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Annotazioni alla Lettera 27.

(A) Jacomo Orsini, figliuolo del conte di Nola, fu fatto cardinale da Gregorio XI nel 1371. Nel recarsi ad Avignone a torne il cappello, passò per Siena, ove potè conoscere santa Caterina, la quale poi, standosi esso alla corte d’Avignone, gli diresse queste due lettere. Nel conclave per la elezione del successore a Gregorio, egli non volle dar suffragio, protestando che approverebbe la elezione dei più. Si narra che molto bramasse il papato, e n’avesse anche buona speranza, fondata nelle richieste dei popolo di voler il papa romano. Come diacono anziano incoronò Urbano VI: gli tenne fede per alcun mese, e insieme cogli altri cardinali italiani si adoperò per ritornare in grazia col pontefice i cardinali oltramontani ritiratisi ad Anagni. Quel che poi seguisse di lui e dogli altri Italiani si dirà alla lettera 31.

(B) Cosi disse Cristo a Paoluccìo. Per tenerezza maggiore d’ affetto inverso il gran Dottate: delle genti, usa questo diminutivo di Paoluccìo per Paolo, come adopera la voce babbo in luogo di padre col sommo pontefice nel suo libro del Dialogo.

(C) Sempre si vede Jare quella cosa che non è, cioè il peccato.

In più luoghi di queste lettere, ed ancora nel dialogo, dà la santa al peccato il nome di quella cosa che non è, altrove lo dice, Non Cavelle, cioè a dire un nulla. S. Agost. ne1 Soliloqui: malurn uttque nihil est, quia nihil aliud est malurn, quam primtio boni.