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Il Tempo, l'Impaziente e il Vendicativo academici Peregrini

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Il Tempo, l'Impaziente e il Vendicativo academici Peregrini
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IL TEMPO L’IMPAZIENTE E IL VENDICATIVO

ACADEMICI PEREGRINI

Tempo. Certamente, se voi aspettavi me, voi facevi ogni cosa bene. E’ parrebbe che voi non sapessi quel che io so fare, quel che io sono, quanta sia la mia forza, il valore e la virtú: vostro danno; un’altra volta non correte cosí a furia.

Impaziente. Chi se’tu? Oimè! tu mi pari un de ’nostri Pellegrini, e pur non ti conosco. Che vuol dir questo mutarti di viso a ogni poco? che faccia hai tu? La mi par vecchia di mill’anni, la mi par giovane, la diventa di fanciullo, la si convertisce in mezza etá, e talvolta tu pari un uomo piú che decrepito. Di grazia, dicci chi tu sei, poi che sí fattamente ci riprendi e di’ che se noi aspettavamo te, che avremmo fatto tutto bene.

Tempo. Bisogna, cari frategli, che io mi cominci un pezzo a dietro a dirvi del fatto mio: e se voi non fosti viandanti e peregrini come son io, mai m’avreste veduto. Ora, per dar principio a molte cose grandi, forse non piú udite, eccovi con la chiarezza di parole chi io sono, e poi ve ne certificherete con i fatti. Io fui anticamente un maestro d’oriuoli, e il primo che io facessi mai fu all’elemento dell’acqua, acciò che ella sapesse quando doveva crescere e quando scemare, quanto doveva durare a piovere, eccetera: e lo feci d’acqua, con certa misura, come si sa per molti. L’elemento del fuoco me ne fece poi fare un altro; onde fui forzato a far nuova invenzione, e cosí mi messi intorno a quest’opere e ne feci un altro al sole. Quando [p. 172 modifica] l’elemento della terra vidde il mio ingegno, mi pregò che io ne dovesse far uno; alla qual domanda io ricusai un pezzo. L’aria, che desiderava anch’ella reggersi a ore e punti e minuti, si fece inanzi e mi pregò a farne uno ancor per lei; tanto che io fui forzato a farne uno che servisse all’aria e alla terra. Onde, per far questa cosa, bisognò che io rivelassi un gran secreto de’ cieli, di donde io sono uscito, dove io son nato, cresciuto e allevato: e questo fu il metter girelle in opera; che mai giri, tondi e girelle erano state vedute qua giú fra voi, se non il tondo del sole, il tondo della luna e l’arco baleno. Volete voi altro? che, súbito che io ebbi dato in queste girelle e fatto l’oriuolo, che tutti gli uomini vi detton di graffo (oh che bellezza di girelle v’era egli dentro!); e parendo loro una cosa bella e rara, in effetto sí come ella è, se le portarono a casa e si messero a torno a queste girelle e ne cominciarono a far porre per comune; particolarmente poi per tutte le case facevano oriuoli; e mano a girelle; e queste girelle non servivano ad altro che a dispensare il giorno e la notte. La terra fu contenta che si mettessero a sacco le girelle e che ciascuno ne pigliasse quanto egli voleva; ma l’aere s’adirò e voleva che l’oriuolo fusse mezzo suo. La lite di questo caso fu rimessa in Giove in quel tempo che faceva la girella del zodiaco; onde egli, quando ebbe udite le parti, diede per sentenza che tutti gli orologii fussero messi in aere, ne’ piú alti luoghi che si potesse (e cosí s’usa insino a oggi) e che tutte le girelle che avanzavano (che furon senza numero e senza fine) gli uomini se le ficcassero nel corpo e quivi le tenessero riposte e secondo l’occasioni le mettessin fuori, piú e meno secondo che faceva lor bisogno. La terra, per dispetto che sempre stessino in aere, andò e ne fece far di polvere e de’ piccoli da portar nascosti, i quali poche volte si mostrano all’aria.

Vendicativo. Come ti chiami tu?

Tempo. Io mi chiamo il Tempo.

Vendicativo. Quale? il buono o il cattivo? Se’ tu quello che fai maturar le nespole con la paglia o, come si dice, «e’ non è tempo da dar fieno a oche», quasi volendo dire, costui [p. 173 modifica] non è quel Tempo che dá del fieno all’oche? Però ci debbe esser un altro che si chiama il Tempo che dá del fieno all’oche.

Tempo. Io sono una certa figura che piglio non tutti i colori come il camaleonte, no, ma piglio tutte le forme; e però solo non posso far cosa nessuna: la mia donna e io facciamo molte faccende insieme.

Impaziente. Come ha ella nome?

Tempo. L’Occasione, al comando della signoria vostra. Ora, come io vi dico, mi trasformo in tutti i personaggi: talvolta son cozzone di cavalli, però si dice per lettera: «Tempore læta pati fr@Accolturatona docentur equi»; id est, «con il tempo e con il morso si domano i cavalli»; ecco che senza il morso non farei nulla di buono. Ancóra gli orologii son fatti da me con diverse materie, ferro, oro, argento, ottone, rame, eccetera.

Vendicativo. Il tempo e la vita nostra non è tutto uno? Perché si dice, del corso della vita nostra: «io ho tanto tempo; io n’ho quanto? cinque anni, vénti», eccetera; e: «chi ha tempo ha vita».

Tempo. Messer no, perché ‛tempo’ è sempre il verbo principale, ma, come io v’ho detto, va accompagnato; però si dice: «s’io ho tempo e vita, farò e dirò; se mai in mia vita verrá quel tempo, so che io voglio e fare e dire». Se la vita e il tempo fosse una medesima minestra, si direbbe: «s’io ho vita» solamente o «s’io ho tempo» e basterebbe; anzi si dice: «s’io ho vita, e’ verrá tempo un giorno da fare e da dire». E perché voi sappiate quello che mai avete saputo, quando feci gli oriuoli agli elementi, io mi feci far una scritta di lor mano, che mai potessin far cosa nessuna senza me e, ciò che facessero o dicessero da indi in poi, sempre mi chiamassero e a tutto dovessi io esser presente. Ma inanzi che io palesasse questa scrittura, io me n’andai da Giove, perché io son suo figliuolo (ma, a dirlo a voi, io son nato di legittimo adulterio) e mi feci fare un presente di tutte le cose che producessero gli elementi, quando io vi fossi presente. Onde Giove non pensò alla malizia, ché non l’avrebbe fatto, anzi discorse da sé con dire: — A che si può egli mai trovar costui presente? Egli non è giá altri che [p. 174 modifica] un uomo; non può giá esser per tutto. — Quando ebbi ottenuto questo, io posi nome a tutti gli oriuoli Tempo; onde senza il Tempo, ciò è senza me, non vaglion nulla: e che sia il vero, che si sanno per molti questi miei secreti, vedete che si dice: «E’ non va a tempo questo oriuolo». Cosí mi sono, scoperta la scrittura, fatto padron di ciò che si fa: ogni cosa è mio per ereditá e per il testamento di Giove. Quando gli dei viddero questo, si congregarono a concilio e mi fecer contro, tanto che mi condannarono a non essere stabile, ma esser un oriuolo, come dire un girellaio, e che io non mi dovesse mai mai fermare.

Vendicativo. Queste son gran cose, né da me mai piú udite.

Tempo. Aspettate, ché io ve ne dirò dell’altre. Avendomi gli dei fatto sí terribil sentenza contro, come qualche uno di loro s’impaccia di cose fuor del cielo, che s’apartenghino ai quattro elementi o si faccino fra questi elementi, e io mi vendico. Udite in che modo io feci a fare ingannare Venere e Marte. Quando e’ furono insieme, Gallo, lor servitore, aveva temperato l’oriuolo, per saper quante ore egli aveva a stare a chiamargli: io súbito tirai l’oriuolo a dietro, e, cosí, di mano in mano che egli caminava, lo ritirava. Gallo, guardando e riguardando cento volte questo suo oriuolo, gli parevano lunghe le ore; alla fine, stracco dall’aspettar tanto, s’adormentò e adormentossi su quell’ora che si doveva destare: onde ne venne il sole e acadé quella disgrazia che fu scoperta la cosa. Allora il povero servitor Gallo fu condannato ad aver sempre a far l’ufizio dell’oriuolo, perché non lo seppe temperar bene. La cosa si seppe poi e io fui cacciato di cielo; onde, chi sale al cielo, sale con l’autoritá mia, e, per insino che egli va per quei cieli bassi, io sono il dominus: ma quando entra in quel piú perfetto, vi sta senza me (cosí si dice) e vi sta sempre, che è senza tempo, termine e senza fine.

Impaziente. Vedi quante nuove materie io odo oggi! Deh vedi che Peregrino è questo! Dimmi, di grazia, perché ti chiamano egli cattivo, buono, eccetera.

Tempo. Lo essere io immortale qua giú fra voi m’ha fatto vedere tante e tante vostre cose e rivedere e vedere e da capo [p. 175 modifica] rivedere, che io son fatto cattivo, anzi tristo e doloroso; e per trasformarmi a ogni mio piacere in ciò che io voglio, vengo a far queste novitá; ho poi la maladizione della instabilitá adosso e l’inimizia fra gli dei e me. Pensate che io faccio mille mali: loro fanno nascer le cose, e io per dispetto le distruggo; e gli uomini, che non sanno l’inimicizia nostra, si pensano ancóra che per conto loro facci tal cose, però talvolta mi maladiscono, mi bestemiano. Che sia il vero che io ho le mani in tutte le paste del mondo e che io mi trovi presente a ciò che si fa, è cosa chiara. Senza me non si può ereditare, senza me non si può far nozze, ché bisogna aspettare che la sposa e lo sposo abbia il tempo, si dice; e dicesi: «bisogna aspettar il tempo delle nozze; da far nozze, non son i tempi adesso», eccetera. I pagamenti de’ danari, bisogna che io vi sia; produci una scrittura inanzi a uno senza me, vedrai che súbito e’ dice: «e’ non è tempo»; tanto che, s’io non ci sono, mai si tirano i danari; e chi fa le cose che non le faccia a tempo, le fa male, ciò è contro alla voglia mia. Perché l’imperadore andò all’impresa d’Algieri contro a tempo, id est senza che io fossi in cervello (come dire, e’ non mi piaceva che egli v’andasse allora che ne veniva l’inverno), io mi crucciai e gli feci quel danno; quando egli andò poi nella Magna a far guerra l’inverno, egli mi pregò che io non gli fossi contro come ad Algeri, e io gne ne detti vinta. E che sia il vero, e’ si dice: «l’imperatore ha aspettato il tempo; con il tempo s’è governato l’imperatore». Si maraviglian poi, questi ignoranti del mondo, quando e’ veggano un giovane savio litterato e mirabile, e dicano: «come è egli possibile che in sí poco tempo costui sappi tanto?». Oh goffi! in un punto fo tanto quanto mi piace. Non sapete voi che ’l tempo insegna? chi è miglior maestro di me? Credete, adunque, che io non possi far queste e maggior cose? Chi ha me in sua compagnia ha tutto: col tempo si piglia le fortezze, le cittá, gli stati; e, come ho detto, ci bisogna compagnia meco, come dir artiglierie, eserciti, abondanza, forza, valore, virtú e pazienza; ma tutte queste brigate e queste cose son miei vassalli e mie regalie. Io m’inamoro talvolta di queste vostre creature e do loro tutti i piaceri che [p. 176 modifica] sia possibile; onde voi dite poi: «oh, costui ha il bel tempo!», ciò è il tempo suo gli dá buon tempo. Sia pure uno ricco o giovane o nobile o re o che cosa si voglia, che s’io non voglio, mai avrá buon tempo, anzi gne ne darò cattivo a ogni mio piacere, e buono. Se talvolta io vo’ bene a uno e che io non possi, per aver allora che fare, servirlo in qualche sua faccenda, io gli mando la Pazienza, e fo andar la mia donna, l’Occasione, e poi, súbito che io arrivo, lo servo mirabilmente. Vedete che si dice: «egli è venuto il tempo». Io vo’ fare e disfare, dire e ridire: «chi ha tempo (perché mi muto di fantasia) non aspetti tempo». Il Petrarca, che sapeva che io doveva tornare a lui per una sua faccenda, disse:

Tempo verrá che all’usato soggiorno
torni la bella fera e mansueta

che in vulgare vuol dir cosí: quando il Tempo vorrá, io farò con Laura eccetera. E si dice bene questo detto, che non mi piace, rubato dal Petrarca: quando la plebe dice: «e’ verrá ben tempo che io mi vendicherò»; questo è mal detto, perché non posso star troppo in cervello, e non voglio talvolta, perché mi par che mi sia comandato, a dire a quel modo; ma, per dir corretto, si debbe piú tosto dir cosí: «se ’l Tempo vorrá (e non ‛verrá’), io farò le mie vendette». Non si dice egli: «io aspetto l’Occasione, e poi farò e dirò»? Messer sí. Ecco che chi dice cosí viene ad aver la mia volontá nel pugno, perché se ne fa certo, quando io gli mando l’Occasione mia donna; e quando ella arriva, io posso poi star poco, come colui che son di carne anch’io e mi piaccion le donne. Un altro dirá: «non ho mai avuto in vita mia un’ora di buon tempo; sempre mi sono affaticato, ho travagliato di dí e di notte; che maladetto sia questo e quello». Chi mi vuole aver per compagno, bisogna che abbi parecchi parte in sé, altrimenti non vo a star seco mai.

Impaziente. Queste avrò caro di sapere.

Tempo. Spensierato, per la prima, non aver sopra capo, non aver moglie, non governo di casa, né fastidio de’ fatti con altri; poi, venga che vuole, farsi beffe d’ogni cosa. [p. 177 modifica]

Vendicativo. Ah, ah, ch’io non ti vedrò mai in casa mia, perché ho donna e governo di famiglia.

Tempo. Io vengo ben talvolta a starmi certi pezzi con voi altri, e con tutti sto qualche poco, ma non mi fermo tanto quanto io mi dimoro con gli spensierati. Io son poi signore di tutto il mondo, ma non voglio che una cittá e gli uomini che io fo miei luoghitenenti dominino piú che tanto, perché bisogna compiacere a piú persone; e cosí giuoco a scacchi degli stati e di tutte l’altre cose uscite degli elementi. «Al tal tempo si faceva; al tal tempo si diceva; oggi non si fa piú; almanco fussi il tempo oggi che era i tali anni!; il tempo d’oggi vuol cosí; il tempo passato voleva colá; il tempo porta quest’usanza». E si dice ancóra: «ora che tu hai tempo, sappiti vendicare; tu avesti il tempo di far la tal cosa e lo lasciasti fuggire, tuo danno! Eimè — dice quell’altro — che io non sono a tempo!», perché conosce che io non gli son propizio. «Egli non è ancor tempo di far cotesta faccenda; io sono arrivato a tempo; bisogna saper conoscere il tempo; oh chi potesse pigliare il tempo!; io non so che tempo io m’abbia». Alcune volte io sono con voi e voglio che voi facciate una cosa, ma non vi stimulo, anzi vi lascio in vostra libertá; come sarebbe a dire, io vi metto l’occasione inanzi, che voi siate in camera con una donna che voi desiderate e cominciate a dargli la battaglia; ella dice: — E’ non è tempo ora, un’altra volta; di grazia, non fate, che non è tempo. — Non vi lasciate uccellare in quella volta, perché io ho mandata l’Occasione mia mogliera inanzi per servirvi; quando voi la vedete, andate pur di buone gambe, perché son súbito da voi; che se voi state troppo troppo a dar pasto di parole, l’Occasione sta mal volentieri a disagio, dove io la mando, e se ne parte; e io, Dio sa poi quando mi ricorderò di voi un’altra volta: sí che l’Occasione viene inanzi a me quasi sempre come il lampo e il tuono; però si dice: «chi ha occasione non metta tempo in mezzo»; ciò è non è da tardare, perché il Tempo è súbito quivi.

Impaziente. Io mi son maravigliato a vederti mutare in tante maniere e ora non me ne maraviglio piú. Ma dimmi: [p. 178 modifica] quando tu fai regger le cittá, metti tu l’usanze, tu di tua fantasia o pur secondo la volontá degli uomini?

Tempo. Vi dirò: voi avete inteso come io sono stato quello che ho portato le girelle al mondo, onde gli uomini me le manomessero. Io sono il padron delle girelle che hanno gli uomini; talmente che loro e io, come accade, giriamo spesso insieme. Dalle mie girelle eglino hanno fatto tondo il mondo, tondi i cieli, le zone, la terra e l’altre cose. Il primo che facessi sbucar fòri delle girelle del capo fu un grasso grasso uomo che aveva una state un gran caldo e le mosche gli davan gran fastidio, il nome del quale era Arrosto: onde trovò la rosta che fa due effetti a un tratto (oh che bell’invenzione!), ciò è caccia le mosche e fa vento che rinfresca. Egli era poi goloso, e si cavò un’altra girella del capo, e trovò il modo di girar lo stidione; e cosí si viene volgendo a cuocer la carne, e da lui si chiama e per lui arrosto e rosta. I danari son tondi, cioè girelle uscite del capo vostro; gli anelli son tondi, girelle uscite del capo e messe in dito; il ballo è tondo, e gli uomini e le donne giran tondi tondi, perché le girelle del lor capo girano e le fanno, per forza de’ contrapesi, girare. Le girelle fanno trar dell’elemento dell’acqua, del pozzo, dico; le girelle tirano gli uomini in aere, quando si collano; le girelle menon via la terra con carri e carrette; le girelle portarono un carro di fuoco in cielo. Cosí tutti gli elementi girano: il ciel gira; il cervel gira; nello scriver si gira sempre la penna che la gira la mano, che la fa girare il capo, che le girelle che vi son dentro girando fanno girare; e cosí ogni cosa gira, il sole, la luna, le stelle; e chi crede di non girare, gira piú di tutti, perché cosí è in effetto, destinato dall’ordine mio, che ogni anno e ogni cosa giri. Egli è ben vero che tutte le cose non girano a un modo: chi gira una volta l’anno, chi una volta il mese, chi una volta il dí e chi ogni ora e tale gira del continuo. Ma che? chi gira una volta l’anno fa maggior volta; onde la cosa va poi tutta a un segno. Voi dovete aver provato, quando eri fanciulli, ad aggirarvi attorno attorno cento volte: sapete che, quando voi vi fermavi, che tutto quel che voi vedevi pareva che girasse, e se volevi correr, voi cadevi in terra. [p. 179 modifica]

Impaziente. Si, l’è vera.

Tempo. Umbè: voi girate ancóra adesso similmente, ma fate le volte piú grandi; come dire, ora a Vinegia, ora a Roma, ora a casa, ora in piazza, or fuori in villa, or dentro nella cittá, or salite, ora scendete, e ogni dí e ogni mese e ogni anno tornate a fare cento e mille volte quel medesimo, ciò è girar intorno intorno, non vi partendo di quel punto di mezzo del centro. E quando avete aggirato aggirato un tempo, voi vi fermate a vedere il mondo, e conoscete certamente che tutti gli uomini e tutto il mondo gira; ma se volete andar via, súbito voi cadete in terra, id est, nella buona ora, in una fossa di terra, e cosí finisce l’aggiramento. E chi si crede che io dica ora girelle, è piú girellaio di me; se considera poi il suo vivere, troverrá alla fine alla fine che tutto il mondo s’aggira: quel gira stati, quel fabriche, quel possessioni, quel vestimenti, quell’altro libri, dottrina, quell’altro scritture, conti, botteghe, traffichi, eserciti, soldati, bandiere, falconi; e insino alle medaglie furoti fatte in foggia di girelle, e vi mettevon su le teste loro, i ritratti, dico, acciò che conoscessino, quei che avevan da venire, che ancor loro avevan parte delle nostre girelle; e i moderni, per imitargli, si fanno ancor loro immedagliare per dimostrar che son girellai, e vi si mette il capo, perché s’intenda che le girelle son nel capo.

Vendicativo. Oh l’è bella questa giravolta! In fine il Tempo sa ogni cosa e sa tutti i segreti.

Tempo. Le cose d’importanza son tutte in foggia di girella: il pane è tondo; non si può far la farina senza le girelle dell’acqua che girino e le macini in foggia di girelle che girino; le botti son in tondo da girare, a uso di girelle, che conservano il vino, però la natura fece il grano dell’uva tondo, acciò che tenesse della girella; chi bee troppo di quel vino che esce del tondo dell’uva e della botte tonda, gira senza alcuna rimissione; quando si dá piacere al popolo, si corre alla quintana nell’anello che è tondo; l’uovo è tondo per un verso e, l’altro, lungo; onde i romani fecero il culiseo, che teneva del tondo e dell’ovato, perché non si può dir ovato che non tenga del tondo o fare ovati che prima non si faccia tondi, perché l’uovo esce del tondo della gallina. [p. 180 modifica]

Impaziente. Però si può chiamar culiseo, quasi uscito di tondo, come dir, della gallina.

Tempo. Il cembalo, che fa ballar le fanciulle, è tondo; il tamburo de’ soldati tondo; gli arcolai che aggiran le donne son tondi; i filatoi da seta, da lana, da far tela lina, son tondi; i subbi dove s’avvolgon le tele son tondi; i curri de’ mangani son tondi; i broccolieri de’ maestri di scrima son tondi; facendo le girelle il torniaio, è forza che le faccia girando. Gli uomini adopron volentieri le cose tonde, perché sono apropriate al lor cervello che è tondo: come son i danari, il giuoco delle pallottole, il trarre a’ zoni. I vasi si fanno tondi, con una girella tonda girando; amaestrando cavalli, si girano in tondo; stampando libri, si gira un mulinello e si gira una vite; si mangia sopra taglier tondi, si taglia la carne, si mette in piatti tondi; si beve da’ bicchier che hanno la bocca tonda; i bicchier si fanno con aggirar un ferro intorno e s’alunga il vetro; la fornace è tonda, dove si fanno; le saliere dove sta il sale son tonde; le scodelle dove si tengano i danari a’ banchi son tonde; i zufoli son tondi; i buchi degli strumenti tondi; s’apre con le dita e chiude tondi chi vuol sonar di stufello; le coppette da cavar sangue tonde; tutti i pesi che si tirano in alto vi si adopran girelle e argani tondi; i calamai da scriver tondi e le penne tonde. Ma che accade che io mostri che ogni cosa è tonda a uso di girella, per insino a’ brevi che portano a collo i bambini, se ogni cosa o, per dir meglio, se tutte son girelle uscite del nostro capo, e mappamondi e sfere e strolabii...?

Vendicativo. Poi che ogni un gira, tutte le cose girano, son uscite tutte di girelle e noi siamo girellai, è forza che nel governarci ci aggiriamo ancóra, n’è vero?

Tempo. Sí.

Vendicativo. Ma in che modo si può egli vedere che un altro giri, se lui gira ancóra.

Tempo. Le girelle presenti e i giracò da venire non si veggano; ma le passate girelle, come le sono scorse, si veggano per eccellenza. [p. 181 modifica]

Impaziente. Tornate sul governo vostro e degli uomini, ché voi siate girandoloni tutti due.

Tempo. Ecco fatto; e vengo con girelle d’autoritá, di dottrina e d’essempio.

Impaziente. Queste saranno delle buone!

Tempo. Infra tutte l’amicizie e compagnie di questa vita non è una tale quale è quella del marito e della moglie che vivano in una casa insieme; l’altre amicizie e strettezze si causano per volontá solamente, e il matrimonio per volontá e per necessitá; non è poi nel mondo lione tanto feroce né serpente tanto velenoso o altra fiera che da uno instinto naturale non si unisca insieme una volta l’anno: questo giro di natura fa variare gli uomini e le bestie; pure, stanno nel centro del punto fermo, che è la congiunzione, per moltiplicare e per crescere. Con questa legge della natura ne viene un’altra, che e con un’altra s’unisce, e cosí gira di etá in etá. Da questo giro noi impariamo; ma siamo cattivi scolari, perché giriamo d’un’altra maniera e facciamo l’ordine del girare altrimenti girare. Noi veggiamo che, dopo il mondo creato, non fu cosa prima che ’l matrimonio; e il dí che fu fatto l’uomo, celebrò le nozze della sua mogliere. Il primo benefizio che viene dal matrimonio è la memoria che resta di se medesimo ne’ figliuoli, e, secondo che diceva Pittagora, quando un padre muore e lascia figliuoli, non si può dir che muoia, ma che si ringiovanisca ne’ figliuoli; l’altro bene che séguita è che l’amore salisce, ascende, va in su e non torna adietro o finisce; conservasi poi l’individuo, eccetera; sodisfassi ancóra l’animo, perché l’uomo desidera onor nella vita (che maggior che aver figliuoli?) e memoria nella morte (che miglior che lasciar il proprio figliuolo?), perpetuarsi di buona fama. Ora udite se io aggiravo i legislatori e il mio essere a un tratto. Nella legge che Solone salamino diede agli ateniesi sotto gran comandamento, fu questa, che dovessero tutti aver donna, e per consequente far casa; e se nessuno figliuolo nasceva d’adulterio, era del comun della cittá schiavo. I romani, che in tutte le sue imprese antiveddero, comandarono in quelle leggi delle dieci tavole e volsero [p. 182 modifica] che i figliuoli nati di legittimo adulterio non fussero eredi de’ ben paterni. Quando il grand’oratore Eschine andò fuor d’Atene e si condusse in Rodi, non disse mai cosa con tanto spirito quanto che egli fece le persuasioni, a persuadere a quei di Rodi che s’amogliassero e lasciassero quel modo pazzo di mancepparsi. Nella republica, soli coloro che avevan donna avevano nella republica offizii. Dice Cicerone, in una sua familiare lettera, che Marco Porzio non volle acconsentire che ’l Rufo avesse un certo offizio nella republica, e questo era per non aver moglie. Quando la donna è virtuosa e l’uomo virtuoso, oh che felice matrimonio! oh che bene allevati figliuoli! oh che pace mirabile e quiete di casa!

Vendicativo. Penso, s’io non m’inganno, che il numero sia infinito di coloro che sono cani e gatte in casa, e quei che vivon come tu di’, si potrebbon contar con il naso.

Tempo. Non è ora che io alleghi o vi dica chi sta bene o male, amogliato; affermerò veramente, per quello che io ho veduto, che dove è un marito e una moglie d’intelletto e virtuosi, che in quella casa v’è il paradiso.

Vendicativo. E, per il contrario, credo che vi sia l’inferno, e la soma del matrimonio mi pare un de’ maggior carichi che possa avere un uomo: se la femina è rea, l’uomo ha un diavol per casa; se egli è perverso, ella n’ha mille; se tutti due son bestie, ignoranti, gaglioffi e pazzi, non è pena si bestiale né tormento si terribile quanto abitare in lor compagnia, n’è vero?

Tempo. Pur troppo. Ma, risolvendo questo primo cerchio che del continuo gira, dico che le leggi furon diverse circa questo maritarsi. Foroneo, nella legge che egli diede agli egizii, volle che sotto gran legami l’uomo dovesse tôr donna, e se non la toglieva, non potesse aver nella republica offizii, perché non sa governar republiche, diceva egli, chi non sa governar casa. Solone, nella legge che egli diede agli ateniesi, persuadé loro che volontariamente togliessin donna; però, ai capitani che governavano la guerra, comandò che la togliessero per forza; mostrando che gli uomini che si danno in preda [p. 183 modifica] delle meretrici son poco grati agli dei e hanno poche vittorie de’ fatti loro. Ligurgo governatore, dator di legge de’ lacedemoni, comandò che ’ capitani degli eserciti togliesser donna. Plinio il giovane, in una lettera a Falconio suo amico, lo riprendeva perché non s’era ancor maritato. Il pretore, il censore, il dittatore, il questore e i! maestro de’ cavalieri degli antichi romani, questi cinque offizii, dico, non si davano ad alcuno che non fosse amogliato; ed era ben fatto, perché non sta bene che uomini che non sanno che cosa sia governo di casa e di famiglia, governino un popolo e lo reggiano. Plutarco scrive che i sacerdoti del tempio non volevano chi era da maritarsi potesse seder nel tempio, e le fanciulle oravano fuori della porta; solamente i maritati sedevano; e i vedovi oravano ginocchioni. Plinio, in una epistola che egli scrive a Fabato, dice che l’imperadore Augusto aveva per costume di non far dar da sedere mai a chi non era maritato; e chi aveva moglie non voleva che stesse in piedi.

Impaziente. Egli è dovere che colui che ha si fatto cibo dolce abbi un poco d’amaro.

Tempo. E per finir questo primo cerchio, dico che in Corinto pochi volevan tôr moglie e poche femine volevan marito; onde si fece un’ordinazione, che chi si moriva e non fosse stato maritato in vita non avesse sepoltura in morte.

Vendicativo. Se non m’avesser fatto in vita altro, in morte me ne sarei curato poco.

Tempo. Voi potete conoscere, per gli esempi che io ho detti, di quanta eccellenza sia il matrimonio. Bisogna mostrare un bene solo, almanco, che vien da quello, senza dir de’ figlioli, casa, famiglia, eccetera. Ma ditemi: quante paci s’è fatte per un matrimonio? quante guerre finite? quanti litigi tagliati? e quante ingiurie si son rimesse? Infiniti mezzi, trovati, ligamenti, promesse e termini si sono posti in uso per terminar le risse, ma non ce n’è stato mai alcuno che passi il legame del parentado. Vedete belle prove che fecer Pompeo e Cesare, dopo che non furon parenti. Il rapir delle sabine, quell’ingiuria, dico, si quietò per l’atto del matrimonio. I lidi volevano [p. 184 modifica] che i suoi re avesser donna, e se per sorte restava vedovo, loro in quel giorno medesimo pigliavano il governo ed egli stava tanto senza il regno quanto penava a rimaritarsi; se lasciava figlioli piccoli, non ereditavano per insino che fussero in etá di tôr donna; quando l’avevan tolta, súbito gli era consegnata la corona.

Impaziente. Or cosí: incominciatemi a fare scorrer qualche girella.

Tempo. Ora ne vegno a far girar parecchie. Nell’aprovare, nel lodare e nell’acettare il matrimonio, mai è stato secolo alcuno contrario all’altro; ma nelle cirimonie, dico nel contraevo, grandissime differenze ci sono state veramente. Platone nella sua Republica voleva che tutte le cose fusser comuni, perché il dir «questo è mio» e «quello è tuo» guasta ogni cosa di bello e rovina il mondo.

Vendicativo. Di questa faccenda non so s’io me lo lodo, sí come lo lodo di molte altre: a me non piace veder le mie cose comuni, e tanto piú la donna che io amo: basta, seguitate il restante delle girelle.

Tempo. La cittá di Tarento, fra gli antichi ben famosa, aveva per costume di tôr donna e far casa insieme, e questa faceva i figliuoli legittimi; poi, potevano i mariti tôr due altre femine per i suoi piaceri e diletti.

Impaziente. Diavol, saziagli! a pena se ne può sodisfare una, non che contentar due!

Tempo. I savi d’Atene ordinaron che s’avesse due moglieri legittime, ma che non si potesse poi tener concubine.

Vendicativo. Girelle, girelle! So che tu e loro giravate per eccellenza.

Tempo. Secondo che dice Plutarco, questo era fatto perché, standone una malata, l’altra si potesse godere.

Vendicativo. Amalate si fossero elleno tutte, acciò che tutti godessero carne mal sana.

Tempo. Quella che faceva figliuoli era la padrona e quell’altra che era sterile diventava la fante.

Impaziente. Girellai a contanti! [p. 185 modifica]

Tempo. Socrate n’ebbe anch’egli due, le quali gli fecero di cattivi scherzi e gli gridavano tutto il giorno per il capo. I lacedemoni poi, che sempre furon contrarii agli ateniesi...

Vendicativo. La cosa sta ben cosí: una girella giri per un verso e l’altra per l’altro.

Tempo.... avevano per legge legittima non che un uomo facesse casa con due donne, ma che due uomini togliessero una moglie.

Impaziente. Oh che bestie! oh che girellai!

Tempo. Perché? Acciò che, essendo un marito alla guerra, l’altro fosse in casa.

Impaziente. Made in buona fede si! dovevan far come i lanziminestr, menarsela dietro con il sacchetto alle spalle.

Tempo. Made in buona fede no! piú tosto serrarle in una cassa insin che tornava.

Impaziente. Con quattro aguti: voi l’avete indovinata. Sonci piú girelle?

Tempo. Gli egizii ne pigliavano quante ne potevan tenére e stavano quanto potevano d’accordo; poi d’accordo si lasciavano ancóra.

Vendicativo. E’ mi par che quel tuo primo oriuolo avesse di gran girelle, da che se n’empié tutto il mondo.

Tempo.Giulio Cesare scrive ne’ suoi Comentari che i brettoni avevan per costume di far casa cinque di loro con una sola donna.

Impaziente. Non me ne dir piú: che girandole ti esce egli fuor del capo? oh, se egli è vergogna a un uomo tenér due donne, non è egli vergogna a una donna tenerne piú?

Tempo. I cimbri toglievan le figliole proprie; e gli egizii avevan tutti i figliuoli per legittimi, dicendo che il padre concorre, non la madre.

Vendicativo. Costume da bestie, usanza d’animal salvatichi e non da uomini ragionevoli.

Tempo. Quei d’Armenia l’aviavano al lito del mare, le lor fanciulle, e al porto; e cosí guadagnavano la dote.

Vendicativo. Non dir piú; e’ basta; noi sián chiari del fatto tuo. [p. 186 modifica]

Impaziente. Sí veramente; ma i romani, che furon piú savi, ne tolsero solo una, e noi una: e una sia. Ma dimmi un poco: noi vorremmo che tu facesse qualche utile e qualche onore alla nostra academia.

Tempo. Lo farò veramente, perché sète della mia lega, viandanti, e caminate del continuo.

Vendicativo. Pur che noi non abbiamo la maladizion di star poco in cervello, basta.

Tempo. Non, anzi andrete di tempo in tempo inanzi, crescendo con utile e con onore.

Impaziente. So quel che bisogna a voler unirsi con il Tempo, ciò è con esso teco.

Tempo. Che cosa fa mestieri?

Impaziente. Aver del senno.

Vendicativo. Non mi dispiace.

Tempo. Am! am! ah! oh! Io rido dove voi m’avete voluto côrre.

Impaziente. Dove?

Tempo. Quando il piovano Arlotto andò da quella femina che la gli disse: — Io non posso, perché ho il mio tempo — ed egli gli rispose: — Che importa? e io ho il mio senno. —

Impaziente. Tu sei molto astuto; tu hai ricordo d’ogni cosa.

Tempo. Il mio tempo non è quello; egli è delle donne.

Vendicativo. Or via, tu sarai il nostro, tu; ma, vedi, trattaci bene: in tanto noi ci ritrarremo a casa, perché tu non vuoi che stiamo piú ai Marmi, e cosí sián contenti.

Tempo. Io me ne vo.

Impaziente. A Dio.

Tempo. A rivederci; ma tenete a mente che bisogna aver del senno assai ancor con esso meco.