Gli scorridori del mare/11. La rivolta
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Capitolo XI.
LA RIVOLTA
Marinai e ufficiali si erano subito ritirati nelle loro cabine, a contare i loro denari, od a giuocarlo al monte spagnuolo colla speranza, ben magra, di raddoppiarlo alle spalle dei camerati.
Il capitano solo era rimasto sul ponte intento ad ispezionare l’alberatura e le manovre della sua nave, volendo essere certo del loro buon stato prima di tornare nell’Atlantico.
Era già una mezz’ora che osservava pennoni e cordami, quando vide Bonga appoggiato alla ribolla del timone, il quale teneva gli occhi fissi verso l’oriente, quasi cercasse scoprire la sua lontana Africa.
Il capitano si fermò per alcuni istanti, guardò attentamente la faccia triste del negro, poi, avvicinatosi gli battè sulla spalla, dicendogli con voce dolce:
— Ascoltami, Bonga.
— Cosa volete capitano? — chiese l’erculeo negro, con accento quasi tetro.
— Quanto daresti per tornartene nella tua Africa, per rivedere le tue foreste, la tua Coanza, il tuo regno?
— Tutto ciò che si vuole; parte del mio cuore, del mio sangue, della mia forza e tutte le ricchezze che ho lasciate laggiù, — rispose il negro.
Solilach tacque per alcuni istanti, poi continuò:
— Saresti contento di accompagnarmi ancora in questo viaggio? Poi ti concederei la libertà.
— Sì, sì! — esclamò il negro con accento selvaggio mentre i suoi occhi lanciavano lampi.
— Tu hai la mia parola.
— Ah! mormorò il negro.
— Sì, sarai libero e potrai tornare tranquillamente in Africa in mezzo ai tuoi fedeli sudditi.
Gli occhi del negro mandarono un secondo lampo, poi passandosi una mano sulla sua larga fronte, come se volesse cacciare un cattivo pensiero, con voce amara continuò:
— E sarà lontano quel giorno?
— Fra sei o sette mesi tu potrai tornare alla Coanza.
Il negro scosse il capo tristamente, e per la seconda volta si passò la mano sulla fronte.
— Lo dubiti? — domandò il capitano meravigliato.
— No, — mormorò il negro con voce cupa. — Tuttavia ho un presentimento doloroso. No, io non rivedrò più mai le mie foreste, le mie tribù, la mia cara Coanza.
— Oh! Anche tu che eri re, hai delle superstizioni? Puoi ingannarti.
— No, Bonga non s’inganna. Or sono dieci anni, un gangas mi predisse che sarei caduto in schiavitù, e che non avrei più riveduto la mia tribù.
— Io non credo ai tuoi stregoni.
— Quel gangas era uno dei più celebri della Coanza.
— Follie, Bonga. Io ti dico che tu ritornerai ancora re.
Ciò detto, scese nel frapponte zufolando fra i denti un fandango spagnolo.
Il frapponte era ingombro di marinai occupati a spennacchiarsi l’un l’altro. I dadi rotolavano senza posa strappando grida di gioia ai vincitori ed imprecazioni a coloro che perdevano.
Il secondo e l’ufficiale, l’un di faccia all’altro, seduti intorno a una botte, parevano impegnati in una partita accanita. Sei o sette marinai, che avevano perduto già quasi tutto il denaro durante la notte, circondavano i due giuocatori.
Fino alla sera i dadi e le monete d’oro rotolarono sui tavoli da giuoco improvvisati con casse e barili, ma subito dopo il tramonto il capitano fece cessare i giuochi, e senza preamboli ordinò di spiegare le vele.
In un batter d’occhio dadi e monete sparvero come per incanto, e un minuto dopo s’intesero le lente modulazioni del fischietto del nostromo, il quale comandava la manovra.
I marinai arrampicandosi sugli alberi, aggrappandosi ai pennoni e ai capi, spiegavano lestamente le vele rinchiuse nelle loro coperte di tela cerata.
Mentre una parte dell’equipaggio lavorava sugli alberi, l’altra issava le scialuppe sulle gru.
Poco dopo la Garonna, favorita da una fresca brezza, prendeva il largo, correndo bordate verso il canale di Sopravvento.
Sei giorni dopo la rapida nave, attraversato il canale, puntato il banco di Silver, si slanciava in pieno oceano, navigando in direzione della costa africana.
Il secondo che fino allora non aveva mai parlato, visto che la Garonna prendeva la via dell’Africa fece un gesto di rabbia, e decise di farsi innanzi, per chiedere al capitano se intendeva di fare il pirata od il negriero.
Si avvicinò a lui, il quale se ne stava appoggiato all’argano fumando tranquillamente, e toccandolo, gli disse:
— Capitano!
Solilach, sentendosi chiamare, si volse, e visto il secondo indovinò subito ciò che voleva chiedergli.
— Cosa volete? signor Parry, — chiese.
— Signore, sono venuto a chiedervi dove intendete di condurci, — disse il secondo con voce aspra.
Il capitano impallidì.
— Cosa intendete dire? Chi vi dà il diritto di chiedermi ciò che voglio fare e dove voglio andare? Credete forse che il capitano Solilach debba rendervi conto dei suoi progetti?
— Io non intendo comandarvi, signore. Vi chiedo solamente dove dirigete la vostra nave.
— Dannazione! — urlò il capitano, con voce irata. — Chi sono io dunque qui? Credete che non abbia abbastanza autorità per farvi guardare a vista nella vostra cabina?
— Scusate, capitano, — disse il secondo, con massima calma. — Io volevo farvi una semplice domanda.
— Se volete sapere ove si va, torniamo in Africa, sulla Coanza a caricare negri per S. Domingo.
— Ancora il negriero, — disse ironicamente il secondo, mordendosi le labbra.
— Sì, signore. Forse che vi spiace?
Il secondo volse uno sguardo all’ingiro e vedendo che i marinai si erano avvicinati e che stavano attenti, continuò con sottile ironia: — Credevo che aveste accettato il mio consiglio.
— Di fare il pirata! Di diventare ladro e assassino! — esclamò con violenza Solilach.
— Un mestiere che rende cento volte di più, signore — disse Parry.
— Il pirata! Giammai! Nè io nè i miei uomini accetteremo un simile consiglio.
— Credete voi che tutti i marinai siano contenti di fare i negrieri? Credete voi che si rifiuterebbero di diventare pirati? — disse il secondo, lanciando uno sguardo sull’equipaggio.
— E che me ne importa? Credo d’altronde che vi ingannate. I miei uomini seguiranno sempre la mia buona e cattiva stella.
— Sì sì! — esclamarono tre o quattro voci.
Gli altri però tacquero e fissarono in faccia il secondo.
Un lampo di gioia selvaggia balenò negli occhi di Parry.
— Ebbene signore, fate pure il negriero, continuate pure la tratta, ma in quanto a me, appena giunti alle Azzorre, sbarcherò.
— Andatevene al diavolo; nessuno vi domanda qui! — esclamò il capitano. — Troverò sempre qualche buon marinaio per surrogarvi.
— Sia, — disse il secondo pallido di rabbia, e voltandogli le spalle tornò nella sua cabina, mordendosi le labbra a sangue, mentre i suoi occhi schizzavano fiamme.
— La vedremo, signor Solilach, — mormorò, quando si trovò solo. — Non conoscete ancora il vostro secondo.
In quanto al capitano, era rimasto immobile al suo posto, non era meno pallido del suo nemico, e con una mano sul calcio della sua pistola.
— Maledetto pirata! Temo che quell’uomo mi porterà sventura, — aveva mormorato poi.
I marinai, discorrendo fra loro a bassa voce, si erano sparsi per il ponte, commentando l’accaduto.
La Garonna intanto continuava a filare i suoi sei nodi all’ora, e si dirigeva direttamente verso le isole Azzorre, dovendo colà rinnovare le provviste e provvedersi di regali per i capi africani.
Verso le tre di quello stesso giorno, mentre il capitano se ne stava nella cabina, il secondo abbandonò la propria, salì in coperta ed andò ad appoggiarsi alla murata di babordo, fingendo la massima calma. Guardò per alcuni istanti il mare, poi accese un cigarito, e andò a sedersi sul castello di prora, discorrendo a lungo ed a voce bassa con diversi marinai.
L’ufficiale, che se n’era accorto e che temeva qualche brutta sorpresa, si affrettò a scendere nella cabina del signor Solilach.
— Capitano, state in guardia, — gli disse.
— Perchè? — chiese il negriero che pareva di assai cattivo umore.
— Temo che il secondo abbia voglia di giuocarvi qualche brutto tiro.
— Lo so, lo so, — interruppe Solilach. — Veglio però su di lui e non mi lascerò sorprendere. Al minimo sospetto lo ucciderò come un cane. Dovrebbe saperlo che io non ho l’abitudine di scherzare.
L’ufficiale lo lasciò e salì nuovamente in coperta per non perdere di vista le manovre del secondo, ma questi si era assiso sull’albero di bompresso e fumava tranquillamente. Verso sera Parry si ritirò nella sua cabina, senza dare la rotta e senza aver guardato nessuno, nemmeno l’ufficiale.
Il giorno seguente il capitano Solilach apparve sul ponte, e si mise come al solito a passeggiare da prora a poppa, col suo solito passo lento. Chi però lo avesse osservato si sarebbe accorto dalla sua fronte corrugata e dalla sua faccia pallida, quanta collera violenta lo tormentasse.
Era già da mezz’ora che passeggiava, quando il secondo comparve sul ponte. Nello scorgere il capitano si fermò di botto, ma poi mormorò alcune parole che nessuno potè capire, e andò a sedersi presso il bomo della randa, suo posto favorito, fingendo di guardare il mare.
Il capitano aveva alla sua volta interrotta bruscamente la sua passeggiata. La sua faccia si rannuvolava, i suoi sguardi si erano fissati sul signor Parry, mentre la sua destra si era appoggiata, forse involontariamente, sul calcio della pistola.
— Aspettiamo, avrò sempre il tempo di sbarazzarmi di quel pirata, — mormorò, riprendendo la passeggiata.
Alcuni giorni trascorsero così.
Una mattina però il capitano, esasperato per la muta ironia che regnava costantemente sulle labbra del suo rivale e temendo che costui gli giuocasse qualche tradimento, lo affrontò nel momento in cui stava per tornarsene nella cabina, e piantandoglisi di faccia, gli disse con voce irata:
— Signore, è tempo di finirla! Pare che voi abbiate dimenticato che a bordo di questo legno vi è un capitano e che voi siete stato imbarcato in qualità di secondo. Se continuate così, vi farò chiudere nella vostra cabina e guardare a vista.
Il signor Parry lo guardò per alcuni istanti senza rispondere, poi con voce beffarda disse:
— È dunque in prigione, capitano Solilach, che volete mettermi?
— Precisamente, — esclamò il capitano, esasperato per quella fredda ironia.
— E posso chiedervi di qual delitto mi si accusa, e con qual diritto voi vi permettete di farmi guardar a vista nella mia cabina?
— Col diritto di capitano, prima di tutto, — gridò Solilach portando una mano sul calcio della sua pistola.
— Signore io oggi sono qui come un passeggiero, ricordatevelo.
— Passeggiero o ufficiale, v’invito a finirla o darò ordine di trascinarvi nel quadro. La vostra condotta mi è ormai sospetta.
— Fatemi pure imprigionare, se lo volete, badate però ai casi vostri. Voi camminate sopra una mina, — disse il secondo incrociando le braccia e guardando quasi con sfida.
— Cosa intendete dire? Cos’è questa, una minaccia? — chiese Solilach e afferrandolo per un braccio lo scosse ruvidamente.
— Fatemi assassinare se lo volete, ma non vi risponderò più.
Il capitano, furibondo, trasse la pistola e lo prese di mira.
— Parlate o vi uccido.
— Non ho nulla da dire, signore.
— Badate!... Vi faccio grazia della vita, ma giuro che vi ucciderò alla prima vostra mossa sospetta.
Ciò detto rimise la pistola alla cintura, e volse le spalle a Parry, ritirandosi nel quadro.
Un triste sorriso era apparso sulle labbra del secondo.
— Mi ha risparmiato, — mormorò. — Tanto peggio per lui. A questa sera... poichè bisogna finirla.
Il terzo ufficiale aveva sorpreso quel sorriso ed aveva provato una profonda impressione. Attese che il secondo si allontanasse, poi andò a raggiungere il capitano nella sua cabina, trattenendosi colà fino ad ora tarda. Verso le dieci di sera, tornato in coperta, designò i marinai di guardia e diede la rotta, poi vedendo che la notte era tranquilla, si ritirò a poppa per dormire. La luna era allora sorta e brillava in mezzo al cielo senza nubi, mentre un leggiero venticello, gonfiando le vele, spingeva velocemente la Garonna in mezzo all’Atlantico.
Sul castello di prora si erano appena raccolti dieci o dodici marinai, allorquando un’ombra silenziosa uscì dal quadro e camminando con precauzione e confuso fra le vele, venne a fermarsi a pochi passi dal castello, nascondendosi, dietro all’argano.
I marinai stavano discutendo vivamente fra di loro.
— Io credo che il capitano abbia avuto torto a non accettare il consiglio del signor Parry, — diceva un robusto marinaio.
— È vero, — risposero gli altri.
— È un mestiere che arricchisce rapidamente quello del pirata. Altro che la tratta dei negri!
— E io dico che il capitano ha fatto bene a rifiutare, — disse una voce poderosa.
Quel marinaio che parlava era il brasiliano Banes, quell’uomo erculeo che si vantava, con un solo pugno, di abbattere un bue.
— Ohe, Banes, sei sempre attaccato al tuo capitano come un cane al padrone. Lascia che vada al diavolo una buona volta, — disse un marinaio, volgendosi verso il colosso.
— Vi dico che io non farò mai il pirata. Il negriero non è un mestiere del tutto onesto, ma è sempre da preferirsi al pirata. Esercitare la tratta non significa rubare nè assassinare.
— Cosa c’entra qui l’onestà? Si tratta di oro, amico Banes, capisci, di oro, — dissero in coro i marinai.
— Sia ciò che si vuole, io eserciterò la tratta sino a che l’eserciterà il mio capitano, — ripicchiò Banes.
— Il tuo capitano ti ha stregato adunque? — chiese un giovanotto con accento sardonico.
— E voi, sacripanti d’inglesi, perchè parteggiate per il signor Parry?
— Perchè vuol farci guadagnare cento volte più del tuo capitano, — dissero in coro gli inglesi.
— Sia ciò che si vuole, io difenderò sempre la causa del mio capitano, e guardatevene, perchè se vi tocca uno dei miei pugni, vi lascierò certamente il segno, — disse Banes.
— Noi porteremo la causa del nostro luogotenente, — risposero gl’inglesi.
— Ed è ciò che vedremo. Buona notte!
Ed il colosso se ne andò a lenti passi verso prora, ove sparve nella camera comune. Si era appena allontanato, quando l’uomo che da qualche tempo ascoltava i discorsi dei marinai di guardia si rizzò improvvisamente e mettendo un dito sulle labbra, per raccomandar silenzio, s’avvicinò agl’inglesi.
— Il secondo! — esclamarono in coro i marinai.
— Sì, sono io, amici miei, — rispose Parry, salutandoli colla mano.
— Quali nuove, signore? — chiesero i marinai.
— Amici, — disse il secondo, — ho inteso i vostri discorsi, e vi ringrazio dell’affezione che nutrite per me. Già da tempo sapevo che eravate stanchi di fare i negrieri, e che sospirate il momento di diventare pirati, e che odiavate il capitano Solilach.
— È vero, — mormorarono in coro i marinai.
— Amici, il tempo passa; fra quindici, venti o trenta giorni noi giungeremo alle Azzorre ove sarò costretto a sbarcare. È giunto il momento di agire.
— Cosa dobbiam fare per liberarci del negriero, — chiesero i marinai.
— Obbedirmi ciecamente e tenervi sempre pronti alla rivolta.
— Noi siamo pronti a tutto, signore, — disse un marinaio.
— Anche a sopprimere il capitano?
— Sì, — risposero in coro.
— Quanti partigiani credete che abbia il capitano Solilach?
— Quattro soli, — dissero.
— E tutti gli altri?
— Sono pronti a seguirvi, — risposero i marinai in coro.
— Tutti nostri adunque? — esclamò il secondo facendo un gesto di gioia.
— Tutti pirati.
— La rivolta scoppierà presto. Se non m’inganno i quattro partigiani del capitano sono l’ufficiale, il marinaio Fuego, Banes e Bonga. In quanto a questi due ultimi, con un’astuzia che vi spiegherò a suo tempo, saprò rinchiuderli nella stiva, perchè avrò bisogno più tardi di quei due giganti.
— E degli altri cosa faremo?
— Se non si arrenderanno li uccideremo, — rispose il secondo, con calma glaciale.
— E ora cosa dobbiamo fare? — chiesero i marinai.
— Avvertite i vostri compagni e preparateli a tutto. Prendete prima le vostre precauzioni.
— Sono già pronti, signore.
— Fra tre giorni, alla medesima ora, trovatevi tutti quanti riuniti qui. Destineremo il giorno della rivolta.
— Sta bene; siamo d’accordo signore.
— Silenzio: guai ai traditori, — disse il secondo.
Li salutò con un cenno della mano e ritornò rapidamente nella sua cabina.
Quattro ore dopo, mentre il sole, già alto, cominciava a rendere le tavole della nave ardenti, il capitano comparve sul ponte. Diede una rapida occhiata alle vele, fece spiegare gli stragli, e andò a sedersi a prora, ove l’ufficiale lo aspettava.
— Quali nuove? — gli chiese Solilach con rabbia concentrata.
— Brutte, — rispose l’ufficiale.
— Cos’è accaduto?
— Guardate, — disse l’ufficiale volgendo altrove lo sguardo e con tono significante. — Guardate, l’equipaggio lancia verso di noi degli sguardi abbastanza minacciosi.
— Vedo, — rispose il negriero, con sorda rabbia.
Poi vedendo passare Bonga, gli fece un cenno di avvicinarsi.
— Cosa desiderate capitano? — chiese il negro.
— Se io ti dicessi afferrami pel collo il secondo e accoppalo, lo faresti tu? — chiese Solilach, con voce cupa.
— Se lo farei!... Osereste dubitare? — esclamò il negro con violenza selvaggia. — Sapete bene che io l’odio e che ho bisogno del suo sangue.
— Sta bene: sii pronto.
Il negro fece un cenno affermativo col capo, e se ne andò a lenti passi, mentre l’ufficiale faceva un gesto di stupore.
Quasi nel medesimo istante il secondo comparve sul ponte. Come il solito non guardò nemmeno il capitano e andò ad appoggiarsi alla murata di babordo. Tutti gli sguardi dell’equipaggio s’erano subito volti verso di lui, ma egli finse non accorgersi, e continuò a guardar distrattamente il mare. L’ufficiale però se n’era accorto.
— Signore, guardatevene, — disse a Solilach.
— Ho veduto, ma vivaddio voglio punirli tutti e trascinarli meco nella tomba, dovessi incendiare la mia nave e dare fuoco alle polveri.
— Disgraziatamente temo che vi siano pochi dalla nostra parte, — disse l’ufficiale.
— Bonga è un ercole, Banes un gigante, — disse il capitano.
— Prendete però delle misure, signore, e assicuratevi bene della sala d’armi. Non bisogna che i marinai s’impadroniscano dei fucili.
— Avete ragione, venite, — disse Solilach alzandosi.
L’ufficiale lo seguì e scesero, senza esser veduti, nella sala d’armi.
Il capitano entrò, afferrò un fucile e lo gettò fuor dallo sportello, facendo cenno all’ufficiale d’imitarlo. In meno di mezz’ora i settanta fucili che componevano l’armamento di bordo, furono gettati in mare, senza che alcuno dell’equipaggio se ne accorgesse. Una gran parte dei coltelli e delle pistole furono egualmente gettati al di fuori.
Nella sala d’armi una volta così ben fornita, non rimanevano ormai che le accette della manovra e qualche pistola. Allora il capitano rinchiuse la porta e si mise la chiave in saccoccia.
— E ora, — disse, — possiamo essere più tranquilli. Nella mia cabina ho alcuni fucili che possono servire a noi. Ora ascoltatemi. Questa sera recatevi dagli uomini di guardia, chiedete, investigate e cercate di guadagnarne almeno alcuni. Promettete e se è necessario minacciate.
Ciò detto risalì in coperta, fingendosi calmissimo.
Sua prima cura fu di far spiegare i coltellacci e gli scopamari, per cercare di giungere più presto che era possibile alle Azzorre. Se poteva avvistare le isole prima che scoppiasse la rivolta, non doveva temere più nessun atto da parte dell’equipaggio. D’altronde era deciso di sbarcare tutti, il secondo compreso ed in caso disperato di barricarsi nel quadro e di opporre una fiera resistenza.
Sapevo di aver da fare con gente risoluta, capace di qualunque eccesso, però molto contava sulla devozione dei suoi pochi compagni e molto soprattutto sulla propria energia.
Il mattino del giorno dopo, l’ufficiale si recò nella cabina del capitano. Egli pareva scoraggiato e abbattuto.
— Dunque? — gli chiese Solilach. — Avete parlato cogli uomini di guardia?
— Sì, ho parlato, ho pregato, ho promesso oro, e perfino sono ricorso alle minacce, ma inutilmente. Essi si ostinano a dire che sono stanchi di fare i negrieri, e che desiderano corseggiare. Ah! Mio capitano, vi fu un momento in cui, cieco di rabbia, puntai verso di loro le mie pistole per ucciderne almeno un paio. Sono dei miserabili, signore!...
— Dannazione, — esclamò il capitano, levandosi in piedi in preda a una rabbia violenta. — Sono adunque tutti d’accordo? Ebbene sia, — e afferrando una sua pistola fece un moto per avventarsi verso la polveriera e far balzare la nave, ma l’ufficiale lo trattenne.
— Aspettate, capitano; vi è del tempo.
— E sia, — disse Solilach, cupamente, mentre la sua mano si contraeva sul calcio della pistola.
Due giorni trascorsero senza che nulla di nuovo accadesse. Al terzo, tutti i marinai, dopo di essersi assicurati che il capitano ed i suoi amici dormivano, salivano silenziosamente sul ponte, ove il secondo, armato sino ai denti, li attendeva ansiosamente.
— Amici miei, — diss’egli, — il momento della rivolta sta per suonare. Non più negrieri a bordo della Garonna; qui non devono trovarsi che dei pirati.
— Morte ai negrieri! — mormorarono sordamente i ribelli.
— Domani la rivolta scoppierà e guai a chi oserà opporsi a noi.
— A domani, — mormorarono i marinai.
— E ora pensiamo a sbarazzarci di Banes e di Bonga. Domani mattina otto di voi scendano nella stiva, e quando il capitano e l’ufficiale si ritireranno nelle loro cabine per la colazione, io manderò i due negrieri a visitare la sentina. Appena saranno scesi, rinchiudete prontamente la botola.
— C’incaricheremo noi, — dissero alcuni marinai.
— Fatto ciò, uno di voi cercherà di attaccare briga col capitano. Lui minaccerà, ma noi gli saremo addosso e succederà quello che il destino vorrà!
— Contate su di me, signore, — disse un inglese che godeva fama di essere il più manesco ed il più audace marinaio della Garonna.
— Benissimo. Domani mattina con una chiave falsa aprirò la sala d’armi e uno alla volta discenderete per armarvi di un’accetta o d’una pistola. Buona notte amici: a domani!...
L’adunanza si sciolse ed eccettuati gli uomini di guardia, tutti tornarono sotto prora, scomparendovi.
Venne il mattino. Il sole si era alzato splendido, versando sul mare torrenti di luce ardente ed una leggera brezza si era levata dall’ovest, spingendo la Garonna verso le Azzorre.
Il capitano fino dall’alba si trovava in coperta e passeggiava sul ponte seguìto dall’ufficiale.
Entrambi parevano tranquilli, segno evidente che non si erano accorti ancora di nulla, però le loro cinture erano fornite di due buone pistole e di pugnali.
Anche il secondo dallo spuntar del sole era salito in coperta, sedendosi sul castello di prora, munito d’un cannocchiale. Pareva pure tranquillo, però chi lo avesse guardato meglio, lo avrebbe veduto d’un pallore insolito.
Forse quell’uomo provava come un rimorso prematuro. Forse quel miserabile cominciava a tremare sapendo già come doveva risolversi la rivolta che aveva così abilmente preparata.
L’ora della colazione ben presto battè, ma nè il capitano, nè l’ufficiale abbandonarono il ponte.
Pareva che una voce interna li avvisasse di tenersi in guardia e non allontanarsi.
I marinai appena videro che i due negrieri non avevano intenzione di ritirarsi, cominciarono a dare segni d’impazienza, ma il secondo, avvicinandosi ad un marinaio che lo interrogava collo sguardo, gli disse:
— Pel pranzo.
Il marinaio si ritirò, e avvisò tosto i suoi compagni.
Il pranzo si faceva ordinariamente alle sei, cioè verso sera. Erano sei ore guadagnate pei disgraziati minacciati dalla morte.
L’ora attesa finalmente giunse. Il capitano e l’ufficiale si ritirarono per pranzare. Quasi subito il secondo mandò un fischio. Otto marinai abbandonarono il ponte e scesero nella stiva.
Allora il secondo volgendosi verso Banes, gli disse:
— Scendi nella sentina con Bonga e guarda se la nave ha delle filtrazioni d’acqua. Temo che si sia aperta qualche piccola falla.
Banes chiamò il suo amico Bonga, ed entrambi, senza diffidare, scesero nella sentina la quale, come si sa, si trova sotto la stiva.
Giunti presso la botola, videro alcuni marinai, i quali questionavano fra loro per alcuni denari perduti al giuoco. Entrambi, senza badare a loro, scesero nella sentina, ma quasi subito udirono un colpo formidabile, e si trovarono immersi in una profonda oscurità. La botola era stata chiusa, ed essi erano rimasti prigionieri.
Subito gli altri otto marinai salirono sul ponte, e avvertirono il secondo, il quale aveva appena finito di dare alcune istruzioni al marinaio che doveva provocare la rivolta.
— Va bene, qui tutti, ed ascoltatemi, — disse il secondo, facendo cenno ai marinai d’avvicinarsi.
Tutti corsero verso lui, e stettero ad ascoltarlo, mentre altri due, appostati al boccaporto di poppa, si tenevano pronti ad avvisarli del ritorno del capitano.
— Alcuni di voi si tengano pronti a portare delle torce, giacchè fra poco l’oscurità sarà completa, — disse il secondo, guardando il cielo che si copriva di nubi.
— E poi? — chiesero i marinai.
— Al primo grido, armatevi subito.
— Ecco il capitano, — dissero in quel mentre i due marinai, posti in vedetta.
Tutti tornarono in fretta ai loro posti.
Quasi subito comparve il capitano seguìto dall’ufficiale. Essi gettarono uno sguardo investigatore sui marinai.
L’ufficiale appena vide che la calma regnava in coperta, tornò nella cabina, ma il capitano si mise, come il solito, a passeggiare pel ponte.
Passando vicino all’albero di trinchetto, vide un marinaio addossato all’albero, il quale dormiva o fingeva almeno dormire.
— Che fate voi qui? Non è il posto di dormire, — gli disse il capitano, scuotendolo colla mano.
— Cosa importa a voi? — rispose ruvidamente il marinaio rizzandosi in piedi.
— Mariuolo! Non vedi che io sono il capitano?
— Che capitano? Non vi sono più comandanti a bordo! — disse insolentemente il marinaio.
— Miserabile! Forse che sei impazzito? — chiese il capitano con violenza.
— E no, signor negriero. Williams Korks non è pazzo; è più probabile che lo siate voi, — e così dicendo il marinaio, gli si piantò dinanzi.
— E tu osi dire?... — gridò il capitano furibondo, avventandosi su di lui.
— Che voi siete pazzo, e che nessuno più comanda a bordo della Garonna, — disse il marinaio, ghignando.
Il capitano comprese che quello doveva essere il segnale della rivolta. Il suo volto impallidì mentre i suoi occhi schizzavano fiamme. Si gettò sul miserabile, lo spinse addosso alla murata di babordo e afferrandolo pel petto, gli puntò una pistola in faccia, gridando:
— Ripetilo! Ripetilo!
Il marinaio al contatto della fredda canna della pistola, impallidì orribilmente e cacciò un grido di spavento. I suoi compagni, impugnati coltelli ed accette correvano già in suo aiuto.
— Ripetilo! — gli urlò il capitano.
— Siete un...
Il colpo partì. Il marinaio, colpito in piena fronte, cadde fulminato al suolo, prima che avesse terminata la frase.
Il capitano, spumante d’ira e quasi fuori di sè si volse verso i marinai gridando:
— Avanti miserabili! Avanti dunque!...
Un marinaio che precedeva i suoi compagni spiccò un salto verso di lui coll’accetta alzata.
Solilach, vedendoselo venire addosso, fece due passi indietro, raccolse rapidamente una scure che si trovava sul capo di banda, poi s’avventò sull’assalitore più rapido del lampo, menandogli un così terribile fendente da spaccargli il cranio.
A quella vista gli altri marinai indietreggiarono, ma quasi nel medesimo istante dieci o dodici uomini portanti delle torce e armati di barre, si slanciarono sul ponte, gridando:
— Morte al capitano! Morte al negriero!
Il signor Solilach si volse verso quegli uomini che volevano la sua morte ed armò la seconda pistola.
— Morte al negriero! — gridarono tutti gli altri, avventandosi verso di lui.
Il capitano fece fuoco sul più vicino dei rivoltosi, poi con voce tuonante gridò:
— A me! A me compagni!
Due uomini si precipitarono sul ponte rovesciando alcuni rivoltosi e liberarono il capitano, che stava già per essere circondato. Quei due uomini erano l’ufficiale e il marinaio Fuego.
Udite quelle grida di morte, erano accorsi a difendere la causa del capitano od a morire con lui.
— E Bonga? E Banes? — chiese Solilach, non vedendoli comparire.
— Prigionieri, — ghignò una voce beffarda partita fra i ribelli.
— All’albero maestro! — gridò il capitano, spiccando un salto e rovesciando un marinaio che stava per colpirlo.
Tutti e tre, difendendosi a pistolettate ed a colpi di scure, batterono in ritirata e si addossarono all’albero maestro, impedendo così ai ribelli di coglierli alle spalle.
— Prendete, capitano, — dissero l’ufficiale e il marinaio porgendo ciascun di essi una pistola.
— Grazie, — mormorò Solilach, mettendosele alla cintola.
Era tempo. I ribelli si scagliarono colle scuri in pugno addosso ai tre negrieri e impegnarono la lotta.
Le torce, agitate dalle mani convulse dei combattenti, mandavano vacillanti bagliori facendo balenar le scuri.
La lotta era diventata tremenda.
Si udivano le scuri cozzarsi rumorosamente le une colle altre, con un stridore rapido e duro, fra grida, imprecazioni e colpi di pistola.
Il capitano e i suoi due compagni, rossi di collera, colle vesti a brandelli già insanguinate, si difendevano accanitamente, avventando colpi all’ingiro che spesso riuscivano mortali.
Però quella lotta terribile non poteva durare a lungo. L’ufficiale, visto un marinaio che gli si avvicinava con una pistola in pugno, estrasse rapidamente la sua e togliendolo di mira fece fuoco. Il marinaio gettò un grido d’agonia e rotolò al suolo, ma quasi nel medesimo istante l’uccisore riceveva un colpo di scure sul capo, cadendo in ginocchio.
Tentò ancora di rizzarsi, ma un secondo colpo che ricevette sul petto, lo rovesciò cadavere.
La prima vittima era caduta, però i ribelli lungi dall’arrestarsi alla vista di quel giovane ufficiale morente, parvero diventassero più feroci. Essi strinsero più davvicino i due combattenti, e scagliando orribili imprecazioni all’indirizzo del capitano, precipitarono i colpi, smaniosi di finirla.
In quel momento il secondo, armato di due pistole, si avvicinò al capitano, togliendolo di mira.
Solilach trasse rapidamente una pistola e fece partire il colpo, ma la palla mal diretta si perdè altrove. Il secondo puntò le due pistole e con voce beffarda gridò:
— Guardati!
Tosto si udirono due detonazioni, seguìte da un grido di dolore. Il capitano, colpito da due palle al cuore, vacillò, poi cadde fulminato sul corpo del disgraziato ufficiale.
— Arrenditi, — gridarono alcuni al marinaio col superstite.
— No, — urlò Fuego furibondo.
— Muori adunque, — gridarono i ribelli, scagliandosi su di lui.
Fuego, addossatosi all’albero, per alcuni istanti si difese ferocemente e visto il secondo che armava una pistola, gli si scagliò addosso colla speranza di ucciderlo. Colpito nella schiena da due colpi di scure, cadde sulle ginocchia.
— Arrenditi, — gridarono i marinai furibondi.
— Viva il capitano! — gridò Fuego, e stramazzò al suolo esalando l’ultimo sospiro.
— Evviva il secondo! — gridarono i ribelli, slanciandosi a poppa, ove erano i barili di rhum...
Una torcia sola, impiantata presso l’albero di maestra, rischiarava i tre cadaveri.