I Nibelunghi (1889)/Avventura Trentatreesima

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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Trentatreesima
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Avventura Trentatreesima

In che modo quei di Borgogna combatterono con gli Unni


     Di tal guisa venìa sotto a le porte
Dancwarto ardito, che d’Ètzel fe’ cenno
Di scostarsi a’ famigli. E le sue vesti
Eran molli di sangue, ed egli in pugno
5Forte portava e sguainato un ferro.
     Con alte voci assai gridò Dancwarto
Dinanzi da l’ostello: Oh! voi sedete
Lungamente soverchio, Hàgen fratello!
A voi, a Dio del del, la mia rancura
10Fo lamentando aperta. Ai nostri alberghi
Famigli e cavalier morti si stanno.
     E quei di contro gli gridò: Cotesto
Oh! chi mai fece? — Il fe’ co’ suoi gagliardi

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Bloedelin sire. Ma ben cara assai
15La pena ei ne pagò; questo vogl’io
A voi narrare. Queste mani mie
Gli han la testa recisa. — Oh! picciol danno
È inver cotesto, Hàgen rispose, allora
Che d’alcun cavalier questa novella
20Ridir si possa ch’ei perdè sua vita
Per man d’un altro cavalier. Da piangere
Meno s’avrà per ciò donna leggiadra.
Ma ditemi, e perchè di sangue tinto
Siete così, fratel Dancwarto? Credo
25Che per vostre ferite assai dolore
Soffriate voi. Ma se chi fea cotesto
Ancor s’annida in questa terra, andarne
Dovrà sua vita, ancor se di salvarlo
Tenta il diavolo reo. — Deh! che qui sano
30Voi mi vedete, e son di sangue molli
Le vesti mie. Per piaghe altrui, cotesto
A me toccava, e tanti oggi ho qui uccisi,
Ch’io dirvi non potrei, giurar dovessi,
Quanti erano, giammai. — Fratel Dancwarto,
35Hàgen disse, guardateci la porta

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E non lasciate che fuori esca un solo
Di questi Unni. Distretta ci costringe,
E favellar degg’io a’ cavalieri.
Ingiustamente giacciono que’ nostri
40Famigli uccisi. — Poi ch’io son, rispose
L’ardito prode, il custode alla sala,
A’ re possenti ben poss’io servire,
E però queste scale, a l’onor mio
Conforme, in cura avrò. — Cosa più acerba
45Di Kriemhilde agli eroi non potè incogliere.
     Gran meraviglia ora mi prende, intanto
Hàgen dicea, che mai gli Unni guerrieri
Si stian fra loro a mormorar. Di quello
Che alla porta si sta, che le novelle
50Portò di corte di Borgogna ai prenci,
Liberarsi ei vorrìan; così mi penso.
Da lungo tempo di Kriemhilde udii
Questo narrarmi, ch’ella del suo core
Lasciar non vuol l’affanno. Ora, d’alcuno1
55Per noi si beva alla memoria e il vino

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Del re si paghi. Il giovinetto sire
Degli Unni il primo sia. — Hàgene, eroe
Gagliardo, allora, di tal guisa un colpo
A Ortlieb infante disferrò, che il sangue
60Verso a le mani gli salìa pel ferro
E alla regina in grembo ne balzava
La tronca testa. Allora, in fra gli eroi
Orribile sterminio incominciava.
     E quegli, dopo ciò, con ambe mani
65Rapido un colpo al balio disferrava
Che il regio infante custodìa. La testa
Cadea d’un tratto al desco innanzi, e tale
Fu il tristo premio ch’ei pesò a colui,
Balio d’infanti. E vide innanzi al desco
70D’Ètzel un menestrello. Hàgene a lui
S’avvicinò nell’ira sua; la destra
Man gli ferì sovra la giga e disse:
     Abbiti questo per il tuo messaggio
Alla burgundia terra! — Oh! la mia mano,
75Werbel gridava, il suonator di giga.
Sire Hàgen di Tronèga, oh! che fec’io,
Che feci a voi? Del vostro re alla terra

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Io venni già con leal fede. Oh! come
Gli accordi miei destar potrò, perduta
80Poi che ho la mano mia? — Poco davvero
Hàgen si diè pensier se la sua giga
Quegli non suonò più, chè per la casa
Orribile scompiglio ei suscitava
D’Ètzel tra i prodi, e molti sì ne uccise;
85Molta gente, davver, condusse a morte
Nel regio albergo, allor. Volkero ardito
Balzò dal desco, ed alto in fra le mani
Gli risuonò quell’arco suo di giga.
Deh! che in guisa tremenda il menestrello
90Di Gunthero suonò! Quanti fra gli Unni
Ardimentosi ei s’acquistò nemici!
     Anche balzaro i tre possenti regi
Via da’ lor deschi; e volentier la pugna
Avrìan voluto sperdere, assai pria
95Che maggior danno là toccasse. In questo
Consiglio, oh! non potean elli cotanto,
Chè troppo invero a furïar principio
Hàgen fece e Volkero. Allor che vide
Non separata la tremenda pugna

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100Del Reno il sire, molte ampie ferite,
Ei stesso, il re, per i lucenti arnesi
De’ suoi nemici ministrò. Valente
Eroe costui; però gagliarde prove
Ei fea di sè. Ma venne anche alla pugna
105Gernòt possente, e molti eroi degli Unni
Morti egli fe’ con un’acuta spada
Che Rüedgero gli diè. Male d’assai
Fece d’Ètzel ai prodi. Or, nella mischia
Anche gittossi il figlio giovinetto
110Di donna Ute, e sovra gli elmi un alto
Davan clangor quell’armi sue lucenti,
D’Ètzel ai prodi sovra gli elmi, a quelli
De la terra degli Unni. Oh! gran prodigio
Di Gislhero la destra ardimentosa
115Oprava allor! Ben che gagliardi ei fossero.
Con lor guerrieri questi re, dinanzi
Fu visto a tutti, e di contro a’ nemici,
Starsi Gislhero. Buono eroe costui!
Chè sotto a’ colpi suoi molti nel sangue
120Ei fe’ cader. Ma forte anche a sè stessi
Facean difesa d’Ètzel i gagliardi,

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E per la sala di tal re fûr visti
Con lor spade lucenti andarne gli ospiti,
Colpi sferrando, e suono alto s’udìa
125Da tutte parti di lamenti e grida.
     Ma chi fuori si stava, entrar volea
Presso gli amici suoi; però a le torri,
Là, su la porta, poco assai guadagno
Elli si avean così; fuor dalla sala
130Uscir volea chi v’era dentro, e niuno
Salir lasciava o scendere Dancwarto.
     Forte si fece allora appo le torri
Uno spingersi e urtarsi, anche di spade
Sugli elmi un alto risuonar. Venìa
135Dancwarto ardito in gran distretta, e a tanto
Volse il pensiero il fratel suo, chè tanto
La fede sua gli comandava. In alte
Voci a Volkero Hàgen mandò richiamo;
     Sozio, vedete voi starsi mio frate
140Là, sotto a’ colpi ponderosi, innanzi
Agli Unni prodi? Al fratel mio deh! voi,
Pria che quel forte perdasi da noi,
Accostatevi, amico! — Io veramente,

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Così rispose il sonator di giga,
145Farò cotesto. — E cominciò la sala
A camminar sonando la sua giga,2
Chè sovente fra man gli tintinnava
Una spada robusta. I cavalieri
Del Reno glien porgean grazie d’assai.
     150Volkero, ardito assai, disse a Dancwarto:
Grave disagio in oggi voi soffriste,
E vostro frate mi pregò che a voi
Qui venissi in aita. Ove di fuori
Restar vogliate voi, starommi a questa
155Parte di dentro. — E da le porte fuori
Stettesi allor Dancwarto valoroso,
E difendea, se alcun di là salìa,
I gradini alla scala. Ecco! s’intese
Tintinnar fra le mani a quel valente
160L’arma guerriera, e questo anche di dentro
Volkero fea della burgundia terra.
     Così, sopra la folla, egli gridava,

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Di giga ardito suonator: La sala
Bene sta chiusa, prence Hàgene amico.
165Davver! la porta d’Ètzel re sbarrata
Stassi, e le braccia di due prodi al loco
Sottentran qui di mille sbarre. — Quando
Hàgene di Tronèga in questa foggia
Vide la porta custodita, a dietro
170La targa si gittò quel prode illustre
E valoroso, e primamente quivi
A vendicar ciò che altri già gli fece,
Incominciò. Di niuna guisa allora
Ebber speranza li nimici suoi
175Del viver loro; e di Verona il prence
Che ciò scoverse manifesto, intanto
Che molti elmi rompeva Hàgen valente,
Dal suo banco saltò, degli Amelunghi
Egli il signore, e disse: Ora ci mesce
180Hàgen di tutte la peggior bevanda!
     E l’ospite signor grave pensiero,
Qual s’addiceva, ebbesi allor (deh! quanti
Altri gli tolse innanzi agli occhi suoi
Diletti amici!); salvo a stento uscìa

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185A’ suoi nemici innanzi. Egli sedea
Pieno d’angoscia. Che gli valse allora
Ch’egli re fosse? Ma gridava intanto
La possente Kriemhilde appo Dietrico:
     Or m’aitate, nobil cavaliero,
190Alla persona mia per quante sono
Virtù di prenci che venìan da quella
Terra degli Amelunghi! Oh! se m’arriva
Hàgene, sì davver che in mano mia
Ho già la morte! — Oh! come dunque, a lei
195Disse prence Dietrico, io vi dovrìa
Porger soccorso, o nobile regina?
Io di me stesso ho cura, e troppo assai
Ènno crucciati di Gunthero gli uomini
Per ch’io possa qualcuno, in tal momento,
200Render sicuro. — Oh no! prence Dietrico,
Nobile e buono cavalier d’assai!
Lascia, deh! lascia che oggi qui risplenda
L’eletta anima tua, perchè d’aita
Tu mi soccorra qui. Se no, qui morta
205Io resterò. — Grave rancura assai
A Kriemhilde incogliea per tal pensiero.

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     Io tenterò cotesto, ove a me dato
Sia di porgervi aiti; e sì mi penso
Che in ben lunga stagione unqua non vidi
210Eletti cavalieri in sì rabbiosa
Guisa crucciati. E veggo a lor dagli elmi
Sangue spicciar, de’ ferri sotto ai colpi.
     Con forza allora incominciò l’eletto
Cavaliere a gridar; la voce sua
215Alta suonava come di bisonte
Corno guerriero, ed ampiamente quello
Regal palagio, a tal vigor di lui,
Echeggiavane intorno. Era la forza
Di re Dietrico di là da misura
220Possente e grande. Ma poichè costui
Udì gridar nell’accanita pugna
Prence Gunthero, a porgervi la mente
Ei cominciò ascoltando. Ora è venuta
Alle mie orecchie voce di Dietrico,
225Ei disse. E credo che qualcun de’ suoi
Rapito gli hanno i prodi nostri. Il veggo
Starsi appo il desco, e con la mano accenna.
Deh! voi congiunti miei, voi tutti amici

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Di terra di Borgogna, il fiero alterco
230Cessate, fate che altri vegga et oda
Ciò che qui accadde al cavalier per questi
Uomini miei. — Per comandi e preghiere
Che fe’ prence Gunthero, egli le spade
Alte levâr nella distretta fiera
235Della battaglia. E fu grande lo sforzo,
Per ch’altri ancora non colpisse; intanto,
Rapidamente di Verona al sire
Assai novelle ei dimandò, dicendo:
     Deh! che s’è fatto a voi, nobil Dietrico,
240Da questi amici miei? Vogl’io di tanto
Ammenda farvi e il danno risarcire,
E a ciò pronto son io. Qualunque cosa
Altri vi fece, a interno duol mi torna.
     Nulla si fece a me, prence Dietrico
245Rispose allor. Sotto guardia di pace,
Deh! mi lasciate voi co’ miei consorti,
Via dall’orrida pugna, uscir da questo
Reale albergo. In sempiterno a voi
Obbligo certo avrò di tanto. — Disse
250Wolfharto allora: A che sì tosto voi

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A supplicar volgete? Il menestrello
Non di tal guisa ci sbarrò la porta,
Che schiudere da noi più non si possa
Ampia cotanto per uscirne ancora.
     255Tacete voi! disse Dietrico. Il diavolo
Faceste qui! — Concedervi cotesto
Vogl’io, soggiunse principe Gunthero,
E però via di qui vosco traete
E molti e pochi, tolti i miei nemici.
260Qui restar dènno. Troppo gran dolore
Ei qui m’han fatto presso agli Unni. — Allora
Che udì cotesto, l’inclita regina
Dietrico cinse di sue braccia. In lei
Grande l’angoscia! Ei sì con l’altra mano
265Ètzel con sè di là condusse. Ancora
Seicento con Dietrico uscìan gagliardi.
     Disse il margravio, nobile Rüedgero:
Se dalla sala ad altri ancor, che serve
D’integro core a voi, si dà l’uscire,
270Ciò intendere ci fate. A buoni amici
Pace conviensi che mai non si turba.

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     E pace e tregua, Giselhèr rispose
Della burgundia terra, a voi sian note
Da parte nostra, poi che siete voi
275Fermi in la vostra fè coi vostri prodi.
Di qui pertanto con gli amici vostri
V’è dato uscir senza corruccio e offesa.
     Prence Rüedgèr come sgombrò la sala,
Cinquecento, anche più, fra gli altri tutti
280Lui seguitâr, fra quei di Bechelara,
Amici suoi, guerrieri suoi. Gran danno
S’ebbe da questi poi prence Gunthero.
     Or poichè tal degli Unni uscir vedea
Ètzel presso a Dietrico, ei di cotesto
285Anche volle goder.3 Ma gli diè colpo
Il menestrello, che ne giacque il capo
Ratto a piè d’Ètzel prence. Oh! come uscìa
Da quella casa l’ospite signore
Di quella terra, a dietro ei si voltava

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290Riguardando a Volkero. Oh! mio dolore
Per quest’ospite mio! disse. Gli è questa
Orribile rancura, innanzi a lui
Giacersi morti i miei guerrieri! — Oh! trista
Festa di noi! soggiunse il nobil sire.
295Pugna là dentro un uom, detto è Volkero,
Come verro selvaggio, e suonatore
Egli è di giga. La fortuna mia,
Perchè al diavol sfuggii, forte ringrazio!
E suonan tristo i canti suoi, e sono
300Tinti di sangue i colpi, e morti fanno
Cadere i toni suoi molti guerrieri.
Questo di giga suonator che voglia
Di noi, non so. Mi penso che sì grave
Rancura non toccava ospite mai!
     305Così, quei che volean, là per la sala
Ei lasciavansi a dietro, e si levava
Alto fragor da tutte parti. Assai
Fieramente quegli ospiti vendetta
Di ciò che accadde, si pigliâr. Deh! quanti
310Elmi spezzò Volkèr l’ardimentoso!
E Gunthèr, gentil sire, anche volgeasi

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A quel fragor, dicendo: Accordi udite,
Hàgene, che laggiù desta Volkero,
Suonando di sua giga, in fra quegli Unni
315Che a la torre s’accostano? L’attacco
Che coll’arco egli fa, di sangue è rosso.
     Hàgene disse: Di là da misura
Mi duole assai che qui mi sto sedendo
In questa sala appo l’eroe.4 Compagno
320Er’io di lui, di me compagno egli era;
E se avverrà che ritorniamo a dietro
A nostre case, tali ancor saremo
Con lealtà. Gentil signor, tu vedi
Quanto Volkero t’è fedel. Si merta
325E si guadagna di gran voglia il tuo
Oro e l’argento; e l’arco suo di giga
Duro acciaio trapassa, e gli ornamenti
Corruscanti sugli elmi ei rompe e infrange.
Di giga sonator non vid’io mai

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330Sì fieramente star, come oggi fea
Volkèr gagliardo. E suonano suoi canti
Sovr’elmi e scudi. Buoni palafreni
Ei dee pertanto cavalcar, portare
Vestimenta da principe. — Ma intanto
335Di quelli che restâr dentro la sala,
Consanguinei degli Unni, alcun non fue
Che incolume si fosse. E però tolto
Fu l’orrendo fragor, chè niuno omai
Là combattea. Deposero di mano
340Le spade allora i prodi cavalieri.



Note

  1. Di Sifrido.
  2. Detto con fiero scherzo in senso di menar colpi di spada.
  3. Un guerriero degli Unni, vedendo uscire Etzel, voleva approfittare di questa occasione per uscire con Etzel e involarsi alla strage.
  4. Nella sala tutto è finito; perciò Hagen non fa più nulla, mentre Volkero combatte con quei di fuori, sulla porta.