Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo I. Le lettere dell'alfabeto.

Capitolo I. Le lettere dell'alfabeto.

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CAPITOLO I

Le lettere dell’Alfabeto


§ 1. La parola consta di tre elementi; le lettere o segni di pronunzia, che tutte insieme costituiscono l’Alfabeto; le sillabe, risultanti da una o più lettere; l’accento, o posa della voce che, facendo via via spiccare una sillaba sopra le altre, distingue le parole. Cominciamo dalle lettere


§ 2. L’alfabeto italiano contiene ventidue lettere, che sono le seguenti:

segni delle lettere nomi delle lettere
Majuscole Minuscole  
A a a
B b bi
C c ci
D d di
E e e
F f èffe
G g gi

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H h ácca
I i i
J j
L l èlle
M m èmme
N n ènne
O o o
P p pi
Q q qu
R r èrre
S s èsse
T t ti
U u u
V v vu
Z z zèta
§ 2. Mancano alla lingua italiana le seguenti lettere:
K k káppa
X x icse
Y y ypsilòn
W w vu doppio

le quali, all’occorrenza, si sostituiscono con altre; e cioè:

K con c, come in Cleopátra e chièsa.
X con s o ss, come in Sèrse, esèmpio, Alessándro
Y con i, come in física.
W con v semplice, come in Viènna.


§ 3. Le lettere si distinguono in vocali, o suoni assoluti; e in consonanti, o suoni accompagnanti.

Le vocali, avendo suono di per sè stesse, non abbisognano, per pronunziarsi, di verun’altra lettera oltre il loro proprio segno. Al contrario le consonanti abbisognano, per esser bene avvertite, di prendere dopo di sè una vocale almeno, che, come abbiam veduto, è o un e, o un i, o un u. [p. 5 modifica]


§ 4. I segni delle vocali sono cinque a, e, i, o, u; ma l’e e l’o possono avere, come vedremo, due suoni differenti (è é, ò ó), suono aperto e suono chiuso; onde può dirsi che i suoni vocali non cinque siano, ma sette.

Le consonanti si dividono in tre classi, e cioè:

mute: t, d, c (qu), g, p, b
liquide: r, l, n, m.
spiranti: f, v, s, z, (h), j.

Dei tre elementi che formano la pronunzia delle consonanti, suono, soffio ed articolazione, il suono prevale nelle liquide, il soffio nelle spiranti, l’articolazione nelle mute. Da ciò segue che le liquide sono più dell’altre affini alle vocali, mentre le mute più delle altre ne differiscono.

Avvertasi che tanto s come z hanno due suoni, il duro ed il molle; e che il c e il g hanno pure due suoni, il gutturale ed il palatale. Da ciò segue che i suoni consonanti non diciassette sieno, ma ventuno.


§ 5. Fra le lettere sono considerate di genere femminile quelle il cui nome termina in a od e, p.es. h, z (ácca, zèta), l, m (èlle, èmme), e di genere maschile quelle che hanno il nome finito in altra vocale, p.es. b, v (bi, vu). Ma comunemente si fanno tutte femminili, sottintendendo l’appellativo lettera. Così pure, per regola generale, non se ne varia al plurale la terminazione; e si dice dúe èrre, dúe zèta, ecc.


§ 6. Oltre ai segni ordinarii delle lettere, altri segni fanno parte della scrittura e, bene adoperati, costituiscono la ortografìa, cioè, il retto modo di scrivere. Essi sono: la lettera majuscola, l’accento, l’apostrofo, ed i segni d’interpunzione.

La lettera majuscola si adopera soltanto come iniziale di parola nei seguenti casi: in principio di [p. 6 modifica]periodo o di verso; nei nomi proprii, cognomi o soprannomi indicanti persona o cosa individualmente; nei nomi di patria e nazione usati sostantivamente; nei nomi di dignità titolo non accompagnati da nome proprio e riferiti a qualche particolare persona; nei nomi appellativi quando siano usati in un senso speciale o storico, e finalmente in altri casi per giovare alla chiarezza o alla forza dell’espressione.


§ 7. L’accento (ora detto acuto (´) ora grave (`)) si segna in alto, a destra di chi legge, sopra la vocale di una sillaba, per indicare che vi si deve fare una gagliarda posa colla voce.

Il segno dell’accento, come vedremo, non si pone che di rado, ma l’appoggiatura della voce si fa sentire sopra una sillaba d’ogni parola, e quella sillaba dicesi accentata o tònica; le altre non accentate od àtone. Cosi p. es. valore ha la posa su lo, polvere su pol.

In tutte le parole che porteremo per esempio in questa Grammatica (eccettuati i monosillabi di pronunzia non equivoca) noi useremo l’acuto in mezzo od in principio di parola, ed il grave in fine; eccettuando soltanto l’e e l’o aperte che, dovendo avere accento, l’avranno sempre grave e l’e e l’o chiuse, che, dovendo avere accento, l’avranno sempre acuto. In tutte le parole non date per esempio, seguiremo l’uso ormai invalso in Italia, di segnare sull’ultima sillaba l’accento grave, e in mezzo ed in principio non porre alcuno accento, fuorchè nei casi di equivoco, nei quali scriveremo per regola l’acuto, e per eccezione il grave.

L’accento detto circonflesso (^) si usa qualche volta come segno grafico, non per modificare la pronunzia.

L’apostrofo (’) si segna in alto dopo una parola, per indicare che se ne è tolta la vocale finale; o in [p. 7 modifica]principio, per indicare che se ne è tolta la vocale iniziale. P. es. tútto áltro, tútt’áltro; lo ingégno, lo ’ngégno.


§ 8. I segni di interpunzione sono i seguenti:

il punto, che può essere fermo (.), interrogativo (?), od ammirativo (!). Il punto fermo si segna dopo ciascun periodo, dove il senso resta affatto compiuto: l’interrogativo e l’ammirativo si segnano dove ha termine o dove si posa un’interrogazione od una esclamazione:
i due punti (:) che si segnano fra i varii membri d’uno stesso periodo quando vi sia tra loro costruzione coordinata e, per lo più, senza congiunzioni:
la virgola (,) che si segna fra proposizioni, siano esse esplicite od implicite:
il punto e virgola (;) che si segnano fra i varii membri d’uno stesso periodo quando vi sia tra loro costruzione subordinata, o costruzione coordinata ma colle congiunzioni;
la lineetta o tratto d’unione (-) che si segna fra due parole in composizione, o fra due parti d’una stessa parola, ovvero in principio ed in fine di qualche proposizione o periodo che vogliasi più fare osservare:
il segno della parentesi ( ) che chiude alcune parole o proposizioni separandole affatto dalle antecedenti e seguenti nello stesso periodo:
le virgolette (« ») che si pongono in principio ed in fine, (od anche a sinistra di ogni linea), quando si porta una parola, una proposizione, un periodo, un discorso tolti fedelmente da un’altra scrittura.
Il carattere corsivo (a differenza del rotondo) si usa soltanto per far meglio osservare qualche parola, nel riportare dei passi tolti da un altro scrittore.