I divoratori/Libro secondo/XIV
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XIV.
— Fräulein, non ho più denari. Non posseggo in tutto il vasto mondo neppure la meschina e trascurabile moneta che si chiama un soldo.
E Nancy, che prendeva il thè nel piccolo giardino del Gartenhaus a Staten Island, sorseggiò compunta la profumata bevanda nelle nuove tazze ad orlo viola di Fräulein Müller.
— «Ach! was sagst du»? — disse Fräulein.
E per molto tempo si videro le sue labbra muovere in astruso calcolo multale. Poi disse:
— Posso darti quarantasette dollari.
Nancy depose la sua tazza, e si chinò in avanti a baciare la lanuginosa guancia di Fräulein.
— Caro angelo, — disse. — E poi?
— Poi cosa? — chiese Fräulein.
— Appunto, — disse Nancy.
Fräulein riflettè a lungo.
— Come si può fare? — disse.
Nancy fece un piccolo gesto scorato.
— Da tuo marito nessune nuove?
— Nulla, — disse Nancy.
Fräulein sospirò. Poi disse:
— Non c’è che una cosa da fare. Tu e la bambina, verrete a stare con me. Manderò via Elisabeth, che del resto è una ragazza sbadata che ha già rotto due piatti e un vetro di lampada; e voi, care, rimarrete qui. Bisognerà vivere con economia. — Fräulein, che aveva sempre vissuto con quel magro e disaggradevole ospite, tossì e assunse un’aria grave di persona positiva. — Sì, sì, sarò molto contenta di sbarazzarmi di quella balorda di Elisabeth.
Nancy la cinse col braccio e la ribaciò. Poi disse:
— Non ho che una àncora di salvezza.
— Che cos’è? — chiese Fräulein.
Stavolta fu Nancy che tossì. Poi disse:
— C’è.... vi sono.... in Europa.... una.... delle persone che s’interessano a me, cioè ai miei scritti. Forse mi aiuterebbero, se mi recassi da loro.
— Certamente, — disse Fräulein. — Dovresti andar subito. Io intanto terrei qui Anne-Marie. Così non dovrebbe interrompere le sue lezioni di violino.
— Oh Dio! — esclamò Nancy, — dovrei lasciar qui Anne-Marie? — E sospirò profondamente. — Lo so che non deve interrompere le sue lezioni.... ma come vivrò io senza di lei? — E dopo una pausa disse: — Credi proprio che farei bene ad andare?
— Ma senza dubbio, — assicurò Fräulein che si vantava di avere molto senso pratico. — Una casa editrice come quella di cui parli, non farà mai niente senza vederti e conferire con te. Io so come sono le case editrici.... Ma bada, bada veh! che non t’imbroglino!...
Nancy sorrise.
— Starò attenta, — disse.
— Oh sì, cogli editori — disse Fräulein — si ha un bel star attenti...
E qui Fräulein Müller ripetè un discorso che aveva già fatto molti anni prima, a Wareside, quando Nancy aveva scritto la sua prima poesia. E Fräulein, rammentando quel tempo, si sentì tutta commossa. Rievocò il giorno — era la domenica di Pasqua — c’era ancora il povero vecchio Nonno... Fräulein credeva persino di ricordarsi ancora quei versi, i primi versi di Nancy. Erano splendidi! E Fräulein li citò molto commossa:
Stamane nel giardino |
— Non posso dire che li trovo molto belli, — disse Nancy, ridendo.
— Forse non erano proprio così, — disse Fräulein. — Anzi credo che non erano proprio «uccellin», erano forse «rime»...
E Fräulein ritentò:
Stamane nel giardino |
— Perchè volavano? — chiese Nancy.
— Non so, — disse Fräulein, coll’occhio vitreo di chi cerca rammemorare qualche cosa. — Forse sbaglio in qualche piccolo dettaglio. Ma ti accerto che erano bellissimi. E tu eri una bimbettina piccola, piccola come Anne-Marie.
— Ascolta Anne-Marie! — disse Nancy, accennando alla finestra aperta della saletta da pranzo.
Anne-Marie non aveva voluto venire neppure per due ore al Gartenhaus senza il suo violino. E adesso si era chiusa nella sala da pranzo a studiare. Ripeteva molto piano una piccola ninna-nanna, lieve e dolce, e perfettamente intonata.
— Quella è un vero Wunderkind, — disse Fräulein. — Un vero prodigio!...
Così l’aveva chiamata anche Markowski appena l’aveva veduta scossa da pianto convulso quando egli suonava. Aveva detto:
— Questa è un Wunderkind. Le insegnerò il violino.
Difatti l’indomani era venuto, portando un piccolo violino di mezza misura che pareva il morto Guarnerius, risuscitato e malconcio. Poi aveva dato ad Anne-Marie la sua prima lezione.
La lezione fu lunga, e Anne-Marie ne emerse con le guancie infocate e gli occhi sdegnosi. Una profonda ira le bruciava il cuore.
Perchè nel violino di Markowski c’era una cosa che cantava — un uccelletto o una fata o una sirena — e nel suo brutto piccolo violino non c’era?
— Sta buona, sta buona, — diceva Markowski, scotendo le ciocche di capelli neri che gli spiovevano sugli occhi veementi, — aspetta! Uno di questi giorni anche nel tuo violino ci saranno gli uccelletti e le fate... E canteranno per te. Adesso studia la scala di sol.
Allora Anne-Marie aveva studiato la scala di sol, con immenso stupore di Nancy, che non credeva che in una lezione si potesse imparar tanto.
In dieci lezioni Anne-Marie aveva imparato quindici scale e una ninna-nanna. E poi, in due mesi aveva imparato ciò che gli altri bambini imparano in due anni. Così diceva Markowski sempre più agitato e veemente; e dava delle lezioni sempre più lunghe, e veniva tutti i giorni, invece di due volte alla settimana come era stato convenuto.
— Io non so più cosa vi devo, — gli disse Nancy. — C’è molta confusione nei nostri conti. La lezione di oggi era di due ore: dunque equivale a una settimana. E ieri anche... E avant’ieri? Non so più. Mi pare che siate sempre qui.
— Non importa, non importa, — disse Markowski, agitando le lunghe mani, — mi pagherete un altro giorno. — E, ricordando ciò che aveva udito da George riguardo alle loro condizioni finanziarie, soggiunse: — Potrete pagarmi quando la bambina vi suonerà la Chaconne di Bach.
— Va bene, — disse Nancy, tranquilla, pensando che questo volesse dire tra otto o dieci giorni.
E vedendo Markowski torcersi in silenziosa ilarità mentre riponeva il violino, lo credette un po’ pazzo.
Fräulein Müller fece tutto un giorno e metà d’una notte degli astrusi calcoli di divisione e sottrazione in un suo taccuino; all’indomani mattina si recò a New York a trovare Nancy in Lexington Avenue.
— Io ti posso dare ottanta dollari, — disse. — Ti basteranno per fare il viaggio in Europa e andare a vedere i tuoi editori?
Sì, sì; Nancy era persuasa che basterebbero. E Fräulein era un angelo! E grazie, oh, grazie!
— Naturalmente, — disse Fräulein di cui il senso pratico era velato da un nebuloso romanticismo, — questa gente sarà felice di darti qualche migliaio di lire anticipate, anche se il manoscritto non è pronto.
— Spero, — disse Nancy con gli occhi bassi.
— E bada di avere un contratto in regola. Farai bene a fartelo fare dal console o da un magistrato, — disse Fräulein, di cui le idee erano vaghe.
E Nancy promise che così farebbe.
Dunque Fräulein s’avviò frettolosa alla Banca tedesca-americana e ritirò gli ottanta dollari; e qualche cosa di più, perchè Anne-Marie sarebbe venuta a stare con lei, e per Anne-Marie ci volevano delle cose un po’ buone da mangiare: delle minestre col brodo ristretto e dei piatti dolci... Il pensiero dei piatti dolci che darebbe ad Anne-Marie le fece cercare in fretta il fazzoletto, perchè sentiva di dover piangere.
— Un giorno sarà riso al latte con prugne cotte; e un giorno sarà charlotte di mele; e un giorno sarà semolina... o anche tapioca... — e Fräulein Müller si asciugò gli occhi, e s’affrettò coi suoi ottanta dollari per Nancy.
Ma ecco che accadde l’inaspettato. Nancy non volle partire. Ogni giorno trovava una scusa nuova per non aver fatto i suoi bagagli, e per non essere andata a fissare la sua cabina. Fräulein s’impazientiva.
— Ma vediamo; cosa ci vuole a mettere nel baule le tue poche cose? Il vestito bleu marino va benissimo per il viaggio. Poi, hai quello grigio e nero a righette che non ti sta molto bene, ma è serio. È proprio quel che ci vuole.
— Credi? — sospirò Nancy.
— Ma sicuro, — disse Fräulein, — per andare a parlar d’affari bisogna essere vestita in modo adatto. Guai se tu arrivassi lì in tolette frivole ed eleganti... Non ti prenderebbero sul serio. No, no, tu devi essere una donna metodica e inflessibile: anche nel vestire.
— Già, — disse Nancy, con un pallido sorriso.
Appena Fräulein fu partita, Nancy scrisse un bigliettino a George.
George venne l’indomani, all’ora della colazione, e domandò di lei.
Nancy lasciò a tavola Anne-Marie — che mangiava con molte smorfie l’«oxtail soup», una broda nera e glutinosa, — e s’affrettò a entrare nel salotto dove George, timido e lungo, la aspettava.
— George, — disse Nancy, trattenendo fra le sue la mano fredda e umidiccia del giovane, — ho bisogno di denari. Di molti denari.
La stretta di George si rallentò, ed egli ritirò la mano da quella di Nancy. Poi si tirò pensoso la barbetta, recente e non riuscitissima, che aveva coltivato sul mento fuggente.
— Allora, indovino, — disse George, coll’intercalare americano, — indovino che bisognerà darvene.
— Ma me ne occorre tanto! — disse Nancy, — Duecento o trecento dollari, o quattrocento...
— «Stop»! — disse George. — Se andate avanti così non posso starvi dietro.
E tornò a tirarsi la barba.
— Oh George! Come siete buono! come siete caro!
E Nancy gli afferrò la fredda mano moscia e la strinse con fervore.
— Il peggio è — disse George — che non so dove andarli a cercare. Penso che per l’appunto...
— Oh non me lo dite! Non voglio sapere! — E Nancy si coprì con gesto vezzoso le orecchie. — Preferisco molto di non sapere. Non me lo direte, vero? So che non ruberete, nè assassinerete nessuno! E grazie, caro, caro George! E addio!
Nancy, seguendolo cogli occhi dalla finestra, lo vide saltare sul «cable-car» che andava nella città bassa, e notando le sue spalle cadenti e il suo povero cappello a buon mercato, ebbe molti rimorsi, e sentì di essere un avoltoio e un’arpìa.
— È «Quella delle Lettere» che mi demoralizza, — disse Nancy fra sè.
Il lunedì seguente egli le portò quattrocento dollari, e Nancy versò delle leggiadre e limpide lagrime accettandoli; e non volle sapere da dove venivano; e gli fece molti gesti graziosi e molte irresistibili fossette.
Faceva già la parte di «Quella delle Lettere». Voleva esercitarsi... E con George il risultato fu immediato e stupefacente. Anzi, lo fu a tal punto che Nancy dovette subito smettere di essere Quella, e tornare a essere sè stessa. E allora George se ne andò.
E Nancy uscì e si comprò delle vesti; ma non delle vesti rigide e inflessibili. Comprò delle vesti fragili e fini, e delle vesti morbide e lunghe, e delle vesti diafane e deliziose. Comprò dei grandi cappelli flosci a lunghe piume; dei cappelli che nessuno prenderebbe sul serio. E poi comperò delle scarpe in cui era quasi impossibile camminare. Poi comperò della «crème des crèmes» per la sua faccia; e della «crème de beauté» per le sue mani, e della vernice rosata per le sue unghie, e dell’unguento di violetta ambrata per i suoi capelli.
E quando ebbe tutto ciò fu contenta; e aspettò che lo Sconosciuto le riscrivesse: «Vieni!»
Ma la lettera non venne. Passò un giorno. E un altro. Ed egli non scrisse.
Passò una settimana. E un’altra. Ed egli non scrisse.
E Nancy era lì, seduta nella sua pensione, coi suoi vestiti, e i suoi cappelli, e le sue «crème des crèmes». Gli interi quattrocento dollari di George, più quindici degli ottanta dollari di Fräulein erano dileguati.
Nancy stava tutto il giorno seduta a guardar dalla finestra, immersa nei suoi pensieri. Cosa doveva fare? Riscrivere allo Sconosciuto? No. Era stata lei a scrivergli per l’ultima. Egli non aveva risposto. Doveva telegrafargli? E per dirgli che cosa? E dove? dove? Forse era già al Transvaal. Già; Nancy sentiva che era al Transvaal. Lo sentiva proprio; quando sentiva una cosa a quel modo, non sbagliava mai.
Dunque era finito. Finito tutto. La graziosa storiella romantica era terminata come doveva, esteticamente, senza il banale scioglimento dell’incontro. Era proprio come Nancy lo aveva desiderato. Sì, sì; Nancy era contentissima che fosse finito così.
E adesso, che ne avverrebbe di lei? Ella si diceva mille volte al giorno che doveva essere stata pazza a prendere in prestito tutti quei denari; a comperarsi quelle insensate vesti, quegli assurdi e ridicoli cappelli! Ed ora, che cosa doveva fare? Un gran terrore la invase: uno spavento indicibile davanti all’esistenza e all’avvenire. E pensò che sarebbe stato meglio, se fosse anche lei nel piccolo cimitero di Nervi, tra sua madre e suo padre, a dormire nel buio, con tranquillo viso rivolto in su, e placide mani congiunte... Sì, sì! Nancy era veramente molto contenta che le cose fossero finite così!
Ed ecco che a metà della terza settimana arrivò un telegramma. Proveniva da Parigi.
«Perchè non pranzeresti con me giovedì prossimo da Voisin?»
Era appunto giovedì.
Nancy ritelegrafò:
«Perchè no? Alle otto?»
«Nancy».
Oh, che eccitamento allora, che agitazione! I bagagli da fare, e i telegrammi da mandare a Fräulein! Che gioia, che fretta, che confusione!
Nancy, ogni momento, lasciava lì tutto, e si sedeva, esclamando:
— Forse non dovrei andarci!
Poi balzava in piedi, febbrile, al pensiero che domani a quest’ora il battello partiva.
L’indomani mattina alle dieci arrivò Fräulein, commossa e agitata al pensiero di condur via la bambina. Portava in braccio un piccolo foxterrier, un regalo per Anne-Marie, «perchè non piangesse»!
— Perchè dovrei piangere? — chiese Anne-Marie, colla durezza propria alla sua tenera età.
— Ma già! cosa viene in mente a Fräulein? — disse Nancy, mentre a lei cadevano fitte le lagrime dagli occhi. E in ginocchio davanti alla bambina le allacciò la giacchetta. — Tanto, la mamma tornerà presto, presto.
— Naturale, — disse Anne-Marie tenendo stretto sotto al braccio il cagnolino, e alzando in aria un piede per farsi allacciare la scarpa.
— Baderai, vero, Fräulein? a non lasciarle prendere dei raffreddori, — singhiozzò Nancy, china sopra la scarpetta, che baciò quando l’ebbe abbottonata.
— No, no, — disse Fräulein, raggiante. — Le metterò delle maglie di Jaeger e non la condurrò a passeggiare che quando c’è sole.
La seconda scarpetta fu abbottonata e baciata. Poi fu messo il cappello, coll’elastico davanti alle orecchie. E i guanti, dov’erano? Sì, sì, in tasca. Il fazzoletto? Sì. E i sorci? Quelli li portava Fräulein, che aveva anche il violino, e il rotolo della musica, e la valigetta.
Il baule di Anne-Marie era già da basso sulla carrozza. Eccole pronte.
— Tesoro, vuoi darmi il cagnolino da portar giù? — disse Nancy, con un gruppo in gola. — Così per le scale posso tenerti la cara manina.
— No, no, grazie! — disse Anne-Marie. — Il cane lo porto io. Tu tieniti alla ringhiera.
E s’avviò lesta col cagnolino in braccio, dietro a Fräulein. E Nancy, muta, la seguì.
Fräulein, scendendo le scale, tremava, pensando al momento del distacco. Certo Anne-Marie avrebbe pianto e strillato nel dire addio a sua madre, e sarebbe stato terribile di fare tutto il viaggio a Staten Island con a fianco una lagrimosa e stridula Anne-Marie.
Per distrarla, fin d’ora, Fräulein pensò a trovare un nuovo argomento di conversazione.
— Avrai il tuo piatto dolce tutti i giorni, — disse volgendosi indietro sul secondo pianerottolo a sorridere ad Anne-Marie, mentre il violino, impigliandosi nella ringhiera, per poco non le fece cader di mano la gabbia dei sorci e il rotolo di musica e la valigetta. — Un giorno sarà riso al latte con frutta cotta, un altro giorno sarà la tapioca...
— Non mi piace la tapioca, — disse Anne-Marie scendendo a saltellini la scala, — non mi piace niente di tutte quelle cose.
Erano alla porta. Dietro preghiera di Nancy, nessuno era venuto fuori a salutarle. Ma tutti i pensionanti ch’erano in casa stavano ad osservarle dietro le tende del salotto.
— Allora, cosa ti piace per il tuo dessert? — disse Fräulein scendendo la breve gradinata di sasso a fianco della piccina; Nancy, sola, veniva dietro a loro.
— Mi piacciono le caramelle per la tosse, — disse Anne-Marie, — e le sardine; e la gelatina di fragole. E niente altro, — soggiunse, recisa; mentre il chasseur e la cameriera che aspettavano sul marciapiedi, la issavano nella carrozza.
Fräulein entrò dietro a lei con i molti pacchi; e il cagnolino abbaiò vedendo i sorci.
— Addio, Anne-Marie! Addio, mio amore, — disse Nancy, soffocando il pianto, e sporgendosi a baciarla, con grande difficoltà, traverso Fräulein, e il violino, e i sorci che Fräulein teneva in grembo. — Iddio ti benedica. Iddio ti guardi e ti protegga, bimba mia adorata!
Il cane abbaiava in modo assordante. Il chasseur chiuse lo sportello, e la carrozza partì.
Nancy tornò indietro. Lentamente ella salì le scale, e rientrò nelle stanze abbandonate.