I Nibelunghi (1889)/Avventura Trentottesima
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Avventura Trentottesima
In che modo furono trucidati tutti i guerrieri di principe Dietrico
Sì grande allor s’udì da tutte parti
Un suon di lei, che tutta la regale
Dimora intorno con le torri sue
A quel grido echeggiava. Anche l’udia
5Un di quei di Dietrico da Verona.
Per l’annunzio tremendo, oh! come presto
A correr cominciò! Deh! signor mio
Dietrico, disse al suo signor costui,
Porgete ascolto! Per il tempo ch’io
10Fin qui son visso, non intesi io mai
Maggior lamento di cotesto, invero
Vincente ogni pensier, quale ora intesi.
Penso che in danno grave Ètzel signore
Venuto sia. Come potrìan sì grave
15Toccar l’ambascia per diversa via?
O il re, o Kriemhilde, un d’essi veramente
Morto si giace per gli ospiti arditi
Dietro all’odio scambievole. E gran pianto
Fanno molti guerrieri incliti e belli.
20E di Verona quell’eroe rispose:
Molto diletto amico mio, di troppo
Innanzi non andate. Ecco, di quale
Cosa hanno fatto gli ospiti meschini,
Alta necessità lor sopravvenne.
25Però lasciate ch’ei godan di tanto
Ch’io lor proffersi con la tregua mia.1
Disse Wolfharto ardimentoso: Andarne
Vogl’io, novelle dimandar vogl’io
Che mai si fe’ per essi, e dirò a voi
30Poscia, diletto mio signor, s’io n’abbia
Qualche scienza, che gli è mai tal pianto.
Disse prence Dietrico: Ove qualcuno
Ira preveda di destar se inchieste
Non discrete si fanno, ai valorosi
35Turba cotesto agevolmente assai
L’anima. Non vogl’io però, Wolfharto,
Che presso a quelli le domande vostre
Facciate voi. — Helpfrico egli pregava
D’andarne tosto e gl’ingiugnea che presso
40D’Ètzel prence a’ consorti o appo gli stessi
Ospiti investigasse egli qual mai
Cosa avvenisse. Nè si vide mai
Sì gran cordoglio presso gente alcuna.
Cominciò il messo a dimandar: Qual cosa
45Fecesi qui? — Disperso iva d’assai,
Tal fra quei rispondea, quanto di gioia
Avemmo noi in terra d’Unni. Ed ecco!
Giace per mano de’ Burgundi ucciso
Rüedgero qui. Di quelli che con seco
50Vennero, niuno si salvò. — Allora
Di questa non potea doglia maggiore
Ad Helpfrico toccar, sì che d’assai
Con trista voglia ei riferì l’annunzio.
Andavane a Dietrico assai piangendo
55Il messo. Adunque, che trovaste a noi?
Disse Dietrico. E perchè mai di tale
Guisa piangete voi, Helpfrico eroe?
Disse il nobil guerriero: Oh! lagrimare
Degg’io forte davver! Quel buon Rüedgero
60Han trucidato quelli di Borgogna!
Ma di Verona disse il prence: Iddio
Mai cotesto non voglia! Aspro castigo
Sarìa questo e del diavolo lo scherno.
Oh! di qual foggia avrìa prence Rüedgero
65Ciò meritato? E sì m’è noto assai
Ch’egli è devoto agli ospiti. — Rispose
A lui Wolfharto: Se cotesto han fatto,
In ciò di tutti va la vita. Avremmo
Tutti noi vituperio, ove tal cosa
70Tollerar ci piacesse. E bene a noi
Già la destra servì del buon Rüedgero.
Il sire allor degli Amelunghi meglio
Volle cotesto investigar. Con alma
Assai pensosa a una finestra assise,
75Indi pregò che agli ospiti n’andasse
Hildebrando perch’ei cercar dovesse
Cosa che là si fece. E il valoroso
Ardito in guerra, maestro Hildebrando,
Non arma o scudo al braccio tolse. Ei volle
80Con un atto cortese appo quegli ospiti
Venirne, ed un rabbuffo gli si fea
Della sua suora dal figliuol, chè disse
Il feroce Wolfharto: E disarmato
Andar volete voi? Ciò non potrìa
85Esser giammai senza biasmo di voi,
E d’uopo vi sarà tornarvi a dietro
Con ignominia. Che se armato andrete,
D’essi qualcun si guarderà che faccia
Atto a voi disonesto. — E s’acconciava
90Del giovinetto al consigliar quel saggio.
Prima che di cotesto ei s’avvedesse,
Eran già dentro a’ loro usberghi tutti
Di Dietrico i gagliardi e spade in pugno
Portavan anche; e questa fu cagione
95Di rancura all’eroe, chè volentieri
Evitata ei l’avrìa. Chiedeva intanto
Che mai volesser elli. E vogliam noi
Vosco venir, dicean. Che sarà mai
Se in peggior guisa ch’egli suol, con onta
100Hàgene di Tronèga osa parlarvi?
Come intese cotesto, il valoroso
A lor voglia cedette. E vide intanto
Volkero ardito gli uomini avanzarsi
Di Dietrico, i gagliardi di Verona,
105Ed eran elli bene armati e cinti
Eran di spade. Anche recavan essi
Lor targhe in pugno. Ei disse allor l’annunzio
A’ prenci suoi della burgundia terra.
Vedo laggiù avanzar, disse di giga
110Il suonatore, con nemico aspetto
Di Dietrico i gagliardi. Ei vônno in guerra
Discendere con noi. Credo che male
A noi toccar vorrà, miseri e grami.
In quel momento anche Hildebrando venne,
115Quale, dinanzi al piè, della sua targa
L’ampio disco depose e di Gunthero
Gli uomini a interrogar sì fe’ principio:
Deh! buoni eroi, che feste di Rüedgero?
Me qui mandava principe Dietrico
120Appo voi, se la man d’alcun de’ vostri,
Come a noi si narrò, colpì di morte
Il nobile margravio. Oh! sopportare
Noi non potremmo il gravissimo duolo!
Hàgene disse di Tronèga allora:
125Non menzognera è la novella. Oh! quanto
Volentieri vorrei, per quell’amore
Che a Rüedgero portai, che il messaggiero
Ingannato v’avesse e fosse in vita
Quegli pur anco! Ed ora in sempiterno
130Pianger dènno per lui uomini e donne.
Ch’egli era morto come udìan davvero,
Il piansero gli eroi. Lor comandava
Cotesto l’amistà, sì che fûr viste
Di Dietrico agli eroi giù per la barba,
140Giù per il mento, scorrere le lagrime,
Chè grave doglia a lor si fece. Intanto
Sigestap, di Verona e duca e principe,
In tal guisa parlò: Nostro felice
Stato a suo fin toccò, quale ci fea,
145Del nostro affanno dopo i dì, Rüedgero!
Di noi gente raminga, ecco! si giace
Per voi, guerrieri, ogni letizia uccisa!
Disse Wolfwin, degli Amelunghi un prode:
Se morto oggi vedessi il padre mio,
150Doglia maggior per la sua vita mai
Toccar non mi potrebbe. Oh! chi alla donna
Del buon margravio dee recar conforto?
Disse Wolfharto eroe, con disdegnosa
Anima, allora: E chi agli eroi cotanti
155Guerreschi assalti apprenderà, che pure
Soventi assai fece il margravio? Oh! lassi,
Oh! lassi noi, molto nobil Rüedgero,
Che perduto t’abbiam! — Wolfprando allora
Ed Helpfrico ed Helmnòt, con tutti quelli
160Consorti lor, ne piansero la morte;
Ma pei sospiri non potea più a lungo
Inchiedere Hildebrando. Ei così disse:
Or fate, o prodi, ciò per cui m’invia
Il mio signore. Fuor dall’aula, morto
165Sì come egli è, rendeteci Rüedgero,
In cui, per nostro duol, di nostra gioia
La perdita si sta. Fate che a lui
Omaggio prestiam noi di quella guisa
Ch’ei fece a noi con molta fede assai,
170Ch’ei fece ad altri molti. E siam qui noi
Esuli al paro di Rüedgèr valente.
Che anche per noi qui preghisi, a che dunque
Lasciate voi? Fate voi sì che lungo
Questo calle per noi quello si porti,
175Perchè rendiamo all’uom dovuto omaggio
Dopo la morte sua. Fatto ciò avremmo
A giustizia conforme anche in sua vita.
E re Gunthero disse allora: Omaggio
Come cotesto buono unqua non fue
180Quale un amico dopo morte rende
All’amico. E cotesta io fede appello
E ferma e salda, chiunque sia colui
Che sì l’osserva. A tal 2 voi con ragione
Rendete omaggio; e molte cose amiche
185Egli un giorno vi fea. — Deh! fino a quando,
Disse Wolfharto eroe, pregar dovremo?
Poi che spento qui giace ogni più bello
Conforto nostro e non l’avremmo noi
Ad altri dì più mai, fate che fuori
190Il portiam noi di qui, perchè l’eroe
Dato ci sia deporre in sepoltura.
A prenderlo venite! rispondea
Volkero allor. Levatelo da questa
Casa ove giace, ei cavalier, caduto
195Nel sangue suo per le possenti piaghe
Che l’alma gli toccâr. Così l’omaggio
Pieno sarà che renderete a lui.
Wolfharto ardito disse allor: Sa Iddio,
Sere di giga suonator, che d’uopo
200D’irritarci non è. Male ci feste;
E s’io pel mio signor n’avessi ardire,
Alla distretta scendereste voi.
Ma ciò lasciar n’è forza, e la tenzone
Ei ci vietava. — E il suonator di giga:
205Gran paura è davver, se alcun tralascia
Tutto che altri gli vieta! E veramente
Alma da eroe non poss’io dir cotesta!
Sembrò, da parte di quel sozio suo,
Ad Hàgen buona esta parola. Disse
210Wolfharto allora: Oh! non vogl’io che tanto
Abbiate voi!3 Le corde a vostra giga
Scompiglierò di sì novella foggia,
Che narrarlo dovrete, ove ritorno
Facciate al Reno cavalcando. Vostra
215Oltracotanza con onor, davvero!
Che soffrir non poss’io! — Disse di giga
Il sonator: Qualunque sia maniera
Che scompigliar vi piaccia alle mie corde
I dolci toni, di vostr’elmo a un tratto
220S’oscurerà per la mia mano il fulgido
Splendor d’assai, qualunque foggia sia
Che de’ Burgundi io torni alla contrada.
E l’altro già volea balzar di contro
A lui, ma nol lasciò, chè forte il tenne,
225Hildebrando, il fratel della sua madre.
Credo, gli disse, che impazzir tu voglia
Con la tua furia giovanil. Per sempre
Tu perderesti del mio re la grazia!
Ir lasciate il leon, maestro, disse
230Volkero allor, valente cavaliero,
Ch’egli è di core inferocito. Sotto
A queste mani s’ei verrà, con sue
Mani egli avesse ancor la gente tutta
Del mondo uccisa, gli darò tal colpo
235Che di darne risposta in alcun tempo
Bisogno ei non avrà. — Forte d’assai
Crucciavasi per ciò l’alma di quello
Ch’è da Verona. Chè brandì lo scudo,
Egli valente cavaliero ed agile,
240Wolfharto allora, e contro a quello, in guisa
Di leon fero, si cacciò. Seguìanlo
Rapidamente quegli amici suoi.
Ma, ben che vasti egli facesse a quella
Parete della sala i passi suoi,
245Il raggiunse a’ gradini della porta
Hildebrando l’antico. Ei non volea
Lasciar ch’ei gisse innanzi entro la pugna,
Ma tosto ei là trovâr da presso agli ospiti
Ciò che ognun disïò. Mastro Hildebrando
250Contro ad Hàgen balzava, e ad ambo in pugno
S’udian le spade tintinnar. Crucciosi
Forte eran elli, e ciò veder dagli altri
Poteasi ancora, e da lor spade intanto
Turbo schiantava di faville. Eppure,
255Nella distretta dell’assalto orrendo,
Separati elli andâr. Fecer cotesto
Quei da Verona come a lor concesse
Ed impeto e vigor. D’Hàgene intanto
Via si tolse Hildebrando, e corse allora
260Contro a Volkero ardimentoso il forte
E valente Wolfharto. Ei raggiugnea
Di giga al suonator l’elmo d’un colpo,
L’elmo suo buono, sì che della spada
La punta ne scendea fino alle cinghie;
265Ma con gran forza il menestrello ardito
Cotesto compensò, ch’egli a Wolfharto
Sferrò tal colpo, che scintille attorno
Via da le maglie scaturîr. Scintille
In copia ei fean schiantar via dagli arnesi,
270Chè odio portava questo a quello. E poi
Ambo li separò quel da Verona
Guerrier, Wolfwino. Se costui non era
Un valoroso, non potea cotesto
In niun modo avvenir. Gunthèr valente
275Con poderosa man quelli accogliea
Guerrieri illustri in suol degli Amelunghi,
E principe Gislhero e molli e rossi
Rendea di sangue molti caschi. Fiero
Mortale era davver, d’Hàgen fratello,
280Dancwarto, e ciò che in pria ne la battaglia
D’Ètzel fece agli eroi, leggiera cosa
Fu come vento. Or sì ch’ei combattea,
Ei figliuol d’Aldrïano, in guisa orrenda!
Non Ritschardo od Helpfrico, e non Vichardo
285E non Gerbardo, in lor battaglie molte,
Avean lor opra ricusata, ed ora
Di Gunthero a’ gagliardi ei fean cotesto
Aperto e chiaro. Anche fu visto allora
Salir ferocemente alla tenzone
290Wolfprando eroe. Ma combattea l’antico
Hildebrando così, come nell’alma
Infurïava, e per man di Wolfharto
Molti de’ buoni cavalieri a morte
Dovean cader nel sangue per le spade;
295Così gli eroi valenti e ardimentosi
Vendicavan Rüedgero. Anche pugnava
Sigestàp duce come a lui quel suo
Valor guerriero consigliava. Oh! quanti
Buoni caschi ei fendea ne la battaglia
300A’ suoi nemici, ei figlio di Dietrico
A una sirocchia! Non avea più mai
Miglior opra compiuta in altri assalti.
Ma Volkero gagliardo allor che vide
Che Sigestàp ardimentoso un rio
305Scorrer di sangue dalle forti maglie
Facea col ferro, ebbe di ciò disdegno,
Ei prode, e tosto a lui balzò di contro.
Ebbe allor Sigestàp la vita sua
D’un sol tratto perduta innanzi a quello
310Di giga suonator, chè incominciava
A dargli saggio di quell’arte sua
Di tal guisa costui, che morto innanzi
Ei ne giacque alla spada. Ecco! vendetta,
In quella guisa che il vigor gli dava,
315Ne fe’ Hildebrando antico. Oh! il dolce mio
Prence e signor, che morto per la destra
Di Volkero qui sta! disse maestro
Hildebrando. Ma lunga ora non dee
Incolume restarne il menestrello.
320E Volkero ei colpì, sì che le cinghie
Di qua, di là, dell’aula a le pareti
Balzaro al menestrello ardimentoso,
E scintille mandâr, via dal cimiero,
Via dalla targa. Di sua vita il termine
325Volkèr possente per tal via toccava.
Gli uomini allora di Dietrico innanzi
Nella mischia avventârsi. Elli colpìano
Di cotal foggia, che lontano assai
Ivan maglie divelte, e delle spade
330Vedeansi in alto via volar le schegge.
Caldo e scorrente rio di vivo sangue
Ei suscitâr dalle celate. Intanto,
Volkero estinto là vedea quel sire,
Hàgene di Tronèga, e fu cotesto
335Il più grave dolor che sì ’l toccava
Alla festa regal fra tanti amici
Ed uomini congiunti. Oh! di qual fiera
Guisa del prode incominciò vendetta
Hàgene allor! Questo Hildebrando antico
340Goder non dee di tanto. E qui si giace
L’alleato di me, cui dell’eroe
Atterrava la mano, ei che di tanti
Che m’acquistai, fu il sozio mio migliore!
Alto levò lo scudo e innanzi venne,
345Colpi sferrando. Helpfrico, allor, valente
Dancwarto aggiunse d’un suo colpo. Il videro
E Gunthero e Gislhero in la distretta
Aspra venuto, e ciò fu a lor cagione
Di fiero duol. Ma di sue mani il prode
350Già vendicata la sua morte avea.4
Di qua, di là Wolfharto andava, tutti
Di re Gunthero scompigliando i forti;
Delle fïate era la terza questa
Ch’egli la sala attraversò. Ma intanto
355Molti cadeano al suol per la sua mano
Trafitti prodi. Gli gridava allora
Gislhero prence: Oh! qual toccammo noi
Fiero nemico! O cavaliero illustre
E ardimentoso, a me suvvia volgete.
360Darvi aita vogl’io la gran faccenda
A definir, nè più lung’ora puote
La faccenda tardar. — Si volse allora
A Gislhero Wolfharto entro la pugna,
E ciascun d’essi ampie ferite assai
365Venne attorno assestando. Incontro al sire
Con tanta forza sobbalzò Wolfharto,
Che di sotto dai piè sino alla fronte
Gli spruzzò il sangue de’ caduti. E il figlio
D’Ute leggiadra con tremendi e fieri
370Colpi Wolfharto ricevè, l’eroe
Ardimentoso. Ben che forte il prode,
No! scampar non potè, nè mai più fiero
Principe garzoncello esser potea.
Wolfharto egli piagò per quella sua
375Buona corazza, sì che dalla piaga
Caldo il sangue colò. L’uom di Dietrico
Piagava a morte, e niuno avrìa cotesto
Fatto davver, se un forte egli non era.
Come toccò Wolfharto ardimentoso
380La ferita mortal, lasciò lo scudo
Cader d’un tratto e in alto con le mani
Levò un’arma possente. Era quell’arma
Acuta assai. Con quella egli ferìa
Pel casco e per l’usbergo il pro’ Gislhero.
385Ambo così data s’avean crudele
Morte l’un l’altro, e non a lungo visse
L’uom di Dietrico. Là il vedea cadere
Quell’antico Hildebrando, ed io mi penso
Che anzi sua morte egli non vide mai
390Tanto dolore. E morti erano ornai
E di Dietrico e di Gunthero gli uomini,
E Hildebrando era accorso ove caduto
Era Wolfharto giù nel sangue. Strinse
Ei fra le braccia sue quel buon guerriero
395Ardimentoso. Egli volea con seco
Da quella casa via menarlo, e troppo
Eragli grave il pondo, e sì dovette
Lasciarlo ivi a giacer. Dal sangue5 allora
A lui guardava l’uom morente. Ei vide
400Che volentieri gli avrìa data aita
Di sua madre il fratel. Diceva intanto
Egli, a morte piagato: O dolce zio,
In quest’ora di nulla a me v’è dato
Porgere aita. D’Hàgene piuttosto
405Vi riguardate; e ciò mi sembra invero
Miglior consiglio. Ei reca nel suo core
Un’anima feroce. E se qualcuno
Mi piangerà dopo la morte mia
Fra’ miei congiunti, voi di me direte
410Al più vicino ed al miglior che piangere
Ei non dènno per me. Non è di tanto
Necessità. Gloriosamente estinto
Io giaccio qui d’un principe per mano.
Ma di mia vita, qui, compiuta ho innanzi
415Ogni vendetta, e donne di gagliardi
Cavalieri fien tratte a lagrimare.
Che se alcun vi dimanda, e voi d’un tratto
Sì rispondete che giacciono al suolo
Cento guerrieri per mia man soltanto.
420Ed Hàgene pensava al menestrello
Cui la vita rapìa l’ardimentoso
Hildebrando. Il mio duol, gridava al prode,
Sì pagherete voi! Molti e gagliardi
Guerrieri già di qui rapiste a noi.
425E di tal colpo l’arrivò, che chiaro
Altri intese da lungi il tintinnio
Di Balmunga, cui tolse Hàgene ardito
A Sifrido, nel dì ch’egli l’eroe
Colpì di morte. E difendeasi quello
430Guerriero antico, ed era egli d’assai
Destro e avveduto. Un ferro ampio vibrava,
Tagliente assai, di Dietrico il guerriero
Di contro al sire di Tronèga; eppure,
L’uom di Gunthero ei non potè ferirne,
435Ed Hàgene frattanto d’una piaga
Per l’arnese il toccò. Ratto che il vecchio
Hildebrando toccava esta ferita,
D’Hàgene dalla man danno maggiore
Egli temette. Dietro dalla schiena
440L’uom di Dietrico si gittò lo scudo,
E ad Hàgene sfuggì con le sue forti
Piaghe quel prode. E, omai, niuno era in vita
Di tanti eroi, Gunthero ed Hàgen tolti,
Soli esti due. Andavane l’antico
445Hildebrando, e di sangue era egli molle,
E la trista novella iva recando
Là ’ve prence Dietrico ei rinvenìa.
Com’egli vide assidersi costui
Cruccioso e mesto, gran dolor n’avea
450Il nobil prence. Hildebrando ei vedea
Rosso di sangue per l’usbergo ancora,
E sì ne chiese le novelle, come
Gl’ingiugnea la sua cura. Orsù, mi dite,
Hildebrando maestro, in questa guisa
455Perchè di sangue di piaga mortale
Molle voi sête? E chi vi fe’ cotesto?
Penso che abbiate voi, là dal palagio,
Con gli ospiti pugnato. Io sì vi fêi
Di ciò forte divieto, e con giustizia
460Evitato l’assalto avreste voi.
Ei rispose al suo prence: Hàgen fe’ questo.
Queste ferite ei m’assestò nel tempo,
Là nella sala, ch’io volea da quelli
Eroi ritrarmi a dietro. Io con gran stento
465La vita mia dal diavolo scampai.
A buon dritto ciò accadde, il veronese
Prence rispose (ed agli eroi m’udiste
Amicizia affermar), perchè la tregua
Ch’io lor concessi, vïolaste voi.
470Che s’io vergogna non ne avessi eterna,6
Perder la vita ne dovreste. — Oh! voi
Non di soverchio vi crucciate, o mio
Prence Dietrico! Troppo grave il danno
Degli amici e di me! Volemmo noi
475Via portarne Rüedgero, e ciò non vollero
Di re Gunthero gli uomini concedere.
Oh! mio grave dolor! Rüedgero estinto!
D’ogni sventura mia questa mi dee
Esser doglia maggiore! Alla sirocchia
480Del padre mio figliuola è quella nobile
Gotelinde. Oh! que’ miseri orfanelli
Che or sono in Bechelara! — Aspro cordoglio
Quella morte recavagli ed ambascia,
Ed egli a lagrimarne incominciava,
485Chè di cotesto a lui, nobile eroe,
Necessità sorvenne: Oh! la fedele
Aita ch’io perdei! Scordar l’angoscia
Mai non potrò dell’uom d’Ètzel devoto!
E che? potreste voi, mastro Hildebrando,
490Verace dir l’annunzio, e chi mai sia
Il guerrier che l’eroe morto atterrava?
Gernòt gagliardo, ei rispondea, ciò fece
Di forza, ma egli pur, l’eroe valente,
Giacquesi estinto di Rüedgèr per mano.
495Disse Dietrico ad Hildebrando allora:
Dite agli uomini miei che s’armin tosto,
Chè andarne io vo’ colà. Che mi si apporti
Anche ingiungete il fulgido mio arnese
Di guerra, ch’io medesmo i valorosi
500Vo’ interrogar della burgundia terra.
E maestro Hildebrando: E chi con voi,
Disse, venir dovrà? Chi vivo ancora
De’ vostri avete, qui appo voi si tiene;
Ed io son solo ed ultimo, chè gli altri
505Tutti son morti. — Alla crudel novella
Costernato ei restò. Sventura il tocca
Verace, chè quaggiù doglia sì grave
Ei non ebbe più mai. Se morti sono,
Disse, tutti i miei forti, Iddio signore
510Me, Dietrico infelice, ecco, scordava!
Ed io fui prence illustre e assai potente
E ricco ancora. — Oh! come adunque, disse
Ancor Dietrico, ciò avvenir potea
Che tutti, per la man di stanca gente
515Che alta sventura già opprimea, caduti
Sian morti esti guerrier degni di lode?
Se non accadde per l’avversa mia
Stella cotesto, era in ciascun la morte
Strana cosa davver.7 Ma poichè a lungo
520Mancar non mi potea la rea fortuna,
Ditemi voi qual mai degli stranieri
Anche incolume sta. — Sa Iddio cotesto!
Mastro disse Hildebrando; e nessun vive,
Fuor che Hàgen e Gunthèr principe illustre.
525Ahimè! Wolfharto mio diletto, ed io
Perdere ti dovea. Davver! che duolmi
Ch’io sia mai nato! E Sigestàp? ancora
E Wolfwino e Wolfprando? Oh! chi soccorso
Darammi a ritornar degli Amelunghi
530Di qui alla terra? Helpfrico, ardito assai,
Anch’ei forse m’è ucciso? Anche Vichardo,
Anche Gerbardo? e piangere cotesti
Di qual guisa degg’io? Questo è l’estremo
Dì d’ogni mio contento? Ahimè! che alcuno
535Morir non puote per dolor che il prenda!