Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Carlotto solo.

Gira, rigira, non trovo nè il padrone, nè la padrona. Mi ha pur detto il guattero di cucina ch’erano qui in questa camera, e che ha sentito gridare. Son curiosissimo di sapere che cosa è nato. Sicuramente la figlia si sarà ritirata nel suo appartamento; ed il vecchio l’avrà seguitata, e sarà lì ancora a bacconare e a gridare. Oh sarà restata brutta la signora Dorotea, quando si sarà trovata scoperta! Quando suo padre le avrà fatto rendere il ritratto del signor Roberto! (ridendo) So che mi odieranno per questo; ma non importa: ho dell’astio contro Arlecchino; per conseguenza non posso soffrire il di lui padrone, e copro la mia passione col zelo d’uomo prudente e di servitor fedele. Un poco di politica è una bella cosa... [p. 36 modifica]

SCENA II.

Anselmo ed il suddetto.

Anselmo. (Oh! eccolo qui). (da sè) Cerca, chiama; ti ho poi ritrovato.

Cablotto. Ed io andava in traccia di vossignoria. Ebbene, signore, com’è andata la faccenda? L’avete avuto il ritratto?

Anselmo. Mi verrebbe voglia... Mi verrebbero di quelle voglie... (freme)

Cablotto. Avete ragione di essere in collera contro vostra figlia; e contro quell’imprudente del signor Roberto.

Anselmo. Del signor Roberto? (fremendo)

Cablotto. Certo; le povere figlie sono anche compatibili, ma il signor Roberto...

Anselmo. Il signor Roberto!

Cablotto. Egli merita di essere rimproverato e mandato via sul momento.

Anselmo. Il signor Roberto ha dato il suo ritratto a mia figlia! (a Carlotta, fremendo e dissimulando)

Cablotto. È un’azione indegna.

Anselmo. Dorotea aveva il ritratto del signor Roberto! (come sopra)

Cablotto. E merita anch’ella di esser corretta.

Anselmo. E Carlotto, servitor fedele, me n’ha avvertito! (come sopra; e va tirando fuori, ed aprendo il ritratto)

Cablotto. Ho fatto il mio debito, e niente più.

Anselmo. Giuro a Bacco Baccone. (caccia davanti agli occhi di Carlotto il ritratto di Arlecchino)

Cablotto. Questo è il ritratto di Arlecchino. (lo prende)

Anselmo. Sciocco, ignorante... Ma che dico io? Impostore, bugiardo: è il ritratto del signor Roberto?

Cablotto. Ma il ritratto del signor Roberto...

Anselmo. Ma il malan che ti colga.

Cablotto. Chi l’aveva questo ritratto?

Anselmo. Chi l’aveva? Dorotea l’aveva.

Cablotto. Ma io ho veduto... (mortificato) [p. 37 modifica]

Anselmo. Che cosa hai veduto? (con (sdegno)

Carlotto. In mano di Camilla...

Anselmo. In mano di Camilla...

Cablotto. Il ritratto del signor Roberto.

Anselmo. E che cosa c’entra Camilla con Dorotea? E perchè darmi ad intendere che il ritratto era per Dorotea? E se Roberto ha donato il suo ritratto a Camilla, perchè s’incolpa la mia figliuola? Perchè, giuro a Bacco Saccone, perchè si carica Dorotea? Falsi, bugiardi, seminatori di discordie, di zizzanie, di falsità...

Cablotto. Ma io, signore...

Anselmo. Taci là, che ti fiaccherò l’ossa di bastonate. (parte)

SCENA III.

Carlotto solo.

Io resto attonito, maravigliato. Il padrone può aver avuto un ritratto per l’altro; ma quel di Roberto ci deve essere, perchè l’ho veduto. Questo però non è quello che più m’inquieta. Quel che mi mette in maggior apprensione, è questo ritratto qui che non so da chi venga, e dubito che Camilla m’inganni. Se Arlecchino si ha fatto fare il ritratto, avrà avuto la sua ragione. Chi sa ch’egli non l’abbia dato a Camilla; e che Camilla, o a posta o non volendo, non l’abbia dato alla sua padrona? Oh! se potessi scoprire la verità.

SCENA IV.

Arlecchino ed il suddetto.

Arlecchino. (Carlotto che varda un ritratto!) (da sè, non veduto)

Cablotto. Oh! riverisco il signor Arlecchino. (vedendo Arlecchino, nasconde il ritratto)

Arlecchino. (Dov’è ’l mio? Non lo vedo più. (guardando sul tavolino). Senz’altro el l’ha tolto lu. La me par un pochetto d’impertinenza). (da se) Comandela qualcossa, signor, in sta camera? Vienla a cercar qualchedun? [p. 38 modifica]

Carlotto. Sento che la vostra partenza è vicina, e sono venuto per augurarvi il buon viaggio...

Arlecchino. A caso averessi visto un ritratto su sto taolin?

Carlotto. Su quel tavolino? vi assicuro che su quel tavolino non ho veduto niente.

Arlecchino. Caro sior Carlotto... caro sior Carlotto, vu se un galantomo... Se lo fe per farme una burla...

Carlotto. Vi dico sull’onor mio che non ho preso niente, e che su quella tavola non vi era niente.

Arlecchino. Quando son vegnù in sta camera, ho visto mi co sti occhi che gh’avevi in man un ritratto. E me maraveggio de vu, e no se tol la roba dei altri. (con calore)

Carlotto. Vi dico ch’io non ho preso niente. Ecco qui un ritratto, è vero; ma son galantuomo, mi è stato dato, ed io non l’ho preso; e s’è roba vostra, eccolo qui, tenetelo, ch’io non so cosa fare nè di lui, nè di voi. (gli dà il ritratto, e parte)

SCENA V.

Arlecchino solo.

(Prende il ritratto, e se lo mette in tasca senza guardarlo) Che impertinenza! Sior sì, el giera là, el l’ha tolto, e el1 voleva negar. Manco mal che son arriva a tempo, e che l’ho trovà sul fatto. Orsù, bisogna far i bauli e destrigarse. Pazenzia! anderò via. Andar via, lassar Camilla senza dirghe gnente; e forse senza vederla gnanca! Ah! sì, sarave meggio che no la vedesse. (porta la roba nel fondo per metterla nel baule)

SCENA VI.

Camilla ed il suddetto.

Camilla. (Non vedendo Arlecchino ch’è occupato a fare il baule) Se vedessi il signor Roberto, vorrei persuaderlo a riprendere il suo ritratto, prima che nascano nuovi scandali e nuovi ru[p. 39 modifica]mori. Manco male che lo sbaglio ch’io ho fatto... Ah! questo sbaglio mi costa caro. Ho perduto il ritratto del mio Arlecchino. Ma s’è restato nelle mani del vecchio, spero che un giorno lo ricupererò. (volgendosi un poco) Oh cieli! Arlecchino è qui. (fa qualche movimento, onde Arlecchino si volta)

Arlecchino. (Ah! cossa vedio! La mia cara Camilla!) (da sè, stando al suo posto)

Camilla. (Mi sento una smania: non ho coraggio di andar innanzi: non so come fare a tornare indietro). (da sè)

Arlecchino. (Vorria parlarghe; ma no so come far). (da sè)

Camilla. (Vorrei profittare dell’occasione; ma non trovo le parole per introdurmi). (da sè)

Arlecchino. Siora Camilla, la riverisso. (con timidezza)

Camilla. Serva, signor Arlecchino. (con modestia)

Arlecchino. Vorla comodarse? (le offerisce una sedia)

Camilla. No, obbligatissima: non mi posso trattenere. Son venuta per vedere se vi era il signor Roberto.

Arlecchino. (Oh! za, se gh’intende; no la xe vegnua per mi). (da sè)

Camilla. Vedo che non c’è, vado via. (in atto di partire)

Arlecchino. Cussì presto?

Camilla. Non vorrei disturbarla. Vedo ch’ella è in faccende.

Arlecchino. Ho da far el baul; ma da qua a sta sera gh’è tempo.

Camilla. Si parte questa sera dunque? (patetica)

Arlecchino. Siora sì, pur troppo. (sospirando)

Camilla. Che? le rincresce di dover partire? (con un poco di premura)

Arlecchino. In verità... me rincresce assae, ma assae.

Camilla. E perchè le rincresce? (pare che si lusinghi)

Arlecchino. Che dirò... me piase Bologna.. gh’ho dei amici... dei camerada...

Camilla. (Ah! no, non gli rincresce per me). (da sè, mortificata2)

Arlecchino. Sta sera anderemo via, ghe leveremo l’incomodo. [p. 40 modifica]

Camilla. Questa sera? (afflitta)

Arlecchino. Siora sì, el patron l’ha dito; e col dise una cossa, el la fa siguro.

Camilla. Ma perchè mai questa partenza così improvvisa? così precipitata? (afflitta)

Arlecchino. Ghe despiase che andemo via? (consolandosi un poco)

Camilla. Me ne dispiace infinitamente. (come sopra)

Arlecchino. E perchè ghe despiase? (consolandosi un poco)

Camilla. Le dirò... I miei padroni vedevano tanto volentieri il signor Roberto... È tanto un signore proprio e compito.

Arlecchino. (No gh’è pericolo che ghe despiasa per mi). (da sè)

Camilla. (Vo’ vedere, se dice niente del ritratto che non ha più trovato sul tavolino). (da sè)

Arlecchino. (Che diria qualcossa; ma ho paura che la se burla de mi). (da sè)

Camilla. Si vede per altro che il signor Roberto ha della stima per la mia padrona; poichè partendo ha promesso di lasciarle il di lui ritratto.

Arlecchino. El gh’ho anca mi el mio ritratto, (con bocca ridente)

Camilla. Anch’ella ha il suo ritratto? (mostrando maravigliarsi)

Arlecchino. Siora sì. (come sopra)

Camilla. E dove lo ha il suo ritratto? (sorridendo)

Arlecchino. L’ho qua. (accennando la saccoccia sorridendo)

Camilla. Oh! non sarà poi vero. (scherzando)

Arlecchino. L’è cussì, da galantomo. (seriamente)

Camilla. L’ha in saccoccia? (con premura e maraviglia)

Arlecchino. Siora sì. (con serietà) Vorriala3 vederlo?

Camilla. Lo vedrei con piacere. (Mi pare impossibile). (da sè)

Arlecchino. Eccolo qua, la se serva. (tira fuori il ritratto e glielo dà. Volgendosi in altra parte per vergogna.)

Camilla. X(prende il ritratto, lo apre un poco e lo chiude subito) È verissimo. (Come mai è ricapitato nelle sue mani?) (da sè) Bravo! me ne consolo, tenga il suo ritratto. (lo vuol rendere) [p. 41 modifica]

Arlecchino. (No la l’ha gnanca vardà). (da sè, con dispiacere)

Camilla. Tenga, signore.

Arlecchino. No la se degna vardarlo gnanca?

Camilla. Oh! l’ho veduto.

Arlecchino. S’el ritratto no ghe despiasesse... me toràve la libertà... (timoroso)

Camilla. Di che?

Arlecchino. De offerirghelo. (con riverenza e timore)

Camilla. No, no. La prego; non sono in caso di riceverlo. (glielo dà, ed Arlecchino lo prende)

Arlecchino. (Questo xe segno che no gh’importa dell’original). (da se, afflitto)

Camilla. Serva sua. (in atto di licenziarsi)

Arlecchino. Servitor suo. (mortificato)

Camilla. (Oh! quanto volentieri accetterei quel ritratto; ma mi vergogno). (da sè)

Arlecchino. (Oh! ho fatto ben a no dichiararme). (da sè)

Camilla. (Sì, vo’ veder se mi riesce). (da sè) Favorisca. Il pittore che ha fatto il suo ritratto, è egli il medesimo che ha fatto quello del signor Roberto?

Arlecchino. Nol xe el medesimo veramente. El xe un poveromo; ma che gh’ha dell’abilità per far someggiar.

Camilla. E che sì, che il suo somiglia più di quello del signor Roberto?

Arlecchino. Me par de sì.

Camilla. Quello l’ho veduto, e l’ho presente, come se lo vedessi; mi lasci4 un’altra volta veder il suo.

Arlecchino. Volentiera. (Vorria pur che la ghe chiappasse gusto, e che la l’accettasse). (da sè) Eccolo qua. (le torna a dare il ritratto serrato)

Camilla. Vediamo un poco. (senza aprirlo) Oh! mi pare di sentir gente. Non vorrei che dicessero... (guardando verso la scena)

Arlecchino. Mi no vedo nissun. (volgendosi un poco) [p. 42 modifica]

Camilla. (Se mi va fatta), (da sè; mentre Arlecchino guarda verso la scena, Camilla cambia il ritratto mettendo via quello di Arlecchino e tirando fuori quello di Roberto.)

Camilla. Tenga, tenga. (gli vuol render il ritratto, mostrando aver paura)

Arlecchino. L’ala vardà?

Camilla. No, no, sento gente. Ho paura di esser sorpresa. (gli vuol dare il ritratto serrato com’era)

Arlecchino. La lo tegna.

Camilla. No certo.

Arlecchino. La prego.

Camilla. No sicuramente. (glielo fa prender per forza)

Arlecchino. Lo butterò via. (seguitando Camilla con ansietà)

Camilla. Ne faccia quello che vuole. (parte)

SCENA VII.

Arlecchino solo.

Che fazza quel che voggio? Che lo butta via? Piuttosto che riceverlo, la se contenta che lo butta via? Possio esser più desprezzà de quel che son? Me porla trattar de pezo? Povero Arlecchin! Almanco co no saveva gnente, sperava, me lusingava, e diseva: chi sa? Ma adesso? son chiarìo, son confuso, son desperà. Maledetto ritratto! Causa ti, maledetto! Se no ti gieri5 ti, se non avesse parla de ti, no averave savesto gnente; me poderia ancora lusingar. Ti è causa ti; ti ti m’ha sassinà, ti m’ha rovinà. (lo getta per terra) Maledetto ritratto! Maledetto el pittor che l’ha fatto! (lo calpesta)

SCENA VII!.

Roberto ed il suddetto.

Arlecchino. Sì, maledetto ritratto! maledetto pittor! (lo calpesta ancora)

Roberto. Che cosa fai? Sei pazzo?

Arlecchino. Lassème, sior, che son desperà. [p. 43 modifica]

Roberto. Ma si può sapere che cosa tu hai?

Arlecchino. Son desperà, ve digo. Sì, maledetto! (calpesta ancora il ritratto)

Roberto. Fermati, bestia, che cosa ti ha fatto quel ritratto?

Arlecchino. Cossa che ’l m’ha fatto? Tutto el mal che se pol far a sto mondo. La mia rovina, el6 mio precepizio7. Lo vôi far in polvere, lo voggio desterminar. (vuole calpestarlo)

Roberto. Fermati, dico.

Arlecchino. Sior patron...

Roberto. Dammi quel ritratto.

Arlecchino. No, sior patron, no lo voi più toccar.

Roberto. Dammelo, dico, obbedisci.

Arlecchino. Despensème, ve prego.

Roberto. Dammelo, o giuro al cielo...ì8

Arlecchino. (Oh povero Arlecchin!) (prende il ritratto da terra)

Roberto. (È innamorato come una bestia). (da sè)

Arlecchino. Tolè sto infame, sto sassin, sto maledetto ritratto. (lo dà a Roberto)

Roberto. (Sicuramente lo avrà fatto in pezzi), (da sè; apre l’astucchio e vede il suo ritratto) Come! Ah indegno! Ah scellerato! (ad Arlecchino, pateticamente)

Arlecchino. Sior sì; indegno, scellerato. (con collera)

Roberto. A chi? (ad Arlecchino)

Arlecchino. A quel ritratto.

Roberto. E all’originale? (pateticamente)

Arlecchino. Scellerato e indegno anca lu.

Roberto. A me, briccone?

Arlecchino. A vu? A mi, a mi. Scellerato el ritratto, e indegno l’original.

Roberto. Perfido, ingrato! Il tuo padrone che ti ha fatto?

Arlecchino. El mio patron? (maravigliandosi)

Roberto. Che ti ha fatto questo ritratto? Di’, che ti ha fatto l’originale? (mettendogli il ritratto sotto gli occhi) [p. 44 modifica]

Arlecchino. El m’ha fatto... (con calore) Oh!... (vedendo che non è il suo)

Roberto. Di’, scellerato, di che ti puoi dolere di me?

Arlecchino. Ah! sior patron.... (con estrema afflizione)

Roberto. Se ti spiace partire, se non vuoi venire con me, perchè non dirmelo;9 perchè dare in pazzie? Perchè prorompere in impertinenze?

Arlecchino. Ah! sior patron... (si getta in ginocchio)

Roberto. Meriteresti ch’io ti fiaccassi l’ossa di bastonate.

Arlecchino. Mazzème, coppème, son un povero desfortunà.

Roberto. Se sei afflitto, perchè non confidarti col tuo padrone10 che ti ama? Perchè ingiuriarmi? Perchè insultarmi?

Arlecchino. Ah! sior patron, piuttosto che dir un’impertinenza a vu, me straperave la lengua colle mie man.

Roberto. A chi dunque dicevi tu: scellerato? A chi dicevi tu: maledetto?11

Arlecchino. A mi, a mi, e al mio ritratto.

Roberto. E dove lo hai?

Arlecchino. No so gnente. Lo gh’aveva qua. (cerca nelle tasche)

Roberto. Levati.

Arlecchino. Dove diavolo xe sto ritratto? (s' alza, e cerca in tasca, sul tavolino e per terra.)

Roberto. (Certamente convien dir che sia12 ingannato. Arlecchino mi ama, e non è capace di dire a me le ingiurie che ha dette). (da sè)

Arlecchino. Ma dove diavolo saralo andà?

Roberto. E così, non lo trovi?

Arlecchino. No lo trovo.

Roberto. Ma questo come ti è capitato alle mani?

Arlecchino. No lo so.

Roberto. Non lo sai?

Arlecchino. No lo so! (pateticamente)

Roberto. Questo è il ritratto che ho fatto fare per Dorotea.

Arlecchino. Sior sì.

Roberto. L’ha ella avuto, o non lo ha avuto? [p. 45 modifica]

Arlecchino. No so gnente.

Roberto. Ma tu da chi l’hai avuto?

Arlecchino. Da nissun.

Roberto. Spropositi! Qualcheduno te l’avrà dato.

Arlecchino. Ve digo che nissun me l’ha dà.

Roberto. Ma come l’hai avuto?

Arlecchino. No so gnente.

Roberto. Tu mi faresti uscire de’ gangheri. Voglio sapere, e vo’ che tu mi dica la verità.

Arlecchino. Mi no so gnente... Son vegnù in camera... ho trova Carlotto... el gh’aveva in man el mio ritratto... ma non so... no l’ho ben visto... no so adesso s’el giera el mio. L’ho tolto senza vardar... xe vegnù Camilla... ghe l’ho fatto veder... ma no so se l’abbia visto... gh’el voleva donar... la l’ha refudà... ma qualo ala refudà? el vostro, o el mio?... no so gnente. Son confuso, son stordìo,13 son fora de mi.

Roberto. Orsù, vedo che vi è dell’imbroglio: non capisco il mistero; ma concludo che siamo tutti due ingannati. Questo è il ritratto che doveva aver Dorotea; e a quel che posso comprendere, Carlotto lo ha riportato, e Dorotea probabilmente è quella che lo rimanda. La padrona si burla di me; ed il servitore si è burlato di te.

Arlecchino. E Camilla?

Roberto. Camilla può essere sia colpevole, come gli altri; e può essere sia innocente.

Arlecchino. Ma el mio ritratto?

Roberto. Il tuo ritratto dov’è?

Arlecchino. Questo xe quel che no so, e che me farave deventar matto.

Roberto. Non ci pensare. Va a terminare il baule. Io andrò14 ad ordinare i cavalli. Andiamo, sortiamo di questa casa. Andiamo a Roma. Mio zio mi aspetta. Desidero trovarlo vivo; e qui non vedo che inganni, che pericoli, e che disprezzi. (parte) [p. 46 modifica]

SCENA IX.

Arlecchino solo.

Andemo donca, presto, subito. Fenìmo de far el baul. Andemo a tor la mia roba in te la mia camera, e che se fenissa el baul, e che presto se vaga via... Ma prima me vorave almanco chiarir... Vorria saver chi ha tolto el mio ritratto che giera su quel taolin... Carlotto m’ha zurà, m’ha protestà, che nol l’ha visto, che nol l’ha tolto. E po, cossa vol far Carlotto del mio ritratto? E Camilla? Camilla l’ha refudà. Ma cossa ala refudà? El mio o quello del mio patron? L’ala visto, o no l’ala visto el ritratto che ghe voleva dar? Se no la l’ha visto, l’ha inteso de refudar el mio, e no gh’è da sperar gnente per mi; se la l’ha visto, l’averà visto che nol giera el mio, e no disendome gnente, la s’ha burlà anca ela de mi. Povero Arlecchin! Poveri ritratti! Quello del patron calpestà. E el mio?... 15 e el mio? el diavolo l’ha portà via. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Pasquali e Zatta: e ’l.
  2. Così nell’ed. Zatta. Nell’ed. Pasquali si legge soltanto da sè.
  3. Così nell’ed. Zatta, invece di voravela, Nell’ed. Pasquali e nella Bolognese è stampato per errore: vorrebbe.
  4. Nell’ed. Zatta c’è soltanto lasci
  5. Zatta: geri.
  6. Pasquali e Zatta: e ’l.
  7. Zatta: precipizia.
  8. Così Zatta. L’ed. Pasquali stampa: Dammelo. Oh! giuro al Cielo...
  9. Zatta ha qui l’interrogativo.
  10. Così Zatta. Nel Pasquali: padron.
  11. Pasquali: maladetto?
  12. Così Pasquali e Zatta, per si sia, oppure siasi.
  13. Pasquali ha qui il punto fermo.
  14. Zatta: anderò.
  15. Pasquali e Zatta: E ’l mio?