I dintorni di Firenze, volume I/II. Barriera settignanese
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II.
Barriera Settignanese
Itinerario. — Via Settignanese - (Via del Gignoro) - Coverciano - Ponte a Mensola - (Corbignano) - Settignano.
Via di Vincigliata - S. Martino a Mensola - Vincigliata - Castel di Poggio - Ontignano.
Mezzi di comunicazione. — Tranvai Firenze-Settignano. — Diligenze di Ponte a Mensola.
Uffici di posta e telegrafo. — Settignano.
alla barriera, recentemente ricostruita sulla ripa erbosa del torrente Affrico, in sostituzione di quella soppressa per l’ampliamento del piazzale della stazione del Campo di Marte, la via segue per un tratto il corso del modesto ruscello e percorre la località che fin da tempo remoto ebbe il nome di
Monteiatico. — Di questo luogo, che era posto nel territorio della parrocchia di S. Ambrogio, si trovano antichi ricordi nelle pergamene de’ nostri archivi. Nel 1232 Angelotto e Bernardo del fu Guido Giovannini vi possedevano due case e dei terreni che venderono allo Spedale di S. Paolo di Pinti. Nel 1244 il Nunzio del Comune dava il possesso di case e terre a Monteiatico ai procuratori di Domenico e Uberto del fu Pazzo di Cavalcante e nel 1270 Guccio e Bardino del fu Altopaccio cedevano in permuta ai Monaci della Badia fiorentina terre, colti e case in questa stessa località. La strada Settignanese attraversa l'Affrico sopra un ponte di recente costruzione, e percorre un lungo tratto della pianura chiamata di S. Salvi, avvicinandosi poi alle colline di Majano e di Coverciano.
La Torricella ai Passatoi. - Villa Frullani. — È situata a destra della strada e forse ebbe nome da una picola torre situata poco lungi dai passatoi che attraversavano l'Affrico. Era un vecchio possesso della Badia di Firenze che nel 1531 lo vendeva a Raffaello di Giovanni Cardini. Nel 1604 andò in dote ad Alessandra Cardini moglie di Lattanzio Luperelli e nel 1629 gli ufficiali dei pupilli la venderono al cav. Francesco Martelli. Nel 1733 dai Martelli la acquistava Giuseppe di Paolo Maffii i successori del quale la tennero per un lungo corso d’anni. Modernamente apparteneva e serviva di villeggiatura al geniale letterato e poeta cav. Emilio Frullani
Poco dopo la villa della Torricella, si stacca dalla via Settignanese una strada che si chiama del Conservatorio Capponi e che conduce alla località detta il Gignoro o Gignolo.
Pian di S. Salvi o i Tanagli. - Conservatorio Capponi. — Nel 1427 era una casa da signore della potente e ricca famiglia Tanagli, dalla quale passò alla fine del secolo stesso nei Da Filicaja. Nel 1692 pervenne nella famiglia Niccolini che l'ebbe per un lungo seguito d’anni. Nel 1866 vi fu trasferito, da un locale prossimo alla porta a S. Gallo, un conservatorio femminile istituito modernamente dalla famiglia Capponi.
S. Bartolommeo a Gignoro. — È una piccola chiesetta dalle forme severe e caratteristiche del XIII secolo, costruita tutta di pietre conce con una graziosa porticina alla quale sovrasta una finestra bifora.
A cotesta chiesetta era già annesso un monastero di Benedettine, fondato dalla famiglia Baroncelli. Perchè la località era isolata e mal sicura e perchè le monache, profittando forse della libertà che godevano, erano uscite senza licenza fuori del monastero incorrendo nella scomunica, il Vescovo di Firenze, col consenso del patrono Beltramo di Messer Bivigliano Baroncelli soppresse nel 1370 il monastero e lo riunì a quello della Regina del Cielo (detto poi di Chiarito o delle Ammantellate) in via S. Gallo. I Baroncelli però conservarono il diritto di patronato sul monastero di via S. Gallo e sull’antica chiesetta che prima fu eretta in parrocchia, e poi ridotta a semplice oratorio.
Oggi l’oratorio è di proprietà dell’Istituto Evangelico Ferretti.
Palagio o il Rondinello. - Istituto Evangelico Ferretti. —
Villa di antichissima origine che sorge di fianco all’oratorio di S. Bartolo a Gignoro. È di remotissima costruzione, perchè nel 1291 da una pergamena dell’archivio di S. Maria Nuova si rileva come Lapo del quondam Cambio Ghibelli permutasse col rettore di questo Spedale un pezzo di terra con casa grande e altre case, vicino al Monastero di Gignoro, in cambio di altre terre e di una casa grande a S. Maria a Fornello. I Rondinelli ebbero più tardi il possesso di questo luogo al quale dettero il nome loro, mentre nel 1427 la villa era in possesso di Giovanni e Francesco di Giovanni Doffi. Dai Doffi passò poco dopo nei Gherardi, padroni della villa di Poggio Gherardo di qui poco lontana, i quali la rivenderono nel 1496 al conte Rinuccio di Antonio da Marciano. Andò alla fine del secolo stesso in proprietà della famiglia Bonsi la quale la possedette fino al secolo decorso. Da qualche anno è stato qui impiantato l’Istituto Evangelico Ferretti.
Il Pino. - Villa Romanelli. — Questa villa, che è posta lungo la via Settignanese, di fronte ad una cappella modernamente rifatta, era nel 1427 una casa da signore di Giorgio d’Andrea di Tello, dal quale passò per metà in Pagolo di Bernardo Altoviti e per l’altra metà in Messer Niccolò Falcucci medico. Nel 1453 la famiglia Zati comprò la prima metà e nel 1459 l’altra: e dagli Zati, per eredità di Giovan Battista del Senatore Orazio, andò nelle monache di Monticelli ed in quelle delle Murate. Dai due conventi l’acquistò nel 1635 Grazia Canicci e nel 1759 da Cosimo Carucci Fiaschi la comprava Anton-Maria di Giovanni Carocci. Modernamente la villa fu dei Favi e poi dei Fontebuoni.
Il Pozzolino o Malcantone. - Villa Mercatelli. — Fin da tempo lontano, avevano beni in questo piano i Monaci della Badia di Firenze, i quali venderono nel 1532 a Niccolò di Salvatore Della Vacchia medico una casa da signore con podere che il figlio di lui rivendette nel 1549 al cav. Jacopo di Offredo Offredi. Questi l'alienava nel 1594 a Francesco di Vincenzo Tori dal quale la comprava il 2 settembre 1627 Iacopo di Francesco Rossi da Bergamo. Restò la villa per lunghissimo tempo in possesso di questa famiglia e con altri beni costituì la dote di una commenda dell’Ordine di S. Stefano, fondata nel 1774 dal cav. Giovan-Battista di Iacopo Rossi.
Coverciano. - Villa Pepoli. — Posta in un tratto abbandonato della vecchia via Settignanese, era uno fra i possessi che lo Spedale di S. Maria Nuova aveva fin da tempo remoto nei piani di Gignoro e di Coverciano. Nel 1559 la comprava Piero Da Filicaja e dalla suora Francesca Eletta Da Filicaja pervenne nel 1635 nel monastero dell'Arcangiolo Raffaello in Borgo Frediano. Dieci anni dopo, le monache l'alienarono a Matteo di Giovanni Bonciani appartenente ad una famiglia di Rovezzano che ebbe possessi in una vicina località, chiamata da lei «I Bonciani». Nel 1652 l’acquistò Lucrezia Scarpucci nei Canicci la quale la lasciò in eredità alla famiglia Libri che la possedette fino al secolo scorso.
L’Arcolaio. - Villa Dotti Da Filicaja. — È una villa di elegantissima architettura e di belle proporzioni, tanto che per tradizione si dice edificata col disegno di Michelangiolo per commissione di Caterina Gondi. Però se l’architettura può rammentare certe vigorose ispirazioni michelangiolesche, la tradizione non regge di fronte al fatto che al tempo in cui visse Michelangiolo Buonarroti i Gondi non possedevano ancora questo luogo. Difatti Bernardo Gondi comprava il 16 settembre 1599 dai Giudici della Mercanzia un podere già di Francesco di Giovanni Bonciani che aveva appartenuto prima ai Doffi e poi ai Gherardi ed in questo luogo edificò più tardi la villa che in tempi più moderni passò nei Da Filicaja-Dotti.
S. Maria a Coverciano.' — È la chiesa parrocchiale di un piccolo villaggio di remota origine, costituito in gran parte da antiche ville. Il luogo si diceva già Cofercianum. Dell’esistenza della chiesa si fa cenno in documenti di poco posteriori al 1000, ma scarsi e di modesto interesse sono i di lei ricordi. Anche l’edifizio non ha interesse artistico e venne ridotto alla forma presente nel XVII secolo dal quale data pure il portichetto che gli sta dinanzi. Non possiede opere d’arte degne di considerazione.
S. Baldassarre a Coverciano. - Villa Del Turco-Carpanini. — Fu già monastero di monache agostiniane e venne edificato nel 1341 da Turino Baldesi, il quale in omaggio al testamento del fratello Giannetto lo dotò di quattro poderi e di una somma di L. 1200. Nel 1374 anche Piero di Fabbrino Toscanelli lasciò un podere alle monache di S. Baldassarre. Della famiglia Baldesi si veggono gli stemmi sulla porta corrispondente lungo la via ed altri ne esistevano nell’ampia e bene adorna chiesa che possedeva diversi oggetti di un certo pregio artistico. Soppresso nel 1806, il monastero venne poco dopo venduto e ridotto a villa ed a quartieri d’abitazione. Restò la chiesa, la quale veniva ufiziata e servì anche di sepolcreto alla famiglia Rosselli Del Turco proprietaria del soppresso convento. Però nel 1894 aneli’ essa fu chiusa e disfatta e la sua area interna, divisa in più piani servì a creare diversi quartieri d’abitazione. Nel 1900 poi si esumarono anche le ossa delle vecchie sepolture e così ogni traccia dell’antico convento e della chiesa fondata dai Baldesi è oggi scomparsa.
La Palagina o Coverciano. - Villa Francois. — Elegante villa di aspetto moderno situata di faccia alla chiesa di S. Maria, essa apparteneva nel 1427 alla famiglia dei Fabbrini originarj da Pilarciano in Mugello e precisamente a Fabbrino e Niccolò di Ser Stefano. Restò in possesso di questa famiglia fino a’ primi del XVII secolo nel quale l'acquistarono i Gherardi proprietarj della prossima villa di Poggio-Gherardo, e nel secolo successivo fu della famiglia Giunti.
Poggio Gherardo. — A cavaliere della strada Settignanese, sorge sulla sommità d’un piccolo colle in mezzo ad un vago giardino attraversato da un ampio viale, questa villa che conserva l'aspetto d’un vecchio palagio di campagna o meglio d’un castelletto. Le alte mura sono coronate di merli, nel centro del fabbricato s’inalza una torricella e attorno ricorrono solide muraglie a guisa di bastioni. In origine fu difatti un luogo fortificato, perchè le vicende fortunose de’ tempi esigevano che le campestri dimore delle potenti famiglie fossero in caso di resistere agli assalti dei rivali ed alle frequenti scorrerie delle milizie di ventura assoldate dalle repubbliche nemiche. Apparteneva alla famiglia Mancini, in danno della quale i Ghibellini vittoriosi a Montaperti distrussero tre case de’ figli di Guido che sorgevano dentro la cerchia murata. Risarcito dipoi, il Palagio di Corverciano fu de’ Magalotti consorti de’ Mancini e successivamente dei Magaldi e, degli Zati che lo possedevano nel 1427. Nel 1433 lo comprarono i Gherardi dai quali ebbe il nome di Poggio Gherardo. Dal XV secolo fino a’ nostri giorni restò in possesso di questa famiglia, fino a che gli ultimi del ramo Gherardi-Uguccioni lo venderono ai signori Ross proprietarj attuali, i quali hanno convenientemente restaurato ed abbellito quel vago soggiorno. Secondo la tradizione, Giovanni Boccaccio, vagando insieme alle sue novellatrici sulle dolci colline desolane, dove cercava un rifugio ed un conforto ai pericoli ed alle malinconie della pestilenza che desolava là città, si sarebbe fermato tre giorni in questa deliziosa dimora campestre allietata, allora come oggi, dall’incanto de’ fioriti giardini. I Magaldi, quand’erano padroni di questa villa, fabbricarono nelle vicinanze un oratorio intitolato a S. Jacopo del quale non si hanno più tracce. Nel 1321 difatti Meglino di Jacopo ordinava per testamento di costruire cotesto oratorio di S. Jacopo posto nel popolo di S. Martino a Mensola ed in parte in quello di Coverciano e lasciava una casa ed altri beni perchè vi si mantenesse un prete.
Gli esecutori testamentarj rimessero la cosa alla congrega detta dei Preti della Casa di Dio, i quali ottennero nel 1823 dal Vicario del Vescovo la facoltà di erigerlo col consenso delle Monache di S Martino a Mensola. Malborghetto. — Si chiama così un piccolo gruppo di vecchie case poste lungo la via Settignanese. Alcune di queste case appartenevano alla famiglia Teri, altre alle Monache di S. Baldassarre cd altre alla Compagnia di S. Agnese nel Carmine di Firenze.
Belvedere a Malborghetto. - Ufficio Comunale di Fiesole. — Nella piccola villa che sorge al disopra del casale di Malborghetto ha da varj anni posta la sua sede il Municipio di Fiesole, essendo la località parsa più comoda di ogni altra e quasi nel centro alle principali frazioni che costituiscono il vasto comune. Come la maggior parte delle case del sottoposto Malborghetto, l’edilizio appartenne alla famiglia Teri e nel 1427 lo troviamo in possesso di Guelfo d’Agostino e di Teri di Lorenzo Teri. Questa antica famiglia fiorentina ne conservò il possesso fino al XVIII secolo.
Il Cartone - Villa Foggesi — Situata sul canto fra la via Settignanese e la via della Torre, questa villa fu fin da tempo remoto possesso della famiglia Belcari che in Firenze aveva le sue case in via della Vigna Vecchia.
Dalla figlia di Andrea Beicari l'acquistò nel 1570 Lazzaro d’Andrea Cecchini lanajolo il quale la restaurò e vi eresse un tabernacolo che volgarmente fu detto della Vergine di Lazzaro. Per compra passò nel 1704 in Clarice Prias-Galli che la donò nel 1731 a Filippo Neri di Pietro Cartoni. Dal cognome de’ nuovi possessori, che l'ampliarono e la dotarono d’una cappella, venne alla villa che già era detta di S. Martino, il nomignolo attuale di Cartone. Dopo numerosi altri passaggi di possesso, la villa, pervenne nel 1856 nei Poggesi attuali proprietarj.
La Via della Torre prende il nome dalla
Torre Lunga o del Gandi, un edifizio dominato da un alta torre che si disse la Torre Lunga. Era della famiglia Nacci dalla quale passò nelle Monache di Chiarito, poi, nella famiglia Grandi ed ora nella famiglia Fancelli.
Difaccia alla villa del Cartone muove la via di S. Martino a Mensola che percorreremo in seguito, mentre ora proseguiremo per la via Settignanese.
Ponte a Mensola. — È un borghetto, parte costituito da vecchie case, parte da moderne costruzioni, che prende nome dall’antico ponte che cavalca il torrente Mensola il quale ha la sua sorgente nel poggio delle Cave di Fiesole. Le vecchie case appartenevano fino dal XV secolo alla famiglia Betti originaria di questi luoghi.
Diverse vie fanno capo al Ponte a Mensola, fra le quali la vecchia e la nuova strada di Settignano. Prima di salire a Settignano una strada che fa capo al Ponte a Mensola conduce a
Corbignano. — Ridente e pittoresco villaggio che posa su di una collinetta bagnata alla base dai torrenti Mensola e Fossataccio, fu fin da tempo lontano posseduto quasi interamente da una famiglia Betti originaria di questa località, dove esercitava anche l’arte di lavorare la pietra. Ad uno dei tanti rami di questa numerosa famiglia appartenevano Antonio, Giovanni e Andrea figli di Giusto scultori i quali, andati in Francia, ebbero occasione di eseguire molte ed importantissime opere per il Re e per altre cospicue famiglie. Acquistate col lavoro fama e ricchezze, essi non trovarano opportuno far ritorno al natio paesello e rimasti in Francia, costituirono una nuova famiglia assumendo dal nome del padre loro il cognome francese di Les Justes. La totale trasformazione del loro nome fece credere addirittura che essi fossero nè più nè meno che una famiglia di artisti francesi e soltanto pochi anni addietro, il benemerito storico dell’arte Gaetano Milanesi, riusciva a ristabilire la verità ed a restituire al villaggio di Corbignano la gloria di aver dato i natali ai tre celebri scultori.
Corbignano. - Casa Strozzi. — L’edifizio oggi ridotto a case coloniche, fu già villa che appartenne fino dal XV secolo agli Zati. Per dote passò nel 1653 nei Lippi dai quali pochi anni dopo fu venduta agli Strozzi.
Buonriposo o Corbignano. Villa Browne— Ebbe in questo luogo case e podere Boccaccio di Chellino da Certaldo, padre di Messer Giovanni, come risulta da un contratto di vendita fatta nel 1336. Ai primi del quattrocento la casa da signore apparteneva alla famiglia Del Rimba che nel 1472 la vendeva agli Zati. Andò nel 1570 per eredità nei Bettoni,poi nel 1588 nei Benedetti e nel 1618 la comprò la famiglia Berti, detta dipoi de’ Berti Da Vicano che la possedette fino al secolo scorso.
Oratorio della Madonna del Carro. — In origine era un tabernacolo o maestà dove si venerava un’immagine della Vergine col bambino, modellata in terracotta invetrata da Andrea Della Robbia. Il sacerdote Matteo di Domenico Berti con testamento del 1695 fece erigere invece del tabernacolo un oratorio che esiste tuttora. Non vi si vede più l’antica immagine Robbiana, perchè trenta anni addietro venne dal proprietario venduta e sostituita con una imitazione.
Oratorio del Vannella. — Anche quest’oratorio dipendente della parrocchia di Settignano era in origine un tabernacolo o maestà stradale. Contiene un interessante affresco raffigurante la Presentazione di Maria al tempio. Era attribuita tradizionalmente a Fra Filippo Lippi. Però secondo l’Horne ed il Berenson, si tratta invece di un opera del Botticelli.
Il Fossataccio. - Casa Romanelli. — Dalle ricerche eseguite nei vecchi catasti, questa casa, che conserva le tracce della sua vetustà, risulta essere stata la culla del più grande fra gli artisti settignanesi, Desiderio di Bartolommeo detto di Ferro o Geri, più noto col semplice nome di Desiderio da Settignano; e difatti una lapide in onore di quell’insigne artista fu a cura di un comitato apposta in questo luogo. Fu un tempo casa da signore e la possedette la famiglia Mormorai dalla quale passò nei Doni.
Careggi o il Romituzzo. - Villa Westbury. — È tuttora ad uso di villa e fu degli Usimbardi, poi degli Alessandri che nel 1547 la venderono ai Del Pace. Dopo diversi passaggi, nel 1600 pervenne nei Lasagnini che ebbero modesta origine nel popolo di S. Martino a Mensola e che arricchiti coll’esercizio delle arti, ornarono ed abbellirono questa villa fabbricandovi anche una cappella. Da loro passò in seguito nei Micceri e quindi nei Minucci.
Casa al Vento. - Casa Westbury — Oggi è ad uso colonico; ma però era villa e nel XVII fu dei Mancini-Uberti e poi dei Sassi e dei Casini
Percorreremo brevemente la strada che per un tratto segue parallela la riva sinistra del torrente, per giungere a
I Raugi. - Casa Strozzi-Sacrati. — Si chiamò il Palagio de’ Raugi dal nome di quest’antichissima famiglia che lo possedeva nel XIV secolo e dalla quale passò per eredità negli Alberti conti di Fucecchio. Questi l’alienarono nel 1643 ai Pignotti dai quali la compravano gli Strozzi nel 1650, riducendola poi ad uso di fattoria.
Palagio di Querceto. - Villa dei Marchesi Strozzi-Sacrati. — È una villa bella e grandiosa, la quale nonostante le molte riduzioni e le rimodernature subite, conserva tuttora il carattere dell’antico palagio chiuso fra due torri. Era possesso della celebre e potente famiglia degli Strozzi fino dal XIV secolo e per un certo tempo fu proprietà di Maddalena di Carlo moglie del Conte Luchino Novello dei Visconti di Milano. Nel volger de’ secoli la villa fu più volte alienata, ma non uscì mai dalla famiglia Strozzi, la quale in diverse epoche la restaurò, rabbellì e la corredò di comodi annessi. Modernamente era pervenuta nel Marchese Riccardi-Strozzi dal quale passò in eredità negli attuali possessori Marchesi Strozzi-Sacrati del ramo degli Strozzi di Mantova. Annesso alla villa è un oratorio dove si conserva un pregevole bassorilievo dei Della Robbia rappresentante la Vergine che adora il bambino Gesù.
Tornando al Ponte a Mensola e seguendo la via che guida a Settignano, si trova
Belvedere o Belritorno. - Villa Viviani Della Robbia. — In origine si chiamava I Tanagli dal nome della cospicua famiglia fiorentina che la possedeva fino dal XIV secolo. La felice giacitura della villa, dalla quale si gode lo spettacolo meraviglioso della pianura fiorentina le fece cambiare l'antico nome in quello di Belvedere. Nel 1470 passò dai Tanagli nei Morelli e nel 1577, dopo la morte di Cammilla Vettori che l’aveva comprata a vita, essi la venderono a Francesco di Niccolò Cerretani. Da questa famiglia passò nel 1764 in eredità ai Gondi e per identica ragione da questi, successivamente, nei Marchesi Viviani Della Robbia attuali possessori.
La Capponcina o Scacciapensieri. - Villa Viviani Della Robbia — Anche questa villa fu dei Tanagli e nel 1427 era un palagio con pratello e corte di Messer Guglielmo e Domenico di Francesco Tanagli. Nel secolo successivo passò per eredità in Manetta di Giovan Battista Tanagli moglie di Tommaso Del Pugliese e, sempre per ragioni di successione, nel 1608 in Lisabetta di lui figlia moglie di Amerigo Capponi. I Capponi, che possedevano diverse ville sul colle di Settignano e fra le altre quella grandiosa di Gamberaja, debbono aver dato a questa il nome sotto il quale è oggi conosciuta. Pervenne la villa, nel 1658 in Margherita Bargellini moglie del Marchese Lorenzo Capponi e gli eredi di lei l'alienarono nel 1695 al Senatore Francesco del Senatore Giovanni Cerretani. Il possesso segui poi i passaggi stessi della precedente villa di Belvedere.
La villa della Capponcina serve ora di dimora a Gabriele D’Annunzio.
Tamburino o I Giorgi. - Villa dei PP. della Missione. — Fu dimora dei Giorgi famiglia di scalpellini settignanesi. Alla fine del XVI secolo pervenne nei Cinganelli dai quali passò per compra fatta nel 1663 in Salvatore di Bastiano Martini pievano di Remole, il quale la lasciò in eredità alla Religione dei Cavalieri di S. Stefano. Da questa la comprarono l’anno dopo i Bambi, poi appartenne successivamente alle famiglie Rontini, Cerretani e Coletti. Dal capitano Vincenzo Coletti l’acquistò nel 1769 l’Avv. Jacopo Rilli-Orsini che la fece ampliare notevolmente. In epoca moderna fu Bruchi. Oggi appartiene ai Signori della Missione e serve di sede all’Istituto Umberto I per i tardivi. Scopeto o la villa di Michelangelo. - Villa Chiesa. — Celebre per i ricordi che ad essa si connettono è questa villa la quale conserva della sua antica costruzione, la torre, una loggia, e varie parti interne. Del luogo di Scopeto si hanno ricordi fino dall’anno 1260, trovandosi nell’estimo dei danni recati dai Ghibellini vittoriosi a Montaperti in danno dei Guelfi la distruzione d’una casa di Cenni e Cambiozzo di Cambi posta a Scopeto nel popolo di Settignano. Però fino dalla metà del XIV secolo ebbe qui villa la famiglia Simoni che più tardi adottò il cognome di Buonarroti. E la villa appartenne appunto al padre di Michelangelo, il quale fu qui allevato e qui forse, vivendo in mezzo ad un ambiente artistico, si nutrì di affetto per quell’arte della quale egli divenne Divino interprete. Come ricordo di Michelangelo si custodisce gelosamente e si addita all’ammirazione de’ visitatori un satiro che, secondo la tradizione, egli avrebbe disegnato sul muro con un tizzone tolto di sul fuoco.
La villa che ha appartenuto fino ad epoca assai recente ai discendenti del Buonarroti, venne modernamente restaurata e perdette forse molta della preziosa autenticità del suo carattere.
Malconsiglio o Pianerottolo. - Villa Vannini — Era di una famiglia Cecchini dalla quale l’acquistò nel 1698 il Senatore Francesco Cerretani; dipoi fu Cerreti.
Settignano. — Una vecchia tradizione che nel XVI secolo si volle consacrare con un monumento, attribuisce la fondazione di questo villaggio all’Imperatore Settimio Severo; ma le tracce dell’antichità di questo luogo risultanti da iscrizioni e da frammenti di costruzioni appariscono di epoca più remota. E quindi più accettabile la supposizione che l’origine ed il nome di Settignano derivino da una famiglia Settimia che nei tempi più fiorenti della colonia romana di Fiesole ebbe qui i suoi maggiori possessi. Ma questo remoto e dubbioso periodo di storia locale non è certo quello che ha più efficacemente contribuito a render celebre il nome di Settignano. Settignano deve la gloria sua, la sua fama diffusa dovunque agli artisti ai quali dette i natali ed all’arte che in mezzo alle bellezze di questi dolci colli ha avuto per il corso di parecchi secoli un culto fervido e costante. La vicinanza di numerose cave dalle quali si traevano i pietrami per la costruzione e l’adornamento degli edifizj fiorentini, fu la ragione per cui intere generazioni di abitanti di questo villaggio si dedicarono all’esercizio di lavorare la pietra. Cavatori e scalpellini modesti dapprima, i settignanesi sentirono ben presto l'influsso dell’arte che a Firenze passava di trionfo in trionfo: vi si dedicarono e ben presto costituirono qui una vera e propria scuola dalla quale uscirono in gran copia squisite opere di ornamentazione e di composizione. Anzi l’arte de’ maestri Settignanesi ebbe caratteri essenzialmente locali, soprattutto in quanto si riferiva alla parte decorativa, nella quale si conservò costantemente un tipo d’ingenua spontaneità, associato alla perfezione ed al gusto squisito della fattura.
Desiderio di Bartolommeo, il gagliardo scultore del rinascimento, è l’astro luminoso in mezzo a questa innumerevole schiera d’artisti settignanesi e lo seguono da vicino altri due grandi e celebri maestri, Antonio e Bernardo Gamberelli, più conosciuti col soprannome di Rossellino, scultori ed architetti insigni. Il Buonarroti stesso concepì forse a Settignano, dove giovanetto visse nella dimora della sua famiglia, l’amore per l’arte nella quale divenne sommo. Altri settignanesi riuscirono a raggiungere alta e meritata fama nell’arte. Antonio di Giusto Marchissi, Meo di Francesco Del Caprina, Luca di Bartolommeo Fancelli, furon nel XV secolo architetti di alto valore; Simone Raffaello e Valerio Cioli, Antonio Solosmei, Gino, Gio. Battista, Antonio e Stoldo Lorenzi, Domenico Fancelli, Alessandro Balsimelli ed altri emularono i maestri più celebrati nella scultura. Per non diffondersi soverchiamente in questa enumerazione, diremo che in molte famiglie l’esercizio dell’arte era tradizionale e si propagava di padre in figlio, talché sono notissimi nella storia dell’arte i nomi de’ Gamberelli, Del Caprina, Fancelli, Cioli, Lorenzi, Cennini, Danti, Fortini, Giovannozzi, Maiani, Bimbi, Ciottoli e tanti altri. Nè quel culto costante e fervido per l’arte è venuto a mancare nemmeno a’ nostri giorni in cui Settignano ha avuto ed ha dovizia di ornatisti valentissimi. È sempre vivo il ricordo di Giuseppe Sborgi, di Angiolo Marucelli, di David Giustini che nelle loro sculture decorative emularono le doti de’ loro antichi compaesani e tuttora, numerosi altri, in Settignano e fuori, continuano a tenere in vita ed in pregio la secolare tradizione artistica.
Settignano è un villaggio ampio e popoloso che i suoi caseggiati e le sue stradelle pittoresche distende per ogni senso sul colle rigoglioso e ridente, mentre tutt’all’intorno sorgono innumerevoli le antiche e le nuove ville che fanno di questo luogo una delle più frequentate e più animate fra le villeggiature de’ nostri dintorni.
Due piazze costituiscono il centro attorno al quale il paese fiorentissimo va di continuo ad accrescersi di nuove costruzioni. La Piazza Desiderio è stata aperta appositamente per accogliervi il monumento del grande artista opera dello scultore Vittorio Caradossi, inaugurato nel 1904.
L’altra piazza, costituita in parte dall’antica piazza del villaggio è intitolata a Niccolò Tommaseo e in onore del letterato e del patriotta insigne che a Settignano trascorse gli ultimi anni della sua vita, fu inalzata anni addietro una statua opera dello scultore Leopoldo Costoli. Da un lato di questa piazza s’inalza la statua di pietra che dovrebbe rappresentare l’Imperatore Settimio Severo, rozza scultura del 1559 stata modernamente rabberciata.
Chiesa di S. Maria a Settignano. — È d’antichissima origine e se ne hanno ricordi nel secolo successivo al mille. Nel XIV secolo era di patronato della famiglia Baroncelli; ma nei secoli successivi ad essa si sostituirono le famiglie Alessandri, Alamanni, Giugni, Falconieri e Niccolini. Nel XVI secolo la chiesa fu rifatta a tre navate divise da colonne di macigno e coperte da volte. Altri restauri vennero fatti alla fabbrica in tempi successivi ed in specie alla fine del XVIII secolo, perchè essa minacciava rovina. Ultimamente poi essa è stata una volta ancora restaurata e restituita all’antico docoro a cura dell’attuale parroco sacerdote Vittorio Rossi. In questa chiesa esistono le seguenti opere d’arte: una tavola rappresentante la Resurrezione di Gesù Cristo del Manzuoli da S. Friano; una tela raffigurante l’ultima cena di Gesù di Andrea Commodi; alcuni affreschi della maniera del Cigoli attorno alla statua di S. Lucia; altri affreschi di Piero Bandini nella callotta del coro; un gruppo di terracotta invetriata rappresentante la Madonna col bambino Gesù fra due angeli, opera dell’ultima maniera di Andrea Della Robbia o del figlio Giovanni; un ciborio di marmo, delicato lavoro di scultura ornamentale del XV secolo. Il pulpito fu disegnato da Bernardo Buontalenti.
Oratorio della SS. Trinità. — È annesso alla chiesa parrocchiale e serve di residenza alla Confraternita della Misericordia. Nel parapetto della cantoria, al disopra della porta, è un bassorilievo di marmo rappresentante la Madonna che adora il bambino Gesù, opera d’artista settignanese del XV secolo e seguace della maniera di Desiderio. Sulla facciata esterna è un grandioso bassorilievo di terracotta tinta di bianco rappresentante la Madonna, il bambino Gesù e S. Giovannino, discreto lavoro di un artista della prima metà del xvi secolo.
Di fianco all’oratorio sono incastrati nel muro quattro mascheroni di pietra, lavori del decimoquinto secolo dei quali non è facile determinare la provenienza.
Poggio. - Villa Versè. — Per grandiosità di fabbricato e per eleganza di costruzione è questa una delle più belle ville della collina Settignanese. Fu in origine possesso dei Del Caprina, una famiglia di scultori alla quale appartenne quel Meo di Francesco scalpellatore e architetto che eseguì varie opere a Roma ed in altre città italiane. A lui si deve anche il modello della cattedrale di Torino. Nato a Settignano nel 1430, vi morì nel 1501 e volle essere seppellito nella chiesa di S. Maria, dove aveva fondato una cappella, assegnandole in dote un suo podere. Da Ginevra de Servi, moglie di Meo Del Caprina, passò nel 1529 per eredità in Giovan Battista de’ Servi; ma a causa di disastri commerciali la villa fu dai deputati sugli affari di lui, venduta nel 1572 a Lorenzo di Carlo Strozzi. Questi la rivendè nel 1600 ai Salviati e da Fulvio passò in eredità al marchese Gio. Battista Bourbon Del Monte. La riduzione del fabbricato al grandioso aspetto presente devesi a questa famiglia alla quale appartenne la villa fino a poco tempo addietro. Dal patrimonio Del Monte ne fece acquisto il proprietario attuale Ing. Alfeo Versè
Di fianco al cancello che corrisponde sulla piazza Tommaseo, è in un tabernacolo un affresco del XV secolo rappresentante la Madonna col bambino, lavoro buono in origine, ma più volte ritoccato.
Rammenteremo ora le ville e gli altri edilizi sparsi sul colle di Settignano e che per antichità di costruzione e per storiche ricordanze presentano una maggiore importanza.
Feliceto. - Chiesa e Monastero degli Olivetani. — L’uno e l’altro sono di moderna costruzione, giacché in questa località esisteva soltanto una villa di origine abbastanza antica. Sulla fine del XV secolo la casa era degli eredi di Jacopo di Bartolommeo da Settignano scalpellatore ben noto per alcuni suoi pregiati lavori. Nel 1534 essa apparteneva a Francesco di Marco Mechini e nel 1632 dai Mechini l'acquistava il Rev. Giovanni Sborrini rettore di S. Leonardo in Arcetri col patto che alla sua morte dovesse passare, come passò di fatto nel 1650, ai Frati di S. Croce, i quali ne furono padroni fino alla prima soppresione.
La villa acquistata, diversi anni addietro dai Monaci di Montoliveto, venne ridotta a monastero, al quale fu aggiunta una elegante chiesa di stile ogivale costruita sul disegno dell’Ing. Carlo Alberto Cirri. Il convento serve ora di casa generalizia e di noviziato di quell’ordine monastico.
Il nomignolo di Feliceto insieme agli altri di Selva e di Bosco ricorda come anche questi colli, oggi ridotti quasi del tutto a cultura, fossero in tempi lontani ricoperti di boscaglie.
Feliceto o S. Maria. — Era una villa della famiglia Cerretesi e modernamente appartenne alla famiglia Senarica. Recentemente a cura d’un benefico comitato di signore straniere è stata ridotta a comoda casa di convalescenza per le persone di servizio che escono dallo spedale. Il Bosco. - Villa Di Frassineto. — Fu nel XV secolo di una famiglia Da Radda calzolai che la vendè nel 1524 a Gismondo di Lodovico Buonarroti Simoni. Comprata nel 1570 da Jacopo d’Antonio Cardinali, fu rivenduta nel 1653 dagli eredi di lui ai Montelatici e da questi nel 1708 agli Arrighetti. Il capitano Onofrio Arrighetti l’alienò ai Monaci Vallombrosani di S. Pancrazio che la possedettero fino alla prima soppressione. Dipoi fu de’ Giuntini che la venderono alla Baronessa Favard de FAnglade. Questa villa servi di villeggiatura a Niccolò Tommaseo, com’è ricordato in una lapide appostavi in occasione del centenario dell’illustre scrittore, filosofo e patriotta dalmato.
Gamberaja. - Villa della Principessa Ghyka. — Delle numerose ville disseminate sulle deliziose colline Settignanesi, è questa una delle più degne di speciale ricordo, perchè alla grandiosità della costruzione, alla vaghezza de’ giardini che l'attornano associa il ricordo d’artisti gloriosi che ebber qui la loro dimora modesta.
Il nome di Gamberaja si trova ricordato per la prima volta in una pergamena della Badia fiorentina contenente una concessione a livello di un podere con casa in luogo detto Gamberaja fatta il di 17 gennaio 1398 dalla Badessa di S. Martino a Mensola a Giovanni di Benozzo di quel popolo. Dei diritti delle monache non si fa più menzione ai primi del secolo successivo nel quale il podere e la casa di Gamberaja appartengono a Matteo di Domenico detto il Borra scalpellino. Questo Matteo, che si trova poi indicato col cognome di Gamberelli, derivato molto probabilmente dai nomignolo della località dove abitava, fu padre di cinque figli; tutti si dedicarono all’esercizio dell’arte paterna. Due di essi, Domenico primogenito nato nei 1407 e Tommaso nato nel 1422, non riuscirono ad emergere framezzo ai tanti scalpellatori che nel villaggio di Settignano vivevano in quell’epoca: Giovanni nato nel 1412 fu un discreto scultore ed architetto, mentre gli altri due figli, Bernardo nato nel 1409 e Antonio nato nel 1427 seppero collo studio e coll’ingegno raggiungere il massimo grado tra i maestri dell'arte fiorentina del secolo aureo.
Bernardo e Antonio, più noti nella storia col soprannome di Rossellini che coll’avito cognome, debbono ascriversi fra le glorie più pure e più luminose di questo singolare villaggio dove il sentimento dell’arte era privilegio comune. L’uno e l’altro poi meritarono l’onore di gareggiare cogli scultori ed architetti più celebrati che ebbero così ampia parte nel rinascimento dell’arte. Sarebbe opera lunga e fuori dell’indole del nostro lavoro l’enumerare tutte le opere che l’uno e l’altro condussero a Firenze, in Toscana ed in molte altre città d’Italia e basterà notare come a testimoniare il valore di Bernardo bastino le fabbriche mirabili edificate per ordine di Pio II nella nascente città di Pienza e come a proclamare la fama di Antonio sia sufficente la deliziosa cappella del Cardinale di Portogallo in S. Miniato al Monte. Giovanni figlio di Bernardo Gamberelli vendè nel 1592 il podere e la casa da signore di Gamberaja a Domenico di Jacopo Riccialbani e sembra che questa famiglia che possedeva altri beni a Settignano, ampliasse assai la modesta casa de’ celebri artisti, perchè da quel tempo la troviamo indicata come il palagio di Gamberaja. Nel 1618, a dì 27 d’agosto, Giovan Battista di Jacopo Riccialbani vendè il possesso a Zanobi d’Andrea Lapi il quale arricchì di comodi annessi la villa costituendola in fidecommisso. Ma alla morte di Zanobi, che lasciò non pochi debiti, il possesso di Gamberaja fu oggetto di contestazioni per parte di varie famiglie di creditori, e nel 1682 lo troviamo assegnato a Barbera Ronconi moglie di Tommaso Vieri come creditrice di Jacopo Lapi, mentre nel 1693 si riscontrano quei beni divisi fra i Lapi ed i Corsi, quest’ultimi sottentrati nei diritti di Barbera Vieri.
Soltanto nel 1717 le disposizioni del fidecommisso di Zanobi Lapi ebbero definitiva esecuzione, perché morto Giovan Francesco Lapi, [i beni andarono ad Antonio e Piero del cav. Vincenzo Capponi ed al senatore Giovan Battista Cerretani e nelle divise fra le due famiglie Gamberaja toccò ai Capponi.
Ai Capponi si debbono molte e sfarzose opere di abbellimento della villa e dell’annesso giardino che arricchirono di statue, di grotte, di fontane, di giuochi d’acqua e d’altre singolari bellezze che sono tuttora oggetto di giusta ammirazione. Anni addietro, la villa di Gamberaja era della famiglia D’Outreleau la quale la vendette alla proprietaria attuale, la Principessa Giovanna Ghyka sorella della Regina Natalia di Serbia. Oggi si può dire che Gamberaja è tornata a riacquistare l’antico suo splendore, giacché la nobile signora che predilige questo lieto e delizioso soggiorno, spende ogni cura per accrescerne le vaghezze e le attrattive.
Doccia. - Villa Masini. — È posta lungo la via che guida a Terenzano. Fu in antico dei Federighi, poi dei Corsi nel XVII secolo e sucessivamente degli Alamanni e più modernamente dei Redditi.
Quercione già Prugnano - Villa Caulfield. — In epoca antichissima fu villa dei Bancozzi dai quali passò nel 1457 nei Falconi del gonfalone Scala. Nel 1463 l’acquistò Gualterotto di Jacopo Riccialbani ed in questa famiglia restò per lungo tempo. Più tardi fu dei Gardi che’ la ridussero a casa colonica. Il proprietario attuale l'ha nuovamente restituita al primo uso, facendone un’elegante e graziosa dimora campestre.
La Via Cairoli conduce alla località chiamata
La Strada o San Romano. - Villa Mattei. — È situata sulla piazzetta dov’è l’oratorio intitolato a San Romano. Di questa villa non trovo ricordi anteriori al XVI secolo. Era allora di una famiglia di beccai che la possedette per vario tempo. Nel 1574 Cesare di Giulio di Marcello la lasciò in eredità al nipote Jacopo di Nicodemo Cennini scalpellatore e da quel tempo appartenne lungamente a questa famiglia dalla quale uscirono diversi valenti scultori fra i quali Bartolommeo d’Andrea che lavorò anche a Roma. Come diremo dopo, fu questi il fondatore del prossimo oratorio di San Romano. Modernamente, la villa appartenne ai Bartolini.
Oratorio di S. Romano. — È un’elegantissima costruzione di squisito carattere decorativo del XVI secolo.
Bartolommeo di Andrea Cennini scultore settignanese, trovandosi a lavorare a Roma, ottenne in dono da Papa Alessandro VI il corpo di S. Romano che egli trasportò in patria, racchiudendolo in una bella cassa di legno intagliata e dorata. In onore di questo santo egli edificò presso la casa della sua famiglia un tabernacolo o maestà con dinanzi un portichetto sostenuto da colonne. Nel secolo successivo, il portico fu chiuso per ridurlo a forma di oratorio che fu intitolato della Pietà, decorandone la facciata di porte, finestre e di una nicchia colla statuetta del Santo. Probabilmente, Bartolommeo Cennini ed i suoi successori che esercitavano l’arte furono anche gli autori di questo gentile e caratteristico edilizio.
La Torre o i Cioli. - Villa Giovannozzi — Non fu mai, come potrebbe far supporre uno dei due nomignoli, proprietà della famiglia de’ Cioli scultori settignanesi che ebbero altrove le loro case. Fin da tempo lontano fu casa da signore della famiglia Alberti la quale la possedette per il corso di varj secoli. Nel 1697 fu comprata da Michele Giovannozzi e da quel tempo è in possesso di questa famiglia ben nota nelle tradizioni artistiche per aver dato in antico, come in epoca moderna, scultori ed architetti valenti.
Bancozzo o Pugnano. - Villa Bigazzi. — Appartenne in antico alla famiglia Griovannozzi. Nel 1591 questi l’alienarono a Ser Ottavio Peroni notavo da S. Gimignano i successori del quale la rivenderono nel 1671 ad un Giovan Battista Tozzi che l’alienava nell’anno stesso a Antonio di Jacopo Del Campana. I Del Campana la possedettero fino al secolo scorso.
Verone. - Villa Tarchiani. — Rimodernata ed ampliata dall’attuale proprietario, questa villa è d’antichissima origine. Agli ultimi del XIV secolo era uno dei molti possessi della famiglia Portinari, dalla quale Y acquistò nel 1462 Domenico di Niccolò Porcellini. Piero di Giovanni di questa famiglia la rivendè nel 1550 a Girolamo d’Agnolo Filippi e Maria di Bartolommeo d’Agnolo Filippi la portò nel 1587 in eredità al marito Jacopo Del Turco. Da quell’epoca fino a quest’ultimi anni la vecchia villa che conservava ancora le tracce della sua vetusta costruzione, rimase in possesso di questa famiglia. Monte alle Fonti o la Torre. - Villa Malatesta — Fu antico possesso della famiglia Serragli che nel 1471 la vendeva a Caterina de’ Neri. L’acquistava nel 1534 Ser Bartolommeo di Niccolò Del Tavolaccino ed il figlio di lui Ser Domenico la rivendeva nel 1566 a Basilio d’Antonio Carducci. Successivamente passò nei Del Garbo nel 1564, negli Anselmi nel 1576, nei Rucellai, nei Giacomelli nel 1672 e nel 1682 nei Targioni che la possederono fino a’ primi del XIX secolo. Fu dipoi Pellegrini, poi de’ Codacci i quali la vendevano ai Malatesta. Dimorò in questa villa Adeodato Malatesta valentissimo pittore modenese morto sul declinare del secolo scorso.
Ai Fancelli. - Casa Romanelli. — È questo il luogo che servì di dimora ad una delle più antiche e più note fra le famiglie di artisti settignanesi. I Fancelli esercitavano fin da’ primi del XV secolo l’arte di maestri di pietra e da quell’epoca fino a tempi moderni hanno dato all’arte maestri valentissimi. Più d’ogni altro è degno di ricordo Luca di Bartolommeo, nato nel 1430, che fu uno de’ migliori architetti de’ suoi tempi e che a Mantova, come a Firenze eseguì opere di altissimo pregio. Eccellenti artisti furono anche gli scultori Bernardo, Domenico, Giovanni, Chiarissimo, Jacopo ed altri Fancelli; nè va dimenticato fra i più moderni l’architetto Giuseppe che ricostruì il castello di Vincigliata. Dopo oltre due secoli, la casa dove i Fancelli avevano avuto la loro origine fu venduta nel XVII secolo a Bartolommeo Cambi. In seguito passò in dote alla Cappella di S. Niccolò nell’oratorio della Madonna della Tosse appartenente allora ai Frati di S. Gallo i quali ne conservarono il possesso fino alla soppressione leopoldina.
La Pastorella o il Monte. - Villa Gargiolli. — Dai primi del XV secolo fino al xvi inoltrato fu casa da signore, dei Riccialbani, antica famiglia fiorentina che ebbe le sue prime abitazioni a Firenze in via dell’Anguillara. La villa apparteneva nel 1420 a Giovanni di Niccolò Riccialbani cittadino di molta autorità che per cinque volte fu eletto al supremo ufficio di Gonfaloniere della Repubblica. In epoca più tarda la villa appartenne ai Griovannozzi genitori.
Montibeni o Montebene - Villa Bologna. — Fu della famiglia Sacchetti, poi nel XVIII secolo appartenne e servi di villeggiatura ai Padri delle Scuole Pie.
Strada di Vincigliata. — Dalla località detta il Cartone si stacca dalla via Settignanese la strada di Vincigliata che dopo breve tratto di salita passa dinanzi a S. Martino a Mensola, chiesa di remota antichità che sorge sopra un dolcissimo colle, lambito dal piccolo torrente Mensola. Una tradizione riprodotta da varj storici, vuole che essa nell’800 fosse un piccolo e modesto oratorio dedicato a S«Martino e che il Beato Andrea di Scozia, allora arcidiacono del vescovo fiesolano, la facesse riedificare unendovi un piccolo monastero dov’egli con altri pochi compagni andò a stare, prendendo la regola di S. Benedetto. Che la tradizione sia vera o no, è un fatto che la chiesa è antichissima e che verso il 1050 dai monaci benedettini era passata in possesso di certe monache dello stesso ordine che stavano già a S. Andrea in Mercato Vecchio di Firenze. Nel 1450 il convento, mal ridotto e privo quasi di monache, fu concesso ai monaci della Badia di Firenze che ritennero da quell’epoca il diritto di nominare i rettori della chiesa.
La chiesa fu restaurata più volte e fra le altre nel 1281, nel 1340 e finalmente verso il 1360, epoca in cui, distrutta l'antica architettura, fu ridotta secondo lo stile dei tempi e col carattere elegantissimo del rinascimento. Più tardi, nel XVI secolo, le venne aggiunto all’esterno un portichetto d’ordine toscano dì belle proporzioni, che fu restaurato nel 1857.
La chiesa è a tre navate, divise da colonne d’ordine jonico, coperte da volta ed ha cinque cappelle compresa quella maggiore. Questa fu di patronato della famiglia Zati, le altre dei Grherardi, dei Betti, dei Berti-Ubaldini e dei Cecchini, famiglie tutte che ebbero possessi nel territorio di questa parrocchia. Additeremo le opere d’arte di maggiore importanza che adornano questa chiesa. Sull’altar maggiore: è un ancona grandiosa divisa in varj scompartimenti nei quali sono rappresentati: la Vergine col bambino Gesù, S. Maria Maddalena, S. Niccolò, S. Caterina martire, S. Giuliano S. Amerigo d’Ungheria, S. Martino, S. Gregorio papa, S Antonio abate e il committente Amerigo Zati. Nel gradino sono varie piccole storie. L’ancóna è stata costantemente attribuita a Bernardo Orcagna. Ma se appartiene alla maniera di questo maestro, non può essere opera di lui che morì nel 1365, mentre essa porta la data 1381. Nella cappella dei Gherardi è un Annunziazione attribuita a Giovanni Angelico; nella cappella dei Betti è una Madonna fra le Sante Marta ed Orsola della maniera di Agnolo Gaddi; in quella Berti-Ubaldini una tavola colla Madonna fra S. Francesco, S. Giovanni Battista, S. Maria Maddalena e S. Chiara di Neri di Bicci ed in quello de’ Cecchini un’altra tavola colla Madonna, S. Andrea e S. Sebastiano attribuita a Cosimo Rosselli, ma che è piuttosto di uno scolaro di lui. Di forme e di fattura elegantissima del XV secolo sono due ciborj e pregevole è pure il banco intarsiato della sagrestia cogli stemmi della famiglia Betti da Corbignano.
Il campanile del XV secolo è di pregevole architettura.
Monastero di S. Martino a Mensola. - Oggi Canonica e Villa Baldasseroni. — Le notizie che abbiamo brevemente riassunte intorno ai ricordi storici della vicina chiesa, valgono anche per il monastero. Sede dapprima di pochi monaci benedettini, passò nell’XI secolo a delle monache dello stesso ordine che erano sottoposte all’Abate della Badia Fiorentina. Nelle memorie del monastero è ricordo di ribellioni e di scandali commessi dalle monache, in guisa che esse ebbero a patire la carcere nello stesso convento e la scomunica. Nel 1450 il monastero era ridotto quasi deserto ed in stato rovinoso, sicché venne soppresso. I monaci della Badia, restati padroni del monastero, concessero parte dei locali al parroco ed allivellarono il rimanente.
Oggi l’antico convento è occupato in parte dalla canonica ed in parte è ridotto a villa che fu nel XVI secolo de’ Cocchi e più tardi dei Bellini delle Stelle. Da pochi anni appartiene alla famiglia Baldasseroni.
Abitò in questa villa Giuseppe Fancelli valente architetto ricostruttore del Castello di Vincigliata ed in onore di lui il Comune di Fiesole vi appose nel 1905 una bella lapide commemorativa dettata dal segretario Augusto Guerri.
Dalla piazza di S. Martino, la strada, attraversato il torrente Mensola, passa dinanzi a
I Tatti. - Villa Westbury. — Fu in antico degli Zati, la famiglia illustre che ebbe il patronato della cappella maggiore di S. Martino a Mensola. Nel 1563 essi la venderono ai Del Caccia dai quali l’acquistava nel 1606 Porzia de’ Bardi vedova Alessandri. Gli Alessandri la tennero fino all’anno 1854, vendendola allora al Cav. Giovanni Temple Leader dal quale la ereditava Lord Westbury.
II Tartaro. - Villa Da Barberino — È al disopra della villa precedente della quale fu in antico una dipendenza. Dagli Alessandri la compravano nel 1618 i Bourbon Del Monte e da essi l'acquistavano nel 1730 i Mormorai Della Sbarra. Dopo varj passaggi, appartenne fino a poco tempo addietro ai Marchesi Alli-Maccarani.
Pian di Novoli. - Casa Westbury. — Questa casa poderale fn villa, in antico, degli Usimbardi, poi degli Alessandri che nel 1608 la venderono ai Lasagnini padroni allora della non lontana villa di Careggi.
Di qui la strada, descrivendo una quantità di ampie volute ed attraversando una specie di bosco di cipressi, giunge dopo un percorso di due chilometri al
Castello di Vincigliata. — Framezzo agli arboscelli stentati ed alle piante selvatiche e parassite che coprivano la parte meridionale del poggio di Vincigliata, apparivano ricoperti d’edera e di borraccina i rovinosi avanzi di una di quelle ville fortificate che fatte a guisa di castelletti, popolavano nel medioevo i monti del valdarno fiorentino. Era una costruzione rettangolare di solide mura, coi resti d’una torre e di un antemurale che costituivano un insieme pittoresco il quale forniva agli artisti un attraente soggetto di studj ed ai novellieri una fonte inesauribile di fantastiche leggende. Cotesti erano i ruderi di una casa turrita che ne’ tempi remoti avevano edificata i Bisdomini e che ne’ secoli successivi passò in possesso degli Usimbardi, de’ Ceffini da Figline, de’ Bonaccorsi e poi degli Albizzi. Allorquando dal ceppo degli Albizzi si staccarono alcuni che fattisi di popolo cambiarono il nome avito in quello di Alessandri, toccò a questi nelle famigliari divise, il possesso del castelletto chiamato La Torre con moltissimi terreni adiacenti.
Gli Alessandri possedettero senza interruzione questa vecchia e cupa dimora fino all’anno 1827; ma non sembra che essa fosse oggetto troppo vivo delle loro simpatie, perchè lasciata nell’abbandono più completo si ridusse a poco a poco ad un cumulo di rovine. Queste rovine come suscitavano le simpatie degli artisti, colpirono singolarmente un ricco gentiluomo inglese da pochi anni stabilitosi a Firenze, il Sig. Giovanni Tempie Leader il quale, fatto acquisto di una parte del poggio di Vincigliata, ebbe il pensiero di far risorgere il pericolante castelletto.
Di fatti nel 1855 egli dava incarico al giovane e valente architetto Giuseppe Fancelli di S. Martino a Mensola di riedificare Vincigliata, tenendo conto degli avanzi superstiti e completando le parti scomparse sugli esempi che offrivano altri castelli toscani coevi. Il Fancelli fu interprete fedele dei desiderj del colto e studioso gentiluomo ed in pochi anni condusse a buon punto l’opera di ricostruzione; ma egli non potè veder compiuto l’ardito e faticoso lavoro, perchè nel 1867 la morte lo colse repentinamente a trentotto anni e l’opera fu continuata da altri, forse con criteri alquanto differenti. Ad ogni modo, il redivivo castello fu condotto a compimento, decorato ed ammobiliato nelle parti interne, in guisa da divenire oggetto di comune ammirazione e meta di escursioni e di visite di fiorentini e di forestieri.
Le proporzioni del primitivo castelletto degli Alessandri furono notevolmente ampliate ed il palagio propriamente detto, dominato da altissima e robusta torre, venne racchiuso da un’ampia cinta fortificata, munita di torri, di piombatoi e di un ballatoio merlato. Un grandioso cortile a portici, una loggetta, due porte fortificate e riccamente adorne di caratteristiche decorazioni, completarono la costruzione grandiosa che il pittore Prof. Gaetano Bianchi adornò di affreschi di carattere del XIV e XV secolo.
Il palagio o, come meglio si potrebbe dire, il cassero del castello, è la parte più interessante dal lato dell’autenticità, perchè comprende molti resti dell’originario edifizio e ne conserva le forme ed i caratteri. Dalla porta si accede in un pittoresco cortile munito di loggia sotto la quale, oltre ai monumentali ricordi all’architetto Fancelli ed ai suoi cooperatori, il proprietario Comm. Tempie Leader raccolse molti oggetti d’arte e molti frammenti di edilizi fiorentini distrutti nei varj riordinamenti edilizj.
Le sale interne del pianterreno e del piano superiore sono decorate e mobiliate secondo i caratteri del medioevo e contengono non pochi oggetti di mobilia e di adornamento meritevoli di speciale attenzione, parte originali, parte fedelmente imitati. In una sala è una copiosa raccolta di armi antiche, in altra le pareti sono decorate di affreschi del XIV secolo rappresentanti storie della vita di S. Bernardo degli Uberti quivi trasportati da una distrutta cappella che sorgeva nell’orto del monastero di S. Martino in Via della Scala; nella cappella è una bella Annunziazione dei Della Robbia e qua e là sono disposti antichi dipinti, cofani da corredo, maioliche, ferri battuti e oggetti d’indole variatissima. Tutti i lavori di ornato in pietra furono eseguiti da due artefici settignanesi, Angiolo Marucelli e David Giustini e le vetrate delle finestre sono lavori del Prof. Ulisse De Matteis.
Alla morte del generoso e splendido riedificatore di Vincigliata, il possesso del castello e di tutti i molti altri beni vicini è passato nell'eredità in Lord Westbury il quale non manca di provvedere alla conservazione di questo importante e monumentale edifizio.
Chiesa di S. Lorenzo e S. Maria a Vincigliata. — Questa chiesa che fino al XVII secolo era dedicata soltanto a S. Maria, esiste fino dal XII secolo e fu sempre di patronato delle varie famiglie che sì succedettero nel possesso del vicino castello. L’edilizio è piccolo, nè per le trasformazioni subite presenta pregi architettonici; il campanile soltanto, rifatto dalla famiglia Alessandri, è una discreta costruzione del XV secolo. In compenso della modestia delle sue forme, la chiesa è abbastanza provvista di opere d’arte, per quanto altre che l'adornavano e che avevano pregi rilevantissimi, fossero dagli Alessandri trasportate nel loro palazzo di Firenze. Oggi restano da ammirarsi i seguenti oggetti: una tavola colla Vergine e il bambino Gesù, ritenuta opera di scuola Senese del XIV secolo e che è parte di un ancora i cui scompartimenti laterali furono portati in casa Alessandri. Altra tavola colla Vergine, il bambino, i Santi Giovan-Battista e Antonio Abate e varj angioli di scuola fiorentina del xxv secolo, un gruppo di terracotta rappresentante la Vergine col bambino, opera del XV secolo rozzamente colorita, un busto di terracotta di S. Lorenzo, riproduzione antica di quello di Donatello che vedesi nella sacrestia vecchia di S. Lorenzo, un grazioso ciborio di marmo di scuola settignanese cogli stemmi Alessandri e Fabrini da Figline, un elegante lavabo di pietra della maniera di Giuliano da Majano, una piletta d’acquasanta sostenuta da una colonna del xv secolo, una croce processionale di rame del XIV secolo.
Mezzana. — oggi casa colonica Westbury, fu dei Del Manzecca padroni antichissimi di Castel di Poggio, poi degli Alessandri e nel XVII secolo degli Assirelli che costituirono la villa con altri beni come dotazione della loro commenda dell’ordine di S. Stefano.
Castel di Poggio. - Villa Forteguerri. — Sull’alto di un poggio situato fra le colline settignanesi, il Monte Ceceri ed il Poggio a’ Pini sorge colla sua massa bruna e maestosa questa villa che serba tuttora l’aspetto di un forte e ben munito castello.
Castel di Poggio, che occupa una delle più splendide posizioni del Valdarno fiorentino, appartenne in tempi lontani ad una famiglia Del Manzecca la quale aveva a Firenze le sue case nel popolo di S. Maria in Campo. Fieri e turbolenti gentiluomini, cotesti Del Manzecca esercitavano ogni sorta di violenze e di soprusi a danno de’ vicini e più specialmente verso coloro che dovendo passare per le vie deserte e per i sentieri che attraversano questi luoghi coperti di fitte selve, erano costretti al pagamento di diritti arbitrarj di pedaggio e spesso a crudeli spogliazioni.
La Signoria di Firenze, che non poteva subire nel suo contado la prepotenza di questi come d’altri orgogliosi signorotti che si credevano lecito l'esercizio d’ogni autorità e d’ogni arbitrio, ordinò alle sue milizie di abbattere o di smantellare una quantità di castelli e di case turrite che offrivano un comodo e sicuro asilo a tal gente facinorosa ed irrequieta.
Castel di Poggio fu uno di questi.
Dagli spogli del Senatore Carlo Strozzi, si rileva come il comune nel 1348 facesse disfare Castel di Poggio dei figli di Messer Francesco Del Manzecca. La distruzione però non fu completa, poiché il palazzo restò in piedi e nel 1469 passava dal dominio del Del Manzecca in quello degli Alessandri che ebber cura di farlo riparare e di renderlo più comodo e decoroso, restaurando anche l’oratorio che era adorno di affreschi della scuola giottesca.
Passò Castel di Poggio nel 1625 ai Girolami che nello stesso anno lo cedettero ai Buonaccorsi.
Falliti i Buonaccorsi, il palazzo colle annesse terre, fu venduto dal tribunale di Mercanzia ai Marucelli che, estinguendosi nel 1782, ne lasciarono padroni i Brunaccini. Nel 1829 lo compravano i Mantellini e nel 1855 i Casini dai quali è pervenuto nei Forteguerri di Pistoja che lo posseggono tuttora.
Castel di Poggio ha ancora alcuni brani della sua cinta di mura, due o tre corpi di fabbrica maestosi e la torre che era munita di un ballatojo merlato, distrutto, con danno della bellezza dell’edifizio, non son molti anni. L’antica cappella nell’interno del castello è stata ridotta ad altri usi, ed i suoi affreschi giacciono ancora in stato di abbandono.
Cappella del Romito. — Alla base del risalto di monte sul quale sorge Castel di Poggio, è una cappellina che fin da tempo lontano apparteneva ai proprietarj della vicina villa. Ridotta in stato rovinoso, fu riedificata nel 1826 colle elemosine raccolte da quel famoso Baldassarre Audiberti più noto col nome di Baldassarre delle Croci, perchè pellegrinando da un paese all’altro andava dovunque inalzando croci di devozione.
Chiesa di S. Maria a Ontignano. — Sulla pendice del monte che da Castel di Poggio discende nella valle del torrente Zambre, sorge questa chiesa antichissima che era un giorno circondata da fitte boscaglie. Se ne hanno ricordi che datano da tempo remoto, perchè si riferiscono al XI e al XII secolo. Era di patronato delle famiglie signore di Castel di Poggio e in alto della facciata si vede tuttora lo stemma degli Alessandri, mentre ai lati dell’altar maggiore stanno le armi dei Buonaccorsi. Della sua antichità si hanno tracce nella costruzione semplice e severa e nei resti di affreschi del XIV secolo che ridotti in cattivo stato vennero ritrovati sotto lo scialbo delle pareti interne. D’interesse artistico nulla rimane in questa vecchia e romita chiesetta, se si eccettua una delle solite croci processionali di rame del XIV secolo
Ebbe in questa chiesa un altare anche la famiglia Fieravanti, dalla quale uscirono due degli architetti di Santa Maria del Fiore e che nel territorio di questa parrocchia ebbe fin da tempo remoto i suoi possessi. Fra i parroci d'Ontignano va ricordato Jacopo Ricci che fu illustre cultore delle discipline agrarie ed accademico georgofilo.
Il Fioravante. - Casa Forteguerri — Fu già casa da signore ed ebbe il nomignolo dai suoi antichi possessori la famiglia Fieravanti o Fioravanti dalla quale uscirono architetti illustri che ebbero ampia parte nella costruzione di alcuni insigni monumenti fiorentini, come S. Maria del Fiore e Or S. Michele. Neri e Francesco Fioravanti soprattutto, meriterebbero un degno ricordo su questa villa che essi possedettero ed abitarono. Dai Fioravanti la villa passò per compra in Francesco di Domenico Manadori nel 1538 e più tardi andò a far parte de’ beni della tenuta di Castel di Poggio seguendone le sorti. Casellina o Caoli. - Casa Forteguerri. — Anche questa fu villa degli Alessandri, i quali la tennero dal XV al XIX secolo.
Cucina. - Casa Piccinetti. — Fu una delle numerose case da signore che la famiglia Mancini aveva fin da tempo remoto sui poggi fiesolani. La possedeva nel XV secolo e l’ebbe fra i suoi beni fino al secolo decorso.
Noce. - Casa Forteguerri. — Fu casa da signore degli Alessandri dal XV al XVII secolo. Poi passò nei Rimbotti che ne furono padroni per oltre un secolo.