Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo IV. Le consonanti.

Parte I - Capitolo IV. Le consonanti.

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CAPITOLO IV

Le consonanti.


§ 1. Dividemmo le consonanti in tre classi, mute, liquide e spiranti. Ora è necessario studiarle partitamente, distinguendole secondo i diversi organi della favella, che entrano come principali nella loro pronunzia.


§ 2. Fra le consonanti mute sono affini tra loro p e b, che si chiamano labiali, perchè nella loro pronunzia ha parte principale l’atteggiamento delle labbra, le quali si premono di più nella prima consonante, e un po’ meno nella seconda. Quindi, essendo il suono dell’una più forte e reciso, e quello dell’altra più fluido ed aperto, il p si chiama labiale dura, il b labiale molle.

Forme con b e p: banca, panca; epifanía, befána con aferesi; ribrézzo, riprézzo poco usata.


§ 3. Sono pure affini tra loro c, g, qu, che si chiamano gutturali, perchè la loro pronunzia muove dalla gola, purchè però le due prime vengano pronunciate (come se fossero in tutti i casi scritte con h) ch, gh, che è il loro suono naturale e primitivo. Questa h si scrive soltanto davanti ad e ed i, non essendovene [p. 24 modifica]bisogno davanti a a, o ed u. P. es. pòco, pòca; pòchi, pòche; luògo, luòghi: dròga, dròghe; cúra, gústo.

Anche fra le gutturali abbiamo la dura, che è ch; e la molle, che è gh.

La c tende ad ammollirsi in g: quindi le doppie forme: castígo; gastígo; loco poet. luógo; súcco, súgo; ácre, ágro; lácrima, lágrima; sácro, ságro; acúto, agúto antiq.

La c gutturale preceduta da vocale non accentata e seguita pur da vocale o da r, assume in bocca del popolo toscano un suono aspirato particolare, p. es. la cósa, la crésta (la hosa ecc.). Ciò avviene pure della q e della c palatale: la querela, la cena. Vedi più oltre.

Si perde talora g fra due vocali. P. es. regále poet. reále; legále, leále in div. signif., sciaguráto, sciauráto.


§ 4. La terza gutturale q è sempre seguita dalla vocale u che si pronuncia quasi come v, e forma dittongo raccolto con la vocale seguente. Si ha pertanto qua, que, qui, quo, sempre in un’unica sillaba. Quindi la qu è da ritenersi come un nesso grafico, venutoci tale e quale dal latino, e quasi soltanto in parole schiettamente latine.

La qu popolarmente passò in c. Antiquo poet. antíco; oblíquo, bièco; quiéto, e queto poet. chéto; liquóre, licóre poet. Il volgo storpia sovente qui in chi; e questo e quello in chésto e chéllo.

Al nesso duro qu corrisponde esattamente il nesso molle gu che forma dittongo raccolto con a, e, i, o. P. es. guári, língue, languíre, séguo. Vedi il § 9.


§ 5. C e g davanti ad e ed i perdono il loro natural suono, per prenderne un altro palatale, tale cioè, che si forma nella cavità del palato. P. es. céra, cíbo; ciabátta, scóncio, cúcio, acciúga. Per evitare equivoci, quando scriveremo sole queste due palatali, sottoporremo loro un segno. così: ,c ,g.

La ,c tende ad ammollirsi in ,g: dúce, dòge; ducènto, dugènto; ciúcco, giúcco; bráce, brágia.

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Anche la g tra due vocali talora si dilegua. P. es. regína, reína poet.; vagína, guaína; lògica, lòica poco usato.


§ 6. Sono pure affini tra loro t e d che si chiamano dentali, perchè nella loro pronunzia hanno gran parte i denti. La d, a differenza della t, si pronunzia affacciando un poco la lingua all’apertura dei denti stessi, e perciò è consonante molle, mentre la t è consonante dura.

La t tende ad ammollirsi in d: p. es. pietáte, pietáde; gioventúte, gioventúde e sim. le une e le altre poetiche; imperatóre, imperadóre; servitóre, servidóre e simili in gran copia; líto poet. lído; nutríre, nudríre.


§ 7. Fra le consonanti che con vocabolo generale chiamammo liquide (vedi cap. i, § 4) sono affini tra loro la r e la l; che si dicono anche linguali, perchè nascono principalmente dalla vibrazione della lingua:

r tende a scambiarsi con l: ciriègia poco usato, ciliègia; árido, álido; peregríno, pellegríno; varcáre (con sincope dal latino varicare) valicáre; árbore poet. álbero; scarpèllo, scalpèllo. Aggiungi il suffisso -áre che in diverse parole si alterna col suffisso -àle. P, es. singol-áre, plur-ále; particol-áre, gener-ále; ecc.

r passa talora in d. Quindi le doppie forme: ráro, rádo; pròra, pròda (in altro senso); armário, armádio; feríre, fedíre poet.

La più parte di questi mutamenti e scambi fra r, l, d si debbono alla dissimilazione per la quale due r vicine tra loro tendono a sfuggirsi.


§ 8. Le altre due liquide n ed m si chiamano con maggior proprietà consonanti nasali, perchè il loro suono si forma nel naso. La prima è affine alle dentali, la seconda è labiale, e serba affinità colle labiali mute.

Forma con d ed n: lámpada, lámpana (lampaníno e non mai lampadíno).

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Forme con muta labiale ed m: Jácopo, Giácomo; cúbito, gómito; verbèna, vermèna.

Forme con n ed l: Gerònimo antiq. Giròlamo; venéno poet. veléno; canònico, calònaco modo plebeo.

Quanto ai nessi gl e gn, vedi il cap. v.


§ 9. Fra le spiranti bisogna distinguere le due labiali f, v; la gutturale h; le due dentali s e z, e la palatale j.

Nella pronunzia di f e v hanno parte principale le labbra, ma il soffio scappa per picciola apertura fra i denti. La prima è dura, la seconda è molle.

Forme con f e labiali mute: sfèra, spèra; fiòcco, biòccolo; sinfonía, zampógna in div. significato.

Forme con v e b: nèrvo, nèrbo in altro senso; còrvo, còrbo poet.; conserváre, serbáre; vóce, bóce antiq. donde il moderno bociáre; flébile, fiévole in altro senso. Con m e v: número, nòvero.

Forme con p e v: sópra, sóvra e i loro derivati; rípa, ríva; òpra, òvra poet.; ricuperáre, ricoveráre; sapére, savére poet.; stipáre, stiváre.

Forme con v e gu o g: de-vastáre, guastáre; vagína, guaína; róvo, rógo (in altro senso); párvolo poet. párgolo; sévo, ségo.

La v in mezzo a due vocali talora si dilegua. Quindi le doppie forme avéva, avéa; udíva, udía ecc. e nei nomi rívo, río poet.; natívo, natío; giulívo, giulío poet. Talora a v perduta sottentra g o d. P. es. núvola (-ola), núgola; chiòvo antiq. (chiò-o), chiòdo.


§ 10. L’h in origine era un suono gutturale aspirato che, rimasto in altre lingue, si è perduto in italiano, eccettuati quei casi che accennammo nel § 3 di questo capitolo:

posposta immediatamente a c e g indica che queste lettere hanno suono gutturale, non palatale, davanti ad e ed i. Vedi addietro § 3.

Del resto, si usa semplicemente come segno grafico in principio delle quattro persone del verso avére; ho, [p. 27 modifica]hái, ha, hánno, per evitare equivoco con parole di suono uguale; ed in certe interiezioni. P. es. ah, áhi, deh, oh, óhi, húi.


§ 11. Le due spiranti dentali s e z differiscono in questo, che la prima è spirante semplice, l’altra è composta di un’s e d’una muta dentale. Ambedue possono avere due gradazioni di suono, vale a dire un suono duro che tiene del palatale; e un suono molle e quasi ronzante. La s dicesi anche sibilante.


§ 12. s ha di sua natura suono duro; e tale lo conserva sempre quando si trova doppia. P. es. cássa, dísse, rósso; o quando segue ad un’altra consonante. P. es. piánse, pólso, gèlso, órso. Lo conserva pure quando si trova in principio di parola, o della seconda parte d’una parola composta. P. es. sapére, sénno, séte, sópra, súbito; venti-sèi, cinquanta-sètte, credèndo-si, altre-, ri-sòlvere, ri-suscitáre, pre-sentíre:

davanti a consonante, sia in principio che in mezzo di parola, s si fonde in un unico suono con quella, e piglia suono aspro o dolce, secondo la natura della consonante stessa. P. es. scála spíllo, sfèrza, destrézza, sbandíre, sdéqno, slanciáre, dismésso, snodáre, sradicáre, disviáre.


§ 13. Al contrario l’s è molle, per regola generale, in mezzo a due vocali della stessa parola. P. es. tesòro, spásimo, usúra. Molte però sono le eccezioni, e principali le voci seguenti (compresi i derivati);

i suffissi aggettivali óso, a, i, e. P. es. bramóso, golóso, bramosía, golosità:
i participii, e i passati remoti dell’indicativo in -éso, ési; e i nomi in -ésa, -ése, P. es. accéso, io [p. 28 modifica]accési, appréso, péso, imprésa, difésa, scésa, arnése, Danése, Calabrése ecc. Conservano però l’s molle blèso, chièsa, cortése, Francése, marchése, paése, palése, Terèsa, Agnèse, e parecchie voci d’origine greca.


§ 14. Altre eccezioni più comuni sono le seguenti: cása, còsa, ráso, fúso (arnese per filare), náso, ásino, susúrro, desidèrio (non desíre), ríso nome e verbo (ma non deríso); e i passati remoti pósi (donde altresì pòsa e ripòso), rispósi, nascósi e simili; rimási, chiúsi, chiúso (ma non -clúso nè i suoi derivati), róso da ródere.

La differenza di suono dell’s non impedisce la rima. P. es.:

Indi rendei l’aspetto all’altre cóse,
     Che si movieno incontro a noi sì tardi,
     Che foran vinte da novelle spòse.

(Dante, Purg., xxix, 58).                              


§ 15. s dura piglia alcune volte il suono schiacciato sci davanti al quale l’i seguente sparisce: in-sípido, scípido e scipíto; salíva, scialíva antiq.; vessíca, vescíca; separáre, sceveráre; siròcco, sciròcco.

Forme con sp, sch, st: spúma, schiúma, stúmmia (da stiuma); spiedo, schidióne; schiáffo, stiáffo: schiantáre, stiantáre; raschiáre, rastiáre; fischiáre, fistiáre; schioccáre, stioccáre; schiávo, stiávo. La forma sti è plateale, e non si suole adoperare nelle scritture.


§ 16. z si scrive ora semplice, ora raddoppiata, senza che ciò apparisca dalla pronunzia. Quindi bisogna tener per regola di scriverla semplice in principio di parola, p. es. zána, zèlo; e in mezzo di parola quando stia dopo consonante, o davanti a due vocali, p. es. cálza, affezióne, profezía. Al contrario si deve scriverla raddoppiata in mezzo di parola quando sia preceduta da vocale e seguita da vocale semplice, p. es. [p. 29 modifica]rózzo, piázza; e in tutti i derivati da parole dove è scritta doppia: p. es. pazzía da pázzo; carrozzière da carròzza.


§ 17. z conserva il suono dolce (quasi ds) per lo più in principio di parola, p. es. záino, zanzára; e nelle parole ove la z deriva dal greco, p. es. zèffiro, zèta. Nondimeno, anche in principio, hanno z aspra le seguenti parole: zána, zámpa, zázzera, záppa, zécca, zéppa, zólla, zéppo, zío, zítto, zòccolo, zólfo, zòppo, zúcca, zúcchero, zúffa, zúfolo, zúppa, e qualche altra.


§ 18. Negli altri casi prevale la z aspra (quasi ts), p. es. pèzzo, piázza. Ecco le più comuni fra le parole eccettuate (compresi i derivati):

z doppia: bázza, bazzècola, bazzòtto, gázza, magazzíno, nazzarèno, — bízza, bizzèffe, brézza, frízzo , ghiribízzo, lézzo, mèzzo, olézzo, ribrézzo, zízzoladozzína, ghiózzo, mòzzo (della ruota), rózzo, sózzo, zòzzaaguzzíno, azzúrro, búzzo, inuzzolíre, rúzzo.

Aggiungi le voci greche ed orientali, come amázzone, zizzánia, orizzónte, Lázzaro; ed i suffissi in -izzáre, -ezzáre, in parola greca, o al modo greco, p. es. armonizzáre, carbonizzáre, lampezzáre:

z semplice davanti a due vocali: aziènda, Naziánzo, nome greco:
z semplice dopo un’altra consonante (l, n, r): Belzebùbrónzo, pránzo, mánzo, benzína, donzèlla, frónzolo, gánza, gónzo, románzo, ramanzína, ronzáre, zanzára, zénzero, zónzoarzènte, garzóne, arzigògolo, òrza, òrzo, scòrza, svèrza, verzúra e verzière, sfárzo.
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La differenza di suono della z non impedisce la rima. P. es.:

M’andava io per l’aere amaro e sózzo
     Ascoltando il mio Duca che diceva
     Pur: guarda che da me tu non sia mózzo.

(Dante, Purg., xvi, 13).                              


§ 19. Il suono della z dura preceduta da consonante, come nelle voci cálza, márzo, pínzo, somiglia tanto al suono dell’s dura, che torna difficile, scrivendo, non iscambiare l’una coll’altra lettera. Nelle parole derivate dal latino la z italiana corrisponde per solito ad una t, e talvolta ad una c. Chi non sappia il latino, può ritenere per norma, che i nomi astratti in -ióne vogliono la s quando il participio passato del verbo da cui derivano, finisce in so; vogliono invece la z, quando esso participio è in to. Esempii: appréso, estéso; apprensióne, estensióneattènto, distínto; attenzióne, distinzióne.

Talvolta il d si cambia in z dolce. P. es. verdúra, verzúra; péndolo, pénzolo; frónda, fronzúto.


§ 20. j somiglia nella pronunzia ad una ,g fortemente attenuata. È sempre seguita da vocale, e, in mezzo di parola, preceduta pur da vocale. P. es. jèna, jònico; nòja, notájo. Seguita da i, diventa vocale, ed una delle i sparisce. Quindi il plurale di notájo e simili nomi, sì pronunzia come notái, quantunque, per chiarezza, si scriva notaj. Il plurale della voce ájo si scrive e si pronunzia áji, per non confonderlo con ái prep. artic., od áhi interiezione.

Alcuni scrivono j anche in mezzo a parola composta. P. es. con-jugazióne, ob-jètto, ab-jètto, inter-jezione.

In principio di parola j non di rado si vocalizza entrando a far dittongo colla vocale seguente. Così jéri [p. 31 modifica]talvolta si pronunzia ièri, come nel composto l’altrièri, ma più spesso si pronunzia jèri e si dice di jèri.


La j è affine della d e spesso, legandosi con quella, divenne ,g. Confronta i modi latini jacere, hyacinthus coi modi plebei diacére, diacínto, e coi modi regolari giacére, giacínto. Quasi tutte le j delle voci latine passando in italiano, divennero ,g. Abbiamo qui ancora alcune forme doppie, come Jácopo, Giácomo; Jònico, Gionico.

La j fra due vocali talvolta si perde. P. es. Tarpèja, Tarpèa; plebèjo, plebèo.


§ 21. Talvolta le consonanti mutano di posto nel giro d’una stessa parola (metatesi). Ciò accade specialmente con r consonante molle e fluida, che viene attratta da qualche muta. Così spiegansi certe doppie forme come interpretáre, interpetráre; stòrpio, stròppio; diètro, drièto pleb.; déntro, drénto pleb.; stúpro, strúpo pleb.; sterpáre, strappáre in senso diverso; Pancrázio, Brancázio.

Altri esempi di metatesi sono nelle doppie forme seguenti: súcido, súdicio; frácido, frádicio; palúde, padúle (nelle quali voci la pronuncia della d viene anticipata); frenètico, farnètico; ecc. [p. 32 modifica]


§ 22. — Tavola dei suoni nella lingua italiana.

CONSONANTI VOCALI
muti nasali liquidi spiranti
duri molli duri molli
Gutturali c, qu g, gu Gutturali a
ò
Dentali t d n s z ż
ó è
Labiali p b m f v Labiali u
Linguali r l é
Palatali ,c ,g ñ (gn) l̃ (gl) j ,s (sc) Palatali i

Abbiamo usato il termine suono e non lettera, perchè i suoni sono più delle lettere, prese ciascuna da per sè. — Non abbiamo dato luogo all’h per le ragioni dette al § 3.ñ ed si troveranno spiegate al cap. v. — , ż con un puntino al di sopra indicano il suono molle di queste spiranti. — ,s con un segno al di sotto indica il suono sci (§ 15.)

Le vocali sono disposte secondo la loro gradazione dall’a fino ad u, e dall’a stessa fino ad i.