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[p. 417 modifica]opinione supplicarte et piacere. Animadvertissi cautamente, che ad te non vegna, como alla repudiata Hebe, la quale al summo Iove, et ad gli altri Dii, meno cauta ministrando cassitoe, et dimote le leve vestimente, le obscene et pudibonde parte discoperse. Diqué l’animo suo non intendeva offendere, ma pur di ciò irato Iupiter, remota ella dal pincernale officio, fue suffecto Ganymede. Disloca distrahendo dunque, gli tui freddi proponimenti, si in te alcuni dimorano, et vane repente nel delubro della sanctissima Venere, di arbitrii solitaria, et ritrova la sacrificula Antista, che ad gli divini sacrificii è praecipua admonitora et Indice. Et raconta quello che sai cagione di tale minacitate, et apertamente confessa a llei la tua contumacia, et revela quello, che forsa sarebbe ad occultarlo più cagione della tua iactura, et nocuo male, che manifestarlo. Et ella benignamente sencia tarditudine ti darae opportuno consiglio, et necessario favore, et salutiferi agnomenti, dove potrai reusire et evadere, del dubioso, et suspecto affanno, et de tanta erumna, et aufugere le divine, et irrefrenabile ire, si qualuncha per tua inconsiderata rebellione et improbo contempto fusseron praeparate.


POLIA PERTERREFACTA DELLA DIVINA IRA, PER GLI EXEMPLI DELLA PRUDENTE ALUMNA. DISPOSITAMENTE INCOMINCIOE A INAMORARSE, ET AL TEMPIO ANDOE, OVE POLIPHILO MORTO IACEA, ET PIANGENDO, ET ILLACHRYMANDO, ET AMPLEXABUNDA, ELLO SUSCITA. ET COME LE NYMPHE DE DIANA GLI FUGANO. ET LE VISIONE NARRA, CHE NELLA SUA CAMERA POLIA VIDE. DAPOSCIA AL PHANO ANDANDO DI VENERE, RETROVOE LO AMOROSO POLIPHILO.

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RBITRANDO SUFFICIENTE HAVERE suaso la perita veteratrice mia Alumna, cum summa prudentia et argutia suspicare del praesagio nocturno, a gli sui cordiali moniti et a gli solerti consiglii, et al suo disertare misse termine. Et già il coelo havea la nubilosa caligine disiecta, et fugato della nocte atra il nubilo. Et l’aire del novo giorno depincta havendo, l’aureo Sole surgente, et havendo aliquantulo le roratione matutinale dagli herbanti prati assutte. Io oppurtunamente commonefacta, l’animo mio moerendo per gli paurosi et gravi repensamenti, incominciai intimamente suspirare. Et

C iii [p. 418 modifica]ella egressa della Camera sola rimansi. Et quivi scrupulosamente ricogitava ruminando gli dicti utili, le calide et trutinate admonitione, gli manifesti et terricosi exempli, optimamente havendo tacta quella parte, che me contumace, et saeva ribellante drictamente damnava, et dalle coeleste ire acremente punienda. Diqué quelle io territa desiderando al potere mio vitando de fugire, et libera da questo scrupulo evadere, mi vene in mente (ignara da quale cura coeleste ducta) l’amante Poliphilo, il quale sapeva che per mia impia feritate, nel sacro Tempio amaramente della sua gratiosa vita se spolioe. Amore dunque artificioso in questo primo moto trovando alquanto aditiculo di ingresso, inseme cum accensi suspiruli, paulatinamente incominciò a penetrare lo interdicto loco. Et cum le sue prime dulcicule facole, nel duro et torpente core quietamente nidulantise, se collocoe. Et già sentendo una piacevola flammula discorrere et dilatarse per le cordiale parte, et fina all’intima basi dil mio inexperto core, et di nutrirsi dal consenso principiantise, uno incentivo et suave desiderio, d’intrare vigorosa, et intrepida sotto alle legge amorose del Solatioso Cupidine. Et più di non volere ad gli amorosi dardi praestarme obstaculo, né extraria. Et essendo hora cum prompta deliberatione, pensava ancipite varii occursamenti et dispositione della variosa sorte, et multiplice fine intersito solo per questo dolce Amore, et lo industrioso et tenace memoraculo, per questo nella mente mia subullivano le paurose vindicte di Iunone rapraesentando, le quale fortemente me terrivano. Considerando poscia della dolente Phyllide, quando essa per il caeco Amore del tardo Demophonte, le sue delicate carne vidde expressamente delle dure cortice et ligniscente coprire. Et la incontinente et succensa Didone veddo simulacrata nella mente mia, che cum il funesto dono del figliolo di Anchise caecata et in furia versa occiderse. Et della mentitora Stenoboea per lo Inclyto adolescente Bellorophonte perire. Daposcia accede Scylla figlia di Niso Rege di Megarensi, cum efferato animo impulsa, da immoderato Amore del rege di Creta, ill’aureo capillo del paterno capo tondente, non sequitoe altro mischina effecto, che malamente interire. Et similmente di quelli dui Ingenui Egyptii, non veddo se non la obscura morte del suo ardente affecto. Et Ecco per lo infructuoso filio di Cephiso, che gli intravene? O me trista et dolorosa me, lo indebito amore di Biblide, et della lachrymabonda Dryope. Et la iniusta appetentia della piangente Myrra, che hebbe di Cynara. Nyctimene figlia di Nycteo, essa cum scelerato amore del coniugamento paterno ardescente, se vidde poscia in nocturna avicula, et inimica della pretiosa luce et perfuga. Ancora la calida Menthe per il patre di Proserpina in aromatico holusculo fue immutata. Et della [p. 419 modifica]infausta virgine Smilace che se trovoe Antophoro per lo amato Croco. Veddo et le lachryme della infortunata Canente per le amene preripie del Tybri intersperse. Cogito saepiculose dal moloso Saxo il suppresso da Poliphemo. Et postremamente quanto incendio, et crudele strage fue per la trafugata Helena. O dolorosa et grama me, poté essere che io non consuefacta a tali exercitii, io debbi intrare cusì inerme et debile, inscia et inexperta, et in tale Agone pugnabonda certare? None sono queste mie pudiche et intemerate carne ad essa Diana religiosamente votate? Et però Polia lassa, et obsta a questo primo rudimento d’amore, et questi novelli insulti et nova expeditione, et spaventevola impresa, et ad chi professa sei repensa. Et in quale Tyrocinio astricta sei. Et quivi quasi dementata vacillatrice timorosa dubitando di pegio che gli mordaci cani di Acteone, che cusì rabidamente il suo Signore discerptorono, et per il misero caso di Calistone, ancora molto più incominciai et disconciamente a trepidare, quale per impetuosi venti la suspensa tessatura della procace Aragne quassabonda. Et quale gli aculeati iunci agitati dalle intemperate aure sibilano. Et meco replicando tutte queste cose, et né prima tale imaginario repudio pensiculato hebbi, che dentro dal tremulo et rude core, una tepida et inopinata flammula mi sentivi procedere, cum uno paulatino incremento gliscente, et cum uno dolcello palpitato, et divinulo impulsato, per tuta diffusamente dispensantise, et succesivamente alterantime, fetosamente spargere una interneciva angustia da novello amore crebro singultata, et sencia indugio et intercalata pausa, cum ampliuscula diffusione. Como per il robustissimo corpo di Hercule sacrificante, il Lerneo veneno del cruore di Niso Centauro se risolse. Et quivi ex inopinato di subito recentemente un’altra novella percussione, il solicito et sedulo Cupidine impectente addendo. La mia vacilla et discola mente ritrahendo dagli subullienti et inani pensieri, et frivola opinione, et vane frustratione artificiosamente deviava. Et da quelli totalmente reusita, cum tutto l’animo mio già d’amorosi sugesti subornato, al trangusito Poliphilo ritornava, ello volentiera desiderando nella prima essentia. Oltra modo dolorosa della sua morte. Et dappò molti, varii, obliqui, ambigui, et molesti cogitamenti, et ancipiti terriculamenti, exposime ardiella et arendevola di andare ad rivederlo. Et di volere defuncto respectare, quello che cum infesta malignitate non voleva videre vivo. Heu me già questa sollicitudine non mediocremente l’animo angeva. Considerando probamente, misera me, che lui teneramente amantime, reputai inimico, et hoste mortale. Et per omni modo intendere, che peroe gli fusse intravenuto. Ma afflicta me, quanto me terriva Anaxarete crudelissima (et quale io impia) andando il C iiii [p. 420 modifica]sfortunato Iphi ad vedere non mi achadesse. Quasi dal proposito me ritraheva, ma vincta et prostrata dagli caechi et novelli stimuli, et dallo obstinato amore compulsa, non hebbe forcia qualunche accedente spavento, immo per lo incremento d’amore spreto all’improbitate dil mio infiammato disio Peletronio, et cusì profundamente vulnerata, sola immediate solicitante gli incitati passi di accelerare alla sacrata Basilica perveni. Nella quale poscia che io cum summa aviditate fui intrata, non come mi fue la pristina assuetudine alle sancte Are religiosamente di praesentarme, ma sencia altro dire, né fare, al loco ove scelerata Vespilona, tracto havea Poliphilo andai. Et quivi cum lachrymoso volto, io lo trovai, cum le constricte gene, veramente iacente morto, più che uno duro marmoro freddo et congelefacto, et cusì era stato la transacta nocte exangue lurato et pallido, diqué da timore et pietate expallui. A questo passo Celeberrime Nymphe amaramente afflicta, merente et dolorosa gli ochii di lachrymosa miseritudine, abondantemente se impirono, et dirottamente io piansi gli mei summissi lamenti syncopando cum tubanti suspiri, desiderosa a tale conditione essere consorte. Et quale la sconsolata Laodomia moribonda sopra il morto Prothesilao occubantise, me prostrai et io sopra il gelato corpo, et strictissimamente amplexantilo, io dissi. O crudelissima, terriculosa, et immatura morte, di omni bene edace, et di omni tristitudine truncamento inevitabile, non pigriscente voli induciare al praesente di unire me cum questo. Il quale per me (di tutte le donne dil mundo impiissima, et di importuna impudentia malefica) è innocente et insonte migrato da questa optabile luce. Questo che me excessivamente amava, sola suo singular et destinato bene reputava. O me iniqua et fera, fora omni altra saevitudine immitissima, maligna et rea, più che la crudelissima Phedra contra lo innocente Hippolyto. Chi hora denega darmi l’ultimo interito di questa turbulentissima et odiosa vita? O biastemato primo lume che algli ochii mei gratioso apparse. O maledicte aure vitale, perché durate tantule? O odioso spirito nel praesente obfrenato, perché modo non trovi exito et apertione, perché non voglio né posso duritare, né subsistere in questa molesta et tristula vita, o maledicti ochii che vivo questo videre non volevi, mello facte al praesente extincto respectare. O tremendi fulguri dil alto Iove, per gli quali il coelo et la terra contremiscono, ove permaneti extincti? di non me incarbunculare et in pulvisculo cinere emerita, et condignamente redigere? O infoelice dì che mai alla bucca mia la tata nutribonda mi fue ammota. O nefasta hora del mio exito uterale. O Lucina Invocata opigena alhora, perché abortiva non [p. 421 modifica]venisti? O me doloroso caso. O rea fortuna mia, che posso più si non parimente morire? Chi dunche di nui dui più misero et infoelice si trova? O il mio amoroso Poliphilo morto, overo io in tanta inconsolabile vita superstite? Venite dunque tutte dispietate et horribile furie. Quale ad Horeste, et di l’alma mia convenientemente usate la suprema saevitia. Diciò che per mia maligna et perversa cagione il mischino Poliphilo, et solo per me (O cagnia et perfida barbara, indigna, et immerita) amando, et per tanto maleficio infenso è il mischino obito.

Et già havendo gli ochii mei facti laco di pianti, sedule lachryme manante, et tutto ello, et me fluido di cadenti et interpolati guttamini, et per il medesimo modo che la fidissima et animosa Argia fece sopra il cadavere lachrymante del suo dilecto Polynice. Et alquanto postali la mano sopra del suo freddo pecto, io sentivi in esso uno pauculo et surditato pulso rebullire. Et più, et più seratamente abraciantilo, se riscaldorono excitati gli sui fugati spiriti. Et il vivace core sopra sé le [p. 422 modifica]tanto optatissime carne sentendo, nelle quale l’alma sua vigendo, se nutriva se evigiloe suspirulante, et reaperte le occluse palpebre. Et io repente avidissima anhellando alla sua insperata reiteratione ricevute le debilitate et abandonate bracce, piamente, et cum dulcissime et amorose lachrymule cum singultato pertractantilo, et manuagendulo et sovente basiantilo, praesentandogli, gli monstrava il mio, immo suo albente et pomigero pecto palesemente, cum humanissimo aspecto, et cum illici ochii esso sencia vario di hora, rivenne nelle mie caste et delicate bracce, quale si laesione patito non havesse, et alquantulo reassumete il contaminato vigore, como alhora ello valeva, cum tremula voce, et suspiritti, mansuetamente disse, Polia Signora mia dolce, perché cusì atorto me fai? Di subito, o me Nymphe celeberrime, me sentivi quasi de dolcecia amorosa, et pietosa, et excessiva alacritate il core per medio più molto dilacerare, perché quel sangue che per dolore, et nimia formidine in sé era constricto per troppo et inusitata laeticia, laxare le vene il sentiva exhausto, et tuta absorta, et attonita ignorava che me dire, si non che io agli ancora pallidati labri, cum soluta audacia, gli offersi blandicula uno lascivo et mustulento basio, ambi dui serati, et constrecti in amorosi amplexi, quali nel Hermetico Caduceo gli intrichatamente convoluti serpi, et quale il baculo involuto del divino Medico.

[p. 423 modifica]Onde non cusì praesto che ello completamente have reassumpte, et recentate le pristine virtute, nel sino et nelle bracce mie, et tantulo purpurissate le gene, la Pontifice del Sacrato Tempio, cum tumultuaria turbula delle obsequente sacerdotule et ministre dil sancto famulitio (forsa auditi gli mei angustiamenti, et lachrymose lamentatione, et gli alti, et improbi sospiri nel tonante Tempio) quivi verso nui vene, et animadvertendo (pervenuta) delle illicite operatione, interdicte in quello sancto et impolluto loco, infensa gravemente, cum l’altre sue ministre, di ira extumescente, alcune cum virgule, et altre cum rami di querciolo, ad nui improbando, et gravemente minabonde, et percotendo dissociorono il nostro dolce amplexamento perturbantilo.

Per la quale cosa alhora immodestamente dubitai non mi advenisse, quello che alla terrifica Medusa, lo irascente furore di Minerva advene, quando ella nel suo mundo Tempio, Neptuno amorosamente conobbe. Et quello che similmente acadette ad Hippomane, et alla avara et veloce Atalanta, che per illicito coniungimento se convertirono in Leoni. Et ancora la furia delle Protide per Iunone. Et a pena fora delle sue mano, si non cum granditate laboriosa fugissimo. Et [p. 424 modifica]fora del sacratorio Tempio fugantime, et del casto suo consortio et confamulato, me come ribella et praevaricata abdicantime.Et cum insigne contumelia privatamente bandirono. Onde decapillata et risolute le mie intorte trece, et cum gravi improperii, et turpe exprobatione, da una di esse, che per ananti era familiarissima conserva, alli sacri instituti, vocata Algerea fui pressa. Ma io alhora, excitate tutte le mie inferme force, et debili conati, nelle sue mane, relicti gli subtilissimi velamini, a pena io presi fuga. Ma non sencia multiplice fragellature, per iniurio sopra le mie delicate spalle me dil Tempio excludere sollicitando. Et quivi ambidui fugitivi, et dal Dianalio delubro exulati et propulsi, inseme alacremente, non magnificendo tale Hyperoria né gli praeteriti langori, né gli opprobrii, né iurgature (diciò che il succenso amore superabondava) né unoquantulo tutto quello ne facesse le sacre cultrice amaricantime. Finalmente venissimo adhaerente alla citate. Ove amorosamente (dapò lungi confabulamenti delle pietose sorte) Impetrovi alhora ingrata licentia, cum molti Zacharissimi osculi et stringimenti amorosi, cum ferme et fide sponsione mutuamente uno al altro, et cum molta et festiva laetitia. Poliphilo extremamente contento andoe al suo viagio, et io tendeva alla desiderata domuitione. Et cusì io d’amore ardentemente subagitata, cum moderato passo, et cum l’animo actitante multiplice operature Cupidinee, al contiguo regresso tandem dello optato palatio ritornai. Ma di altra qualitate immutata. Et quivi hylara et periucunda, in lo conscio et peculiare Talamo intrando. Non vedeva più la imagine della Dea Diana offerirse, et nella imaginativa incomincioe a vacare. Et introducto il benigno effigiato del mio dolcissimo Poliphilo, solo praecipuamente di ello pensiculava, et in omni angulo del mio core infixo dominante efficacemente il sentiva. Donde procedete tale effecto. Io sola essendo, et la mente mia consociata, et in amorosa captivitate partiaria ritrovantise, non poteva altro diciò cogitare, cha dello optatissimo Poliphilo. Per tanto agli mei sedentarii et assueti exercitii dedita. Spirante lo incentore Cupidine, me missi di Chermea setta di formare uno Corculo vermiculatamente consuto cum expresso quale in esso mio core artificiosamente Amore dipingeva. Il lymbo della circumferentia del quale ornantilo di lucente margarite. Et nel mediano del quale poscia cum il suo bello et gratissimo, et il mio obsignato et consigillato nome. Questo è le prime figure graeche (da ello petite) colligate, di cenchrale perle, et expressi, tanto più perfectamente, quanto che Amore praesente impulsore me regieva. Et etiam feci uno torqueto di fili d’oro, et di verde serico [p. 425 modifica]cum gli mei longissimi capilli evulsi in signo di perfecto et fervido amore et che al collo suo appendice il portasse io li mandai. Per la quale cosa essendo Amore cum duratrice firmitudine nel mio abstemio et illibato pecto cum più forte fiamma d’omni hora fermentantise. Et solamente ad gli novelli vulneri servava la mente occupatamente inclaustrata, et al gratioso Poliphilo indissolubile ligata. Della quale esso già mio signore sopra tutti electo, et unico successore del mio inamorato core. Et cum perhenne nodulo, et aeterno stabilimento strictissimamente conlaqueato. Et ad gli dolci cogitamenti tutta disponentime, et gli perditi dilecti reintegrare, al recente amoroso. Per l’amore del quale hogimai excludendo omni rigidecia, et postponando omni austeritate, et humanato dolcemente omni ferino et dispiacevole animo. Et convertito in una fornacula il rigente pecto di incenso amore, et remutati gli silvatichi et atroci costumi im mansuetissime dispositione, et di timida, magnanima, et di freda, fervida, et di vergogniosa, incauta amante tramutata. Et immutati gli dedigniosi odii in amori inseparabili et longaevi affecti. Et la momentaria et vaga mente facta immutabile. Et della cosa inexperta, summamente desiderosa me ritrovava. Et tuta di extremo amore in solatiosi oblectamenti risoluta me sentiva. Et lo operosissimo Cupidine di hora in hora successivamente acervare uno bindato et cieco disio di piacere experiva, et una congerie di sagittule certatamente penetrabonde l’alma cum maxima voluptate susteniva oriunda dall’amatissimo Poliphilo, dal continuamente pensare dil quale non valeva l’alma mia sequestrare, perché ivi intrusa comprehendeva incredibel dilectamento. Per questi tali accidenti già inclinata, et nelle extreme legie d’amore avida demersa, cum la vigile et degulatrice, et furace imaginativa, operava quello cum esso absente, che presentialmente non poteva, né sapeva. Ma nel Cubiculo mio sola sedendo circumvallata de insueti accendimenti. Ecco che io vedo repentina et inopinatamente fora ussire delle aperte fenestre cum grande vehementia, et impetuoso strepito et terrore, uno Vehiculo tutto di Crystallino giazo, tracto da dui candidi et cornigeri cervi, incapestrati cum cathenule di livido plumbo. Sopra il quale sedeva una irata Dea coronata di una strophiola di Salice Agno cum uno arco disfuniculato, et cum la inane Pharetra in me dimonstrando terricoso aspecto, et di furore incandente di volere usare crudele vindicta. Subitamente retro questo un altro sequiva, quello fugabondo tutto di corrusco foco, da dui candidi Cygni invinculati di funiculi d’oro. Sopra questo triumphava una potente et Diva Matrona, cum la stellata fronte instrophiata di rose. Et seco haveva uno pennigero puerulo, cum [p. 426 modifica]gli svellati ochii havendo una fiammante face, fugabondo la freda et torpente Dea, che me odiosamente minava. Et tantulo nel aire persequitoe l’algente carpento, che dal fervore dil altro tuto liquabile exinaniscente, ambi si risolseron et disparveno.

Poscia che cusì expressamente hebbi cum amoroso auso viso. Io ritrovai tuto il mio gremio, et il pavitato del cubiculo mio, cum sparse rose olente, et di ramusculi di viridante et florulato Myrto quasi coperto, onde excluso omni timore, et sumpta una licente securitate, solo per questo, che ’l fanciullo appareva cum suppetii patrocinare la mia causa, et diffendere da me la turbata vindice. Et come signore mio per me tutissimo invictissimamente pugnava. Laonde essendo conducta a cusì facto passo di exterminato amore, da stimulante disio compulsa, proposi cum animo determinato, et fermo di procedere drieto cusì dilectevole opera, et dolce expeditione, et voluptico officio. Ma avanti ogni cosa prostergata qualunque altra importuna cagione, et del tutto deposita, et sublata deliberai il sincero, et consigliario decreto della fida Nutrice, ogni modo, et cum effecto compire. Et di andare senza fallo (stimulante Cupidine) alle venerande Are, della divina matre, imperoché al praesente me aparve discoprire et propalare lo occultato incendio, tanto fervidamente mordace. Et quale imbricato cardone, di rapaci et uncati acculei, tuto il core mi carminava. Et più [p. 427 modifica]non pigritare dimorando di provedere alle resultante et impatiente fiamme. Et di ricompensare al dispendio del tempo perdito et inutilmente et infructuoso dispensato. Et già venuta la hora tanto desiderata, che eternalmente, questa mia alma sotto all’altrui volere alienasse (como il Cesticillo sotto ad modificare il pondo). Et intrando cum summa aviditate, nel Sanctissimo limine, cum imperterito animo, io vidi parimente il sollicito sollicitato Poliphilo, che aspectava (per me ristorarse) orante. Et cusì praesto transcorrendo il scrutatorio ochio al precognito obiecto, non ad Poliphilo, ma commonefacta dalla monitora nutrice, me humilmente dinanti la sacrata Antista praesentai. Dalla quale cum maxima fiducia sperava propiciare et adaptare le coeleste ire, et l’alma mia al spreto amore accommodare. Et havendo integramente gli occorsi casi di tanto perturbativo horrore narrato, et le apparitione et nocturne et diurne vise. Et le usate immanitate. Et essere stata più dira et saeviente d’una Tigride, et più sorda ad gli sui lamentamenti degli sui gravi dolori, et amorose poene di una obturata Aspide, che per incantamine non se move. Più displicibile di Dictyna ad Minoe. Parvifacti le sue praecatione et miserabili fleti. Cum hostile odio et rabie verso il mio Poliphilo, et essere stata di misericordia imprompta, di pietate nuda, di humanitate austera et aliena, et di compassione immota. Diqué quasi di queste tale commisse rebellione terrentise, accerbamente me reprehendente. Et penitentime tediosamente in me medesima, pareva vano delle excluse miserie pensare. Ma contaminata et compulsa da exmisurato agitato cordiale, et infecta di perfuso ardore, rincominciai molto più hora di languire per amore del mio Poliphilo. Il quale quam primo che dil mio accesso se n’avidde, gli avidissimi ochii dirimpecto convertendo, repente il mordace obtuto perpete discorse, quale celere sagitta da tirato arco directa, nel mio preparato et liberamente disposito core se infixe. Che di dolceza amorosa per tuta me sentiva crepitare et subullire. Dunque placidissime Nymphe. A quella riverenda praesentia inclinatome obsecrava venia del praeterito, et del praesente Agone confirmamento, offerentime cum obstinata fede della veneranda Domina Matre verace et intrepida cultrice. Et di non volere unque ribellare, né essere fallente, né dissentanea, ad qualunche imperio del suo potente figlio. Né ad qualunque concupito disio del mio amoroso signore Poliphilo recusare. Ma benigna et pia et obsequente, et gratiosamente arendevola, né mai seiuncta. Et cum summa observantia alli voti sui amorosi prompta, et tuta deditissima. Et di vivere cum lui cum più pace et sincera concordia, che non visseron gli Geryoni inseme. A pena facte le irrevocabile sponsione, che la Sacrata Antista, vocoe Poliphilo alla praesentia sua.