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GLI AMANTI TIMIDI | 45 |
Arlecchino. No so gnente.
Roberto. Ma tu da chi l’hai avuto?
Arlecchino. Da nissun.
Roberto. Spropositi! Qualcheduno te l’avrà dato.
Arlecchino. Ve digo che nissun me l’ha dà.
Roberto. Ma come l’hai avuto?
Arlecchino. No so gnente.
Roberto. Tu mi faresti uscire de’ gangheri. Voglio sapere, e vo’ che tu mi dica la verità.
Arlecchino. Mi no so gnente... Son vegnù in camera... ho trova Carlotto... el gh’aveva in man el mio ritratto... ma non so... no l’ho ben visto... no so adesso s’el giera el mio. L’ho tolto senza vardar... xe vegnù Camilla... ghe l’ho fatto veder... ma no so se l’abbia visto... gh’el voleva donar... la l’ha refudà... ma qualo ala refudà? el vostro, o el mio?... no so gnente. Son confuso, son stordìo,1 son fora de mi.
Roberto. Orsù, vedo che vi è dell’imbroglio: non capisco il mistero; ma concludo che siamo tutti due ingannati. Questo è il ritratto che doveva aver Dorotea; e a quel che posso comprendere, Carlotto lo ha riportato, e Dorotea probabilmente è quella che lo rimanda. La padrona si burla di me; ed il servitore si è burlato di te.
Arlecchino. E Camilla?
Roberto. Camilla può essere sia colpevole, come gli altri; e può essere sia innocente.
Arlecchino. Ma el mio ritratto?
Roberto. Il tuo ritratto dov’è?
Arlecchino. Questo xe quel che no so, e che me farave deventar matto.
Roberto. Non ci pensare. Va a terminare il baule. Io andrò2 ad ordinare i cavalli. Andiamo, sortiamo di questa casa. Andiamo a Roma. Mio zio mi aspetta. Desidero trovarlo vivo; e qui non vedo che inganni, che pericoli, e che disprezzi. (parte)