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tanto optatissime carne sentendo, nelle quale l’alma sua vigendo, se nutriva se evigiloe suspirulante, et reaperte le occluse palpebre. Et io repente avidissima anhellando alla sua insperata reiteratione ricevute le debilitate et abandonate bracce, piamente, et cum dulcissime et amorose lachrymule cum singultato pertractantilo, et manuagendulo et sovente basiantilo, praesentandogli, gli monstrava il mio, immo suo albente et pomigero pecto palesemente, cum humanissimo aspecto, et cum illici ochii esso sencia vario di hora, rivenne nelle mie caste et delicate bracce, quale si laesione patito non havesse, et alquantulo reassumete il contaminato vigore, como alhora ello valeva, cum tremula voce, et suspiritti, mansuetamente disse, Polia Signora mia dolce, perché cusì atorto me fai? Di subito, o me Nymphe celeberrime, me sentivi quasi de dolcecia amorosa, et pietosa, et excessiva alacritate il core per medio più molto dilacerare, perché quel sangue che per dolore, et nimia formidine in sé era constricto per troppo et inusitata laeticia, laxare le vene il sentiva exhausto, et tuta absorta, et attonita ignorava che me dire, si non che io agli ancora pallidati labri, cum soluta audacia, gli offersi blandicula uno lascivo et mustulento basio, ambi dui serati, et constrecti in amorosi amplexi, quali nel Hermetico Caduceo gli intrichatamente convoluti serpi, et quale il baculo involuto del divino Medico.