Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro IV/I

Libro IV - Cap. I

../../Libro IV ../II IncludiIntestazione 1 giugno 2023 75% diari di viaggio

Libro IV Libro IV - II
[p. 447 modifica]

CAPITOLO PRIMO.

Ritorno in Nancianfu per terra.


E
Ssendo per me troppo rigido il freddo di Pekin, determinai di partire, e ripigliare scrivendo il filo dell’interrotto diario.

Il Sab. 19. di Novemb. adunque andai dal P. Grimaldi, acciò mi facesse provvedere di tre mule, per lo viaggio; che furono patteggiate dal suo servidore, ogni una per cinque lean, e due zien d’argento raffinato di Cina; che val quanto sette pezze, e mezze da otto; prezzo vilissimo per un mese, e quattro giorni di strada.

Ebbe poi la bontà il suddetto Padre, di farmi vedere molti bellissimi istrumenti Ottici, per ingrandire, e moltiplicare gli oggetti; Geometrici per misurare; et Aritmetici, per moltiplicare, e sottrarre prestamente, senza bisogno di penna; da lui inventati, per servigio dell’Imperadore, di tai cose studiosissimo. Mi disse, che nel palagio Imperiale stava [p. 448 modifica]riducendo a perfezione un’ingegno, per estingucre il fuoco, che, a forza di uomini, e di vento, buttava l’acqua cento palmi in alto.

Questo Padre erano trent’anni, che dimorava in Cina; e come persona diletta dall’Imperadore, ebbe l’onore d’accompagnarlo quattro volte nella Tartaria. Avea egli corso per più parti del Mondo, da Europa in Cina, et indi di nuovo in Europa, accompagnato da varie disavventure. Rimase una fiata schiavo de’ Malaj, perdutosi il vascello nello stretto del Governador: nell’Indie di Portogallo più tempo stette assediato dal Savagì, con pericolo di perder la vita, e la libertà: e perciò non v’era uomo al Mondo, che potesse, più di lui, dar buone notizie degl’Imperi di Cina, e Tartaria, e di tutta l’Asia; tanto più, che parlava perfettamente la lingua Tartara, e Cinese. Io lo pregai, che proccurasse di giovare il pubblico, dando in istampa qualche relazione delle cose da lui vedute; ma mi rispose, che havendo lette (l’ultima volta, che passò in Europa) tante buggie, che s’erano pubblicate della Cina; per non rimproverar molti autori di mensogna, s’era astenuto di dare alcuna cosa in [p. 449 modifica]istampa, come era stato suo proponimento di fare: particolarmente per gli Olandesi, che aveano stampata la loro solenne ambasceria al Gran Kam de’ Tartari (della quale egli medesimo era stato l’Interprete appresso l’Imperadore in Pekin) con più bugie, che linee; in quello, che non appartiene alla delineazione delle Città. Ciò era avvenuto, perche aveano seco menati, per Interpreti, Cinesi delle Provincie Meridionali, che giammai non aveano veduta la Corte, ed inesperti della lingua Portughese: onde dimandati, o non sapevano le cose, o sapendole, non potevano esplicarle, e così venero gli Olandesi a scrivere il quid pro quo, interpretando la confusa favella degl’Interpreti.

La Domenica 20. andai camminando per la Città nuova; e passai poscia nella vecchia de’ Tartari, per vedere il Tempio, chiamato, Ti vâm miaò, o Tempio di tutti i Re passati. Questo è un grande, e magnifico palagio, con molti appartamenti, e cortili. L’ultima sala è così bella, grande, e ben ornata, come quella del palagio Reale. Vi si vedono in ricchi Troni, le statue di tutti gl’Imperadori buoni, e cattivi, che sono stati in quattro [p. 450 modifica]mila cinquecento quaranta anni: dal primo, detto Fō-hî, sino al’ultimo, nomato Xûn-chi, padre del regnante Imperadore. Questo Tempio è situato nel mezzo d’una delle più belle strade della Città, nella quale, da’ due lati, ove sono le porte del Tempio, si veggono due archi trionfali, ciascuno con tre porte maestose, e degne d’esser vedute. Tutti coloro, che passano per questa strada, di qualsivoglia qualità, giunti a gli archi, metton, per rispetto, il piede a terra; e camminano così a piedi, sino passato il frontispizio del Tempio. Quivi fa il Re, ogni anno infinite cerimonie, in onor de’ suoi Predecessori; che troppo lungo, e rincrescevole sarebbe il riferirle partitamente.

Il Lunedì 21. andai a prender congedo da’ Padri della Compagnia, e in particolare dal Grimaldi; che menatomi nella sua camera, mi fece vedere molte rarità; e fra l’altre una cintola, datagli dall’Imperadore. Ella era gialla, ch’è il colore Imperiale, con una guaina appesa, d’una pelle di pesce finissima; dove andavano riposti i due bastoncelli, ed altro ch’usano i Cinesi a tavola. Non vi ha dubbio, ch’è un gran dono in Cina, [p. 451 modifica]poiche chi lo riceve, vien rispettato da tutti i Ministri, e Grandi, non che dal Comune; e ciascheduno, a vista di tal colore, è di bisogno porsi in ginocchione, e toccar sempre colla fronte il suolo, sino a tanto, che colui, che lo tiene, non lo nasconda; come l’istesso P. Grimaldi, vedendo d’Europa, praticò in Canton con un Mandarino. Questi avea richiesto un’oriuolo al P. Xaime Tarin Valenziano, Missionario Riformato; e non avendolo il povero Religioso, si sdegnò in tal maniera, ch’ardì di porre una dichiarazione nell’istessa sua Città, dove il Padre era Capo della Missione, nella quale facea sapere: che la Religione Cattolica era falsa, e ch’insegnava un mal cammino per la salute eterna. Si commossero i Cristiani Cinesi a tal novità, e fattone consapevole il Padre; questi, coll’ardore Spagnuolo, andò nella piazza, e in vece di cassare, lacerò la dichiarazione del Ministro. S’infuriò aspramente il Mandarino (poiche in Cina sono venerati i loro ordini) e prese a perseguitare, in tal modo, il Padre Tarin, che obbligollo a ritirarsi in Canton. Passò in questo mentre il Padre Grimaldi, e venuto il Mandarino suddetto, a fargli riverenza, come [p. 452 modifica]persona tanto stimata dall’Imperadore; lo ricevè coll’estremità della cintola in mano, sgridandolo del mal suo procedere; della poco stima, che faceva de’ suoi fratelli; e che avea ardimento di biasimar la Religione Cattolica, quando l’Imperadore tanto onorava i Cristiani, con quel dono. Diede tante volte il povero Mandarino colla fronte a terra, ch’alla per fine gl’istessi Padri pregarono il Grimaldi, a non mortificarlo di vantaggio: onde fattolo alzare, gli disse che per l’avvenire avvertisse, di trattar bene i suoi fratelli; se non voleva, che sapesse l’Imperadore il suo mal procedere, e lo gastigasse severamente. Il colore giallo, e la cintola così fatta, solo l’Imperadore, e’ Principi del sangue, nati per linea maschile, ponno portare, ed alcuno altro, per grazia speziale dell’Imperadore: perche quelli della femminile l’hanno rossa.

Mi fece il P. Grimaldi un passaporto, dell’istesso tenore, che l’avea avuto Monsignor Sisaro, quando andò in Macao, per esser consecrato Vescovo di Nankin: con dichiarazione, che andando io a Fukien, a portar libri, per servigio dell’Imperadore, niuno ardisse di molestarmi, a cagion delle armi, e d’un Nero, che portava; [p. 453 modifica]anzi ogni possibile ajuto, e favore somministrasse. Mi diceva il Padre suddetto, che sebbene, in venendo alla Corte, non avea ricevuto alcun fastidio da’ Governadori delle Città; nondimeno in ritornando, forse mi avrebbon fatto del male: che perciò mi facea d’uopo il suo passaporto, stimatissimo, e ben conosciuto da tutti i Ministri dell’Imperio. Conservo anche oggidì tal passaporto in lingua Cinese, mercè di cui non ebbi, per lo cammino, impedimento veruno. Il Lìone mandato da Goa, come dissi nel terza volume, non per anche era giunto alla Corte, nondimeno mi disse il medesimo Padre, che avea saputo, essersi imbarcato a Macao, a’ 10. di Settembre; e che l’attendeva con impazienza, per presentarlo in suo nome all’Imperadore.

Dovendo partire il dì seguente, mi licenziai da’ Padri tutti, rendendo loro grazie del buon trattamento fattomi. Mi diede il P. Grimaldi il Kalendario, da lui fatto, per l’anno 1696., in lingua Tartara, e Cinese; e quattro altri libri in lingua Tartara mi diede il Padre Ossorio Portughese, con una buona provvisione di cose dolci.

Stipulato ch’ebbi col vetturino, e [p. 454 modifica]datogli quasi tutto il danajo dell’affitto delle tre mule (poiche in Cina, sia per acqua, o per terra, vogliono esser pagati prima) lo attesi il Martedì 22., sino a mezzo dì, per pormi in cammino; e montai poscia a cavallo, accompagnato dal servidore del Padre Grimaldi sin fuori la porta. Passai per la Villa di Lupa xau, (che nel venire avea lasciata a destra, per avere smarrito il cammino) non più di due tiri di moschetto lunga, e uno, e mezzo larga; però con buone mura, e due porte ferrate assai ben fatte. Ivi vicino si passa il fiume (che noi avevamo passato a guazzo nel venire) sopra un bel ponte di pietra, lungo mezzo miglio, et adorno, ogni due passi, di belli lioncini di pietra, per ambo i lati. Restammo la sera in Lean xien xiè; dopo 70. ly di cammino. La cena, e’l letto furono malissimi; però io rimediai al primo male con un buon faggiano, compratomi in Pekin, non più d’un carlino della moneta i Napoli. Quivi trovai un Tartaro, servito da un lacchè, e da un paggio; e varj servidori, che dovevano fare l’istessa strada; onde poscia andammo in compagnia.

Il Mercordì 23. vicino la Villa di Tantìen vidi una buona Pagode, detta di Xien [p. 455 modifica]ghensu. Ella è serrata di alte mura, per un quarto di miglio, che ha di circuito; e tiene Conventi, con più Xoscian, o Bonzi. Nella prima Miau, o Pagode era un’Idolo, sedente alla maniera Orientale, dorato tutto, con più Idoletti, intorno le nicchie delle mura. Nella seconda erano tre donne, sedute sopra un lione, e due dragoni; il tutto a color d’oro: quivi trovai di già imbandita la mensa, perche i Bonzi mangiano a buon’ora. Nella terza era un’ldolo, come un Briareo (sedente come il primo) perche oltre i suoi piedi, e mani, teneva 20. mani per ogni lato, e due piedi alzati in aria; e ben cinque teste, l’una sopra l’altra. Vi erano più cortili, e stanze, per abitazione de’ Religiosi, e vistosi alberi. Andammo a desinare nella Villa di Lixoa; e la sera, dopo 113. ly, venimmo in Sanchin xien.

Il Giovedì 24. riposammo nella Villa di Pecuxo. Prima d’entrarvi, vidi passare più Bonzi, che andavano a prendere un morto, a due a due processionalmente, con piviali sulle spalle; alcuni sonando certi loro istrumenti, ed altri portando ombrelle, con lunghe cortine di sera all’intorno, banderuole, ed altri ornamenti. Passammo poscia per la [p. 456 modifica]disabitata Villa di Xiunxyen; e quindi per lo suo borgo, ben grande, e popolato; in mezzo al quale sotto due archi, erano più Idoli, e più Bonzi sacrificanti; per andar poi a divorare un’ottimo pasto, ivi da presso preparato da’ parenti del defonto. Quivi restammo la sera, dopo aver fatti 80. ly.

Prima di nascere il Sole, il Venerdì 25. facemmo collazione nella Villa di Cio pecuu, a cagion del buon pesce, che si truova ne’ circostanti laghi. Vicino il ponte si vede una famosa iscrizione, fatta per lo passaggio dell’Imperadore. Desinammo quindi nel Borgo della Villa di Gin chyeu xyen, che non ha così buone piazze, e botteghe, come il borgo dell’altra Villa; ma solo è ragguardevole, per esser murato, per due miglia di circuito, con fosso pieno d’acqua. Dopo 120. ly restammo in Rescilipù.

Il Sabato 26. riposammo nella Villa di Scian kelin; e poi andammo a pernottare in quella di Fucian-y, a capo di 120. ly. Avendo fatto lo stesso cammino nel venire, tralascio di notare le Ville, e per meglio dire, Città, allora nominate, sino a’ Nancianfu; e per ora farò menzione solamente di quelle dove mi fermava mattina, e sera, colla distanza de’ ly. [p. 457 modifica]

La Domenica 27. desinammo nella Villa di Manxo; e poi la sera fatti 130. ly, albergammo in quella di Liùci miau. Si patisce gran freddo su questa strada, non trovandosi nè carboni, nè legna; onde il nostro oste la sera bruciò erbe secche, e paglia, per apparecchiar la cena.

Il Lunedì 28. desinammo nella Villa di Cuscipì; e dormimmo in quella di Jau cioen, dopo 120. ly di cammino. Il Martedì 29. parimente, la mattina stemmo in Cautan ceu; e la sera, a capo di 110 ly, nel borgo della picciola Villa di Scipin-xyen.

Il Mercordì 30. fummo a desinare nella Villa di Tuncen-y, e pernottammo in quella di Chyen-xyen, dopo 120. ly.

Il Giovedì, primo di Decembre, venimmo nella Villa di Xùangua biena; e la sera in quella di Sciagocen; non avendo fatti, che 110. ly di strada. Si può dire, che facevamo viaggio sempre per un campo ben coltivato; tanta è la diligenza de’ Cinesi nella cultura. Vedemmo quivi, che al vomero aggiungono un’altra piastra rotonda di ferro, per meglio stritolar la terra.

La mattina del Venerdì 2. posammo nel borgo della Villa di Vuan scian-xyen, e [p. 458 modifica]la sera, dopo 90. ly, restammo in Cauxiò. Il Sabato 3. desinammo nella Città di Jencifu, assai ben popolata, e con buone botteghe; e circondata d’ottime mura, e fosso d’acqua. Abbonda tanto di faggiani la Cina, che ne comprai quivi quattro, per quattro carlini, e mezzo di Napoli. Dopo 60. ly pernottammo nella Viila di Tun tan tien.

La Domenica 4. passammo per la Villa di Zuxien (picciolo luogo, senza cosa ragguardevole) e poi per lo suo borgo, dove era una buona Pagode. S’entra in prima in un luogo quadrato (i di cui lati sono ciascuno lungo un tiro di schioppo) adorno d’alti cipressi; indi si passa in un’altro simile cortile murato, e con simili alberi; a fronte del quale si veggono tre porte, che conducono in altrettanti cortili, cinti anch’essi di mura. A quello di mezzo corrispondono tre porte, presso alle quali è un famoso epitaffio, e tomba d’un Signore Cinese quivi sepolto, sostenuta da un gran Coccodrillo: negli altri due cortili non vi è, che una porta. Entrandosi per quella di mezzo delle tre mentovate, si truova un’atrio (eziandio con cipressi, che non mancano mai ne’ Cimiterj Cinesi) che conduce alla [p. 459 modifica]principal Pagode. In essa sono due grandi Idoli, uno nella nicchia maggiore, l’altro a sinistra: amendue stanno sedenti, riguardando un segno, che tengono nelle mani. Dalla testa pende loro un diadema all’antica, al quale d’avanti, e da dietro stanno appese filze di palle colorite. Quivi da presso è un’altra Pagode, quasi uguale, dove per Idolo sta una donna seduta, che tiene in testa, per ornamento, cinque uccelli sculpiti, in atto di volare, con coda lunga.

Entrandosi per la porta sinistra, si truova nell’atrio una Pagode; dove è un’Idolo seduto, con lunga barba, come si figura da noi il tempo. Più dietro un’altra, dove s’adora una figura di donna, simile alla mentovata di sopra; ma con tre soli uccelli: la dicono Mamon. Sono altre statue avanti la porta, e a piedi delle suddette; però tutte spaventevoli, ed armate, come se fussero sgherri, per difender l’entrata. Tutte ugualmente sono fatte di loto, coperto di calce, o gesso, con l’ossatura di legno.

Nella destra porta sono due altre Pagodi, ed altri cortili, con cipressi, ed epitaffi; e due buone loggie coperte, ne’ lati Venimmo a desinare in Chyay-xoy tè [p. 460 modifica]dopo esser passati per la picciola Villa di Vyà; che quantunque serrata di mura fangose, tiene un’ottimo borgo. Restammo la sera in Sciaxotien, dopo 120. ly.

Prima d’entrare in questo luogo, incontrammo moltissime mule cariche, con buona scorta di Soldati; e quindi una bara In ispalla a 30. uomini, sulla quale era una cassa, col corpo d’un Sig. Cinese. In segno di ciò vi portavano legato su un Gallo bianco (ch’è il color di lutto) secondo il costume, che alle volte si trasgredisce, non avendolo di tal colore. Veniva appresso una Dama, vestita di bianco, con un panno in testa dell’istesso colore, e portata da quattro persone entro una sedia, eziandio bianca. L’accompagnavano due fantesche, con manto, o cappello bianco in testa, come le vesti; però col volto coperto d’un velo nero. Mi dissero, che colei era la moglie del morto. Seguìvano circa venti lettighe, dentro le quali erano le donne del morto, accompagnate da molti Soldati.

Il Lunedì 5. desinammo in Sciacucian, e restammo la sera in Niuij, dopo 120. ]y di strada. E’ sì abbondante il luogo di Lepri, che se n’ha uno per 20. zien; cioè otto grana, e mezzo della moneta Napoletana. [p. 461 modifica]

Il Martedì 6. riposammo nella Villa di Luyala, dove è un lungo ponte sopra il fiume. Passato poscia in iscafa il rapido fiume di Suceù, venimmo la sera in Sanpù, dopo 110. ly.

Il Mercordì 7., di buon’ora posti a cavallo, venimmo a desinare in Senfun, e poi la sera a dormire in Nansuceù, dopo 120. ly. Nell’osterie vi sarebbe roba, per mangiar lautamente; ma i Cinesi, non volendo alterare il solito pagamento, di sei grani per lo desinare, et altrettanti per lo letto, e cena; fanno che l’Oste loro dia le peggiori galline, e carne di porco: però io le facea uccidere in mia presenza, pagandole più del solito; perche non poaso in alcun modo mangiare la carne di animali, che siano uccisi da molto tempo.

Il Giovedì 8. una pioggia, simile a quella, che nell’andare mi avea tenuto a bada, mi trattenne nel ritorno; e perciò partimmo tardi; nè potemmo passare Sancian, dopo 50. ly.

Il Venerdì 9. desinammo in Cucen; e la sera, dopo 80. ly di strada, albergammo in Leancèn.

Il Sabato 10., lasciata la strada di Nankin, ed avviatici in Nancianfu a sinistra, [p. 462 modifica]passammo il fiume di Xùayxò in iscafa; nella quale ci condussero in ispalla alcuni Villani (forniti di stivali), che all’una, e l’altra riva danno continuamente per questo affare; perocchè la scafa non può accostarvisi. Tardi desinammo in Ciancingoy, Villa posta alla riva del medesimo; e la notte restammo nella Villa di Funianfu, dopo 90. ly. Ella benche senza mura, è grande, ed ha buone piazze. Vi sono eziandio Tribunali; onde vi si vede nel mezzo una sala ben grande, con più danze di legno, l’una sopra l’altra: nondimeno sino al primo piano è tutta buona fabbrica. Nelle porte di questa sala erano più carcerati, con catena al piede, e una grossa tavola quadrata al collo, che pesava circa cento libbre.

La Domenica 11. non si fece cammino, per far riposare i cavalli; onde, fatta prendere una sedia da’ servidori, andai a vedere la Villa di Xùàncen. Il circuito delle sue mura è di mezzo miglio in quadro, e dentro non vi ha, che casette coperte di paglia. Deesi però sapere, che il lato riguardante Settentrione, è chiuso dalle cime de’ monti, ed è più lungo degli altri tutti. Da quella parte sono altresì le poche case; perche nel [p. 463 modifica]rimanente si veggono campi coltivati.

Lunedì 12. desinammo nella Villa di Hyn chie chyen; ed avendo poi tutto il giorno viaggiato per piani, e monti, la sera in fine restammo, dopo 90. ly, nella Villa di Tinganxyen. Il circuito delle mura non è più d’un miglio; nè in tutta la sua lunghezza v’ha, che una strada buona, dove si fa mercato, e vi sono buone botteghe, come ne’ suoi Borghi.

Il Martedì 13. ci riposammo la mattina in Cianciau-yen; e camminando sempre per paesi piani, giugnemmo la sera in Patein. Per così buona strada però, le taverne sono molto cattive; e mi convenne dormire in una medesima stanza con un Tartaro; il quale postosi, a letto si fece batter la pancia da suo paggio, a modo di tamburo a fine di prender sonno; e cotal musica replicossi la mattina tre ore prima del giorno. Si fecero in tutto cento ly.

Il Mercordì 14. si desinò nella Villa di Leanx-yen; essendo passati prima per quella di Tienpù, (ben grande, ma aperta) dove si restò il Tartaro, amico d’esser battuto da’ ragazzi. Uscendo da Tienpù incontrai un Mandarino, con grande accompagnamento. Precedevano gran [p. 464 modifica]carriaggi, custoditi da più soldati: venivano appresso molti famigliari, ed Officiali in sedia, alla sfilata; e paggi, e servidori a cavallo. Seguiva il Mandarino, in una sedia, portata da otto persone, e circondata da quantità di soldati, che portavano molte bandiere picciole, e una grande; e in fine venivano molti altri soldati, e servidori, sino al numero di mille. Bisogna confessare il vero, che questi Mandarini si trattano assai più splendidamente, che qualsivoglia V. Re in Europa. Rimasi la sera, fatti 110. ly, nella Città di Lucifu, la cinta delle cui mura intorniate d’acqua, è ben picciola; non essendovi che un terzo di miglio da porta a porta. Vi sono non per tanto bucaci botteghe, e i borghi sono ben grandi.

Il Giovedì 15., per piani ben coltivati, giugnemmo a desinare in Paxoy; e la sera, dopo cento ly, si venne alla Villa di Taucen; la quale avvegnache senza mura, è nondimeno grande, ed ha buone botteghe. Passato il suo fiume, sopra un ponte di barche pernottammo nel Borgo.

A buon’ora il Venerdì 16. passammo la Villa di Luci cin-xyen; la quale, benche serrata di mura, non ha cosa di buono. [p. 465 modifica]Prendemmo riposo a Nanzian; e poi fatto alquanto di cammino fra monti, uscimmo in un piano, tra valli abitate. In fine, avendo fatti cento ly, restammo in Tacuon.

Si truova fra questi monti una spezie di tartufi, detti da Cinesi mati; però piccioli, che hanno la figura d’una picciola rapa, e’l sapore di castagna fresca.

Il Sabato 17. camminato avendo per piani, e monti, venimmo a desinare nella Villa di Tuncin-xyen. Ella è posta appiè di alcuni monti, però è ben murata, e popolata^, con buone botteghe, quantunque i borghi siano molto maggiori. Nelle. botteghe di questi vidi appese, per la parte sottile, alcune rape, dentro le quali era germogliato il grano. Ciò facevano ponendo dentro un forame, fatto nelle medesime, alquanto terreno, et innaffiandolo ogni giorno. Pervenimmo la sera nella Villa di Tauceny, dopo 100. ly.

La Domenica 18. camminando fra selve di cipressi, e costeggiando le montagne a destra, andammo a desinare in Sialucheù; e quindi si passò in un piano di molte miglia, seminato di rustici abituri, e di vaghi giardinetti, e poderi. Rimanemmo la sera nella Villa di Zenxyan-xyen, serrata di basse mura (in parte dirupate) [p. 466 modifica]e con miserabili casette dentro: avendo fatti, in tutto quel giorno, 90. ly.

Per consimile strada il Lunedì 19. venimmo a desinare in Seauci-y. Sul tardi passammo per la Villa di Tayxuxyen; la quale da una porta all’altra è lunga due miglia. Nelle abitazioni non ha cosa, che appaghi l’occhio: vi sono bensì buone botteghe, dentro, e fuori i Borghi; i quali si veggono ben popolati, per lo commercio che porta la navigazione d’un picciol fiume vicino. Restammo la sera, dopo 95. ly, in Fun xyan y; ultima villa della Provincia di Nankin, nella quale eravamo entrati da Suceù.

Il Martedì 20. entrammo in un’angolo della Provincia di Huquam, per piani coltivati, non lungi da’ monti. Si desinò in Tin zan y; e la sera si pernottò nella Villa di Xùan may xyen, cinta, per tre miglia di circuito, di mezzane mura, con buoni borghi. Dentro vi erano botteghe non dispregievoli. Si fecero in tutto cento ly.

Dilungatici da’ monti il Mercordì 21. e camminando per piani aperti, venimmo a desinare nella Villa di Cunlungà, posta alla riva d’un picciol fiume. Ella sebbene aperta, ha nondimeno buone [p. 467 modifica]botteghe. La sera restammo a Siauci cheu, dopo aver fatti 95. ly. Questa Città è posta alla sinistra riva dei fiume Kian-xo, ch’è il più grande della Cina, come altrove si è detto; e separa la Provincia di Huquam, da quella di Kiansì. La Città è picciola, senza mura; ma ben popolata, e con buone botteghe.

Il Giovedì 22. al far del giorno, si posero le mule, e la roba in una barca, e passammo all’altra riva. Si pagano 20. zien per lo passo d’ogni Animale; ma non per le persone: e vi è Dogana solamente per le some; perche le valige non le riconoscono. Il fiume sarà largo due miglia Italiane. Postici a Cavallo entrammo nella Città di Chyù chya-fu situata alla destra riva del suddetto fiume. Le sue mura comprendono lo spazio d’otto miglia; però più che abitazioni, vi si veggono dentro molti campi. Il Borgo solo è ben grande, è circa tre miglia lungo, ornato di ricche botteghe, e ben popolato. Fra la Città, e’l Borgo vi è un gran lago, dal quale esce un fiumicello. Andammo a desinare in TunIùeny, luogo posto fra montagne, dopo aver fatti 50. ly. Non può immaginarsi la gran quantità di buon pesce, come Storioni, e [p. 468 modifica]simili, che si prendono ne’ fiumi, e laghi di questa strada: onde gli Osti, per dieci zien, e meno, danno il letto, e la cena di pesce, migliore, che se la dassero di carne.

Il Venerdì 23. continuando il cammino fra montagne, prendemmo riposo la mattina ad Uscimen: e poi passati per dentro la picciola Citta di Tengan xyen, (che sebbene in parte disabitata, vi resta pure qualche cosa di buono) giugnemmo la sera in Ynanpu, dopo fatti 90. ly di strada.

Il Sabato 24. per piani coltivati, e per vaghe collinette, pervenimmo alla Villa dì Sinchyen xyen; la quale parimente benche grande di circuito, è però in parte disabitata, nè vi si vede cosa ragguardevole. Si passò in iscafa il fiume, un miglio quindi discosto; e venimmo a desinare nella Villa di Saniarù, dove di nuovo passammo in barca l’istesso fiume, senza pagamento; essendo i barcajuoli pagati da’ luoghi convicini. Si fecero quel giorno cento ly, e la sera restammo a Coxoa.

La Domenica 25., fatti 50. ly, giugnemmo in Nancianfu, dopo 34. giorni di viaggio, e 3213. ly da Pekin: e perche la Città è circondata tutta dal fiume, vi passai in barca; rimanendo le mule [p. 469 modifica]dall’altra parte. Alloggiai nella Casa de’ Padri Gesuiti, il di cui Superiore non era per anche ritornato da Canton; onde solo, e molto malinconico passai un tal giorno, quale si è quello della Nascita di Nostro Signore, senza nè meno sentir Messa, per difetto di Sacerdoti. Sul tardi andai in un gran Palagio, appellato Scuola, o Accademia di Confusio. Entrato nella sala, un de’ miei servidori Cattolico si pose inginocchione, adorando il ritratto, che quivi era del Filosofo: ed avendolo io gravemente ripreso d’un simile atto d’abominevole Idolatria; mi rispose il meschino, che i Padri Missionarji della Compagnia permettevano, che ciò si facesse, come un’atto di venerazione; onde io mi tacqui, ricordatomi della questione che perciò aveano con i Vicari Apostolici Francesi.