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GLI AMANTI TIMIDI 41

Arlecchino. (No la l’ha gnanca vardà). (da sè, con dispiacere)

Camilla. Tenga, signore.

Arlecchino. No la se degna vardarlo gnanca?

Camilla. Oh! l’ho veduto.

Arlecchino. S’el ritratto no ghe despiasesse... me toràve la libertà... (timoroso)

Camilla. Di che?

Arlecchino. De offerirghelo. (con riverenza e timore)

Camilla. No, no. La prego; non sono in caso di riceverlo. (glielo dà, ed Arlecchino lo prende)

Arlecchino. (Questo xe segno che no gh’importa dell’original). (da se, afflitto)

Camilla. Serva sua. (in atto di licenziarsi)

Arlecchino. Servitor suo. (mortificato)

Camilla. (Oh! quanto volentieri accetterei quel ritratto; ma mi vergogno). (da sè)

Arlecchino. (Oh! ho fatto ben a no dichiararme). (da sè)

Camilla. (Sì, vo’ veder se mi riesce). (da sè) Favorisca. Il pittore che ha fatto il suo ritratto, è egli il medesimo che ha fatto quello del signor Roberto?

Arlecchino. Nol xe el medesimo veramente. El xe un poveromo; ma che gh’ha dell’abilità per far someggiar.

Camilla. E che sì, che il suo somiglia più di quello del signor Roberto?

Arlecchino. Me par de sì.

Camilla. Quello l’ho veduto, e l’ho presente, come se lo vedessi; mi lasci1 un’altra volta veder il suo.

Arlecchino. Volentiera. (Vorria pur che la ghe chiappasse gusto, e che la l’accettasse). (da sè) Eccolo qua. (le torna a dare il ritratto serrato)

Camilla. Vediamo un poco. (senza aprirlo) Oh! mi pare di sentir gente. Non vorrei che dicessero... (guardando verso la scena)

Arlecchino. Mi no vedo nissun. (volgendosi un poco)

  1. Nell’ed. Zatta c’è soltanto lasci