I divoratori/Libro secondo/XIII
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XIII.
Fräulein Müller veniva in città tre volte alla settimana per insegnare ad Anne-Marie l’aritmetica e la geografia.
D’aritmetica Anne-Marie capiva poco. Di geografia niente.
Con occhi vacui accennava a due punti sulla carta geografica e diceva: «Skagerrack e Kattegat».
Queste erano le uniche due parole che voleva tenere a mente.
— Ma insomma, — diceva Fräulein, — sei ridicola col tuo Skagerrack e Kattegat. Questa è la Gran Bretagna....
— Perchè è la Gran Bretagna? — chiedeva Anne-Marie distratta, guardando fuori dalla finestra.
E Fräulein, molto depressa, diceva a Nancy:
— No, no. La tua figlia non è niente affatto un genio.
Un giorno George e Peg vennero a trovar Nancy nella pensione di Lexington Avenue. Condussero con loro anche il signor Markowski, timido e unto, col suo violino.
Nel salone, dopo il thè, Nancy pregò il violinista di suonare. Questi si alzò subito; andò ad aprire la cassetta del suo violino e tolse teneramente dal giaciglio di felpa grigio-perla il suo istrumento.
Markowski era polacco, e giovane, e lacero, ma il suo violino era italiano, e vecchio, e prezioso. Markowski aveva un fazzoletto sudicio, ma il violino ne aveva uno pulito, morbido, di seta bianca. Markowski pose un cuscinetto di velluto nero sul collo spelato della sua giacca; vi poggiò sopra il violino, alzò l’arco e chiuse gli occhi: allora Markowski divenne un dio!
Conoscete l’angoscia affrettata della «Sonata in fa» di Grieg? Conoscete le strillanti e scoppiettanti risate della «Ronde des Lutins» di Bazzini? Il lamento ululante e nostalgico dei non scritti canti tzigani? Il battito di piedini alati nel «Moto perpetuo» di Ries?
Tutto ciò avvolse nel suo turbine di note la piccola Anne-Marie.
Ritta in mezzo alla stanza, pallida come un lino, immobile, pareva che la musica le avesse tolto la vita, l’avesse mutata in una piccola morta, rigida e statuaria. Ah! ecco la bianca statuetta neoterica che Nancy aveva cercato di fissare nei suoi poemi!
Gli occhi della bimba erano vaghi e fluidi come acqua azzurra versata sotto le sue palpebre. Le sue labbra scolorite erano socchiuse.
Nancy la guardò. Una subitanea immensa tristezza la invase, un senso cupo e dolente, come se qualcuno le avesse posto un grande sasso pesante dentro al cuore. Quella piccola figura smorta, scolorita, trasfigurata, chi era? Era Anne-Marie? Era la sua piccola Anne-Marie? la bambina stordita e sciocchina che ella accarezzava e sgridava e metteva in letto?... la bambina così insensata per l’aritmetica, così ottusa per la geografia?
— Anne-Marie! Anne-Marie! Parlami!... Che cos’hai! che cosa pensi?
Anne-Marie volse la chiarità sognante dei suoi occhi verso la madre. Ma in quei larghi occhi l’anima sua non c’era.
L’anima di Anne-Marie era lontana.
Lo Spirito della Musica era sceso su lei, e l’aveva avvolta nel turbine delle risonanti ali: l’aveva rapita, involata, sommersa nelle favolose onde del Mistico Mare dei Suoni.