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ma’ non tanti la man cogliea di loro, quanti fra l’erbe il bianco pie n’apriva. Fu parimente da Antonio Ongaro in un altro sonetto ado- perato il medesimo sentimento (e probabilmente lo copiٍ questi dal Tasso): Allor la mia bellissima Licori sul Tebro al suo bel crin vil fregio ordiva; ma non cogliea, cantando, tanti fiori, quanti con gli occhi e col bel pie n’apriva. Ora alta ragione esserci non puٍ perché la stessa imma- gine fantastica possa dubitarsi inverisimile in bocca del pastore introdotto dal Bonarelli, e sia poi verisimile e bella in bocca di questi altri poeti; se non che il poeta, quando egli diritta- mente ragiona, vien supposto che pensi e ripensi con agio ad ogni sua immagine, e scelga con istudio dalla fantasia com- mossa que’ fantasmi che gli sembrano più vaghi e leggiadri. Laddove il pastore, introdotto a parlar dal poeta, si dee sup- porre che parli all’improvviso, con sentimenti naturali, e senza tempo di meditare e pulir con grande artifizio le immagini sue. Non è pertanto verisimile che i sentimenti suoi sieno cotanto studiati ed ornati, come è verisimile che possano esser quelli di chi agiatamente gli concepisce, gli rumina e sceglie... (pp. 306-308) ... Se noi parliam delle immagini fantastiche, egli non v’ha passione che si naturalmente ne sia feconda, come l’amore. La potenza immaginante è tutta piena dell’oggetto amato, e sta quasi in continuo moto, ruminando la beltà di esso e le maniere di farsi amare, onde facilmente forma infiniti vaghis- simi deliri. L’oggetto amato diviene allora si bello e grande a questa potenza, che l’amante comincia a crederlo di gran lunga più perfetto che prima non gli sembrava; e di qui nasce quell’immaginare che la bellezza amata sia cagione e fonte di tutte l’altre belle cose, di tutti gli effetti più riguardevoli