Firenze sotterranea/Prefazione alla terza edizione

Prefazione alla terza edizione

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Proemio Capitolo I

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PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE

(1885)

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Il Ghetto è sgombrato.

Quello che io domandava nel mio libro è dunque, in parte, ottenuto.

La verità di ciò che io diceva è apparsa lampante, inoppugnabile agli stessi ufficiali della Polizia municipale, che dettero mano, non senza bell’accorgimento, allo sfratto, e persuasero con le buone ad andarsene una popolazione, in parte riottosa, in parte facile ad esser sommossa da gente, che tra di essa viveva d’ogni specie di garbugli.

Lo credereste? Io ho assistito agli sfratti, e ho veduto molta di quella gente andarsene via [p. 4 modifica]con le lacrime agli occhi, rimpiangendo i loschi tugurii che abbandonavano.

— Si stava qui tanto bene! — E notate, che stavano fra sgrondi e scoli d’acqua putrida, su pavimenti melmosi, in mezzo a pareti nericanti, fra un brulicame d’insetti.

Ma stavano bene, poichè si trovavano in luogo dal quale potevano facilmente balzare in ogni più frequentata strada della città: agevole e pronto riparo a oggetti trafugati, a persone inseguìte.

Scomodava a molti di loro andarsene in campagna, ne’ sobborghi, slontanarsi dal teatro delle loro gesta: ad altri sapeva male veder sgominata un’antica connivenza.

Non tocco di poverissime famiglie israelite, i cui antenati avean vissuto per quelli androni, oggi divenuti scannatoi orrendi; e che se ne stavano assai paghe lì vicino, dove furono le loro scuole, la Biblioteca, anch’essa portata via in questi giorni dal Ghetto.

Dov’è ora andata tutta questa gente?

Una parte si è rifuggita pei vicoli del Vecchio Mercato, che pur debbono esser demoliti: un’altra è corsa fino nelle peggiori strade del quartiere di San Frediano, che già mostrammo [p. 5 modifica]quanto premesse ripulire, rinsanicare con l’abbattimento delle mura di San Rocco1.

E ci fu motivo di compiacenza sentir ventilata la proposta nello stesso Consiglio municipale: e il consigliere Emilio Landi porgeva ad essa l’autorità del suo nome, della sua efficace parola.

Questo piccolo libro dette già dunque il suo utile (il che non accade sempre neppure a’ libri più massicci): ridestò una questione, che sembrava si volesse imprudentemente scordare: fu letto dal popolo, dai patrizi, eccitò sdegno di tanta incuria, diligenza di soccorrere a grandissimi mali.

Così, dopo la pubblicazione di queste umili pagine, vedeste sorgere in Firenze il Comitato per le case de’ poveri e per la costruzione dei dormentorii, che io aveva dimostrato molto urgente.

Come accade (ed è fortuna de’ libri e degli scrittori; nè sono invidiabili quelli che ne vanno immuni) molti ebber talento di giudicare del mio lavoro, e ne nacquero dispute: mi toccarono favoreggiatori caldissimi e accusatori, che dirci [p. 6 modifica]maligni soltanto perchè mal sapevano quello su cui sentenziavano a loro posta, e col pieno diritto, che ha ogni lettore. Nè chi va tra la gente può sempre e da tutti aspettarsi bene.

Mi si apponeva d’aver esagerato: di aver caricato le tinte (con quale scopo?...) di essermi lasciato pigliare dalla vecchia manìa, che io ho (dicono) di voler mettere attorno al sostantivo, perchè faccia miglior vista, schiere di aggettivi, uno più forte e rilevato dell’altro, rumorosi, come ragazzi che sguscino fuori dalla scuola, o scoppiettanti a mo’ di piccoli razzi.

E pure io avea detto il vero e, si creda, con forma assai mite, come tutti oggi me ne rendon giustizia, in proporzione del vero. La Firenze sotterranea da me disvelata recò un certo stupore, e ha levato un certo rumore: ed io me lo aspettava: non si palesano impunemente verità spiacenti, nè si combattono pregiudizii.

M’hanno dato perfino taccia di screditare la città, come se il medico, che studia il malato, e dice a’ suoi più cari il nome della vituperosa malattia che lo contamina, disonorasse la famiglia!

Il vento si porta le ciancie, e le verità restano: e questo è il conforto di chi cerca e di chi scrive la verità. Io ho avuto un conforto maggiore: [p. 7 modifica]quello di aver visto le mie parole allegare in frutti di bene2.

Sarebbe errore, diceva io al Sindaco di Firenze sin dal settembre dello scorso anno, che coloro i quali sono in autorità trascurassero certi interessi: - C’è una gente, che vorrà prendersi, e già tende a voler prendere, quello che era previdenza l’averle concesso. C’è una gente, la cui miseria, il cui abbandono è un pericolo per tutti.

Se guardiamo la triste condizione, le malissime pratiche, la degradazione, lo stato insalubre nel quale vivono le persone, che io descrivo, non è da meravigliare pel male che fanno, bensì che il male non sia maggiore.

C’è una classe, che quasi non seppe fin ad [p. 8 modifica]ora di aver amici nelle classi più intelligenti e più fortunate; a cui è da apprendere la vita famigliare e la vita sociale: e bisogna vincere anche questi sventurati, tirarli a noi: e il giorno che vi riusciremo, avremo tanto guadagnato!

Non potrà esser negata l’influenza morale, che ha la casa, la dimora, su le persone che vi stanno. In covigli immondi, dove nessuno terrebbe animali di prezzo, o a cui fosse tanto o quanto affezionato, si possono tenere centinaia di creature umane? Non bisogna impedire le agglomerazioni, le connivenze corrompenti? Può il magistrato cittadino tollerare, se non quasi incoraggiare, che si addensi, si moltiplichi in ripari sucidi, insalubri, infami, gente, che deve vivere ignota a’ due sentimenti, i quali sono cardine del consorzio umano: la dignità e il pudore?

Costoro hanno un Codice di decenza lor proprio, con molto divario dal nostro. Significavo a una donna l’orrore che m’ispirava il vederla giacere nel medesimo letto con altre persone: il marito, i figli, le spose dei figliuoli, i mariti delle figliuole.

— Lei dev’essere un uomo cattivo! — mi rispose. — Non siamo di una stessa famiglia? e non si dovrebbe dormire insieme?[p. 9 modifica]

Capisco che il Regolamento municipale non potrà garantire a tutti una moglie come Penelope, e non si potranno mandare le guardie municipali a intimare trasgressioni a chi non ha il viso pulito: ma molto è da fare per amor di morale, di decenza, di pulizia.

I tugurii sì immondi, il modo con cui vi si vive, le tristi cose, che vi si preparano, non solo riescono di danno agli stranissimi inquilini, ma arrecano discredito a noi tutti.

La società in tali casi deve mostrarsi conscia del suo potere. I nostri padri non furono spensierati come noi. Nel libro io parlo del Ricovero per la notte, aperto sotto il granducato, ai pregiudicati, destituiti d’ogni mezzo, dopo aver scontato le pene, in via San Gallo. Un altro Ricovero era stato aperto in San Frediano. Perchè fu chiuso? Non so. Ma so che il Gonfaloniere Dufour-Berte ebbe in concetto di ravvivare l’istituzione: e alcuni proprietari gli volevano cedere le case gratuitamente.

Come già nel Ghetto, là, Oltr’Arno, il nome case è dato a spelonche donde l’inquilino deriva i germi di malattie; dove malato non può rimanere (e il medico ne ordinerebbe il trasporto all’ospedale, se già noi prescrivesse la più [p. 10 modifica]orrenda miseria) dove se pochi, per caso repentino, vengono a morire, gli stessi sacerdoti di una religione che non abbandona le anime umane, neppure ne’ più estremi gradi d’abiezione, osano appena entrare, tanta è la sozzura, che vi sanno accumulata, e accostatisi un momento a benedire il morente e compiere i riti estremi, escono nella strada a recitare le preci!... Soltanto la carità pubblica e la carità privata possono risolvere il problema; e sin ora la carità privata è voce abbia trovato ostacoli donde dovean venirle incoraggiamenti!

E sopra tutto, io dico: — Salviamo il bambino! — Si parla tanto di scuole e io dimostro nel mio libro in balìa a quali maestri sia lasciata l’infanzia de’ poveri. Salviamo il bambino: cominci nella casa lo allevamento morale, che vogliam proseguito nella scuola serale o industriale. Salviamo il bambino, munendolo con attiva sorveglianza dall’esempio di genitori cattivi, sottraendolo alle promiscuità infami che distruggono in esso l’innocenza: che lo pervertono, lo spingono a mostruosità. Due questioni: — morale e salute pubblica — vorrebbe sollevate assai in alto il mio libro.

E superfluo ch’io ricordi come nel solo quartiere di Oltr’Arno, che domando sia rinnovato, [p. 11 modifica]morissero, durante l’epidemia del 1855, oltre cinquecento persone. E in trent’anni le condizioni già pessime si sono aggravate: il putridume è aumentato: la noncuranza, la sporcizia arrivate all’estremo; tanto più che nessuno mai pensò a provvedere.

Allegavano già taluni che io avessi torto, facendomi l’avvocato di tante miserie. Le miserie non esistono, per cotesti ventri parlanti!

E il vero è tristo e nudo, nè comporta fronzoli o azzimature.

Si bofonchiava da personaggi che stanno molto in sul grande (e auguro ne abbian buone ragioni) che io mi fossi compiaciuto nell’architettare un romanzo e pretendessi le fole, uscite fuori svolazzando dal colombaio della fantasia, gabellare per verità. Ciò asserivano più alto quelli, che, per pochezza d’intelletto, o pusillanimità di animo nel trovare rimedii, non sanno sopportare la voce di uomini liberi, molesta sempre allorchè ai pasciuti, ai fortunati, ai soddisfatti, svela guai, i quali dimostrano come tutto nel mondo non vada a fil di sinopia: come certe formule per quanto sonore, certe pratiche, certe pompe, per quanto ridicole e solenni, non bastano a empire gli stomachi digiuni, a consolare terribili miserie. [p. 12 modifica]E ostico a incauti che vivono appisolati in una beata spensieratezza il sentirsi scossi da chi mostra l’abisso in cui stiamo per piombare.

Io saluto, come un avvenimento de’ più prosperosi per Firenze, lo sgombro, già compiuto del Ghetto. E ne rimarrà a lode del Municipio, che lo ha effettuato, il ricordo.

Ma siamo appena a metà dell’opera: direi siamo al principio della fine!

La gente che io descrivo, non è punto scemata. Essa è sempre in Firenze: non è ancora provveduta di saluberrime abitazioni: e, se non più nel Ghetto, in certi vicoli, in certe straduzze dove ha riparato la più guitta gentaglia, vi sono stanze nelle quali dormono perfino quindici persone!!! che compongono due, tre, quattro famiglie.

Quante opposizioni io m’ebbi (e debbo pur ripetere: quanto favore mi procacciai!) sin dal primo comparire di questo libretto!

Le opposizioni nascevano da ciò: che fin le autorità ignoravano come stesser le cose. Ad esempio, ora nello sfratto del Ghetto in quartieri dove, al'Anagrafe figurava una sola famiglia, se ne trovarono sei, sette (!) delle quali nulla si sapeva. [p. 13 modifica]Si teneva per fermo, col censimento alla mano, che fossero trecento le famiglie abitanti nel Ghetto: se ne sono trovate trecento... sessanta!

Una famiglia intera s’intanava per un’apertura, fatta d’arbitrio nel muro, in una specie di soffitta, il cui pavimento mancava di mattoni, e che si credeva disabitata.

Altra famiglia dormiva in una cantina, e per salvarsi dalle talpe portavano ogni sera spazzature, che mettevano in un cantuccio, affinchè ivi le talpe rosicchiassero e non andassero a rodere i miseri panni de’macilenti e sciagurati inquilini.

Ecco i romanzi!...

Il quartiere di San Frediano richiede sollecite cure: la triste popolazione è già ammontata laggiù, e può crescervi, e vi si può agguerrire, estendere, cacciandone a poco a poco, per disgusto, i buoni, che vi sono. Così avremo un nuovo Ghetto, e peggio, poiché appunto nel vecchio Ghetto, cresciuto il novero de’bricconi, le famiglie men tristi, se non persuase a restare da inenarrabil miseria, furon costrette ad allontanarsi a poco a poco; a cedere il luogo a nuovi furfanti.

Ma se il Ghetto e le più squallide strade del San Frediano spariranno, non così, penso [p. 14 modifica]accadrà, per avventura, del mio piccolo libro. Esso è già per il Ghetto; rimarrà per il resto una storia fedele di quello che si era potuto osare, fare in Firenze: delle estreme abiezioni, degli estremi disordini a cui si può giungere allorché una città viene a mano di rettori spensierati; varrà a dimostrare come i mali trascurati facilmente inciprigniscano, si moltiplichino, e ne divenga arduo il rimedio.

Io ho fiducia che il Municipio fiorentino vorrà, potrà, saprà: carità di patria deve infiammarlo in desiderio di bene. Cittadini solerti e degnissimi, che compongono il Comitato per le case dei poveri e i dormentorii: cito a titolo di onore il marchese Carlo Ginori, il comm. Ubaldino Peruzzi, il comm. Giovanni Meyer, il cav. avv. Arturo Carpi, il dott. Lamberto Loria, l’avv. Clearco Freccia, il marchese Carlo Ridolfi, il comm. Niccolò Nobili, il barone Giovanni Ricasoli-Firidolfi, il marchese Andrea Gerini, due artisti illustri: Ernesto Rossi e Stefano Ussi: e altri, che io non posso tutti ricordare, renderanno al Municipio l’opera più agevole.

E nell’accordo de’componenti il Municipio, il Comitato, e di tutti i cittadini, io credo stia il miglior risolvimento della questione: le bizze, le [p. 15 modifica]ire, i ripicchi sarebbero un’offesa alla carità, al buon senso, mettendo nuove dimore al compimento di un sì necessario lavoro.

Dunque, tutti riconciliati, concordi nella carità, nell’amore, che ci deve inspirare a proseguire ardentemente l’incremento, il miglioramento di Firenze.

È un’ottima fortuna per questo libro che dalla sua prima alla sua terza edizione si sian già veduti notabilmente scemare gli acerbissimi guai, che, lamentando, esso narrava.

Ringrazio i miei concittadini dell’accoglienza amorevole, che si ebbe da loro questo mio povero scritto.

Jarro.



Note

  1. Anche in questo avemmo ragione: le mura di San Rocco furono abbattute, fu aperta una nuova Barriera, il quartiere di San Frediano fu, in parte, riordinato e abbellito. Ma vi resta molto da fare.

    (Nota alla quarta edizione).

  2. Citerò, fra gli altri, il seguente esempio. — Ecco ciò che si legge nella Nazione del 17 luglio:
    «Ne’ suoi articoli sulla Firenze sotterranea, ne’ quali il nostro Jarro ha svelato inconvenienti e mali sì gravi, che a prima giunta sembrarono a molti incredibili, ma che pur troppo egli aveva constatati e studiati con diligenza, il nostro collaboratore, parlando delle straducole lungo le mura di San Rocco (entro la città) scriveva: “Vi credereste a mille miglia da Firenze! Laggiù si raccoglie la tribù degli spazzaturai girovaghi_”
    «Sembra che le parole del nostro collaboratore non siano andate a vuoto: e siamo lieti di vederle anzi così presto ascoltate, poiché l’onorevole Sindaco di Firenze dava un ordine, pel quale sarà impedito di far la cerna delle spazzature nella città, mentre si annunzia la imminente costruzione del cantiere, da tanto tempo promesso, come giustamente notava Jarro
    E il cantiere è oggi costruito.