Fingal poema epico di Ossian/Canto secondo
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Traduzione dall'inglese di Melchiorre Cesarotti (1763)
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CANTO SECONDO
ARGOMENTO.
Posan gli eroi, tace la piaggia. Al suono
D’alpestre rio, sotto l’antica pianta
Giace Conallo: una muscosa pietra
Sostiengli il capo; della notte udìa
5Stridula, acuta cigolar la vocen 1
Per la piaggia del Lena; ei dai guerrieri
Giace lontan, chè non temea nemici
Il figlio della spada. Entro la calma
Del suo riposo, egli spiccar dal monte
10Vide di foco un rosseggiante rivo.
Per quell’ardente luminosa riga
A lui scese Crugallo, uno dei duci
Poc’anzi estinti, che cadèo per mano
Del fier Svarann 2: par di cadente luna
15Raggio il suo volto; nugoli del colle
Forman le vesti: sembrano i suoi sguardi
Scintille estreme di languenti faci.
Aperta, oscura, nel mezzo del petto
Sospira una ferita. – O Crùgal, disse
20Il possente Conàl, figlio di Dedga,
Chiaro sul colle, o frangitor di scudi,
Perchè pallido e mesto 1? io non ti vidi
Mai nelle pugne impallidir di tema,
E che t’attrista? Lagrimoso e fosco
25Quegli si stette: sull’eroe distese
La sua pallida man, languidamente
Alzò la voce in suon debole e roco,
Come l’auretta del cannoso Lego.
– Conal, tu vedi l’ombra mia che gira
30Sul natìo colle, ma il cadaver freddo
Giace d’Ullina sull’ignude arene.
Più non mi parlerai, nè le mie orme
Vedrai sul prato: qual nembo di Cromla
Son vuoto e lieve, e per l’aere galleggio,
35Come nebbia sottile: odimi, o duce;
Veggio l’oscuro nugolo di morte
Che sul Lena si sta: cadranno i figli
D’Inisfela, cadran: da questo campo
Ritirati, o Conallo; è campo d’ombre.
40Disse, e sparì come offuscata luna
Nel fischiante suo nembo. – Ah no; t’arresta,
T’arresta, o fosco rosseggiante amico,
Disse Conàl; vientene a me, ti spoglia
Di quel raggio celeste, o del ventoso
45Cromla guerriero. In qual petrosa grotta
Ricovri tu? qual verdeggiante colle
Datti albergo e riposo? e non udremti
Dunque nella tempesta, o nel rimbombo
Dell’alpestre torrente; allor che i fiacchi
50Figli del vento a cavalcar sen vanno
Per l’aeree campagne? Ei, così detto,
Rizzasi armato: a Cucullin s’accosta,
Picchia lo scudo; risvegliossi il figlio
Della battaglia. – E qual cagion ti guida?
55Disse del carro il reggitor sublime;
Perchè nel bujo della notte armato
Vieni, o Conàl? potea la lancia mia
Volgersi incontro a quel rumore, ond’io
Piangessi poi del mio fedel la morte.
60Conàl, che vuoi? figlio di Còlgar parla;
Lucido è ’l tuo consiglio al par del sole2.
– Duce, ei rispose, a me pur ora apparve
L’ombra di Crùgal: trasparìan le stelle
Fosche per la sua forma; avea la voce
65Di lontano ruscello: egli sen venne
Messaggiero di morte; ei favellommi
Dell’oscura magion. Duce d’Erina
Sollecita la pace, o a sgombrar pensa
Dalla piaggia del Lena. Ancor che fosche
70Per la sua forma trasparìan le stelle.
Soggiunse Cucullin: – Teco, o Conallo,
L’ombra parlò? questo fu ’l vento amico3,
Che nelle grotte mormorò del Lena.
O se pur fu Crugàl, chè nol forzasti
75Di comparirmi innanzi? e non gli hai chiesto
Dove sia l’antro suo, dove l’albergo
Dell’ospite dei venti? allor potrebbe
Forse il mio brando rintracciar cotesta
Presaga voce, e trar da quella a forza
80Il suo saper: ma ’l suo saper, Conallo,
Credimi, è poco. Or come? egli poc’anzi
Fu pur tra noi: più su che i nostri colli
Ei non varcò: chi della nostra morte
Potrìagli adunque rivelar l’arcano?
85– L’ombre sui venti e sulle nubi in frotta
Vengono e vanno a lor piacer, soggiunse
Il senno di Conàl; nelle spelonche
Fanno alterni colloqui, e degli eventi
Parlano de’ mortali. – E de’ mortali
90Parlino a senno lor, parlin di tutti,
Di me non già, che ’l ragionarne è vano.
Scordinsi Cucullin, perch’io son fermo
Di non fuggir: se fisso è pur ch’io caggia,
Trofeo di gloria alle future etadi
95Sorgerà la mia tomba; il cacciatore
Verserà qualche lagrima pietosa
Sopra il mio sasso, e alla fedel Bragela
Sarò memoria ognor dolce ed acerba.
Non temo di morir, di fuggir temo,
100E di smentirmi: chè più volte in guerra
Scorsemi vincitor l’alto Fingallo 4.
O tenebroso fantasma del colle,
Su via mostrati a me, vien sul tuo nembo,
Vien sul tuo raggio; in la tua man rinchiusa
105Mostrami la mia morte, aerea forma,
Non fuggirò: va, va, Conàl, colpisci
Lo scudo di Cabàr che giace appeso
Là tra quell’aste; i miei guerrier dal sonno
Sveglinsi tutti, e alla vicina pugna
110S’accingan tosto. Ancor che a giunger tardi
L’eroe di Selman 3, e la robusta schiatta
De’ tempestosi collin 4, andiamne, amico,
Pugnisi, e sia con noi vittoria, o morte.
Si diffonde il romor; sorgono i duci.
115Stan sulla piaggia armati al par d’antiche
Quercie crollanti i noderosi rami,
Se gelata onda le percote, e al vento
S’odon forte stormir l’aride fronde.
Già la nebbiosa dirupata fronte
120Di Cromla appar, già ’l mattutino raggio
Tremola su la liquida marina,
Nè fosca più, nè ben lucente ancora,
Va roteando lentamente intorno
La grigia nebbia, e d’Inisfela i figli
125Nasconde agli occhi di Svaran. – Sorgete,
Disse il signor dei tenebrosi scudi,
Sorgete, o voi che di Loclin dall’onde
Meco veniste: già dall’armi nostre
Fuggir d’Erina i duci. Or che si tarda?
130S’inseguano, s’incalzino. Tu Morla
Tosto alla reggia di Corman t’avvia:
Comanda a lui, che di Svaràn la possa
Prostrato inchini, anzi che ’l popol tutto
Nella morte precipiti, ed Ullina
135Altro non resti che deserto e tomba.
S’adunano color, simili a stormo
D’augei marini, quando il flutto irato
Li respinge dal lido, e fremon come
Nella valle di Cona accolti rivi,
140Qualor dopo notturna atra bufèra
Alla sbiadata mattutina luce
Volvon riflussi vorticosi, oscuri.
Sfilan, quai succedentisi sul monte
Nugoloni d’autunno, orride in vista,
145Le avverse schiere: maestoso e grande
Al par del cervo de’ morvenii boschi
Svaràn s’avanza, e fuor dell’ampio scudo
Esce il fulgor della notturna fiamma,
Che per la muta oscurità del mondo
150Fassi guida e sentiero all’erranti ombre:
Guatale il peregrin pallido, e teme.
Ma un nembo alfin sorto dal mar la densa
Nebbia squarciò: tutti apparìr repente
D’Inisfela i guerrier schierati, e stretti
155Qual catena infrangibile di scogli
Lungo la spiaggia. — Oh, disse allor l’altero
Dei boschi regnator, vattene o Morla,
Offri pace a costoro, offri quei patti
Che diamo ai re, quando alla nostra possa,
160Piegan le vinte nazïoni, e spenti
Sono i guerrieri, e le donzelle in lutto.
Disse. Con lunghi risonanti passi
Morla avvïossi, e baldanzoso in atto
Venne dinanzi al condottier d’Erina,
165Che stava armato, e gli fean cerchio intorno
Gli eroi minori. — O Cucullino, accetta,
Diss’ei, la pace di Svaràn, la pace
Ch’egli offre ai re, quando alla sua possanza
Piegan le nazïoni: a lui tu cedi
170La verdeggiante Ullina, e in un con essa
La tua sposa, e il tuo can; la dal ricolmo
E palpitante sen bella tua sposa,
Ed il tuo can raggiungitor del vento.
Questi a lui cedi in testimonio eterno
175Della fiacchezza del tuo braccio; in esso
Scorgi il tuo re. — Porta a quel cor d’orgoglio,
Porta a Svaràn, che Cucullin non cede.
Egli m’offre la pace: io offro a lui
Le strade dell’oceano, oppur la tomba.
180Non fia giammai ch’uno stranier possegga
Quel raggio di Dunscaglia; e mai cervetta
Non fuggirà per le loclinie selve
Dal piè ratto di Luan 5. — Vano e superbo
Del carro guidator, Morla riprese,
185Vuoi tu dunque pugnar? pugnar vuoi dunque
Contro quel re, di cui le navi figlie
Di molti boschi trar potrìan divelta
Tutta l’isola tua seco per l’onde?
— Sì quest’Ullina è meschinetta e poca
190Contro il signor del mar, Morla, ei soggiunse,
Cedo a molti in parole, a nullo in fatti5.
Rispetterà la verdeggiante Erina
Lo scettro di Corman6, finchè respiri
Conallo e Cucullin7. Conallo, o primo
195Tra’ duci, or che dirai? pur or di Morla
Le voci udisti; o generoso e prode,
Saran pur anco i tuoi pensier di pace8?
— O spirto di Crugallo, e tu di morte
M’osasti minacciar? chiudimi il varco
200Dell’angusta tua casa: ella fra’ raggi
M’accoglierà della mia gloria involto.
Su su, figli d’Erina, alzate l’asta,
Piegate l’arco, disperatamente
Sul nemico avventatevi, ond’ei creda
205Che a lui dall’alto si rovescin sopra
Tutti i notturni tempestosi spirti.
Or sì mugghiante, orribile, profondo
Volvesi il bujo della zuffa: nebbia
Così piomba sul campo allor che i nembi
210Invadono il solar tacito raggio.
Precede il duce; irata ombra il diresti,
Che dietro ha negra nube, ed infocate
Meteore intorno, e nella destra i venti.
Carilo era in disparte: ei fa che s’alzi
215Il suon del corno bellicoso; e intanto
Scioglie la grata vocen 6, ed il suo spirto
Sgorga nel cor de’ bellicosi eroi.
— Dove, dove è Crugal? disse la dolce9
Bocca del canto: ei basso giace, è muta
220La sala delle conche; oblìo lo copre.
Mesta è la sposa sua, che peregrina
Entro le stanze del suo lutto alberga.
Ma qual raggio vegg’io, che tra le schiere
Dei nemici si scaglia? ella è Degrena,
225La sposa di Crugallo: addietro ai venti
Lascia la chioma; ha rosseggiante sguardo,
Strillante voce. Ahi lassa! azzurro e vuoto
È ora il tuo Crugàl: sta la sua forma
Nella cava del colle: egli al tuo orecchio
230Fassi pian pian nel tuo riposo, alzando
Voce pari al ronzio d’ape montana.
Ve’, ve’, cade Degrena, e sembra nube
Che striscia in sul mattino: è nel suo fianco
La spada di Loclin: Cairba, è spenta,
235Cadde Degrena tua, Degrena, il dolce
Risorgente pensier de’ tuoi verd’anni.
Udì Cairba il mesto suono, e viden 7
La morte della figlia; in mezzo a mille,
Qual balena che ’l mar frange col pondo,
240Slanciasi e mugghia: la sua lancia incontra
Il cor d’un figlio di Loclin: s’ingrossa
La sanguinosa mischia. In bosco annoso
Ben cento venti, o tra ramosi abeti
Di cento colli violenta fiamma,
245Poriano appena pareggiar la strage,
La rovina, il fragor dell’affollate
Schiere cadenti. Cucullin recide
Come cardi gli eroi; Svaran devasta,
Diserta Erina: di sua man Curano
250Cadde, e Cairba dal curvato scudo.
Giace Morglano in ferreo sonno, e Calto
Guizza morendo: del suo sangue ha tinto
Il bianco petto; è strascinata e sparsa
La gialla chioma per la molle arena
255Del suo terren natio. Spesso ov’ei cadde
Già conviti imbandì, spesso dell’arpa
La voce sollevò; festosi intorno
Saltellavangli i veltri, e i giovinetti
Stavansi ad assettar faretre ed archi.
260Già Svaran cresce, e già soverchia, come
Torrente che trabocca, e i minor poggi
Schianta e travolve, e i maggior pesta e sfianca.
Ma s’attraversa Cucullin, qual monten 810
Di nembi arrestator: cozzano i venti
265Sulla fronte de’ pini, e i massi informi
La ripercossa grandine flagella:
Quello in sua possa radicato e fermo
Stassi, ed adombra la soggetta valle.
Tal Cucullino ombra faceasi, e schermo
270Ai figli d’Inisfela: a lui d’intorno
Di palpitanti eroi zampilla il sangue,
Come fonte da rupe: invan, ch’Erina
Cade pur d’ogni parte, e si dilegua
Siccome neve a caldo sol. — Compagni,
275Gruma gridò, Loclin conquista e vince:
Che più dunque pugnar, palustri canne
Contro il vento del cielo? al colle, al colle
Fuggiam, compagni: ed ei fuggissi il primo
Come cervo inseguito, e la sua lancia,
280Simile a raggio tremulo di luce,
Dietro traea. Pochi fuggir con Gruma,
Duce di picciol cor: gli altri pugnando
Caddero, e ’l Lena ricoprir coi corpi.
Vede dall’alto del gemmato carro
285La sconfitta de’ suoi, vedela, e freme
D’Erina il condottier: trafisse il petto
A un fier nemico, indi a Conàl si volse.
— O Conallo, esclamò, tu m’addestrasti
Questo braccio di morte: or che farassi?
290Ancor ch’Erina sia fugata o spenta,
Non pugnerem perciò? Sì, sì, tu vanne,
Carilo, e i sparsi fuggitivi avanzi
Di nostre schiere là raccogli, e guida
Dietro quell’erto cespuglioso colle.
295Noi stiam fermi quai scogli, e sostenendo
L’impeto di Loclin, de’ fidi amici
La fuga assicuriam. Balza Conallo
Sopra il carro di luce: i due campioni
Stendono i larghi tenebrosi scudi,
300Come la figlia dei stellati cieli
Lenta talor move per l’aere, e intorno
Di fosco cerchio s’incorona e tinge.
Palpitante, anelante e spuma e sangue
Spruzza Sifadda, e Duronallo a cerchio
305Volvesi alteramente, e calca e strazia
Nemici corpi: quei serrati e folti
Tempestano gli eroi, quai sconvolte onde
Sconcia balena d’espugnar fan prova.
Di Cromla intanto sul ciglion petroso
310Si ritrassero alfine i pochi e mesti
Figli d’Erina, somiglianti a un bosco,
Cui strisciando lambì rapida fiamma,
Spinta dai venti in tempestosa notte.
Dietro una quercia Cucullin si pose
315Taciturno, pensoso: il torbid’occhio
Gira agli astanti amici. Ecco venirne
Maràn del mare esplorator: — Le navi,
Le navi, egli gridò; Fingal, Fingallo 11,
Il Sol dei duci, il domator d’eroi,
320Ei viene, ei vien: spumano i flutti innanzi
Le nere prue; le sue velate antenne
Sembran boschi tra nubi. — O venti, o voi
Venti, soggiunse Cucullin, che uscite
Dall’isoletta dell’amabil nebbia,
325Spirate tutte favorevoli aure,
Secondate il guerrier: vientene, amico,
Alla morte di mille, amico, ah vieni!
Nubi dell’orïente a questo spirto
Son le tue vele, e l’aspettate navi
330Luce del cielo, e tu mi sei tu stesso,
Come colonna d’improvviso foco
Rischiaratrice della notte oscura.
O mio Conàl! quanto graditi e cari
Ci son gli amici! Ma s’abbuja intanto
335La notte; ov’è Fingal? noi le fosch’ore
Stiam qui passando, e sospiriam la luna.
Già sbuffa il vento; dalle fesse rupi
Già sboccano i torrenti; al capo irsuto
Di Cromla intorno s’adunò la pioggia,
340E rosse tremolavano le stelle
Per le spezzate nubi. Appresso un rivo,
Di cui la pianta al gorgoglìo risponde,
Mesto s’assise il condottier d’Erina,
Carilo il buon cantor stavagli accanto,
345E ’l pro Conallo. — Ah, sospirando disse
Di Semo il figlio, ah che infelice e fiacca
È la mia man, dacchè l’amico uccise! 12
O Ferda, o caro Ferda, io pur t’amava
Quanto me stesso. — Cucullin, deh dinne,
350L’interruppe Conàl, come cadeo
Quell’illustre guerrier? ben mi sovvengo
Del figlio di Damman. — Grand’era e bello
Come l’arco del ciel. Ferda, signore 13
Di cento colli, d’Albïon sen venne.
355Nella sala di Murin 9 ei da’ prim’anni,
L’arte del brando apprese, e d’amistade
Strinsesi a Cucullin; fidi alla caccia
N’andammo insieme; era comune il letto.
Era a Cairban 10 già signor d’Ullina
360Deugala sposa: avea costei nel volto 14
La luce di beltà, ma in mezzo al core
La magion dell’orgoglio. Ella invaghissi
Di quel raggio solar di gioventude,
Del figlio di Damman. Cairba, un giorno
365Disse la bella, orsù, dividi il gregge;
Dammi la mia metà; restar non voglio
Nelle tue stanze: il gregge tuo dividi,
Fosco Cairba. Cucullin, rispose,
Lo divida per me: trono è ’l suo petto
370Di giustizia: tu parti. Andai: la greggia
Divisi: un toro rimaneva, un toro
Bianco qual neve; al buon Cairba il diedi;
Deugala n’avvampò: venne all’amante:
Ferda, diss’ella, Cucullin m’offende;
375Fammi udir di sua morte, o sul mio corpo
Scorrerà il Luba; la mia pallid’ombra
Staratti intorno, e del mio orgoglio offeso
Piangerà la ferita: o spargi il sangue
Di Cucullino, o mi trapassa il petto.
380Oimè, disse il garzon, Deugala, e come?
Io svenar Cucullino? egli è l’amico
De’ miei pensier segreti, e contro ad esso
Solleverò la spada? Ella tre giorni
Pianse, nel quarto dì cesse al suo pianto
385L’infelice garzon. Deugala, ei disse,
Tu ’l vuoi, combatterò: ma potess’io
Cader sotto il suo brando! Io dovrei dunque
Errar sul colle, e rimirar la tomba
Di Cucullin? Noi presso a Muri insieme
390Pugnammo: s’impacciavano l’un l’altro
Ad arte i brandi nostri, il fatal colpo
Sfuggendo, sdrucciolavano sugli elmi,
Strisciavano su i scudi. Eragli accanto
Deugala sua: con un sorriso amaro
395Diedesi a rampognarlo: O giovinetto,
Debole è ’l braccio tuo, non è pel brando
Questa tenera età; garzone imbelle,
Cedi al figlio di Semo; egli pareggia
Lo scoglio di Malmor. Corsegli all’occhio
400Lagrima di vergogna; a me si volse,
E parlò balbettando: Alza il tuo scudo,
Alzalo, Cucullino, e ti difendi
Dal braccio dell’amico: ho grave e negra
L’anima di dolor, chè uccider deggio
405Il maggior degli amici e degli eroi.
Trassi a quei detti alto sospir, qual vento
Da fessa rupe: sollevai del brando
L’acuto filo: ahi lasso! egli cadeo.
Cadde il Sol della pugna, il caro, il primo
410Tra’ fidi amici: sciagurata, imbelle
È la mia man, dacchè l’amico uccisi.
— Figlio del carro, dolorosa istoria,
Carilo ripigliò, narrasti: or questa
Mi rimanda alla mente un fatto antico,
415Che può darti conforto. Io spesso intesi
Membrar Comallon 11 che l’amata uccise.
Pur sempre accompagnò vittoria e fama
La sua spada e i suoi passi. Era Comallo
Un figlio d’Albïon, di cento colli
420Alto signor: da mille rivi e mille
I suoi cervi beveano, e mille scogli
Rispondeano al latrar de’ veltri suoi;
Era soavità di giovinezza
L’amabile suo volto; era il suo braccio
425Morte d’eroi. De’ suoi pensier l’obbietto
Uno era e bello, la gentil Galvina,
La figlia di Colonco; ella sembrava
Sol tra le donne, e liscia ala di corvo
La sua chioma vincea; sagaci in caccia
430Erano i cani suoi, fischiava al vento
La corda del suo arco. I lor soavi
Sguardi d’amor si riscontràr sovente:
Uno alla caccia era il lor corso, e dolci
Le lor segrete parolette e care.
435Ma per la bella si struggea d’amore
Il fier Gormante, il tenebroso duce
D’Arvenn 12 nembosa, di Comàl nemico.
Egli tuttor della donzella i passi
Sollecito esplorava. Un dì che stanchi
440Tornavano da caccia, e avea la nebbia
Tolti alla vista lor gli altri compagni,
Si riscontraro i due teneri amanti
Alla grotta di Ronna. Ivi Comallon 13
Facea spesso soggiorno; ivi del duce
445Pendean disposti i bellicosi arnesi:
Cento scudi di cuojo, e cento elmetti
Di risonante acciar. Qui dentro, ei disse,
Riposati amor mio, riposa, o luce
Dello speco di Ronna: un cervo appare
450Su la vetta di Moran 14; io là men volo,
Ma tosto tornerò. Comàl, rispose,
Temo Gormante il mio nemico; egli usa
In questa grotta: io poserò fra l’armi;
Ma fa tosto, amor mio. Volò l’eroe
455Verso il cervo di Mora. Allor la bella
Volle far prova sconsigliatamente
Dell’amor del suo caro: il bianco lato
Ella coperse di guerriere spoglie,
E della grotta uscìn 15. Comàl l’adocchia,
460Credela il suo nemico; il cor gli balza;
Iscolorossi, intenebrossi; incocca
L’arco: vola lo stral; cade Galvina
Nel sangue suo. Quei furibondo, ansante
Vola all’antro, e la chiama: alcun non s’ode;
465Muta è la rupe. O dolce amor, rispondi,
Dove se’ tu? Torna all’estinto, e vede
Il cor di quella palpitar nel sangue
Dentro il suo dardo. O mia Galvina, oh vista!
Or se’ tu quella? e le cadéo sul petto 15.
470Vennero i cacciatori, e ritrovaro
La sventurata coppia. Il duce ancora
Errò sul colle; ma solinghi e muti
Erano i passi suoi presso l’oscura
Magion dell’amor suo. Sceser le navi
475Dell’oceànon 16; egli pugnò; fuggiro
Dal suo brando i stranier: cercò la morte,
Ma chi dar la poteagli? a terra irato
Scagliò lo scudo; una volante freccia
Riscontrò alfine il maschio petto. Ei dormen 17
480Con l’amata Galvina in riva al mare,
E fendendo il nocchier le nordiche onde,
Scorge le verdi tombe, e ne sospira.
Note
- ↑ Cioè il vento notturno, oppure le voci dell’ombre accennate sul fine del canto antecedente.
- ↑ Può paragonarsi quest’apparizione con quella dell’ombra di Patroclo ad Achille. Iliade, c. xxiii, v. 81, e quella di Ettore ad Enea presso Virg. 1. 2.
- ↑ Nome del palagio reale di Fingal.
- ↑ I Caledonii.
- ↑ Nome del cane di Cucullino
- ↑ S’è già veduto altrove che i cantori accompagnavano i capitani alla battaglia. Il loro sacro carattere li rendeva sicuri e rispettabili agli stessi nemici. Perciò essi potevan cantar tranquillamente in mezzo al fragor dell’armi, senza tema di alcun pericolo.
- ↑ Il canto di Carilo è terminato: Ossian comincia la sua narrazione.
- ↑ Simile, benchè in apparenza diversa, è la comparazione presso Omero di Polipete e Leonteo a due querce. V. Iliade, c. ii, v. 154.
- ↑ Scuola di Ulster, per ammaestrarsi nel maneggio dell’armi.
- ↑ Signore irlandese, diverso dal padre di Dregrena.
- ↑ Guerriero scozzese. Non bisogna confonderlo con un altro Comal, padre di Fingal.
- ↑ Contrada appartenente a Morven.
- ↑ Guerriero scozzese, la cui morte è riferita nel nono frammento di poesia antica, pubblicato nel 1761 dallo stesso valente traduttore inglese.
- ↑ Monte della Scozia. Erane un altro di simil nome in Irlanda, di cui si fa menzione nel canto I, e in altri luoghi di questo poema.
- ↑ Forse per fargli una dolce sorpresa? o piuttosto per un principio di gelosia?
- ↑ Cioè: vennero i Danesi per fare una invasione nella Scozia.
- ↑ È nel sepolcro.
Osservazioni al canto secondo
- ↑ [p. 47 modifica]Dopo la precedente descrizione, questa domanda, a dir vero, sembra alquanto strana. Viene alla mente la risposta di colui ad uno che gli domandava perchè piangesse: Mirum quin cantem: condemnatus sum.
- ↑ [p. 47 modifica]Ottimamente il poeta scelse fra tutti il personaggio di Conal, per fargli comparire questa visione. Il suo carattere sedato lo rendeva più atto a prestarle fede, ad inspirarla agli altri, e a dar autorità al consiglio dell’ombra.
- ↑ [p. 47 modifica]Come riluce questo tratto di spirito in mezzo alle tenebre di queste superstizioni! Lo spirito può trovarsi unito all’ignoranza, come la dottrina alla stupidità. Il sentimento di Cucullino fa onore alla svegliatezza del poeta, e mostra che la sua mente era anco in questo superiore al suo secolo. Del resto, le parti di questo dialogo sono egregiamente distribuite, e convengono perfettamente ai caratteri. Conal teme: il timore è padre de’ fantasmi, e dispone alla credulità. Cucullino non sente che il suo eroismo, ed è passionatissimo per la gloria. Questo carattere non s’accorda molto con la superstizione.
- ↑ [p. 47 modifica]Non è proprio che dei grandi maestri il far sentire della differenza nei caratteri simili. Sembra che l’eroismo di Cucullino sia spinto al più alto segno: pure Ossian, senza pregiudicare a questo eroe, trova il modo di farci concepir nel suo Fingal qualche cosa ancor di più grande. Cucullino non può risolversi a fuggire; e perchè? perchè ha vergogna di Fingal. Sembra che questa sia l’idea archetipa della perfezione eroica. Cucullino riguardo ad esso ha quella inferiorità che ha un particolare rispetto al suo universale, una perfetta copia rispetto al suo modello.
- ↑ [p. 47 modifica]Non si farà certamente ad Ossian il rimprovero che Omero fa a sè stesso, che i suoi eroi garriscono, e si svillaneggiano come femminelle; nel che certamente egli si fa giustizia, ed ha più buona fede de’ suoi difensori. Le risposte degli eroi di Ossian sono brevi, gravide di senso, e piene di dignità.
- ↑ [p. 47 modifica]L’azione di un poema è tanto più nobile ed interessante, quanto meno ella si riferisce all’interesse personale dell’eroe. Abbiamo pochi poemi epici d’una tal [p. 48 modifica]nobiltà. Enea vuol fondare un impero negli stati altrui con dritti molto equivoci. Achille non pensa che a soddisfar ciecamente una privata vendetta. Il poema di Ossian, anche in questa parte, è uno dei più perfetti. Cucullino espone la vita per il suo pupillo, Fingal per l’alleato e per l’amico.
- ↑ [p. 48 modifica]La condotta reciproca di questi due eroi ha qualche cosa d’ammirabile. Conal consiglia costantemente la pace. Cucullino vuol sempre la guerra. Con tutto ciò questi è sempre pieno di rispetto e di fiducia nell’amico, e quegli sempre senza mai smentire i suoi sentimenti, lo assiste con fedeltà e con zelo. Questa è una vera scuola di politezza e di virtù. Qual delicatezza di spirito non doveva esser quella di Ossian, per osservare in un secolo barbaro questi esatti e gentili riguardi, che sembrano il frutto della più colta e raffinata società?
- ↑ [p. 48 modifica]Quanto è mai nobile questa indignazione! E come cresce per gradi proporzionatamente! Comincia da un dolce e rispettoso rimprovero a Conal: s’accende al confronto della morte minacciata dall’ombra e del disonore; e termina con una esortazione ai soldati piena di fuoco e di forza.
- ↑ [p. 48 modifica]«Virgilio ci lascia lettori, Omero ci fa spettatori,» dice il Pope. Questo riflesso può applicarsi con più ragione ad Ossian. Omero racconta e particolareggia. Ossian è presente all’azione e ne risente tutti gli effetti. I vari slanci del suo cuore, espressi nel suo stile patetico, rimbalzano sopra il nostro. La narrazione di Omero è troppo distesa per poterci fare illusione. — In Omero si ascolta, in Ossian si sente.
- ↑ [p. 48 modifica]Il traduttore inglese cita qui un luogo di Virgilio nel xii dell’Eneide, v. 701.
- Quantus Athos, aut quantus Eryx, aut ipse coruscis
- Cum fremit illicibus quantus, gaudetque nivali
- Vertice se attollons pater Apenninus ad auras.
- ↑ [p. 48 modifica]Non è da tutti il produrre sulla scena il suo eroe a tempo. Se Fingal fosse giunto prima, il suo arrivo non avrebbe fatta un’impressione così gagliarda. Lo stile tronco [p. 49 modifica]ed esultante del nunzio, mostra l’importanza della sua venuta. Pure Fingal non è ancor giunto, ma solo annunziato. Il poeta lo riserba per un colpo di maggior efficacia.
- ↑ [p. 49 modifica]Il rimproverarsi le colpe involontarie è l’ultima delicatezza della virtù.
- ↑ [p. 49 modifica]Questa istoria è d’un genere diverso dall’altre, ed interessa in un modo particolare. Ella presenta un eccellente contrasto fra l’amore e l’amicizia. Il carattere di Ferda è veramente tragico. Egli è virtuoso, ma debole, e resta vittima della sua debolezza. Il lettore lo condanna e lo compiange.
- ↑ [p. 49 modifica]In Deugala è rappresentato vivissimamente il modello d’una donna superba, imperiosa ed artificiosa, che abusa della debolezza del suo amante, e lo conduce ad un delitto per un suo vano puntiglio. Questa parte è maneggiata con un’eccellenza che sorprende. Osservisi il tono brusco e tronco con cui parla allo sposo; la precisione, l’imperiosità coll’amante. M’offese, si uccida. - E’ amico. E che perciò? io lo voglio. Poi si viene alla malìa delle lagrime: per ultimo si punge l’amante nella parte più delicata per un eroe, cioè nell’onore. Quante Deugale pronte a rovinar gli amanti per una spilla, non che per un toro! Giovani, in Ferda specchiatevi.
- ↑ [p. 49 modifica]Nell’estremo delle passioni il poeta non mette per lo più che due o tre parole in bocca de’ suoi personaggi; e molte volte egli esprime l’affetto con un silenzio più eloquente d’ogni discorso. Questo è il velo di Timante sul volto d’Agamennone nel sacrizio d’Ifigenia.
Curae leves loquuntur, ingentes stupent.