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i divoratori 281


E Nancy, che prendeva il thè nel piccolo giardino del Gartenhaus a Staten Island, sorseggiò compunta la profumata bevanda nelle nuove tazze ad orlo viola di Fräulein Müller.

— «Ach! was sagst du»? — disse Fräulein.

E per molto tempo si videro le sue labbra muovere in astruso calcolo multale. Poi disse:

— Posso darti quarantasette dollari.

Nancy depose la sua tazza, e si chinò in avanti a baciare la lanuginosa guancia di Fräulein.

— Caro angelo, — disse. — E poi?

— Poi cosa? — chiese Fräulein.

— Appunto, — disse Nancy.

Fräulein riflettè a lungo.

— Come si può fare? — disse.

Nancy fece un piccolo gesto scorato.

— Da tuo marito nessune nuove?

— Nulla, — disse Nancy.

Fräulein sospirò. Poi disse:

— Non c’è che una cosa da fare. Tu e la bambina, verrete a stare con me. Manderò via Elisabeth, che del resto è una ragazza sbadata che ha già rotto due piatti e un vetro di lampada; e voi, care, rimarrete qui. Bisognerà vivere con economia. — Fräulein, che aveva sempre vissuto con quel magro e disaggradevole ospite, tossì e assunse un’aria grave di persona positiva. — Sì, sì, sarò molto contenta di sbarazzarmi di quella balorda di Elisabeth.

Nancy la cinse col braccio e la ribaciò. Poi disse:

— Non ho che una àncora di salvezza.

— Che cos’è? — chiese Fräulein.

Stavolta fu Nancy che tossì. Poi disse:

— C’è.... vi sono.... in Europa.... una.... delle persone che s’interessano a me, cioè ai miei scritti. Forse mi aiuterebbero, se mi recassi da loro.