Firenze sotterranea/Capitolo I

Capitolo I

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Prefazione alla terza edizione Capitolo II

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I


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La questione che io tratto è questione di alta morale, di giustizia, di umanità. Non dispero d’essere ascoltato! Quattro o cinque anni or sono, commosso dalle torture, dagli strazi, cui vedevo sottoposti i bambini nelle pubbliche vie, dalle industrie corruttrici, infamanti, a cui si volevano sobbarcati, scrissi, riscrissi, sul penoso argomento.... Proponevo, quattr’anni or sono, che si formasse una Società protettrice dei fanciulli, come già avevamo una Società che protegge gli animali! Oggi, e non voglio attribuirne alcun merito alle mie parole, sorgerà, a quanto si dice, una tal Società; istituzione pietosa, che tutti augurano veder fiorentissima.

La questione che io ora voglio trattare, se da un lato è questione di morale, di giustizia, di umanità, è dall’altro questione di miseria, di [p. 20 modifica]delitti, di un’abiezione, che cresce e si propaga per modi misteriosi, di un male che serpeggia tra noi, senza che ne siamo accorti, di un grande pericolo che ci minaccia!...

Firenze suol esser chiamata bella, gentile, città dei sorrisi e de’ fiori; ma nessuno penserebbe che qui sono così putride cloache nelle quali si ammassano esseri umani; fiori che spuntano soltanto da immondezzai, e che avvelenano. Abbiamo luoghi remoti, sordidi, scuri, dove la pianta uomo nasce, sviluppa, vigoreggia attossicata, senza sole, e in aria infetta.... abbiamo quasi una piccola città entro la grande città ove le anime si perdono, spente della luce morale; luce di fede, di rettitudine, d’amore.

Chi crederebbe che entro Firenze, la città molle, vezzosa, che ha per tutto levato grido di miti e dolci costumi, è una Firenze dove stanno in combutta il sicario e il ladro, l’assassino negl’intervalli in cui esce dalle galere, e il lenone, il maruffino abietto e atroce? Siete voi andato mai in quegli antri, in quelle tane, per que’ sotterranei, dove la notte le pareti formicolano d’insetti, dove il soffitto è così basso, che è impossibile a un uomo di giusta statura entrare lì senza curvarsi, e dove su putridi giacigli si scambiano [p. 21 modifica]gli amplessi di ladri e di baldracche, lordure umane, sgorgate in quegli orrendi sterquilinii, dopo aver corso, trabalzate, per tutte le fogne del vizio?

Oh, io sono stato là, accompagnato da un uomo di animo invitto, là in tutti quei luoghi dove in Firenze è la massima abiezione, la più stomachevole corruzione, la più terribile miseria: là dove centinaia di pregiudicati, uomini e donne, si avvoltolano insieme nel medesimo brago, si infistoliscono sullo stesso fimo: là, dove il vecchio, quasi settuagenario, che dette ai dieci o ai dodici anni il primo passo nel delitto, è maestro ai bambini, figliuoli di assassini, di ladri, di femmine da conio, figliuoli del pubblico, e che hanno avuto per primo appoggio la gonnella pubblica delle turpissime donne, che di rado avviva lo stesso sentimento della maternità.

Sono stato sotto quegli archi, per quei foschi androni, per le corti, ne’ sotterranei e nelle soffitte; ci sono stato di giorno e nel cuor della notte; ho veduto la tremenda promiscuità in cui dormono avviticchiate, mostrando in confuso un intricamento di teste, di braccia, di piedi, cinque [p. 22 modifica]o sei persone, uomini, donne, ragazze, bambini, sopra uno stesso canile: sopra un fantasma di letto, nel quale non è pur un fantasma di pulizia, ma tutto è nero, spruzzato, schizzato di sanie, di sangue, di sozzure, delle vestigia di malattie.

In tale promiscuità, su tali sporcizie dormono creature umane: e il secolo ipocrita vanta i diritti dell’uomo, e soffia intorno a noi l’aura democratica, e si ripete che siamo e dobbiamo essere tutti fratelli ed eguali!...

E in una città raffinata, di tanta civiltà, vi sono uomini, donne, bambini, a centinaia, che vivono in condizioni peggiori de’ bruti! Si direbbe che l’uomo fra tutti gli esseri, è quello, che, se comincia a ruzzolare, arriva al più estremo punto di degradazione nell’ordine universale della vita!

Io tratterò dunque argomento sì rilevante: vi dimostrerò che immenso errore noi andiamo perpetuando, di qual colpa ingiustificabile ci aggraviamo, e che tristi conseguenze avrà la nostra noncuranza a risolvere il problema che c’incalza.

Bisogna abbattere varii punti di Firenze e ricostruirli di nuovo: bisogna scacciare da’ raddotti [p. 23 modifica]ove può agguerrirsi, moltiplicarsi, nascondersi, il nemico! Noi teniamo riuniti, in mezzo a noi, a centinaia, uomini senza coscienza, libidinosi di sangue, presti ai furti, disonorati; abbiamo e alimentiamo una piccola città, che ha varii quartieri in punti diversi, da San Frediano al Vecchio Mercato: piccola città dove i malfattori si ritrovano, si aspettano, quando escono dalle galere o dalle prigioni, si aiutano, si consigliano, si perfezionano: e in tale città, la città del delitto, che sorge proprio in mezzo a quella delle industrie, delle chiese e delle scuole (quanto poco l’uomo impara nel mondo di ciò che più gli sarebbe mestieri imparare!) nascono frotte di bambini innocenti, che presto apprendono il linguaggio osceno dei furfanti, e col linguaggio le opere.

Una di queste notti, ho seguito un bravo e coraggioso uomo della Polizia, il quale si recava a far la visita consueta, per assicurarsi che alcuni sorvegliati erano in casa, non a commettere alcuna delle loro prodezze.

Su un letto, come al solito, dormivano varii uomini e donne e bambini.... Il bagliore del nostro lume, la voce dell’ufficiale di Polizia li destò. Alzarono il capo un istante: l’ufficiale accostò il suo cerino ai volti di tutti, e riconobbe chi era [p. 24 modifica]in casa. Dico casa, ma dovrei dire, come delle altre: spelonca. Le porte sono aperte: chiunque può entrare. Tutt’al più alcune hanno un nottolino interno, che si alza e si abbassa tirando uno spago viscoso, untuoso, il quale, o bella e profumata lettrice, non osereste toccare!...

Ognuno può entrare, sì, ma osereste voi, o bella lettrice, osereste voi, o azzimato bellimbusto, voi, uomo elegantissimo, entrar soli nel pien della notte in que’ covili di uomini infami, dove si trovano perfino giovinetti di diciannove anni, che hanno commesso i loro tre e quattro reati di sangue?

Dunque, come vi diceva, il giovane ufficiale della Polizia muoveva il suo lume intorno al canile su cui dormiva tutta quella gente di mal nome.

— Guardi! — mi disse; e mi accennò un bambino di quattordici anni, profondamente addormentato, tutto nudo e con la testa penzoloni a’ piedi del letto.

Il lume rischiarava la faccettina del bambino, magrolina, pallida, quasi serena.

— C’è qualche cosa di straordinario?— dissi io all’agente di Polizia.

— Vede: questo bambino ha già subito dodici condanne!! — [p. 25 modifica]Mi sentii raccapricciare. Il fanciullo, che dormiva così quieto e riposato, crescerà un gran nemico della società: un vostro, un mio nemico!... Fra cinque, sei, venti anni, lo possiamo incontrare voi ed io, una notte, allo svolto di una cantonata, e potrà o vorrà tentare di sgozzarci.

E noi siamo ciechi: ci ubriachiamo di tante parole: e non abbiamo ancor trovato modo di strappare dalle branche del vizio certe tenere creature, munirne l’innocenza dagli attentati di genitori infami. La religione del Cristo, è uopo convenire, religione tutta di carità, di promesse ai reietti, di misericordie ai ravveduti, in questo rispetto avrebbe operato miracoli. Ma noi, con la nostra orgogliosa sapienza, siamo arrivati a schernire anche questa suprema legge d’amore!

— Come si conduce ora il bambino? — domandò l’ufficiale di Polizia alla madre (e qual madre) tutta sonnacchiosa.

— Assai bene! — ella disse, credendo ingannare la Polizia, e forse in quel momento ruminava l'impresa vile, o scellerata, a cui avrebbe, per cavarne vantaggio, stimolato la mattina appresso il fanciullo.

— Ci avete altri in casa?

— Ci ho una vedovina! — rispose quasi [p. 26 modifica]ridendo, e acconciando il volto a innocenza. — Là.... —

Entrammo per una buca, che figurava il vano di una porta.

Ci trovammo in una specie di stambugio, la cui tettoia andava sempre inclinando sino a che, a un certo punto, si alzava appena un mezzo metro sull’impiantito.

Stesa sur un pagliericcio era una donna giovane, di una bellezza gracile, e presso che cancellata chi sa da quali eccessi e quali dolori. Non avea altra coperta che i suoi vestitucci [p. 27 modifica]sbrendolati. Accanto al letto, per tavolino, un regolo infisso su quattro altri regoli di legno rozzo: uno di quelli strumenti, che sogliamo chiamare caprette. E sulla capretta posati varii piccoli oggetti: una treccia di capelli, segno che la donna giovane, e un po’ avvenente, anche arrivata all’ultimo grado di cinismo e di squallore, serba sempre una certa civetteria.

Sulle pareti sbonzolate di quello stambugio erano iscrizioni grottesche, o inique; bestemmie, figuraccie. Ma la vedova dormiva tranquilla. Vedova?... Di chi?... di quanti? Giovane, sola, in quel luogo di nefandezze, in mezzo a tanti ribaldi? Come la sventurata sarà giunta lì? — Come ne uscirà? L’avrei volentieri svegliata, perchè mi raccontasse la sua vita. Nell’apprendere i casi di certe esistenze si provano le vertigini: è come affacciarsi ad un abisso.

Misere creature, che scendono, e non trovano una mano soccorrevole. Ecco i veri irredenti da sollevare! Ecco l’opera per le democrazie serie ed illuminate!

V’immaginate, ad esempio, la connivenza, il duo tra il fanciullo quattordicenne, che ha subito dodici condanne, e la vedovina.... che forse non è stata mai maritata? [p. 28 modifica]

Ho da dirvi cose gravi: vi parrà impossibile che niuno sin ad ora ve n’abbia parlato. Preparatevi a inorridire. Vi condurrò a Malborghetto, alla Sacra, in Gusciana; vi condurrò in que’ punti del Ghetto, dove vivono i peggiori arnesi; uomini, che hanno trascorso la vita tra i tribunali e le carceri, e che hanno una sinistra celebrità, dove la Polizia, accorre, appena si commette un delitto, sicura di trovarvi l’autore; dove sono misteriosi, ingegnosi, complicati nascondigli per gli oggetti rubati; dove talora per gli innumerevoli bugigattoli, trabocchetti, pozzi asciutti, andirivieni, pei cammini in disuso, per le vòlte sotterranee, per le segrete e non interrotte comunicazioni tra i caseggiati di varie strade, si rintana, si rincantuccia, scappa un reo che va impunito.

Tra quelle pareti, e la Polizia lo sa, ci sono delinquenti, contro i quali la giustizia non può inveire perchè manca di prove positive sebbene ne abbia di morali e ben salde; che si tengon autori di delitti, i quali da anni tutti si domandano: — Chi gli ha commessi? — [p. 29 modifica] [p. 31 modifica]

È vero che un occhio vigile li segue sempre, che uomini intrepidi studiano ogni loro passo, che quando pare ad essi di essere nella solitudine, vi è sempre qualcuno che li ascolta! E dopo due, cinque, dieci anni di simulazioni, di silenzio per timore incusso ai complici, o per interesse, la verità prorompe. Ma pur troppo ciò non accade in ogni caso.

Non di rado in que’ luoghi del vizio, nelle scure cloache, in que’ foschi abituri gli ospiti infami si accapigliano, si scoltellano tra loro, si strappano brani della loro carne, versano il loro sangue: il marito ammazza la moglie, il padre, il figlio e viceversa! E la città è conturbata dalla notizia di un atto esecrando.

Entriamo in quegli antri; studiamo insieme, amico lettore, la Firenze sotterranea.

Poi verremo, spero, d’accordo, alle conclusioni!...