotatori a tagliare le funi delle ancore. Prima che i chinesi se ne accorgano, la corrente manderà la giunca ad arenarsi.
— Si tratta di ripetere il giuoco della cannoniera?
— Sì, — disse il pescatore. — Sono tutti radunati?...
— Fra due ore saranno tutti imbarcati.
— Ed i due prahos?....
— Sono stati avvertiti di tenersi nascosti alla foce del fiume, onde tagliare la via alla giunca.
— Allora andiamo.
— E questi uomini?...
— Li prenderemo domani, non temere. La fanciulla mi preme. —
Ciò detto, il pescatore ed i suoi compagni uscirono, chiudendo con precauzione la porta. Hong aveva fatto atto di slanciarsi dietro ai tre furfanti, ma Than-Kiù lo aveva prontamente arrestato.
— Cosa vuoi fare, Hong?...
— Inseguirli e ucciderli, — rispose il chinese, risolutamente.
— Puoi cadere in una imboscata; forse quegli uomini non sono soli, e poi anche uccidendoli non salveresti la tow-mêng di Tseng-Kai.
— Non hai udito le ultime parole del pescatore?... «La fanciulla mi preme.» Per Fo e Confucio!... Finchè sarò vivo io, quel furfante non ti toccherà.
— Non mi ha ancora in mano, Hong. Pensiamo invece a salvare Tseng-Kai dal tradimento ordito dai pirati. Se la tow-mêng si arena, i chinesi sono perduti.
— Che cosa fare?...
— Bisogna avvertire Tseng-Kai.
— Chi ci andrà?...
— Io, Hong.
— Tu!... — esclamò il chinese. — E credi che io ti lascerei attraversare di notte la foresta, la quale può essere occupata dai pirati?...
— Allora andrai tu, ed io rimarrò qui a vegliare su Sheu-Kin e Pram-Li.
— Per farti prendere da quel birbante?... Oh mai!...
— Ma allora, cosa mi consigli di fare?
— Ci andremo assieme, perchè io non voglio abbandonarti.
— Ed i nostri compagni?... Non possiamo portarli con noi, nè abbandonarli qui.
— Per Fo e Confucio!... — esclamò il chinese, battendosi la fronte. — Ho trovato!... Possiamo avvertire Tseng-Kai del tradimento e salvare anche questi due dormiglioni.
— In qual modo, Hong?... Parla, affrettati; i minuti sono preziosi.
— Andremo a nasconderli in qualche fitta macchia; poi domani verremo a cercarli.
— E le pantere ed i gattopardi?...
— Speriamo che li risparmino; noi non possiamo fare di più. Arma il fucile ed attendimi. —
Passò nella cucina, aprì la porta con precauzione ed uscì inoltrandosi nella foresta. La sua assenza durò pochi minuti, e quando ritornò sembrava lietissimo.
— I pirati si sono allontanati ed ho trovato un luogo dove nascondere i nostri compagni, al sicuro anche dai denti delle belve. Seguimi, Than-Kiù, apri bene gli occhi e fa’ fuoco su qualunque persona vedi. —
Afferrò Pram-Li e lo sollevò con tutta facilità, essendo dotato d’una forza erculea, poi uscì seguìto dalla giovanetta che teneva il fucile imbracciato, per essere pronta a difendere i compagni.
Il chinese lasciò la macchia, scese la riva del fiumicello, entrò nella corrente tenendo ben alto Pram-Li, essendo l’acqua profonda più di un metro e mezzo, e si diresse verso un’isoletta boscosa che sorgeva trenta passi più innanzi.
Depose il compagno in mezzo ad un macchione di banani selvatici, le cui foglie gigantesche erano più che sufficienti per nasconderlo agli sguardi più acuti, poi tornò sollecitamente nella capanna e vi trasportò Sheu-Kin. Durante quella gita i due poveri addormentati non avevano fatto il più piccolo gesto, il che provava che la dose d’oppio somministrata loro dall’astuto pescatore, doveva essere stata ben forte per ridurli in quello stato.
Ciò fatto, Hong raggiunse Than-Kiù che era rimasta sulla riva, e le disse:
— Ora possiamo partire. I gattopardi e le pantere nere hanno troppa paura dell’acqua per andarli a divorare su quell’isoletta. Domani verremo a riprenderli ed a pagare con del buon piombo l’ospitalità di quel brigante di pescatore. Sta’ sempre vicina a me, Than-Kiù, e non temere. Se sarà necessario mi farò uccidere, ma tu non cadrai nelle mani dei pirati.
— Grazie, Hong — rispose la giovanetta. — Tu sei un valoroso. —
Un lampo d’orgoglio brillò negli occhi del chinese, udendo quelle parole uscire dalle labbra della sorella dell’eroe degli uomini gialli.
— Sì, — diss’egli, — mi farò uccidere, ma tu giungerai alla tow-mêng. —
Si mise il fucile sotto il braccio, dopo d’aver cambiata la cartuccia per tema che l’umidità della notte l’avesse guastata, e fece cenno alla giovanetta di tenersi presso di lui dicendo:
— Questo corso d’acqua deve mettere nel Talajan a non molta distanza dalla foce, quindi seguendo le sue rive noi non correremo il pericolo di smarrirci. —
Si misero entrambi in marcia, tenendosi sul margine della foresta, girando gli sguardi in tutte le direzioni per non venire sorpresi, e procurando di non far rumore.
Essendo la riva del fiumicello bassa e quasi uguale, senza rocce e senza crepacci, potevano procedere rapidamente, senza essere obbligati ad aprirsi il passo fra la massa intricata dei vegetali. Tenendosi poi presso l’acqua, avevano inoltre il vantaggio, in caso di pericolo, di poter attraversare il fiume e di porsi in salvo sull’opposta riva.
Nessun essere umano si scorgeva nè da una parte nè dall’altra del corso d’acqua, ma in mezzo alla foresta, fra la fitta oscurità del fogliame, si udivano dei rumori continui che facevano trasalire Hong e la valorosa giovane, quantunque entrambi non fossero persone da spaventarsi così facilmente.
Si udivano agitarsi le fronde, sebbene non soffiasse alcun alito di vento; poi dei rami scricchiolare e spezzarsi bruscamente, come se qualche animale avesse cercato, con una fuga precipitosa, di sottrarsi a qualche repentino assalto; quindi dei fruscìi misteriosi, dei miagolìi soffocati, dei mugolìi sordi. Certamente sotto quei grandi vegetali, in mezzo alle tenebre profonde, gli animali da preda facevano le loro scorrerìe, e qualche urlo improvviso, o qualche bramito straziante, indicavano che le sanguinarie pantere ed i feroci gattopardi avevano atterrato o qualche grosso cignale, o qualche cervo, o avevano sorpresa qualche banda di scimmie.
Hong e la sua compagna non si arrestavano però, anzi affrettavano il passo, per giungere alla tow-mêng prima che i pirati si fossero radunati per assalirla.
Ad un tratto il chinese, che camminava dinanzi, si fermò dietro le grosse radici di un mango, le quali si protendevano verso il fiume, formando delle bizzarre arcate.
— I pirati? — chiese Than-Kiù.
— No, — rispose Hong, — vi è un avversario forse più pericoloso e che sembra disposto a chiuderci il passo. Guarda presso il tronco di quell’albero.
Than-Kiù guardò nella direzione indicata, e vide ai piedi d’un colossale tek, il quale cresceva presso la riva del fiume, due punti luminosi, a luce verdastra, che brillavano fra le tenebre.
— Un gattopardo?... — chiese, senza manifestare la menoma apprensione.
— Od una pantera nera, — rispose Hong.
— Che ci assalga?...
— Pare che ne abbia l’intenzione, Than-Kiù.
— Fortunatamente abbiamo dei buoni fucili.
— Che non possiamo adoperare.
— Perchè, Hong?
— Perchè alle detonazioni accorrerebbero i pirati, e tu verresti presa, mentre io non lo voglio, dovessi sfidare la morte, mi comprendi, Fiore delle perle? — disse il chinese, marcando le ultime parole. — Io ho paura del malese che forse ti ama.
— E che importa?...
— Ma nelle sue mani tu saresti perduta, — disse Hong, con voce sorda.
— Per Romero?...
— Per lui... e forse per altri.
Than-Kiù, stupita di quella inaspettata risposta, stava per chiedere al chinese cosa volessero significare le sue parole, quando un sordo brontolìo che veniva dalla parte ove sorgeva il colossale tek, la fece ammutolire.
La belva, per un istante dimenticata, pareva che volesse avvertirli che cominciava ad inquietarsi.
— Than-Kiù, — disse Hong, con una viva emozione. — Sta’ dietro di me, e qualunque cosa mi accada, non esporti agli artigli di quella fiera.
— Cosa vuoi fare, Hong?... — chiese ella con ansietà. — Tu vuoi esporre la tua vita per salvare me.
— Accopperò la belva col calcio del mio fucile.
— Sei pazzo?... Siamo in due.
— Sfiderò la morte io solo, per salvare il Fiore delle perle. —
Ciò detto, senza attendere altre parole, fidente nella propria forza erculea e nella propria audacia, l’intrepido chinese mosse risolutamente contro la belva, impugnando con ambe le mani la canna del fucile.
Than-Kiù, sorpresa da tanto coraggio, era rimasta immobile, col dito sul grilletto della sua arma, risoluta a far fuoco se avesse veduto il compagno in pericolo, la detonazione avesse dovuto attirare tutti i pirati dei dintorni.
La fiera, vedendo appressarsi l’avversario, era balzata sulla riva, mostrandosi intieramente.
Era uno di quei superbi pardi nebulosi che i malesi chiamano kariman-dahan, animali che hanno il corpo assai allungato, le gambe corte e robuste, armate di potenti artigli, la testa piccola, cogli orecchi arrotondati ed il pelame lungo, morbidissimo, lucente, per lo più grigio bruno, a macchie e striature nere.
Hanno le forme delle tigri, sono però più piccole, non essendo più lunghe di un metro e dieci o quindici centimetri, nè più alte di ottanta o novanta. Tuttavia sono del pari feroci e dotate d’una agilità straordinaria che permette loro di arrampicarsi anche sugli alberi.
Hong s’era subito accorto con quale formidabile avversario aveva da lottare, eppure non si era arrestato, deciso a quanto pareva, a sacrificare la propria vita per salvare quella del Fiore delle perle. Era però diventato più prudente e si teneva presso i tronchi degli alberi per potere, nel caso d’un improvviso attacco, sfuggire al salto repentino ed irresistibile della fiera.
— Hong!... — esclamò Than-Kiù, vedendo che continuava ad avanzarsi verso il pardo.
— Non temere, — rispose il chinese, con voce che non tremava.
Il pardo nebuloso, vedendoselo a dieci passi di distanza, si era accovacciato su sè stesso, come se si preparasse a spiccare il salto, e fece udire un grido breve e rauco.
Ad un tratto scattò descrivendo una fulminea parabola e cadde là, dove un secondo prima si trovava l’ardito chinese. Questi, con una mossa del pari fulminea, si era gettato dietro al tronco d’un sagu, poi era balzato innanzi, piombando sulla belva prima che questa, stupita di aver mancata la preda che credeva ormai di tenere fra gli artigli, avesse avuto il tempo di spiccare un secondo salto.
Il calcio del fucile, maneggiato da quelle braccia robuste, piombò con impeto terribile sul cranio del gattopardo, il quale risuonò come una zucca vuota od un vaso fesso.
Il calcio volò in schegge, e la fiera cadde al suolo stordita e forse mezza accoppata.
Than-Kiù, vedendo Hong quasi inerme, non essendogli rimasta fra le mani che la canna del fucile, inutile quanto un bastone, aveva gettato un grido di terrore ed aveva alzata l’arma per far fuoco. Il chinese contava invece ancora sulla propria forza.
Lasciò andare la canna, afferrò la belva per la lunga coda e con uno sforzo da titano la rovesciò nel fiumicello.
Than-Kiù si era affrettata ad avvicinarsi al chinese, il quale contemplava tranquillamente il gattopardo che si dibatteva fra i gorghi, cercando di salvarsi sull’opposta riva.
— Grazie, Hong, — gli disse con voce commossa. — Tu sei valoroso come mio fratello. —
Il chinese si volse e guardandola fissa, le chiese con un accento strano:
— Credi tu che Romero avrebbe fatto di più?...
— Perchè mi fai questa domanda? — chiese la giovanetta con stupore.
— Supponi che sia un capriccio.
— Ebbene... no, Hong, — rispose ella.
— Grazie, Than-Kiù, — disse il chinese.
— Mi ringrazi tu, mentre hai giuocato la tua vita per salvare la mia!...
— Avrei ucciso dieci gattopardi per conservare il Fiore delle perle.
— Una povera giovane.
— La sorella di Hang-Tu e...
— Finisci, Hong. Tu volevi dire qualche cosa ancora.
— Partiamo, — disse il chinese, bruscamente. — Dobbiamo ora salvare Tseng-Kai. —
Raccolse la canna del fucile e si mise rapidamente in cammino, come se avesse voluto impedire alla giovane chinese d’interrogarlo.
Dovevano allora trovarsi presso la foce del fiumicello, poichè la corrente era diventata più rapida, e al di là della boscaglia si udiva, ad intervalli, un sordo mormorìo che pareva prodotto dal frangersi d’una massa d’acqua.
La loro supposizione era infatti vera, perchè dieci minuti più tardi si trovarono sulla riva del Talajan.
Hong guardò il fiume, tese gli orecchi, e non vide, nè udì nulla.
— Giungeremo prima dei pirati, — disse a Than-Kiù. — Se non m’inganno, fra un quarto d’ora noi saremo a bordo della tow-mêng.
— È necessario attraversare il fiumicello, — osservò la giovane.
— È vero, ed io ti porterò sull’opposta riva senza bagnarti.
Il chinese la sollevò come fosse una piuma, le raccomandò di aggrapparglisi al collo, poi entrò risolutamente in acqua, senza pensare che su quel fiume vi potevano essere dei coccodrilli.
L’acqua era profonda un metro e mezzo, e così rapida, da rendere il passaggio tutt’altro che facile, ma Hong era forte come un toro e opponeva ai gorghi il suo robusto dorso, senza vacillare.
Non avanzava però senza aver prima tastato il fondo e ben posato il piede, per tema di perdere l’equilibrio, e si studiava di non bagnare nemmeno i piedi della giovane chinese. Certi momenti, sia che avesse paura che gli scivolasse dalle braccia o per istinto, se la stringeva fortemente al petto, ed allora Than-Kiù sentiva che quelle braccia poderose, che avevano poco prima vinto il formidabile gattopardo, tremavano come quelle d’un fanciullo.
— Sei stanco, Hong? — gli chiese Than-Kiù.
— No, — rispose il chinese, con voce soffocata. — È nulla. —
Con un ultimo sforzo attraversò la distanza che lo separava dalla riva e guadagnò il margine della foresta. Prima di deporre a terra Than-Kiù, parve che esitasse.
— Hai udito qualche rumore? — chiese la giovanetta.
— No, Than-Kiù — rispose Hong. — Mi sembravi così leggera, che t’avrei portato volontieri fino alla giunca. —
Than-Kiù sorrise, ma non rispose, e si mise a camminare dietro a Hong, il quale s’apriva faticosamente il passo fra quel caos di ebani verdi, di legni del ferro, così chiamati perchè le loro fibre sfidano le migliori lame, di latanie, di cocchi, di tamarindi, di pandami e di manghi che intrecciavano confusamente i loro rami e le loro foglie gigantesche.
Dopo d’aver costeggiato per qualche tempo la riva, Hong si fermò, additando a Than-Kiù una massa nera che galleggiava in mezzo al fiume.
— La tow-mêng? — chiese ella.
— Sì, la giunca di Tseng-Kai.
— Budda li ha protetti, — mormorò la giovane.
Poi volgendosi verso Hong e stringendogli la mano, gli disse con voce dolce:
— Grazie ancora, mio amico; Than-Kiù non dimenticherà mai questa notte. —
Quindi guardandolo fisso e posandogli le mani sulle spalle, aggiunse:
— Tu sei leale.
— Cosa vuoi dire con queste parole? — chiese Hong.
— Tu mi hai compresa... tu, che mi ami, — mormorò ella.
— Sì, ma senza speranza, perchè Romero ti ha spezzato il cuore, è vero, Than-Kiù? — chiese egli con profonda tristezza.
La giovane chinese gli mise un dito sulle labbra come per impedirgli di proseguire e scese la riva dicendo:
— Andiamo, mio fedele amico: avremo appena il tempo per prepararci alla difesa. —
Note
- ↑ Capo.