Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo III. Mutamento di vocali.
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CAPITOLO III
Mutamenti di vocali.
§ 1. Spesso di una parola medesima si hanno due forme con vocale diversa, l'una delle quali è da riguardarsi come primitiva, perchè corrisponde all’origine della parola, l’altra come mutata. Tal vocale più spesso è atona, ma talvolta anche è la stessa vocale tonica della parola. Diciamo prima delle vocali atone.
§ 2. Nella prima sillaba d’una parola, l’e atona si attenua molte volte in i, come mostrano le doppie forme decèmbre, dicèmbre; nepóte, nipóte; demònio, dimònio poet.; leóne, lióne meno usato; ed, in generale, i prefissi de e re che, o si trovano cangiati in di e ri, o hanno tutte e due le forme. P. es. devòto, divòto; desèrto, disèrto; restáuro, ristáuro; recuperáre, ricuperáre; respònso, rispònso; repartíre, ripartíre.
Ciò pure talvolta in fine di parola: avánte, avánti; dománe, dománi; lúnge, lúngi. Le forme in e sono poetiche.
Simile affinità si trova in casi analoghi fra o ed u. Onde abbiamo focíle poco usato e fucíle: molíno poco usato e mulíno; olívo ed ulívo; obbedíre, ubbidíre; offício, uffízio.
§ 3. Altre volte, pur nella prima sillaba, e ed i si rafforzano in a. Quindi le doppie forme denáro, danáro; meravíglia, maravíglia; selvático, salvático; innaffiáre, annaffiáre; sterpáre e strappáre con metatesi; tenáglia antiq., tanáglia.
§ 4. Talora nel cambiamento di vocali atone influisce la consonante che loro segue o precede:
r tende a cambiare in e la vocale precedente, come attestano le doppie forme: guarníre, guerníre; árbore poet. álbero; garòfano, gheròfano; separáre, sceveráre; e i suffissi -ería, -erello, -eréccio, ecc. dove l’e iniziale è spesso un’attenuamento di a primitiva. P. es. da rubáre si trae, rubería e non rubaría; da beccáro, becchería; da birrájo (birráro) birreria ecc. ecc. Si usano tuttora le doppie forme scioccarèllo, scioccherèllo; pazzarèllo, pazzerèllo; boscaréccio, boscheréccio; casaréccio, caseréccio, ed altre.
§ 5. Le consonanti b, p, f a contatto di i od e, tendono a cambiarle in u. Ciò si vede nelle doppie forme scipáre antiq. sciupáre; officína, fucína con aferesi; ribèlle, rubèllo; ebriáco antiq. ubriáco: le consonanti m e v a contatto di i, e, u tendono a cambiarle in o: p. es. riverso, rivèscio poet. rovéscio; diventáre, doventáre; mínimo, mènomo; dèvo, dovére; pieváno, piováno; dimáni, dománi; dimánda, dománda; divízia poet. dovízia; eremíta, romíto con afer.; ruína, rovína; manuále, manovále; contínuo, contínovo antiq.; Cápua, Cápova antiq.
§ 6. La consonante l tende a mutare in o la vocale con cui stia a contatto dopo la sillaba accentata. Ciò si vede nelle doppie forme debile poet. debole (gli antichi dissero anche nóbole, útole e sim. per nóbile ed útile); ángelo, ángiolo; scándalo, scándolo poco usato:
le consonanti gutturali c, g e le nasali n, m, tendono a mutare in a la vocale che loro precede dopo la sillaba accentata. Quindi le doppie forme crònica, crònaca; tònica, tònaca; pámpino, pámpano; gióvine, gióvane; canònico, calònaco, pleb.; Gerònimo, Giròlamo. Quindi pure spiegansi i modi affatto antiquati pròlago, astròlago e sim. invece di pròlogo, astròlogo ecc.
§ 7. In generale il mutamento della vocale atona è favorito da quelle due tendenze opposte della lingua, che si chiamano assimilazione e dissimilazione. Per la prima si cerca di ripetere un suono medesimo; per la seconda, invece, di fuggirne la ripetizione. All’assimilazione si debbono in parte i cangiamenti in a notati al § 3, come in salvatico invece del primitivo selvatico. Altri esempi sono maladétto per maledétto; e le terminazioni -ère invece di -èro, come in corrièro, corrière; cavalièro, cavalière; leggièro, leggière poco usato; e altri moltissimi. Dalla dissimilazione nascono le forme, nemíco invece del primitivo nimíco; litigáre, leticáre, ed altre.
§ 8. Le vocali toniche, quelle cioè su cui cade l’accento della parola, vanno pur esse soggette a cambiamenti, che tuttora si manifestano in certe forme doppie:
§ 9. e tonica (che corrisponda ad e breve latina) non seguita da doppia consonante, passa in ie. P. es. fèro poet. fièro; altèro, altièro; intéro, intiéro; lève poet. liève; tèpido, tièpido ed altre.
Così parimente o tonica (corrispondente ad o breve latina) non seguita da doppia consonante, passa nel dittongo uo. P. es. bòno, buòno; còcere, cuòcere; còre, cuòre; fòco, fuòco; òmo, uòmo; lòco, luògo; mòro, muòjo; nòvo, nuòvo; tòno, tuòno; ròta, ruòta. Le forme con semplice o sono, per la maggior parte, rimaste alla lingua poetica, benchè ancora usate, in parlando, dal popolo di Firenze.
§ 10. í (corrispondente ad i breve latina) passa regolarmente in e, specialmente quando si trova dinanzi a due consonanti od a z: come tuttora apparisce riscontrando le doppie forme líce, léce poetiche, plíco, piégo: cíppo, céppo; nítido, nétto (con sincope); avarízia, avarézza; franchígia (-izia) franchézza: vízio, vézzo; príncipe, prénce (dall’antiq. préncipe); límbo, lémbo, molte delle quali hanno diverso significato.
§ 11. ú (corrispondente ad u breve latina) passa regolarmente in o. Così spiegansi le doppie forme cúbito, gómito; número, nóvero; cúneo, cònio; lúto poet. lóto. Nei verbi è spesso alternativa fra ú primitiva ed ó. P. es. condúrre, condótto; fóndere, fúso. I poeti riconducono sovente l’ú latina; e usano, specialmente in rima, sepúlcro per sepólcro; spelúnca per spelónca; scúlto per scólto, ecc.
Quanto alle voci derivate, vedi la Parte III.
§ 12. Talora una vocale, per agevolezza di pronunzia, muta di posto nella stessa parola; il che dicesi metatesi. Rare sono le metatesi delle vocali nella lingua scritta, come in schioppo, scoppio, che si usano però in significato diverso; e in bálio dall’antiquato e primitivo báilo. Ma in bocca della plebe sono frequenti. P. es. pianère invece di panière; rispiármo invece di rispármio