Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo II. Le vocali.

Capitolo II. Le vocali.

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CAPITOLO II

Le vocali.


§ 1. La pronunzia delle lettere in italiano segue fedelmente la scrittura, ma questa non distingue abbastanza tutte le variazioni di quella. Diciamo prima delle vocali.


§ 2. Le vocali si distinguono in dure o forti, a, o, e e in molli o dolci, i, u.

L’e e l’o possono avere due suoni diversi, un suono stretto o chiuso, ed un suono largo od aperto. Si pronunciano sempre con suono chiuso, quando non cade sopra di loro la posa della voce o accento. P. es. verità, speranza; bontà, orácolo. Ma quando tale posa vi cade, ossia quando sono accentate, allora si pronunciano ora con suono largo, ora con suono stretto. Per esempio con suono largo bèllo, fòrte: con suono stretto véro, amóre.


§ 3. Di tal dafferenza non si possono dare regole sicure in tutti i casi, essendo le eccezioni troppo frequenti. Perciò rimandiamo ai Vocabolarii della Pronunzia, che con un segno distinguono l’un suono dall’altro.

L’unica cosa possibile ad apprendersi dalla Grammatica, è la pronunzia dell’e e dell’o in certe parole [p. 9 modifica]d’uso frequentissimo nel discorso, e in certe terminazioni e suffissi di formazione.

Ecco pertanto alcune principali regole sulla pronuncia dell’e, distribuite secondo le varie parti del discorso.


§ 4. Nomi e aggettivl

L’è ha suono largo:

in fine ai nomi proprii o comuni d’origine forestiera. P. es. Giosuè, Mosè, Noè; caffè, canapè:
nelle terminazioni -èo, -èa, -èi, -èe. P.es. cibrèo, palèo; ebrèo, ebrèa, ebrèi, ebrèe; assemblèa, rèa. Ciò vale anche per le forme in -èjo, -èja. P. es. legulèjo:
nei suffissi nominali o aggettivali seguenti:
-èllo, -èlla, ecc. diminutivi. P. es. bambinèllo, campanèlli; donzèlla, bèlle:
-èndo, -ènda, ecc. P. es. stupèndo, orrèndi; faccènda, leggènde:
-ènte, i; ed -ènza, e. P. es. clemènte, sapiènte, potènte; clemènza, sapiènza, potènza:
-ènse, i. P. es. ostiènse, lateranènse, estènse, forènsi:
-èstro, i ed -èstre, i. P. es. cilèstro, pedèstre, campèstre:
-olènto, a, i, e. P. es. sonnolènto, corpulènto; succolènto:
-èsimo, a, i, e in senso numerale. P. es. ventèsimo, centèsimo, millèsimo.


§ 5. L’é ha suono stretto:

in fine ai nomi comuni, troncati d’una sillaba. P. es. (féde), mercé (mercéde) re (rège, poet.).
nei suffissi nominali e aggettivali seguenti:
-aménto, -iménto, -ménto, i. P. es. ornaménto, abbelliménto, struménto:
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-éccio, a, i, e. P. es. caseréccio, goderéccio, panneréccio:
-éfice, i. P. es, carnéfice, oréfice, pontéfice:
-ésa, e ed -éssa, e. P. es. marchésa, contéssa, abbadéssa:
-ésco, a, i, e. P. es. barbarésco, gentilésco, cavalléresco:
-ése, i. P. es, cortése, arnése, palése; francése, inglése, lucchése:
-ésimo, a, i, e, d’origine greca. P. es. incantésimo, battésimo, cristianésimo; quarésima.

I numerali in -èsimo, hanno è larga (vedi sopra).

-éto, a, i, e, in senso collettivo. P. es. fruttéto, olivéto, pinéta:
-étto, a, i, e, in senso diminutivo. P. es. ométto, donnétta, cassétta, palétto:
-ézza, e. P, es. bellézza, chiarézza, purézza:
-évole, i. P. es. onorévole, caritatévole.


§ 6. Articoli, pronomi, numerali.

L’è ha suono largo:

nelle voci pronominali, lèi, colèi, costèi, mièi:
in quasi tutti i numerali. P. es. sèi, sètte, dièci, cènto; sèsto, sèttimo, tèrzo; ventèsimo, centèsimo, millèsimo; quadèrna, quarantèna, bimèstre, biènnio, e simili.


§ 7. L’é ha suono stretto:

in tutte le voci pronominali o articolari, tanto sole, quanto in composizione. P. es. me, te, se, méco, le, gliéle, égli, éi; quésto, quéllo, ésso, stésso, désso, medésimo (vedi il § 11):
nelle seguenti voci numerali, tre, trédici, sédici, vénti, trénta, sémplice (contrario di doppio).
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§ 8. Verbi e participii.

L’è ha suono largo:

nel passato remoto del verbo avere (per. 1 e 3 sing. e 3 plur.): èbbi, èbbe, èbbero:
nel passato remoto dell’indicativo -ètti, -ètte, -èttero (1 e 3 sing. e 3 plur.). P. es. temètti, temètte, temèttero; stètti, stètte, stèttero:
nell’imperfetto del modo condizionale -èi, -èbbe, -èbbero (1 e 3 sing. e 3 plur.). P. es. loderèi, loderèbbe, loderèbbero:
nel participio presente e nel gerundio. P. es temènte, temèndo (cfr. di sopra il § 4):
nei participii passati che terminano in -ènto o negli agg. che ne derivano: p. es. spènto (da spèngere), intènto, contènto derivati da intèndere e contèndere.


§ 9. L’é ha suono stretto:

nel presente dell’indicativo 2 pers. plur. e quindi anche nell’imperativo. P. es. teméte, prendéte:
nell’imperfetto dell’indicativo. P. es. temévo, teméva o teméa; temévi; teméva o teméa; temévano o teméano:
nel passato remoto dell’indicativo in -éi, -ésti, -é, -émmo, -éste, -érono. P. es. potéi, potésti ecc. Ciò vale anche per le forme poetiche potéo, teméo, féo:
nel futuro dell’indicativo 1 e 2 pers. plur. P. es. temerémo, temeréte:
nell’imperfetto del condizionale 2 sing. e 1 e 2 plur. P. es. crederésti, crederémmo, crederéste:
nell’imperfetto del congiuntivo. P. es. teméssi, temésse, teméssimo, teméste, teméssero:
nell’infinito in -ére. P. es. temére, volére:
nei suffissi verbali -éggio, -écchio. P. es. passéggio, sonnécchio:
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nelle forme tronche ve’ per védi: fe per féce. Si eccettua stiè e diè per la ragione accennata al § 11:
nel passato remoto del verbo crescere e suoi composti (1 e 3 pers. sing. e 3 plur.): crébbi, crébbe, crébbero:
nel passato remoto dell’indicativo (1 e 3 sing. e 3 plur.) e nel participio passato del verbo méttere e suoi composti: méssi, méssero, mésso; commésse, commésso:
nei passati remoti dell’indicativo (1 e 3 sing. e 3 plur.) e nei participii passati terminati in -esi ecc. -eso ecc. P. es. scési, scése, scésero, scéso; prési, prése, présero, préso. Si eccettua chièsi per la ragione accennata al § 11.


§ 10. Avverbii, preposizioni, congiunzioni, interiezioni.

L’è ha suono largo:

in sèmpre, prèsso, bène, mèglio, pèggio, vèrso, cèrto:
nelle interiezioni deh, ahimè, eh, che.

L’é ha suono stretto:

nelle particelle avverbiali e preposizioni articolate néllo, négli, nélla ecc. déllo, dégli, déi, de’ ecc. nelle congiunzioni e e se, che tanto sola quanto in composizione. P. es. perché; affinché:
negli avverbii, méno, déntro, méntre e nella preposizione sénza:
nei suffissi avverbiali -ménte; ménti. P. es. altaménte, forteménte, umilménte, altriménti:
nelle interiezioni affé, éhi.


§ 11. Oltre a queste norme speciali si deve avvertire in generale, che il dittongo ha suono largo. [p. 13 modifica]P. es. chièsa, chièdere, barbière, piède, schiètto, mièi. Si eccettua il caso che l’e del dittongo appartenga ad uno dei suffissi coll’é stretta (vedi sopra, § 5). P. es. vecchiétto da vècchio; fischiétto da fischio; vecchiézza. Si eccettuano ancora chiérico, biétta e poche altre.

Si deve pure avvertire che l’e susseguita da z scempia ha sempre suono largo. P. es. facèzia, inèzia, scrèzio.

La ragione del suono stretto di molte e accentate si trova in un corrispondente i latino che sia breve per natura. P.es. lignum, legno; siccus, secco; mittere, mettere; licitus, lecito.


§ 12. Soggiungiamo qui le più comuni fra le parole simili che dal differente suono della e prendono un significato diverso:

accètta (riceve) accétta (scure)
affètto (passione) affétto (taglio)
collèga (compagno d’ufficio) colléga (lega insieme)
bèi (belli, o da beare) béi (bevi)
cèsto (sorta d’arme) césto (riferito all’erba)
chè (interiezione) ché (congiunz. o pronome)
corrèsse (da corrèggere) corrésse (da córrere)
crèdo (parte della Messa) crédo (da crédere)
Crèta (nome d’isola) créta (terra)
dètte (da dáre) détte (da dire)
èsca (da uscire) ésca (nutrimento)
èsse (lettera) ésse (pronome)
lègge (da lèggere) légge (prescrizione)
mèle (delle api) méle (pomi)
mèsse (biada) mésse (sacrifizii)
mèta (scopo) méta (sterco)
mèzzo (metà) mézzo (fradicio)
pèsca (frutto) pésca (da pescare)
pèste (morbo) péste (traccie)

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sète (da èssere) séte (nome)
tèma (argomento) téma (da temére)
vènti (da vènto) vénti (numerale)

Mèzzo e mézzo differiscono anche pel diverso suono della z che nel primo è molle, nel secondo è dura.

Aggiungi le forme poetiche calésse (dal verbo calére), simile a calèsse (veicolo); fèllo (sleale) simile a féllo (per lo fe); pèra (invece di perísca) simile a péra, nome di frutto; stémmi (per mi stètte) simile a stèmmi (armi gentilizie); vèglio (per vècchio) simile a véglio (da vegliáre); tèlo (dardo) simile a télo (tessuto). Alcune forme simili sono distinte, anche nell’ortografia comune, dai segni grafici, come vedremo parlando dell’accento e dell’apostrofo.


§ 13. Ecco ora alcune regole simili circa la pronunzia dell’o. — Nomi e aggettivi.

L’ò ha suono largo:

in fine ai nomi proprii o appellativi d’origine non italiana. P. es. Bernabò, Angiò, , roccocò, falò:
nelle terminazioni òo, òa, òi, òe. P. es. Piròo, eròe, eròi, Stòa. Così pure nelle terminazioni òjo, òja. P. es. Savòja, bòja, giòja; eccettuati i suffissi tójo e sójo ecc. di cui vedi più oltre.
nei nomi in cui ò è derivata da áu. P. es. tesòro (tesáuro), ristòro (restáuro), òra (áura), allòro (láuro), còsa (cáusa). Eccettua fóce (per fáuce), códa derivato da cáuda):
nelle terminazioni -ònso, a, i, e, -òntico, a, i, e. P. es. intònso, respònso, Alfònso; anacreòntico, ellespòntico.
nei seguenti suffissi:
-atòrio, -itòrio, -tòrio, -òrio, a, i, e. P. es. purgatòrio, dormitòrio, responsòrio. Si conserva il [p. 15 modifica]suono largo anche se l’i venga elisa, come nelle forme poetiche martòro, mortòro:
-òccio, -òzzo, a, i, e. P. es. frescòccio, bellòccio, carròccio; berlingòzzo, predicòzzo:
-òtto, a, i, e. P. es. giovinòtto, grassòtto:
-uòlo, -òlo, a, i, e. P. es. figliuòlo, fagiuòlo, libricciuòlo, ladracchiòlo.


§ 14. L’ó ha suono stretto nei seguenti suffissi e terminazioni:

-abóndo, -ibóndo, -bóndo, a, i, e. P. es. cogitabóndo, pudibóndo, gemebóndo:
-óce, î. P. es. atróce, feróce, velóce:
-óne, a, i, e, -azióne, -izióne, -ióne, -sióne, gióne, i. P. es. omóne, gigantóna; fabbricazióne, esibizióne; passióne; religióne:
-óre, -atóre, -itóre, -sóre, a, i, e. P. es. amóre, dolóre; signóre, signóra; rammendatóre, rammendatóra; auditóre; confessóre:
-óso, a, i, e. P.es. pauróso, amoróso, faticósa:
-tójo, -sójo, -ójo, a, j, e. P. es. scrittójo, spegnitójo, vassójo, tettója, rasój.


§ 15. Pronomi, numerali.

L’ò ha suono largo:

nei pronomi possessivi tuòi, suòi, nòstro, vòstro:
nei pronomi ciò, pòco, tròppo:
nei numerali òtto, nòve, nòno, tanto soli come in composizione:

L’ó ha suono stretto:

nei pronomi nói, vói, lóro, colóro, costóro, e simili:
nei pronomi ógni, mólto:
nei numerali secóndo, dódici, milióne, bilióne.
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§ 16. Verbi e participii.

L’ò ha suono largo:

in fine alla prima persona del presente. P. es. do, sto, vo (per vádo), fo (per fáccio), vo’ per vòglio:
in fine alla terza persona singolare del passato remoto dell’indicativo. P. es. andò, parlò:
in fine alla prima persona singolare del futuro dell’indicativo. P. es. dirò, farò:
nei passati remoti che terminano in -òssi, -òsse, -òssero: mòssi (da muòvere), scossi (da scuòtere).


§ 17. L’ó ha suono stretto:

nel presente dell’indicativo terminante in -óno. P. es. dóno, sóno, abbandóno. Si eccettuano le forme con per la ragione accennata al § 19:
nei passati remoti che terminano in -ósi, -óse, -ósero. P. es. pósi (da pórre), nascósi (da nascondere):
nei participii passati in -óso ed -ósto. P. es. nascóso, nascósto; pósto:
nei participii passati in -ótto. P. es. rótto (da rómpere), condótto (da condúrre):
nell’imperfetto del congiuntivo del verbo èssere: fóssi, fósse, fóssero.


§ 18. Avverbii, preposizioni, congiunzioni, interiezioni.

L’ò ha suono largo:

negli avv. e prep. mo, òggi, fuòri, pòi, tòsto, talvòlta e simili, però, acciò e simili; non, no.
nelle interiezioni doh, to’, oibò e talvolta anche in oh.

L’ó ha suono stretto:

negli avverbii e prep.: óra e nei composti [p. 17 modifica]qualóra ecc.; cóme, dóve, ónde, dópo, sótto, sópra, cóntro, óltre, e composti; fórse, mólto ecc.; sólo, cón.
nell’interiezioni óhi e talvolta anche in oh.


§ 19. Oltre a queste norme speciali, si deve avvertire, in generale, che il dittongo ha suono largo, che si conserva anche quando l’u vada perduta. P. es. nuòce, nòce; vuòle, suòle, nuòvo, ruòta, ròta.

Si deve pure avvertire che l’o susseguita da z scempia ha sempre suono largo. P. es. òzio, negòzio, equinòzio.

La ragione del suono stretto di molte o accentate si trova in una corrispondente u latina, breve per natura. P. es. vultus, vólto; ruptus, rótto; turtur, tórtora.


§ 20. Soggiungiamo qui le più comuni fra le parole simili, che dal differente suono dell’o prendono un significato diverso:

accòrre (da accògliere) accórre (da accórrere)
bòtte (percosse) bótte (vaso)
cògli (da cògliere) cógli (prep. articolata)
còllo (parte del corpo) collo (prep. articolata)
còlto (da cogliere) cólto (coltivato)
còppa (tazza) cóppa (parte del capo)
còrre (da cògliere) córre (da correre)
Còrso (di Corsica) córso (da córrere)
fòro (piazza) fóro (buco)
fòsse (scavi) fósse (da èssere)
indòtto (non dotto) indótto (da indúrre)
mòzzo (della ruota) mózzo (servo di stalla, o da mozzáre)
pòrsi (da pòrgere) pórsi (da pórre)
pòse (attitudini) póse (da pórre)
pòsta (luogo fisso) pósta (partic. da pórre)

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ròcca (fortezza) rócca (da filare)
Ròdano nomi proprii
Ròdi
ródano da ródere
ródi
ròsa (fiore) rósa (prudore)
scòpo (fine) scópo (da scopáre)
scòrsi (da scòrgere) scórsi (da scórrere)
sòrta (specie) sórta (da sórgere)
tòcco (pezzo) tócco (da toccáre)
tòrre (da tògliere) tórre (edifizio)
tòrvi (da tògliere) tórvi (aggettivo)
tòrta (da tòrcere) tórta (vivanda)
tòsco (veleno) tósco (toscano)
vòlgo (da vòlgere) vólgo (plebe)
vòlto (da vòlgere) vólto (viso)
vòto (vuoto) vóto (desiderio o promessa)

Mòzzo ha z molle: mózzo ha z dura: ròsa ha s molle, rósa ha s dura.

Aggiungi le forme poetiche fòra per sarèbbe simile a fóra da foráre; nòce per nuòce, sòle per suòle simili a nóce albero, e sóle astro; òra per áura, simile ad óra indicante il tempo.


§ 21. La differenza di suono dell’e e dell’o non impedisce la rima. P. es.:

Il Sol montava in su con quelle stélle
     Ch’eran con lui quando l’Amor divino
     Mosse da prima quelle cose bèlle.

(Dante, Inf., i, 38).

Vedi la bestia, per cu’ io mi vòlsi
     Aiutami da lei, famoso saggio,
     Ch’ella mi fa tremar le vene e i pólsi.

(Ivi, 88).


§ 22. Le vocali molli i ed u sono quelle che pel suono si avvicinano più alle consonanti; sì perchè sono [p. 19 modifica]accompagnate da un certo soffiamento, sì perchè nella pronunzia dell’una ha parte il palato, in quella dell’altra le labbra. Infatti hanno ciascuna una consonante affine, j e v. Anticamente non si scriveva che i; ed u e v si scambiavano nella scrittura.


§ 23. Vocali molli unite a vocali dure si fondono spesse volte con esse in una sola emissione di fiato; onde si produce il dittongo, cioè, doppio suono. Perchè ciò avvenga, si richiede che sulla vocale dura la voce si posi un po’ più che sulla molle, la qual posa di voce talvolta cade sulla stessa vocale dov’è l’accento della parola, come in piòvere, andái; talvolta cade sopra una vocale precedente a quell’accento. P. es. Eu-ròpa, pio-váno.

Se le due vocali si trovano dopo la sillaba tonica, allora, non facendosi la posa della voce su nessuna di quelle, non si ha propriamente il dittongo. P. es. vário, Itália.


§ 24. I dittonghi si distinguono in due specie, distesi e raccolti. Sono distesi, quando la vocale dura precede alla molle, come in áura, Euròpa, oibò: sono raccolti, quando la vocale molle precede alla dura, come in fiáto, lietíssimo, piòvere, fiúme.

Può nascere il dittongo anche dall’unione delle due vocali molli: nel disteso la posa cade sempre su u come in fúi, colúi: nel raccolto può cadere sull’una o sull’altra, come in più, giù; qui, guísa, nei quali casi peraltro il dittongo è solo apparente, perchè l’u, piuttosto che colla vocale, si fonde colla precedente consonante in un solo suono. (Vedi cap. iv, § 4).

Altri accozzamenti di vocali senza le condizioni qui espresse, non sono veri dittonghi, come vedremo a suo luogo.