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42 | ATTO SECONDO |
Camilla. (Se mi va fatta), (da sè; mentre Arlecchino guarda verso la scena, Camilla cambia il ritratto mettendo via quello di Arlecchino e tirando fuori quello di Roberto.)
Camilla. Tenga, tenga. (gli vuol render il ritratto, mostrando aver paura)
Arlecchino. L’ala vardà?
Camilla. No, no, sento gente. Ho paura di esser sorpresa. (gli vuol dare il ritratto serrato com’era)
Arlecchino. La lo tegna.
Camilla. No certo.
Arlecchino. La prego.
Camilla. No sicuramente. (glielo fa prender per forza)
Arlecchino. Lo butterò via. (seguitando Camilla con ansietà)
Camilla. Ne faccia quello che vuole. (parte)
SCENA VII.
Arlecchino solo.
Che fazza quel che voggio? Che lo butta via? Piuttosto che riceverlo, la se contenta che lo butta via? Possio esser più desprezzà de quel che son? Me porla trattar de pezo? Povero Arlecchin! Almanco co no saveva gnente, sperava, me lusingava, e diseva: chi sa? Ma adesso? son chiarìo, son confuso, son desperà. Maledetto ritratto! Causa ti, maledetto! Se no ti gieri1 ti, se non avesse parla de ti, no averave savesto gnente; me poderia ancora lusingar. Ti è causa ti; ti ti m’ha sassinà, ti m’ha rovinà. (lo getta per terra) Maledetto ritratto! Maledetto el pittor che l’ha fatto! (lo calpesta)
SCENA VII!.
Roberto ed il suddetto.
Arlecchino. Sì, maledetto ritratto! maledetto pittor! (lo calpesta ancora)
Roberto. Che cosa fai? Sei pazzo?
Arlecchino. Lassème, sior, che son desperà.
- ↑ Zatta: geri.