Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 27

Lettera 26 Lettera 28

[p. 156 modifica]j 56 A JACOMO t ’ * CARDINALE DEGLI ORSINI (A)I.

Defilerà vederlo legato col legame della divina carità e segui» * ■ tare la via di Gesù Cristo che egli ci ha insegnato co1 patimenti e con la morte sofferta per nostro amore. ; II. Della memoria che dobbiamo avere del sangue di Gesù Cristo per ottenere il perdono de’peccati, e che questo è il mezzo ■ per spogliarsi della propria volontà sensitiva ed acquistare il vero amore.

HI. Gli dimostra come ad esso singolarmente si convenga questo amore e l’acquisto d’ogni virtù,per esser colonna di santa Chiesa, e come a ciò sia necessario il conoscimento di sè e della divina bontà.

5.V. L’esorta a render bene per male a’suoi nemici, mostrando ciò esser segno speciale de’veri discepoli di Cristo, ed a stimo„ lare il papa che voglia tornare a Roma, e portare la guerra che era fra i cristiani sopra degl’ infedeli. N / „ 27....

... * ’ Al nome dh Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. 1 I- voi, dilettissimo e carissimo padre in Cristo Jesù. Io Catarina, serva

schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi legato nel legame della divina od ardentissima carità, la quale carità mosso Dio a trarre noi di sè medesimo, cioè dalla sua infinita sapienzia, perchè godessimo e partecipassimo al sommo

[p. 157 modifica]l57 bene suo. Egli è quello legame, che poiché 1* uomo perdè la grazia per Io peccato commesso, uni e legò Dio nella natura umana, ed ha fatto uno innesto in noi, perocché la vita s’è innestata nella morte, sicché noi morti abbiamo avuta la vita per 1 unione sua. E perchè Dio fu innestato nell’uomo, Dio ed uomo corse come innaindrato all’ obbrobriosa morte della croce.

In su questo arbore si volse innestare questo Verbo incarnato, e non l’ha tenuto nè chiodi, nè croce, ma l’amore, perocché non erano sufficienti a tenere Dio ed uomo. Egli è quello dolce maestro che è salito in cattedra ad insegnarci la dottrina della verità, la quale l’anima che la seguita non può cadere in tenebre. Egli è la via onde noi andiamo a questa scuola, cioè a seguitare le operazioni sue: così disse egli. Io son via, verità e vita; e così è veramente padre; perocché colui che seguita questo Verbo per ingiurie, per strazj, per scherni, con obbrobrj, pena e tormenti, con la vera e santa povertà, umile e mansueto a sostenere ogni ingiuria e pena con vera e buona pazienzia, imparando da questo maestro che n’è via, perchè - egli l’ha fatta e tenuta osservala in sè medesimo, rende ad ogni uno bene per male, e questa è la dottrina sua. Bene vedete con quanta pazienzia egli ha portato e porta le nostre iniquitadi che pare che faccia vista di non vedere, benché quando verrà il punto ed il termine della morte, allora mostrerà che egli abbi veduto, perchè ogni^ colpa sarà punita, ed ogni bene sarà rimunerato: odi grande pazienzia, che non riguarda all’ ingiurie che gli sono fatte in su la croce; ode il grido de’giudei che dall uno lato gridano, crocifiggi, e dall’altro che egli discenda dalla croce, ed egli grida!

padre, perdona: e non si muove punto, perchè dicano che egli discenda, ma persevera insino all’ultimo, e con grande letizia gridò e disse: Consummatum est: e poniamo che ella paresse parola di tristizia, ella era di letizia a quella anima consumata, ed arsa nel fuoco della divina carità del Verbo incarnato del [p. 158 modifica]I ’ ’ x i58 Figliuolo di Dio: quasi voglia dire il dolce Jesù: Io ho consumato ed adempito ciò eh’ è scritto di me, consumato è il desiderio penoso che avevo di ricomprare l’umana generazione; onde, io godo ed esulto; che io ho consumata iquesta pena, ed ho adempita l’obbedienzia posta dal Padre mio, la quale avevo tanto desiderio di compire. O maestro dolce, bena ci hai insegnata Uct via e la dottrina, e bene dicesti verità che tu eri via, verità e vita; perocché colui che seguita la, via è la dottrina tua non può avere in sé morte, ma riceve in sé vita durabile; e non è riè dimonio, nò creatura, nè ingiuria ricevuta che gli possa togliere se egli non vuole. Vergognisi, vergognisi dunque l’umana superbia dell’uomo, il piacimento e l’amore proprio di sè medesimo di vedere tanta bontà di Dio abbondare in lui tante grazie e benefìci ricevere per grazia e non per debito, e non pare che lo stolto uomo senta, nè vegga tanto caldo e calore di amore, che se fossimo di pietra dovremmo già essere scoppiati.

II. Oimè, oimè, disavventurata me, io non ci so vedere altra cagione, se non che 1’ occhio del conoscimento non si vuole riguardare in su l’arbore della croce, dove si manifesta tanto caldo d’amore dolce e soave; dottrina piena di frutti » che danno vita dove è larghezza; in tanto che ha aperto e stracciato il corpo suo per larghezzaha svenato sè medesimo, e fattoci bagno e battesimo del sangue suo; il quale battesimo ogni dì possiamo e dobbiamo usare con grande amore e continua memoria, che siccome nel battesimo del1’ acqua si purifica l’anima dal peccato originale, e dàlie la. grazia* così nel sangue laveremo le nostre iniquiladi ed impazienzie, e morravvi ogni ingiuria, e non la terrà a mente, nè voralla vendicare, ma riceverà la plenitudine della grazia, la quale grazia il menerà per la via dritta. Dico dunque, che vedendo questo l’anima non si può tenere, che al tutto non anneghi ed uccida la sua perversa voluntà sensitiva, che sempre ribella a sè ed al suo Creatore; ma come inna-. [p. 159 modifica]inorato dell’onore di Dio e della salute della creatura, non riguarda sè; ma farà come l’uomo che ama, che il cuore e l’affetto suo non sarebbe trovato in sè, ma in quello che egli ha posto l’amore suo; ed è di tanta virtù l’amore che di colui che ama, e della cosa amata fa uno cuore ed uno affetto, e quello che ama l’uno ama l’altro; perocché se vi fosse altra divisi ne d’amore, non sarebbe perfetto, e spesse volte ho veduto che quello amore che avremo ad alcuna cosa, o per nostra utilità, o per alcuno diletto che noi trovassimo in essa, o piacere, non si cura per venire ad effetto, nè di villania-, nè d’ingiuria, nè di pena che ne sostenga, e non riguarda alla fatica, ma guarda solo d’adempire la sua volontà della cosa che egli ama.

III. 0 padre carissimo, non ci lasciamo fare vergogna alli figliuoli delle tenebre, perocché gran confusione è ai figliuoli della luce, cioè ai servi di Dio che sono eletti e tratti dal mondo, e singolarmente ai fiori ed alle colonne che sono posti nel giardino della santa Chiesa. ’V oi dovete essere fiore odorifero e non puzzolente, vestito di bianchezza di purità con odore di pazienzia, ed ardentissima carità, largo e libeiale

non stretto, imparando dalla prima Verità che per larghezza die la vita. Or questo è quello odore che dovete gettare alla sposa dolce di Cristo che si riposa in questo giardino. O quanto sì diletta questa dolce sposa in queste dolci e reali virtù! Costui è figliuolo legittimo, e però ella il pasce, e nutrica al petto suo, dandoli il latte della divina grazia, la quale è atta e sufficiente a darci la vita dell’ eterna visione di Dio!


Così disse Cristo a Paoluccio (B): Bastiti Paolo la grazia mia. Dico che sete colonna posta a guardare il luogo di questa sposa, onde non dovete essere debile, ma forte, perocché la cosa debile, ogni piccolo vento che venisse, o per tribolazione o per ingiuria che ci fosse fatta, o per troppo abbondanzia di prosperità e delizie, o grandezze del mondo, l’uno vento e l’altro ’a farebbe cadere. Io voglio dunque che siate forte, [p. 160 modifica]iGo -■ poiché Dio v’ha fatto colonna nella santa Chiesa sua.

Acci dunque modo da fortificare la nostra debilezza ?

Sì’bene con l’amore: ma non sarebbe ogni amore atto a fortificarci, non sarebbe lo stato, nè la ricchezza, nè-le superbie nostre, nè ira, nè odio contra coloro che ci fanno ingiuria, nè essere amatore di veruna cosa creata fuore di Dio. Questo così fatto amore non tanto che egli ci dia forza,- ma egli ci toglie quella che noi abbiamo, e tanto è misero e miserabile questo amore che conduce 1’ uomo alla più perversa servitù che possa avere, e fallo servo e schiavo di quella cosa che non è, e togliesi la. dignità e la grandezza sua; ed è cosa ragionevole che ne sostenga pena; perocché esso medesimo si è privato di Dio. Dunque non è da fare altro, se non di ponere l’affetto ed il desiderio suo, e T amore in cosa più forte di noi, cioè in Dio onde noi abbiamo ogni fortézza: egli è lo Dio nostro che ci amò senza essere amato, onde subito che l’anima ha trovato e gustato sì dolce amore forte sopra ogni forte, ad altro non si può accostare, nè altro può desiderare se non lui; fuore di lui non cerca nè vuole cavelle; onde costui è allora forte, perocché s’è appoggiato e legato in cosa ferma e stabile, e che mai non si muta per veruna cosa che avvenga, e sempre seguita le vestigie e li modi di colui che eglip ama; perocché egli è fatto uno cuore ed una volontà con lui, vede che sommamente Cristo si dilettò d’ ogni pena e viltà: poniamo che fosse figliuolo di Dio, nondimeno come agnello, umile, mansueto e despetto, conversò con gli uomini, e, però si dilettano li servi suoi di questa via; odiano e dispiaceli tutto quanto il contrario, e fuggonlo. Costoro sono fatti ùna’cosa con lui, ed amano quello che Dio ama, ed odiano quello che Dio odia, onde ricevono tanta fortezza che veruna cosa liipuò nocere. Fanno costoro come veri cavalieri che non veggono mai tanta tempesta, che se ne curino e non temono, perché non si confidano in.sé, ina (liila la speranza e fede loro è posla in Dio, cui [p. 161 modifica].. i6i egli amano, perocché vedono che egli è fotte, e vuole, e pnole sovvenire; onde allora dicono con grande umiltà con santo Paolo, ogni cosa potrò per Cristo crocifisso che è in me, che mi conforta. Or non più dunque dormite, padre, poiché sete colonna debile per voi, ma innestatevi in su l’arbore della croce, e legatevi per affetto e per smisurata ed ineffabile carità con l’Agnello svenalo, che da ogni parte del corpo suo versa sangue: rompinsi questi‘Cuori; non più durizia e non più negligenzia, perocché il tempo non dorme, ma sollecitamente fa il corso suo. Facciamo mansione insieme con lui per amore e per santo desiderio,

non ci bisogna poi più temere. Qaesto è dunque il santo e dolce rimedio, cioè che la creatura conosca sè medesima non essere; e sempre si vede fare quella cosa che non è,.cioè il peccalo (C), èd ogni altra cosa ha da Dio, e quando ha conosciuto sè e egli j conosce la bontà di Dio in sè, e conoscendo lui ama, e sè odia, non sè in quanto creatura, ma in quanto si vede ribello al suo creatore. Andando dunque con questo santo e vero conoscimento, non erra la via; ma va virilmente, perocché egli unito e trasformato in colui che è via, verità e vita, ed hallo sì fortificato, che nò dimonio, nè creatura gli può togliere la sua fortezza, sì ei s’ è fatto una cosa con lui. Or questo è il mio desiderio, cioè di vedervi legato in questo dolce e forte legame, ed a questo me n avvedrò, ed uno de’ principali segni che noi abbiamo, che ci manifesti d’ esser legati e discepoli di Cristo, cioè se noi rendiamo bene per male, altrimente saremo in islalo di dannazione. Molto è questo spiacevole a Dio in ogni creatura, ma specialmente nei vostri pan, che sete posti per specchio nella santa Chiesa dove li secolari si specchiano; e bene dovremmo riguardare* che elli è maggiore la ingiuria che noi facciamo a Dio che è infinito, che la ingiuria ebe è fatta per la creatura che è finita; e nondimeno vogliamo *S. Caterina da Siena. Opere. T. HI. n

[p. 162 modifica]162 che ci perdoni e faccia pace con noi, e vorremmo che facesse vista di non vedere l* offese nostre: così dunque,dobbiamo fare noi versoi nemici nostri, e così vi prego e costringo da parte di Cristo crocifisso, che facciate per onore di Dio e salute vostra. Non dico più: perdonate alla mia ignoranzia, perchè per l’abbondanzia del cuore la lingua favella troppo. Pregovi per quello amore ineffabile, che voi mi siate Uno campione nella santa Chiesa, cercando sempre l’onore di Dio e la esaltazione sua, e non di voi medesimo, siccome mangiatore e gustatore dell’anime. Studiatevi di fare ciò che potete, pregando il padre santo che tosto ne venga, e non tardi più, e confortatelo a ratio levare il gonfalone della santissima croce, e andare sopra gl’ infedeli, acciocché la guerra che è tra cristiani’, vada sopra di loro, e non temete per veruna cosa che vedeste apparire, perocché l’ajuto divino è presso di noi. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore. [p. 163 modifica]

Annotazioni alla Lettera 27.

(A) Jacomo Orsini, figliuolo del conte di Nola, fu fatto cardinale da Gregorio XI nel 1371. Nel recarsi ad Avignone a torne il cappello, passò per Siena, ove potè conoscere santa Caterina, la quale poi, standosi esso alla corte d’Avignone, gli diresse queste due lettere. Nel conclave per la elezione del successore a Gregorio, egli non volle dar suffragio, protestando che approverebbe la elezione dei più. Si narra che molto bramasse il papato, e n’avesse anche buona speranza, fondata nelle richieste dei popolo di voler il papa romano. Come diacono anziano incoronò Urbano VI: gli tenne fede per alcun mese, e insieme cogli altri cardinali italiani si adoperò per ritornare in grazia col pontefice i cardinali oltramontani ritiratisi ad Anagni. Quel che poi seguisse di lui e dogli altri Italiani si dirà alla lettera 31.

(B) Cosi disse Cristo a Paoluccìo. Per tenerezza maggiore d’ affetto inverso il gran Dottate: delle genti, usa questo diminutivo di Paoluccìo per Paolo, come adopera la voce babbo in luogo di padre col sommo pontefice nel suo libro del Dialogo.

(C) Sempre si vede Jare quella cosa che non è, cioè il peccato.

In più luoghi di queste lettere, ed ancora nel dialogo, dà la santa al peccato il nome di quella cosa che non è, altrove lo dice, Non Cavelle, cioè a dire un nulla. S. Agost. ne1 Soliloqui: malurn uttque nihil est, quia nihil aliud est malurn, quam primtio boni. [p. 164 modifica]164 A JACOMO CARDINALE DEGLI ORSINI..

I. L esorta a farai colonna stabile di santa Chiesa con 1’ acquisto delle virtù e «spt ‘cinlmento dell3 umiltà, della carità, del disprezzo de’beni terreni e della pazienzia: dimostra come queste s’acquistino nel conoscimento di sè e della divina bontà in sè, e dell’ amore suo Terso di noi, manifestandoci nella nostra creazione e nel sangue di Jesù Cristo sparlo per noi. Lo stimola a voler procurare la salute dèli’ anime ed d bene di santa Cb.;sa, con pregare il sommo pontefice a provvederla di buoni pastori, a far paco con li ribelli e portar la guerra sopra degl’ infedeli.

Al nome di Jesù Cristo crocijisso e di Maria dolce.

I. voi, dilettissimo e carissimo padre in Cristo Jesù. Io Catarina, serva e schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi colonna ferina e stabile posto a nutricare nel giardino della santa Chiesa, per li molti venti contrarj che vengono. Se non fossi di pietra ben fondata verrebbe meno: conviene che il fondamento sia cavato ben giù, che se fosse poco, anco sarebbe debile. O padre «n Cristo Jesù, voi sete colonna posta per umiltà; la quale umiltà s’acquista nel vero conoscimento di sè medesimo, e però cade l’uomo in superbia perchè non conosce sè; che se conoscesse sè medesimo non essere, mai non caderebbe in superbia;