Filli di Sciro – Discorsi e appendice/Appendice/IV

Testimonianze e giudizi

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Appendice - III Nota


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IV TESTIMONIANZE E GIUDIZI GuiDUBALDO BONARELLI.

          
Tolsemi al bel Metauro
          il tiranno de’ fiumi,
          quel e’ha titol di re, fronte di tauro;
          indi al mio stil, ne’ margini palustri
          de’ suoi ricetti algosi,
          alzٍ palchi pomposi
          di chiare faci e di pitture illustri.
          Ma di fregi e di lumi
          ad arricchir mille teatri e mille
          bastava la beltà de la mia Fille.
          (G. ?. Marino, Galleria),
          In morte di Guidubaldo Bonarelli.
          — Tirsi, il mio caro amor, Tirsi morio:
          o stato instabil de l’umane cose!
          Non si tosto a la luce egli m’espose,
          che chiuse i lumi in sempiterno oblio.
          Già lieta (oimè) nel mio natal vad’io
          apparecchiar sul Po scene pompose:

[p. 302 modifica]or quelle faci altere e luminose

par che apprestili l’esequie al morir mio. Piangon le Grazie sbigottite e smorte: le Muse no, che al suo morir morirٍ; nacquer già seco, ed or son seco morte. Ed io morir dovrei, ma vivo e spiro, perch’ei viva immortal. — Cosí la morte pianse del suo pastor Fillide in Stiro. (G. B. Marino). « In cotesta provincia [UrbinoJ avrà medesimamente V. S. mille informazioni del signor conte Guidobaldo Bonarelli di felice ricordanza, perché egli nacque in Pesaro, per quanto egli stesso mi disse un giorno in Modona, benché la sua casa sia nobilissima in Ancona, dove al presente vive il signor conte Prospero suo fratello, cavaliere e poeta anche nobilis- ï simo. Quelle vivezze pellegrine della bellissima Filli di Stiro dimostrano la qualità del nobilissimo intelletto del conte Gui- dobaldo, e la difesa del doppio amore introdotto in quella fsua pastorale, ch’è l’ottima tra le migliori e l’emula dell’ottime ،per non dir vincitrice, e per nobiltà e purezza di frase e per \arguzia di concetti accenna che l’autore seppe egualmente ’immortalarsi nelle filosofie e nelle poesie, nel correr le poste per negozi de’ principi da lui serviti e nel passeggiar il Liceo virtuoso del Parnaso da lui pratticato. La difesa eccellente di quel doppio amore rende più ammirabile il doppio carico da V. S. sostenuto; onde per interesse suo proprio deve tanto più lodarla e commendarla. » (Lettera di G. B. Marino, del 1624 o 1625, ad Antonio Bruni, segretario del duca di Urbino, in Epistolario, Laterza, ?. PP· 73-74·] [p. 303 modifica]

  • *

Non cosí tosto la nostra Accademia publicَ per le stampe la Filli, pastorale del conte Guidubaldo de’ Bonarelli, che a un tratto qui e altrove s’udirono più strepitosi sussurri, perché quel nobile ingegno di finger nella persona di Celia due amori eguali ad un tempo avesse avuto ardire, stimando costoro che si fatta credenza altrettanto offendesse la maestà d’Amore quanto da prima empie e sacrileghe parvero agli Ateniesi l’accuse date a Socrate. E crebbe in guisa il bucinamento delle continue ragunanze, ch’e’ venne all’orecchie del conte medemo; il quale sentendo che l’opinione di quel doppio amor s’avea da molti non pur per contumace e ribellante, ma del tutto dissipita e senza fondamento, gli si commossero in guisa le viscere del paterno amore, che di render del suo trovato in publica accademia e con discorsi e con disputa- zioni severo conto e rigoroso non fu bastante a contenersi... Quei Discorsi adunque, che con tanta grazia il conte Guidu- baldo spiegٍ con la voce, quegli stessi con mirabil arte poco dopo distese con la penna, affinchè se, in quella guisa che Aiace, il più generoso guerriero (almeno trattone Achille) che con quella grande e poderosa oste si trovava a Troia, non poteva (secondoché scrivono alcuni) che nel fianco esser ferito, nella stessa, vedendo egli a questa una parte della sua favola, quasi che nel rimanente impenetrabil la giudicassero, dirizzati come a segno tutti i colpi altrui, da cosi forte piastra la tro- vasser difesa, che leggier danno qualunque più valoroso ed ostinato saettamento vi facesse. Egli appena avea ridotti i Discorsi nella presente forma, che venuto assai per tempo il di dell’ultima sua partenza, d’opera si fina e vaga reda lasciٍ la nostra Accademia; forse perché, se alla medema, se stesso privandone che n’era il padre, avea donata la Filli, questa fosse la dote onde più ragguardevoli apparissero le neglette sembianze di cosi nobile e timidetta pastorella. Ricevette il Collegio i Discorsi: i quali dopo essere stati per le mani di [p. 304 modifica]più accademici, alla fine si è determinato di non defraudar più lungamente, col tenerli nascosti e sepolti, della dovuta gloria la dolce nominanza di quel gentile spirito, se perٍ nascosta e sepolta si puٍ dir quell’opera, di cui non pure si fanno tra dame e cavalieri, ma tra principi e alti ingegni si preziose conserve. [Ottavio Tieni, segretario dell’Accademia degli Intrepidi, nella dedica dei Discorsi in difesa del doppio atnore di Celia, 1612.] Septem Maeonides certantes reddidit urbes, ilium dum iactat quaelibet esset suum: tu facis Aonias studiis contendere Musas, dilectus cunctis dum, Bonarelle, canis: te petit Euterpe, picto si digna cothurno, verba sophoclaeo grandia ab ore tonans: carmine ludentem tenui mimisque Thalia te decus hinc socci praedicat egregium: montibus et sylvis Nymphas deducit agrestes, si memoret flammas Phillis amata suas. Inter Pierides alter tu Cynthius, ille divisum tecum detinet Imperium: ipse in Romanos numéros sibi iura réservât, at tibi in Hetruscos sceptra regenda dedit. [Epigramma di Girolamo Bartolomei, in Iacopo Gaddi, Elogi storici in versi e’?i prosa, Firenze, 1639, pp. 114-15.]

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Hic nobilis comitis Guidobaldi partus alium ex se peperit, non minus illustrem et clarum, atque haud scio an doctrinae varietate, eruditionis magnitudine, rerum plurimarum scientia, iudicii acumine, ingenii amoenitate ilio longe maiorem atque praestantiorem : defensionem nimirum eclogae suae. Introdu[p. 305 modifica]xerat ille nympham, Caeliam nomine, uno eodemque tempore peraeque duorum hominum amore captam ardere ita misere, ut quo se ab eius flammae ita contortae implicataeque quasi laqueis expediret, cum nulla alia ratio occurreret, mortem oppetere non dubitaret: quae omnia, cum pluribus incredibilia viderentur, illudque praesertim absurdum et contra amoris leges occurreret, quod una, eodem tempore, duorum cupidine efflictim deperiret, quae leges non plus uno uni concedunt, in quo amando diligendoque omnes animi vires omnesque industriae suae ٌervos contendati haec ille et rationibus ex intima philosophia depromptis fieri posse, et exemplis ex omnium saeculorum memoria repetitis saepius factum esse défendit, tanta sententiarum rerumque copia, ut multis suspi- candi locum aperuerit antea defensionem peccato comparatam, quam peccatum, si tarnen peccatum illud fuit, admissum, neque aliam íli i fuisse rationem, cur illud potissimum argumentum in actus deduceret, nisi ut ingenium declararet, quantamque vim doctrinae complexus esset, ostenderet. Sed, ut sese res habeat, perfectum est illud opus, plenumque literatae venustatis atque prudentiae. Quod si eo quisque doctior existimatur, quo enucleatius ac dilucidius aliis possit, quae ipse didicerit, tradere, quantam in homine et, quod est incredibile, militari atque perpetuo aulicis occupationibus distructo, intelligentiam fuisse oportet, qui de rebus subtilissimis obscurissimisque ita aperte, perspicue ac distincte locutus est, ut eas planius ac melius dici non desideres? [Iani Nicii Erithraei (Gian Vittorio Rossi) Pinacotheca ímaginum illustrium doctrinae vel ingenti laude virorum, qui, auctore superstite, diem suum obierunt. Coloniae Agrippinae, apud Iodocum Kalcovium, MDCXLV, pp. 14-17·]

  1. *

[La Filli] possiede gli applausi delle più dotte accademie d’Italia: tradotta nell’idioma francese, fu da Madama Reale di Savoia colle sue dame rappresentata: superate le Alpi, G. BoNARELLi, Filli di Sciro. 20 [p. 306 modifica]trionfٍ nelle lodi datele dalle penne francesi, oggi al pari delle spade gloriose, e specialmente nell’elogio del gran Car- dinale Duca di Richelieu, registrato da nions. Isnardi, il quale nella prefazione al Duca d’Orléans, dopo quelle notabili pa- role in lode della Filli (son sujet le plus divers et le mieux imaginé, qu’on ait encore veu par ois tre, a receu sa forme de ce grand Guidobaldo, pour qui ce genre de poésie a mérité la préférence entre tous les poètes italiens, bien que peut eslre ceux qui sont les passionnés pour la gloire du Tasse fie soie/it de notre party), soggiunge il giudizio di questo prudentissimo principe: « Ce grand Cardinal, au sentiment duquel tous les nostres se doivent assujettir, ne l’a-t’il pas honorée de son assistance et de son approbation? et ne luy a-t’il pas de sa Propre bouche donné ce glorieux éloge, que c’esioit la pastorelle la plus juste et la mieux travaillée qu’on eust encore veüe? Après un si raisonnable jugeme?it, en petit-Ofi faire des contraires sans vider le sens commun ou sans se préparer à une honteuse pali- nodie f» E certo pare che la Francia abbia mostrato tenerezza d’affetto materno nell’accarezzare le opere e la persona del conte, quelle per esser parto d’un ingegno addottrinato nelle accademie di lei, questa perché riconobbe la sua origine dalla stirpe de’duchi di Normandia, onorata alcuna volta coli’in- nesto de’ rampolli de’ monarchi di Francia. [Francesco Ronconi, dedica al cardinale Antonio Bar- berini dell’edizione di Roma del 1640.)

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«Nella conversazion delle Muse compose la Filli di Stiro, favola pastorale, indi la Difesa del doppio amore che nella detta favola osservossi, non mancando perٍ chi creda ch’egli prima componesse la difesa e poscia la favola, per apportare, insieme con la novità d’un doppio amore, un grande argomento della sua dottrina, essendo pieno il libro delle più sublimi materie scientifiche e delle più recondite erudizioni. [Lorenzo Crasso, Degli elogi degli uomini illustri, Ve- nezia, 1666, parte II, p. 99 e sg.] [p. 307 modifica][Accennato ad alcuni versi del Tasso accusali d’affettazione, un interlocutore del dialogo osserva’]: Si c’est de l’affectation, je crains biens pour des pensées du Bonarelli dans sa Filli di Sciro, sur des sujets tout semblables. Aminte étant en peine de Célie qui le fuyoit et qui avoit disparu, déclare qu’il la suivra en quelque lieu du monde qu’elle aille. «J’aurai le plaisir, dit-il, de suivre vos pas, et je reconnoîtrai par où vous aurez passé aux fleurs qui seront en plus grand nombre sur votre chemin » : (conoscerollo ai fiori ove sarلn più folti). «J’aurai le plaisir de respirer l’air que vous aurez respiré vous-même, et je le reconnoîtrai à je ne sais quelle fraîcheur plus douce »: (conoscerollo a l’aure ove sarلn più dolci). Le même poète, au sujet d’une autre bergère qui craignoit d’être reconnue et qui prétendoit le cacher, fait dire à un berger qui lui parle: «II sort de vos yeux je ne sais quelle lumière trop vive qui ne se voit point ailleurs. A une clarté si brillante on vous connoîtra bientôt, et vous ne pourrez jamais demeurer cachée»: (ma da quegli occhi tuoi non so qual luce, che ’n altrui non si vede, troppo viva risplende; a tanto lume non potrai star nascosa). Voilà bien des gentillesses à quoi Terence n’a point pensé, repartit Eudoxe; mais par malheur ces jolies pensées sont [p. 308 modifica]pleines d’affectation, et je ne m’en étonne pas. Les poetes italiens ne sont guère naturels, il fardent tout; et le Tasse, par ce seul endroit, est bien au-dessous de Virgile. » [D. Bouhours: La manière de bien penser dans les ou- vrages d’esprit, Paris, 1687, Dialogues II, p. 248.]

II duca Alfonso si compiaceva oltremodo [delle favole pastorali]; e Guidubaldo, che niente più desiderava che la soddisfazione di un principe a lui cosi grato, imprese a for- mare la sua Filli di Sciro, pastorale di tal bellezza, che in lei rassembrano chiusi tutti i poetici fiori e tutte le delizie di Pindo. Fuori delle due favole del Guarini e del Tasso, alle quali per opinione di molti puٍ andar del pari, non puٍ leg- gersi favola alcuna boschereccia che più della sua Filli abbia proprietà nello ’ntreccio, dolcezza nello stile e squisitezza nel sentimento. Ella fu accolta da tutti con quegli applausi che meritava; ed egli modestamente ne rifondeva tutta la gloria nel duca, la benignità del cui patrio cielo, diceva egli, aveva inspirata a’ Boiardi, agli Ariosti, a’ Tassi, a’ Guarini ed a tanti altri la poetica fantasia. Questo nobile parto di Guidubaldo ne fu cagione di un altro non men di esso eccellente, ripieno della più profonda dottrina e dettato col più delicato giudizio che concepir mai si possa. Aveva egli nella sua Filli introdotta una ninfa onesta per nome Celia, che nello stesso momento e d’un amore uguale s’era accesa di due pastori, Niso ed Aminta; cosicché, non trovando altro rimedio al suo amore, non dubitasse di voler incontrare per cagione di tutti e due violentemente la morte. Un amore si stravagante, e non più sulle scene praticato, offese la delicatezza di molti, i quali negavano apertamente che in un sol tempo si potessero amar del pari due soggetti, essendo ciٍ contrario alla comune spe- rienza e alla probabil ragione. Guidubaldo allora imprese a formar la Difesa del doppio amore di Celia, mostrando con qual fondamento lo avesse nella sua favola introdotto, e so[p. 309 modifica]stenendo con si efficaci argomenti la possibilità di quell’avve- nimento, che molti hanno stimato aver lui composta prima la Difesa che la pastorale, per apportare, con la novità di quel doppio amore, un’invincibile pruova del suo sapere. E veramente quest’opera è ripiena di tali cognizioni scientifiche, tratte dal fondo della filosofia, ch’ella con giustizia è riputata una delle più belle fatiche che nella nostra lingua sieno comparse... I nuovi e cortesi inviti, che tutto di con sue lettere gli replicava il duca di Modana, fecero nuovamente determinar Guidubaldo a far ritorno a quel cielo dove la sua fama aveva ricevuto i suoi maggiori incrementi. Allora fu che nell’Acca- demia degli Intrepidi di Ferrara, con somma contentezza de’ congiunti e degli amici, alla presenza de’ cardinali Pio e Bevi- lacqua che molto lo amavano, recitٍ la sopraccennata Difesa, applaudendogli in ogni congresso a piene voci tutto la ragu- nanza... ،Apostolo Zeno, dalla vita del Bonarelli, premessa all’edi- zione Hertz, Venezia, 1700.] «Le Bonarelli ne pût empêcher qu’il ne se glissât dans la foule de ses admirateurs un bon nombre de jaloux qui étant pour la plupart les plus beaux esprits du tems, craignoient apparemment que ce nouveau venu sur le Parnasse ne les fit descendre chacun d’un degré. Cet intérêt commun les porta à examiner sa pièce avec exactitude; ils y trouvèrent diverses choses à redire. Mais le public ayant été charmé d’abord, il ne fut pas possible de le faire revenir de son enchantement, et il n’eut point d’oreilles pour écouter ces censeurs. Ceux d’entre eux qui sont d’ailleurs les plus friands des matières erotiques n’ont pu lui pardonner une nouveauté dont ils disent qu’on n’avoit point encore vu d’exemple jusqu’alors. Je ne puis en parler sans faire violence aux sentiment de la pudeur que je dois avoir; mais comme il s’agit d’inspirer au lecteur [p. 310 modifica]un juste dégoût pour une pièce dangereuse, j’en serai quitte pour un peu de confusion, si je dis après Mr. Rosteau, le Sr. Crasso, le Sr. Rossi et les autres, qu’on a blâmé le Bona- relli d’avoir introduit dans sa pièce une nymphe nommée Célie, qui aime également deux bergers tout à la fois, mais avec tant de passion et de fureur même qu’elle ne trouve que la mort qui puisse terminer le différend. Le Bonarelli se sentit piqué d’honneur, et voulant faire voir qu’il savait fort bien défendre ses fautes, il entreprit de prouver que le point qu’on lui reprochoit n’en étoit pas une. Il prétendit même justifier toute sa pièce par un traité italien qu’il fit exprès pour la ] défense de ce double amour sous le titre de Discorsi in difesa del doppio amore della sua Celia. C’est une pièce pleine d’esprit „ et d’érudition, et elle a paru si polie et si doctement travaillée, qu’on a crû que la faute qu’il avoit faite touchant les deux amours étoit un peché de pure malice, et qu’il l’avoit voulu commettre exprès pour avoir occasion de montrer au public jusqu’où pouvoit aller sa capacité pour défendre des paradoxes. Ce n’est pas que les censeurs ne soient retournés à la charge, et voyant qu’ils ne pouvoient attaquer la forme de la pièce ils se sont jettes sur la matière, et ont dit qu’il y avoit trop de philosophie et· trop de recherches sur un sujet d’amour. A dire le vrai, le Bonarelli a donné dans cet ouvrage des preuves de son habileté et de la beauté de son génie, mais il n’a pas suffisamment prouvé ce qui étoit en question. De sorte que l’on considérera toujours cet endroit de sa Philis comme une faute de jugement très-importante, et toute la pièce en général comme un piège dressé contre l’innocence et la pureté des moeurs. Pour ce qui regarde les manières et les expressions dans cet ouvrage, le père Rapin a remarqué que l’auteur pensoit toujours moins à dire les choses naturellement qu’à les dire avec esprit. » [Adrien Baillet, Jugemens des savons sur les principaux ouvrages des auteurs, Paris, 1722, t. V, n. 1378.] [p. 311 modifica]

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[II Baillet] prima di lasciarsi uscir di bocca l’accusa [d’im- moralità] fa sembiante d’agitarsi e di contorcersi, quasiché non possa pronunziarla senza rossore e senza patimento della propria modestia. Al fine la caccia fuori dei denti, e si lascia intendere che, per ragion del doppio amore finto nella persona di Celia entro la pastorale della Filli di Sciro, viene ad esser quell’opera totalmente diretta alla distruzione dell’innocenza ed alla corruttela de’ costumi. Troppa trascuraggine sarebbe il lasciar correre una si animosa sentenza. Ditemi in grazia: come si puٍ mai umanamente concepire che sieno carnali i due amori di Celia verso Aminta e Niso, e concepir dubbio nel medesimo tempo che sieno inverosimili o impossibili? Pur troppo è vero, non che verisimile, che uomini e donne amano al mondo più persone carnalmente, o per meglio dire amano di sfogar con più persone la loro concupiscenza. Di cert’altre femmine poi, che se non per libidine, per pura vaghezza di tirarsi dietro ampio corteggio, dan pastocchie a molti zerbini, non iscarseggia veruna terra; ma tra queste, cui nomano coquettes i franzesi, ben conobbe il traduttor della Filli di Sciro che non era da noverarsi Celia. Ammesso il supposto che libidinosi o per lo men capricciosi esser potessero gli amori della ninfa, qual luogo più restava al sospetto che poi fossero fuori del verisimile, anzi dell’usitato? La difficulté suscitata in Italia contra l’invenzione del Bonarelli tutta ri- guardava G inverosimilitudine; e la difficultل tutta si riduceva nel riconoscere se due amori innocenti e retti potessero darsi ad un’ora in un solo cuore. A rimuover questa unicamente ebbe mira la dotta Difesa che stampٍ il Bonarelli, siccome in questa unicamente si fondava l’opposizione. In una parola, non poteva ella sussistere, senzaché sussistesse dall’altro canto l’innocenza dell’amore di Celia: talché gli avversari stessi, nel produrre la loro obbiezione, vennero per conseguenza a pro- durre un’incontrastabile pruova dell’onesto costume di quella [p. 312 modifica]ninfa. Sarebbe stato in necessità di confessarlo anche Baillet, se avesse voluto argomentare secondo il ragionevole, e secondo che argomentٍ quel medesimo letterato franzese, il qual tra- dusse in sua lingua questa pastorale, dopo aver tradotto Y Ambita e il Pastor Fido. [G. D. Orsi, Considerazioni sopra la « Maniera di ben pen- sare ne1 componimenti» del P. Domenico Bouhours della Com- pagnia di Gesù, Modena, 1735, Dialogo VII, pp. 326 e sg.J

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Disaminiamo la libertà de’ poeti quando essi parlano. Dissi che facilmente son verisimili a loro le immagini intellettuali, quantunque ingegnose e molto pensate, come ancor le fanta- stiche, tuttoché straordinarie talvolta, bizzarre ed ardite. Im- perciocché il ragionamento loro si suppone molto pensato e meditato, onde l’ingegno puٍ far naturalmente delle riflessioni acutissime, meditando egli allora con agio le cose. Supposta eziando la lor fantasia agitata da qualche gagliardo affetto, o per arte o per natura in essi risvegliato, puٍ ella probabil- mente ben ruminare gli oggetti e concepire a sua voglia imma- gini strane e capricciose. Di fatto se si osserveranno le poesie di tanti eccellenti autori, e massimamente de’lirici, s’incon- treranno mille ingegnosissime riflessioni e spiritose immagini della fantasia. Per lo contrario le immagini che si pongono da’ poeti in bocca d’altre persone, affinchè sieno verisimili è necessario che imitino la natura, e l’affetto e il costume di quelle tali persone. Ed essendo che il ragionamento degli uomini continuato ed improvviso non da tempo all’ingegno o alla fantasia di far tutte le riflessioni, di concepir tutte le immagini che potrebbono uscir della loro mente se con agio meditassero le cose, quindi è che si l’una come l’altra potenza hanno da tenersi con molto maggior riguardo in briglia. Puٍ per esempio dubitarsi da taluno che sieno verisimili in bocca d’Aminta pastore questi versi, che si leggono nella scena quarta, atto I della Filli di Sciro. Dopo aver egli detto che [p. 313 modifica]andrà seguendo la sua ninfa dovunque ella sen fugga, segue a dire : godrٍ di gir lambendo là ’ve tu poni il piede: conoscerollo ai fiori, ove saran più folti ; godrٍ di sugger l’aria che bacia il tuo bel volto; conoscerollo a l’aure ove saran più dolci. Queste immagini, dico, figliuole della fantasia, possono a taluno parere inverisimili in Aminta, non solendo gli uomini verisímilmente in ragionamento improvviso e non ،studiato parlar con immagini cotanto studiate e con deliri tanto inge- gnosi. Che se un poeta parlasse egli stesso a dirittura in qualche sonetto e rappresentasse le medesime vaghe immagini, niuno potrebbe allora dubitar della loro verisimiglianza. Cosi parmi che sarebbe lodevole in un componimento pastorale parlare in tal guisa: Ond’è che in questo colle fortunato più folti i fior, l’erba più verde io miro? E più dolce de’ zeffiri il respiro, e lieto ride il suoi più dell’usato ? Qui certo fu la ninfa mia poc’anzi : il suo venir sentَn le cose tutte ecc. Cosi non v’ha chi riprovi il Petrarca, allorché dice di Laura: Costei, che co’ begli occhi le campagne accende, e con le piante l’erbe infiora. Ancora il Tasso leggiadramente in un sonetto rapportٍ la stessa immagine fantastica, dicendo: Colei che sovra ogni altra amo ed onoro fiori coglier vid’io su questa riva; [p. 314 modifica]ma’ non tanti la man cogliea di loro, quanti fra l’erbe il bianco pie n’apriva. Fu parimente da Antonio Ongaro in un altro sonetto ado- perato il medesimo sentimento (e probabilmente lo copiٍ questi dal Tasso): Allor la mia bellissima Licori sul Tebro al suo bel crin vil fregio ordiva; ma non cogliea, cantando, tanti fiori, quanti con gli occhi e col bel pie n’apriva. Ora alta ragione esserci non puٍ perché la stessa imma- gine fantastica possa dubitarsi inverisimile in bocca del pastore introdotto dal Bonarelli, e sia poi verisimile e bella in bocca di questi altri poeti; se non che il poeta, quando egli diritta- mente ragiona, vien supposto che pensi e ripensi con agio ad ogni sua immagine, e scelga con istudio dalla fantasia com- mossa que’ fantasmi che gli sembrano più vaghi e leggiadri. Laddove il pastore, introdotto a parlar dal poeta, si dee sup- porre che parli all’improvviso, con sentimenti naturali, e senza tempo di meditare e pulir con grande artifizio le immagini sue. Non è pertanto verisimile che i sentimenti suoi sieno cotanto studiati ed ornati, come è verisimile che possano esser quelli di chi agiatamente gli concepisce, gli rumina e sceglie... (pp. 306-308) ... Se noi parliam delle immagini fantastiche, egli non v’ha passione che si naturalmente ne sia feconda, come l’amore. La potenza immaginante è tutta piena dell’oggetto amato, e sta quasi in continuo moto, ruminando la beltà di esso e le maniere di farsi amare, onde facilmente forma infiniti vaghis- simi deliri. L’oggetto amato diviene allora si bello e grande a questa potenza, che l’amante comincia a crederlo di gran lunga più perfetto che prima non gli sembrava; e di qui nasce quell’immaginare che la bellezza amata sia cagione e fonte di tutte l’altre belle cose, di tutti gli effetti più riguardevoli [p. 315 modifica]della natura, e ch’ella sia il maggior bene e la più nobil cosa che si veggia nel mondo inferiore. Questi ed altri somiglianti deliri vengono dalla fantasia, che nell’amore tien quasi sempre le briglie dell’anima, e non lascia regnar la ragione... E qui non ci dispiacerà di ripetere e chiamar di nuovo sotto l’esame alcuni versi del Bonarelli nella scena quarta, atto I della Filli di Sciro. Noi dicemmo che possono da taluno credersi poco naturali e men verisimili ; e di fatto cosi ne giudica l’autor francese della Maniera di ben pensare. Aminta, dopo essere per tre mesi a cagion delle ferite stato in letto, esce finalmente alla campagna, e tutto solo va ripensando a Celia, da lui altamente amata, e che per tanto tempo non s’era lasciata da lui vedere, anzi il fuggiva. Tra l’altre cose dice che la seguirل ovunque ella vada: godrٍ pur di seguire, ancorché ’nvano, del leggiadretto pie l’orme fugaci; godrٍ di gir lambendo là’ve tu poni il piede; conoscerollo ai fiori, ove saran più folti ; godrٍ di sugger l’aria che bacia il tuo bel volto; conoscerollo a l’aure ove saran più dolci ecc. Io per me non oserei si francamente condannar questa immagine, per altro già difesa dall’autore delle Considerazioni intorno alla maniera di ben pensare. Imperciocché, secondo le cose dette avanti, essendo verisimile alla fantasia d’un pastore innamorato che tutti i fiori e la bellezza delle campagne venga dalla presenza della sua ninfa, non dee per conseguenza parerci troppo studiato, ornato ed inverisimile il pensiero d’Aminta, alla cui fantasia si rappresenta lo stesso. Anche il Petrarca nel sonetto 172 leggiadramente prima del Bonarelli pregٍ il Rodano che avanti di giungere al mare si fermasse ov’egli scorgesse l’erba più verde e l’aria più serena, perché quivi era Laura, il suo sole, e che a lei baciasse il piede e la mano [p. 316 modifica]in suo nome. Comeché sia più ardita questa immagine, pure io son certo che a tutti parrà gentilissima e verisimile, onde il medesimo dovrebbe pur dirsi di quella del Bonarelli. Ma si puٍ forse opporre che il Petrarca parla a dirittura, né intro- duce altri a parlare all’improvviso, e che i pastori di Teocrito e di Virgilio cantano e non favellano familiarmente. Il cantar loro è lo stesso come se fossero poeti immediatamente par- lanti; onde lor si conviene maggior libertà d’immaginare che a quegli che sono introdotti a favellar dimesticamente fra loro. Ciٍ è vero, ma fa d’uopo ancora osservare come il Bonarelli ci rappresenta il suo Aminta. Ce lo fa egli vedere in un delirio amoroso, e ragionante fra se stesso, non con altre persone, in un soliloquio. Ora in tale stato la fantasia si lascia libe- ramente portare ad immaginar leggiadre, belle e spiritose pazzie, poco badandosi dall’intelletto s’ella s’inganni. Senza che, quando noi parliamo internamente fra noi stessi (come fa in effetto Aminta, benché si faccia udire al popolo quel suo ragionamento interno per una licenza introdotta da’ poeti ed approvata nel teatro), non avendovi persona che ascoltando ne dia, per cosi dir, suggezione, la fantasia volentieri vaneggia e liberamente delira. Ciٍ si scorge per isperienza non solo negli amanti, ma negli avari, ed in chi è preso da vaste spe- ranze di crescere in fortuna, perché allora la fantasia dolce- mente sogna vegliando e s’immagina mille dilettevoli e strane cose, che parlandosi con altrui verisímilmente poi non si di- rebbero, per non acquistar titolo di pazzo. Cosi la fantasia d’Aminta in un soliloquio, essendo rapita da un amoroso delirio, immagina di poter conoscere ove sarà passata Celia, in veggendo quivi più folti i fiori, in sentendo l’aria più dolce. Segue con altre immagini a delirare; ma poi, ravvedendosi alquanto l’intelletto de’ vaneggiamenti della fantasia, dice appresso: Ma, stolto! in van raggiro gli occhi al cielo, a la terra: veggio ben gigli e rose, e veggio il sole, ma Celia non appare. [p. 317 modifica]Comunque perٍ voglia giudicarsi di questo passo, a me pare ahnen certo che con minore fondamento il P. Bouhours riprovasse alcuni altri versi del Bonarelli, trattandoli da inve- risimili ed affettati al par de’ primi. Temendo Melisso, padre supposto di Clori, o sia Filli, ch’essa di nuovo sia scoperta dai turchi, le persuade a mischiarsi coll’altre ninfe, con dire: perché fra l’altre in torma se ti veggono i traci, sarai men conosciuta. Poi soggiunge che tuttavia teme che la sua non ordinaria bellezza la scuopra. Ma da quegli occhi tuoi non so qual luce, che ’n altrui non si vede, troppo viva risplende; a tanto lume non potrai star nascosa. Se questo sentimento è affettato, quali sono mai i naturali? Il senso puro de’ versi è tale: ma tu hai negli occhi un certo brio, una certa vivacità, che non si mira nelle altre, onde sarai tosto osservata e scoperta. Il perché segue a dirle ch’ella scio- gliendosi intorno alla fronte i capelli procuri d’adombrar le sue sembianze : Fa’ che quasi per vezzo sparso intorno a la fronte il crin disciolto le tue belle sembianze vada in parte adombrando: tanto parrai men dessa, quanto parrai men bella. Io non so credere che il censor franzese potesse giudi- care inverisimile il sentimento, quale da me si è posto in prosa, poiché egli pure lodٍ, come ragion volea, non poco l’immagine attribuita da Terenzio ad un giovane, il quale [p. 318 modifica]cercando e non trovando certa bella donna da lui fervidamente amata, cosi ragiona : Ubi quaeram? ubi investigem? quem perconter? quam [insistami viatn? Incertus sum. Una haec spes est: ubi, ubi est, diu [celari non potest. Aggiunge il detto censore che «non v’ha sentimento più naturai di questo, essendo proprio d’una gran bellezza il tirare a sé gli occhi di tutti e di risplendere ». Sicché la ragione, per cui poté parergli affettato e non verisimile il sentimento qual’è ne’ versi, procederل da quelle traslazioni luce, lume e risplen- dere, quasiché a questo lume immaginario s’attribuisca la virtù del lume vero, che è quella di non poter nascordersi al guardo altrui. Ma s’egli condannٍ per questo il Bonarelli, si contenti ch’io dica per ،scherzo ch’egli mostrٍ di non vederci molto in tanta luce. Sono semplici, naturali, anzi direi oggimai tri- viali queste metafore (e le adopereremo con tutta libertà nel ragionamento famigliare ancor noi); né su loro si fonda il concetto. Ciٍ, secondo la regola altre volte da noi proposta, "si conosce, ponendosi in vece delle traslazioni il significato proprio del sentimento. A chi non parrà un concetto verisi- mile e naturale il dire: «tu porti negli occhi una tal vaghezza spiritosa, che non potrai celarti fra l’altre ninfe»? Vedasi ora questo senso con frase poetica, e il brio, la vivadla e la spi- ritosa vaghezza si chiamino luce, lume e splendor degli occhi: noi diremo lo stesso, ma più ornatamente e con frase non volgare, secondoché han da fare i poeti. Adunque, fondandosi non sulla metafora, ma sulla proprietà e sul vero interno della materia la beltà del pensiero, sussistendo questa ancor senza le metafore, né scherzando punto il pastore su quella luce né su quel lume, chi non vede che il sentimento è verisimile e vero, poiché supponiam come cosa certa che Clori fosse una bellissima ninfa, e più bella di tutte l’altre di quella contrada, onde sarebbe stata di leggieri osservata fra l’altre? E qui [p. 319 modifica]convien ben dire che non poté il critico franzese sceglier luogo men proprio di questo per profferire una modestissima sentenza contro i poeti italiani, dicendo egli, dopo aver citati i versi del Bonarelli: «Eccovi delle galanterie, alle quali non pensٍ mai Terenzio. Ma per disavventura questi si ameni pensieri son pieni d’affettazione, ed io punto non me ne stupisco. I poeti italiani non son molto naturali : essi imbellettano ogni cosa ». ( Voila bien desgentilesses, a quoy Terence ría point pensé: mais Par malheur ces jolies pensées sont pleines d’affectation; et je ne m’en éto mie pas. Les poetes italiens ne sont gîter e s naturels; Us fardent tout.) Né pur luogo proprio era questo di citar nel margine del libro contra il Bonarelli ciٍ che Quin- tiliano scrisse nel lib. Vili, cap. 5 delle Instituzioni oratorie: Minuti corruptique sensiculi et extra rem petiti. A chi non è palese che mal si confa l’osservazione di Quintiliano ai citati versi ? [L. A. Muratori, Della perfetta poesia italiana, voi. I, 331-35·]