Hypnerotomachia Poliphili/XXVIII

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[p. 409 modifica]solamente fora di tanto angustioso, afflicto, et prodigioso periculo traherae la mente mia, et la succissiva vita di tanto merore et lucto.


POLIA RACONTA PER QUAL MODO LA SAGACE NUTRICE PER VARII EXEMPLI ET PARADIGMI L’AMONISSE VITARE L’IRA, ET EVADERE LE MINE DELI DEI. ET COMO UNA DONNA DISPERATA PER INTEMPERATO AMORE SEME UCCISE. CONSULTANDO SENZA PIGRITARE IRE ALLA ANTISTA DEL SANCTO TEMPIO DELLA DOMINA VENERE, CHE QUELLO ESSA SOPRA DI CIÒ DEBI FARE. QUELLA BENIGNAMENTE GLI PRESTARAE CONVENEVOLE ET EFFICACE DOCUMENTO.

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ON SENCIA SUPREMA FATICA, ET IMpenso labore, Dive et prestabile Nymphe, si pole uno disposito et inclinato animo, ad uno proposito ritrare, maxime per obstinatione difficultato, et per tempo consuefacto, et più dummentre d’indi se ne prehende qualche dilecto spasso et recompensatione. Et quello nel contrario volerlo adaptare et rivertire dil tuto alienato, per fallace estimatione, summamente difficillimo se dimonstra. Et diciò mirando non si presta unoquantulo, si il senso alcuna fiata dipravato, distorto, et corrupto, le cose di materia dulcicule, ingrate, insuave, aspernabile, et amare soleno aparere. Et meno maraveglioso se offerisse. Prestantissime Nymphe, se la candidecia al gli ochii egri, impuri, et lippi, nigriscente aparendo offende. Si le cose rutilante, di livido tectorio, et le micante di candore, et di splendore renitente. Maculate, di rubigine consperse, obtecte di caligine, di vomicione sepiale perfuse, et di atramento infuscate sono damnate, senza dubio, non per diffecto dillo obiecto, ma per il sensuale morbo. Cusì né altramente io. Poscia che alli algori della casta Diana l’animo et la mente mia fermamente essendo habituata et professa, et religata et proscripta, grave peroe et molto difficile rendevase lo ingresso dell’ardente Amore acceptabile.

Al quale come a crudele hoste resistere (inexperta della sua dulcitudine) havevame obiectato pertinace contradictorio, et repugnante Nausea. Et volendo dunque probamente intenta, nel gelido core il novello amore inducere, necessitava industriosamente secludere gli repugnabuli contradicenti. Hora la sagace et versuta Nutrice intentissima di volere, quel duro et immassato [p. 410 modifica]gelo divertendo impigliare, che in me per longo tempo havevase habitualmente confecto et condurito, come ella solerte cum mero et sincero iudicio arbitrava, dolentisi che le divine mine, effectivamente ella non vedesse. Cusì adulabonda rimoverle, preoptando providamente scitula mi disse. Comperto habiamo, immo etiam si sole dire. Polia figliola mia dulcicula et specula mia, colui che il consiglio prehende, non poté unquam per sé solo perire. Diciò ruminando cogita bene, ne cum qualche obstinatione simplicula havesti gli superi inconsideratamente offenso. Il perché, quanto sia stata acerba et suppliciosa la iracundia sua, contra quelli che non hano reverito la sua potentia, et stati sono ribellanti. Nonn è da dubitare, quella essere stata maxima et tanto magiore, quanto più se ratardisce alla spaventevola et inevitabile vindicta. Perciò per una stulta et inconsulta levitate, et per una supersticiosa et inconsiderata opinione, di alcune di vui giovenette. Per tanto non è da maravegliarse, si ad vui alcuna fiata gli timendi Celiti, iracondamente et vindici se prestano. Diqué dritamente sapiamo nui, le aspre ire ad Aiace Oileo illate et usate, como contumace, et ad gli severi Dii maledico. Et peroe di celeste fulmine miseramente perite. Similmente ancora gli famelici Comiti di Ulysse perirono. Et colui che per le precature della venatrice Diana Hippolyto dalla obscura morte, allo lume di l’alma luce revocoe. Et cusì molti per questa via miserabilmente, hano mortualmente periclitato, per negligentia et poco timore delle divine ultione minitante. Le impudentissime Propetide che la Sancta Venere despreciorono in durissime petre malamente se tramutorono. Et la textrice Lydia giovenetta fue transformata da Minerva in Araneo. Et per inobedientia ancora la formosa Psyche in tante erumne et intolerande fatiche perniciosamente si ritrovoe. Non meno etiam molte altre nobile fanciulle ad gli sui votati amatori, rurale, et ferina crudelitate usando, la superna vindicta supra la sua malivola durecia amaramente, per diversi et terrifichi casi vindice inexorabile s’à dimostrata. Oltra di questo l’è da essere grandemente nel animo rivocato. Quanto crudele, quanto immite, quanto impio, quanto violente, quanto potente nella Tyrannica sua il figlio della Divina Matre sia, tanto veramente, che per vera et indubitata experientia, nui liquidamente comperto habiamo (quantunche celata sia) che non solo gli mortali homini, ma ancora gli pecti divini vigorosamente ello havere senza alcuno respecto et miseritudine acerbamente infiammando vulnerato. Nonne lo imbritore et serenatore Iuppiter ello difficultamente, dalle sue amorose [p. 411 modifica]et ardente facule, se ha potuto vitare, né illeso evadere, factolo personare per amore di molte damicelle. Et per esso Cupidine poscia gli delectevoli coniungimenti consequitoe. Hora intermetamo gli altri Dii, et convertiamo il nostro dire, al furibondo et belligero Marte, che ello continuamente gestando le impenetrabile Lorice, et dure et fatale armature, non poté unoquantulo prevalerse, di rincontro ad esso Sagittario Cupidine, né protegerse, né dal suo roburoso pecto abigere, né reluctare, et meno defenderse dagli amorosi vulneri, né alle pongiente sagitte resistere. Dunque filiola mia Polia corculo mio, magno è il potere suo. Et peroe si ello ad li superi omnipotentissimi non hae perdonato, come credi tu che egli facia de gli terrestri? et precipuamente a quelli che per suo famulitio dispositi, et apti sono, et molto più a quelli, che debili fragili et inermi audeno rebellanti repugnare inani? contra gli quali contenenti che il fugono, molto più irascibondo activo et operoso se oppone, cum multiplice et erumnose invasione, et spaventevoli damni. Et si ello di se medesimo, non perdonoe, a ’namorarse della bella Psyche, como ad altri innocuo sarae? None palesemente sapiamo, che nella sua maravegliosa pharetra contiene due dissimile sagitte. La una di fulgoroso oro figurata. L’altra di livido et nephasto plombo. La prima di sforciato amore et vehemente, violentissimo gli cori ad irritabondo amare accende. L’altra in opposito intollerabile superbia et rabido et prompto odio excitante, provoca, et displicibile crudelitate. Delle quale due exercitando, quella dell’amoroso incendio, il Sicophanta Phoebo implectebondo percosse dira et extremamente. Et le amate da esso della plumbacea sagitta ferite. Perché esso omnituente manifestando reveloe, et temerario gli sancti amori della divina Venere impedire volse. Diqué lui longamente se ne dolse negli repudii, et denegati, et male terminanti effecti, et il simigliante ad tuti che subici sotta lui se trovano. Et niuno gli fue prospero. Laonde più ardentise, le affectate puelle, più dispiacevole se rendevano atroce, austere, et di esso renuente et perfuge. Et questo medesimo al suo legnagio et progenie. Et per tanto molti di ogni conditione, casitorono in tale reciprocatione, et vindicte, per volere inconsultamente resistere ad esso, et gli celeri sui dardi levemente contemnere. Et peroe in questa acerba nocte per dire et truculente imagine l’à dimonstrato. Audi dunque figliola mia, et tolli il digesto, sano, et utile consiglio. Non volere unque te opponere ad quello che non possi resistere, cum equalitate di potere, né contrastare, né quello che non pole altramente essere non fugire. Et etiam ad gli trutinati et maturi consultamini non recusare. Imperoché essendo del corpo decorissima, et integerrima, et di animo solertula, et di lingua [p. 412 modifica]facondula di rarissima bellecia et memoranda, cum il volto di prestante et elegante filamento dal Maximo opifice creata, tu doveresti alquanto et accuratissimamente considerare, che quasi preconizare si potrebbe ello in te havere celeste bellitudine singularmente dimonstrato. Composito senza pare. Et ultra tute le preclare et incredibile bellecie, che in te precipue puose, di dui amorosi et splendidi ochii, il tuo eximio et venusto fronte adornoe. Che cusì adornata delle .ix. stelle non apparisse, cum le tre più lucente, la corona di Ariadne nel lympido cielo, nel sinistro humero di Arctophilace, et adherente al Calceo del dextro pede Engonai, nel exorto de Cancro, et il Leone exoriente, cum Scorpione abscondendose. Né cusì ancora decora vedese la fronte di Thauro delle Hyade sorore. Per le quale dignissime cose, forsa la Domina Venere, alle sue sancte Are, te cum arcano avocamento vole, et tanta bellecia di polimine insigne, non è da essere deperdita, senza gli sui amorosi fochi, quale frugiperdo salice. Il perché il tuo ligiadro aspecto più presto indica per gli sui caldi servitii, essere digno che della gelida et infructifica Diana. Dunque per adventura per questo la divina dispositione et fato, del tuo puellitio cura pietosa havendo, per nocturna revelatione gli monstri digli Dii prodigianti cauta te rendeno. Dicioché facilmente ti potrebbe advenire, quale ad molte altre è intravenuto. Perché agli Dii inimici se prestano, chi il prestante officio della natura in questa vita neglige. Et per tanto tolle brevemente tale exemplo. Io già filia mia caritula, nella nostra citate una adolescentula conobi (non sono molti anni) bellissima, quale tu generosa et di eximia famositate predita, et di preclara progenie et delitiosa prosapia nata et oriunda. Et di multiplice virtute decora, Delicata, et in qualunche sua opera aptissima et abrodieta, et ardelia, di exquisito culto, et elegante deornato al muliebre polimine studiosa et exculta, et cum incremento della fortuna in divitie et delitie adulta. Diqué ritrovantise nella etate florida, che agli summi Dii grata sole essere. Da molti proci giovani sepicule fue requisita. Ma precipuamente tra li quali, uno parile di elegantia, et coequabile di gentilicio, et di virtute prestante, et di animo generoso adolescente, molte cum petitione la desideroe. Onde dapò grande et large sponsione, et importune prece. Ella unque per alcun modo consertirse volse. Et perseverante in tale ambitiosa levitate iactabonda. Gli floridi anni et la più potissima et bella parte della verdegiante iuventa. O me Polia, breve et scarsa ella consumpse, non pensiculando, che el non è più amabile et copulata cosa, che la similitudine di amore della compare etate. Et sola rimanendo in quella prava diversione di animo, negli fredi et insociati lecti. Finalmente ultra gli vintiocto anni ritrovantise, Cupidine che non è inmemore delle illate iniurie, [p. 413 modifica]iracondo et implacabile reasumpse il curvo et dolorifico arco suo nocivamente per medio del superbo pecto vulneroe, quel silvestrio et contumace core di acuminato strale d’oro fina alla extrema linea penetrando, et essendo transgresso il limite, et nel suo sino urente nidulantise, il validissimo Amore, cum gli ciechi fochi fervidamente incomincioe reaccenderse, et la plaga tanto profunda, periculosa, atroce, et varia, che obducta in cicatrice salutaremente si potesse non valeva. Et dagli stimolanti ardori amorosamente isforciata, et sotto all’insueto morso, et freno et sedula punctitura impatiente vexata, principioe tuta languescente perire, desiderando alhora le dolce petitione, che il nobile adolescente vanamente fece, et al suo aspecto più non appare. Et già Amore le convenevole sue violentie licitamente usando, immodesto in essa oltra il pensare et urgentese vegetava. Et facto havendo del suo ripercosso core uno fornaceo incendio, non tanto il bellissimo et elegante giovane, ma per sua mala issagura, facta virosa giamai di qualuncha conditione stato si fusse. Essa di gratia speciale si potuto havesse, ad gli sui ardenti et voluptici disii, et pruritose concupiscentie, sencia rispecto, harebbe appreciato opportunissimo. Arbitro che si Aegyptino, overo Aethiopo et exploso homo offerto havesse, essa recusato non harebbe alle sue dimande, nonché degli nostrati patricii. Ultimamente la Ingenua Matrona, excessivamente amorosa languescente, et nelle accerbitate delle infortite fiamme exagerata, et dagli illecebri ardori stimolata, et di pruritosi appetiti, et intemperata lascivia, incredibilemente exagitata, et di tanta importuna libidine irritata (Quale si in Didima oriunda si fusse) et intolleranda pressura non sustinente in lecto mestissima, egra et inferma cadette. Diqué, quale Antiocho figlio di Seleucho, della sua Noverca oltra modo inamorato, et immortale languore invaso, fue detecto per il pulsatile tacto, da Herasistrato medico ello d’amore languire della Noverca. Per tale via dal solerte et perito medico chiaramente inteso, che la donna decombeva languida per smisurato amore maniando impaciva. Consulti sopra di ciò il Vitrico, et la matre sua che la morte non sopravenisse trovorono opportuno rimedio di maritarla. Sì che non stette vario di tempo, che gli fue trovato uno homo patricio, di bona conditione di parentella et richo, ma vechio et di praecipite evo, et occidua senectute, più che lui (per essere assuto) non monstrava, pervenuto quasi alla dubia aetate, et aliquantulo le gene erano dependule, gli ochii ulcerati, tremule mane, halito fetido, il capo occultando, perché appareva la schena d’uno scabioso cane, et lo habito nel pecto tuto scombavato. Solamente anxioso tenendo lo animo alla rapace avaricia deditissimo. Et alla inexplebile Cupiditate sumamente intento. Et essendo venuto C [p. 414 modifica](suspico il tetro funesto, et exitiale prenuncio si fusse il noctivago, infasto, immane, et improbo Ascalapho) lo infoelice Hymeneo, et pomposamente celebrato (come si suole dapaticamente) il stricto comertio di matrimonio. Et venuta la optata nocte, che la bramosa donna tanto lungamente havea concupiscente expectata. Fermamente arbitrando essere l’hora di extinguere gli focosi et veneritii appetiti, non considerando quale il marito se fusse. Imperoché essa ad quel puncto ciecamente excitata di libidine, di effrenato disio obvellata. Solamente instava al fructo del delectevole coniugio. Et oltra mensura di pruire apetendo, et alla libidine proiectissima, adherente il frigido et impotente vechio collocatose, et postase nelle debile bracce, infiammata fora il dovere da incontinente, et mordicante concupiscentia di subentare, Cupidine irritante sedulo in amplificare lo incendio, più che la Manticula al paulaticulo foco excitante. Non consequitoe altro (per sua mala disgratia) se non che dal spumabondo vechio essere la sua venusta facia, et la purpurea bucca, da gli salivosi labri sputata et sbavata. Quale si una limace sopra havesse discorrendo lineata. Né cum blandicie, né cum venerei et petulante gesticulatione, et vezzi, né caritie, poté unque riscaldare, commovere, né irritare lo impotente et sterile vechio stomacoso ad suriare, il fiato del quale pareva una aurea di putrida cloaca, et di fetulente pantanacio. La sua rictante bucca teniva gli pallidi labii patorati et crispuli, et cum voce absona. Et quasi dentulo nel pallato supernate erano restato se non dui fracessi dentoni, et caverniculosi, quale petra Pumicea. Et di sotta quatro altri, dui per lato quassantise et nel suo sito instabili. La barba dura como gli pili di uno auriculoso asino, como vepre pongienti, promissa et canescente. Gli vermigli ochii madenti et lachrymosi. Il naso Silo negli sui hiati boscoso, et hiulco, et muculento, et lumacoso, et sempre Roncho, che tuta quella nocte parve che cum uno ventosissimo utre manticulasse. Il volto fedo, et la testa di Morphea albente, et le guance varucose, et sopra gli ochi gli cilii turgenti. La gulla cum hispida pelle, quale di una testudine pallustre, diforme et gangavata. Et le tremente mano sencia alcuna vigoria. Il reliquo del corpo putro, morbido, et invalente, et del suo tardigrado caduco. Et nel movere li indumenti exallava uno putore di urina fetenti. Per la quale cosa, Figliola mia attendi, et porgi il memoraculo tuo ad questa auditione) la lascivissima donna, de le sue voluptuose appetiscentie totalmente frustrata, unque non poté (tuti gli conamini scortali, et di illustre meretricio perfuncta) excitare gli prosternati membri della enorme et exvigorata senecta. Hora adviene che per longo tempo essa dal malvasio et tedioso vechio ocioso, Inerte, desidioso et Ignavo, più Zelotipo del barbaro decurione, non potendo altro ricevere, né consequire, si non battiture (convertito in infinito Zelo) et iurgio, et garulosi cridi et freda et languida pigritia, et fastidioso tedio, [p. 415 modifica]et decepta del suo effrenato desio. Riconobbe in sé ritornata la sua infoelice sorte, della sua mala obstinatione pudita. Et duramente non tanto del fastidioso et nauseato vechio, et infructuosa copula, ma del trapassato et negleto, lo irrecuperabile tempo, inutilmente dispensato, dalla sua infantia fina a quella hora supremamente dolentise. Il quale ella mai sapeva, che hogimai non sperava per alcuno modo et pretio potere rehaverlo, né reaquistare, cum maximo doloramento se contristava. Et ultra questo, al male suo, era mortale accessorio, pensando delle altre foelice, et contente coniugate, et frequente venendo in mente imaginantise, di quelle che iacevano, negli dolcissimi amplexi, degli sui optatissimi amanti, et degli amorosi et delectevoli solacii, et degli sui consumati appetiti et desii, como ella arbitrava stimulante la procace natura, et il scoelesto et scelerato amore. Ella in sé finalmente ripresa, et in ardente invidia rumpentise, et nella mente sedula repetendo la intollerabile et tediosa superbia dello odioso vechio et della dolorosa vita sconsolata infastiditose, se misse ad ungiare, et granfiare la facia, et il pecto cum le palmule saeviente converberare, truncata ogni speranza inundante lachryme resoluta. Et gli facili ochii in più amari pianti di Egeria convertiti, niuna cosa grata, niuna appetibile, ogni cosa ingustabile, si non la improba morte, et desiderare lo accelerato fine che fece Yphi. Onde di qui naque uno rabido furore de se medisima morosa, et crudelissima carnifice concreto, tolse clanculo uno atro dì (il marito di ciò disaveduto) uno tagliente et cultrato ferro, come conscia malefica, incompote degli sui disii, et fracta ogni fiducia, de sé nemica mortale effecta, consentiente al furioso concepto usoe horrenda et spaventosa vindicta. Et incoronata di funesta Smilace et di fronde di Ostria, sé per medio il tristo core impiamente (avocate le infernale et luctifere Furie) (O facino inaudito) tutto transfixe il nocevolo ferro. O misera et afflicta me si in questa mia aetatula (che gli superi me liberano) tale infortunio, como di te acadere potrebbe, per qualche simigliante offensa, io me morirei avanti il tempo da dolore, et da tristecia accellerando il supremo claustro della vita mia. O me, chi sufficientemente valerebbe dunque ad questa horrida, infoelicissima et urgente tempestate, et misero interito della recensita donna, et la mia calamitate in genere, in amplitudine, in pondo, et asperitate, habilmente poscia assimilando comparare? Quali obvii di umbre, di Lemuri, di Mane, di Larve, quali nocturni occursaculi, quali di Demoni formidamini, unque più noxii, et horribili ad me incursare potreboron? Si questi dolorosi ochii vedesseron qualche tuo sinistro, et damno? Dunque Polia figliola mia, et sperancia mia dulcissima, attendi cum l’animo erecto, et unito, la ira inevitabile degli Dii o tempestiva, o cum tarditie sole infallibilmente vindicte fare consimile, quale per sua ispiasevolecia vene ad Castalia, da C ii [p. 416 modifica]Appolline, et per questo medesimo modo, la formosa Medusa, che cum tanta diritate di animo ispiacevola ad gli gioveni proci et reluctante, poscia per la sua ferina duritudine, dagli superni Dii, gli biondi capilli, facti horribile et sinuose vipere, appetendo da poi l’amorosa turbula, terriculati, dalla bisciosa testa in fuga se convertivano, et ella più rabidamente agitata optante gli affectava. Diqué non gli poteva rehavergli. Et cusì parvifacendo le coeleste dispositione, et ordinate cause, che fano nello opportuno devuto, et destinato tempo, gli giuveni inamorare. Le paccie fanciulle, in questa appretiatissima aetate che sei tu, non più oltra considerando, fano a tali mysterii malamente resistentia, iniuriando gli coeli et la Benigna natura. Diciò non è da maravegliarse uno quantulo, se cusì miseramente alcuna fiata periscono. O me bellissima Polia figliola mia oculissima, il tempo della nostra vita è più da essere aestimato, et supremamente appretiato, più che li amplissimi thesori di Dario, et le divitie di Croeso, et la foelicitate di Polycrate, et supra ogni cosa del mundo. Et questa nostra vita breviuscula di aetate, più perpete et velocemente è curricula, et più fugace fuge che non fano gli rapidi Caballi di Phoebo. Et più se exinanisce, che la tenuissima Bulla evanescente. Per tuto ciò debiamo laetamente adaptare gli dulci anni al faceto Amore, opportuno, et maturato venendo. Perché poscia nella incommoda vechiecia devenendo, ancora solertemente, volemo mentire la iuventa passata. Et per tanto damo opera intentamente di extirpare della cana testa gli bianchi capilli, et infuscare et tirarli alla nigritudine cum lissivio lithargyriato, et calce viva, overo cum cortici di iuglande, et di volere per arte longevamente fingere, et servare quello che el naturale nega, de illustrare la pelle, et fucandola extendere, et conservare la semata carne tumidula et fresca. Et supra modo derose siamo mordacemente nel core di continua, et indesinente poena, sospirando et illachrymando el transacto tempo delitioso, amoroso, et solatioso. Et del dispreciamento de quella repudiata aetate, et del raro risguardo molto desiderato, dagli refugi gioveni interdicto. Perché la aetate chiede paritate de similitudine. Et commemorando degli sublati amori et delle dolcecce amabile, et avidamente desiderando vivere più che nel tempo della florida iuventa, quale non è conosciuta per remotione alhora dal fine. Ma la privatione approssimantese, per questo urgie lo appetito de vivere, si possibile fusse gli anni de Nestore, et de Priamo, et gli anni della Sibylla. Dunque Polia thesorulo mio caro, per quanto la praesente vita et aetate florula gratiosa appretii, o me guardate che per tale cagione in te Cupidine non praedimonstrasse, et per tale visione et ostentamento non praesagisse le tumefacte, et già concepte ire forsa contra te. Onde per aventura ad gli superi Dii credi cum supersticiosa et vana