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venisti? O me doloroso caso. O rea fortuna mia, che posso più si non parimente morire? Chi dunche di nui dui più misero et infoelice si trova? O il mio amoroso Poliphilo morto, overo io in tanta inconsolabile vita superstite? Venite dunque tutte dispietate et horribile furie. Quale ad Horeste, et di l’alma mia convenientemente usate la suprema saevitia. Diciò che per mia maligna et perversa cagione il mischino Poliphilo, et solo per me (O cagnia et perfida barbara, indigna, et immerita) amando, et per tanto maleficio infenso è il mischino obito.
Et già havendo gli ochii mei facti laco di pianti, sedule lachryme manante, et tutto ello, et me fluido di cadenti et interpolati guttamini, et per il medesimo modo che la fidissima et animosa Argia fece sopra il cadavere lachrymante del suo dilecto Polynice. Et alquanto postali la mano sopra del suo freddo pecto, io sentivi in esso uno pauculo et surditato pulso rebullire. Et più, et più seratamente abraciantilo, se riscaldorono excitati gli sui fugati spiriti. Et il vivace core sopra sé le