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VI.



mma non osò scrivere al ragioniere Bonazza.

Non basta.

Lo vide, e non gli sorrise. Non poteva. Al suo cuore vergine, fatto per l’amore grande, fulminante, distruggitore, ripugnavano per istinto quegli artifizi.

Ella si ripeteva inutilmente:

— È mio dovere. Devo ridonargli la speranza, perchè ritorni a me, perchè mi sposi.... [p. 106 modifica]

Quando lo incontrava, ed egli sembrava implorare uno sguardo, un sorriso, i ben calcolati propositi svanivano: ella passava a occhi bassi, rigida e severa come una dea.

Quello che avrebbe voluto fare, sorpassava le sue forze.

— Non sono ingrata — diceva a se stessa — non sono vile, eppure non posso. Dovrebbero pigliarmi per mano, condurmi all’altare: direi di sì senza piangere e mi lascierei portare nella casa di quell’uomo. Forse morirei, certo non direi nulla. Ma fingere d’amarlo, sorridergli, chiamarlo a me. Impossibile!....

Intanto i giorni scorrevano, apparentemente tranquilli.

Già un mese era trascorso dacchè Annetta era fidanzata. Paolo andava a trovarla tutti i giorni, dopo l’ufficio; ogni domenica la signora Cleofe lo invitava a pranzo, ed egli passava la serata in famiglia. Ma le visite quotidiane erano spesso assai brevi, e Annetta non poteva nascondere le sue malinconie. Quando il giovine diceva: «Ora devo andare,» ella trasaliva e non sempre poteva frenare le lagrime.

Tutti le davano della bambina. Che cosa pretendeva? Che il fidanzato stesse sempre lì cucito alle sue gonnelle? O che fantasie aveva?

D’altronde Paolo affermava che la sera doveva ritornare all’ufficio, o lavorare in casa. Non di rado, però, una circostanza fortuita o un discorso casuale [p. 107 modifica]dimostravano che Paolo non era stato nè a casa, nè all’ufficio, ma al caffè, all’osteria, o chi sa dove.

Annetta piangeva in segreto fra le braccia di Emma.

— Se lo scopro infedele, lo ammazzo! — mormorava qualche volta, fremente di passione.

— Non faresti meglio a lasciarlo? — consigliava Emma timidamente.

Annetta scattava.

— Lasciarlo?!... Perchè vada da un’altra?... Perchè sia felice con un’altra?.... Mai! Ti ripeto che se mi tradisse, potrei forse non ammazzarlo, ma lasciarlo, mai.

— E che te ne vorresti fare? — domandò un giorno Celanzi, che le dava del tu nella sua qualità di cugino. — Ti renderebbe infelice....

— Ma sarebbe infelice anche lui, perchè io non starei zitta. Meglio infelici tutti e due, che lui felice ed io no. Per questo non vedo l’ora di essere sposata, almeno saprò che non mi sfugge più.

— E se mettessero il divorzio? — chiese ancora Celanzi, divertendosi a tormentarla.

— Il divorzio? Il divorzio?! Non ci mancherebbe altro! Io dovrei dunque vivere tutta la vita nell’inquietudine?.... Se il matrimonio non dovesse dare a una povera ragazza la sicurezza di non essere abbandonata, a che servirebbe?....

— O bella! Non sai quanti disferenziati, come [p. 108 modifica]dice la Teresa, non sai quanti di questi infelici ci sono anche senza il divorzio!

— È vero. È un’infamia, però; ci vorrebbe una legge che assicurasse la felicità delle povere donne.

Celanzi e la signora Cleofe fecero una risata.

— Cara mia; quando la donna non ama il marito, o ha un marito cattivo, il divorzio è in suo favore! — esclamò il giovine.

Annetta stava per ribattere con una frase secca, già formulata nella sua mente:

— Le donne virtuose amano sempre il marito!....

Ma i suoi occhi si scontrarono con quelli della sua mamma che la guardava un po’ ansiosa. La parola le morì sul labbro. Arrossì e borbottò:

— Io non so delle altre: io parlo per me.

— Allora bisogna ordinare al Parlamento una legge speciale per la signorina Mandelli.

— Taci, impertinente.... Ecco Paolo! ecco Paolo!...

Balzò in piedi per corrergli incontro.

— Povera bambina! — sospirò la signora Cleofe guardando il cugino.

— Cose che passano — fece Andrea ironico.

— Andate a Milano, domani? — chiese l’Emma prima che i fidanzati comparissero nel salotto.

— Sì, certo. Bisogna andare a scegliere le stoffe e dare le ordinazioni al tappezziere. E anche con la sarta bisogna intendersi a tempo. Ci fermeremo un paio di giorni. [p. 109 modifica]

— Annetta non sarà contenta....

— Oh! viene anche Paolo!....

— Ah!.... E l’ufficio?

— Ha il permesso.

— Allora, farò portar giù le valigie e preparare gli abiti.

E con questo pretesto, Emma si allontanò.

Quasi tutti i giorni inventava qualche cosa per allontanarsi mentre il fidanzato era lì. Non le dava più noia, dopo quel giorno memorabile, ma se per caso i loro sguardi s’incrociavano, ella ne riceveva sempre una impressione strana, paurosa.

Vi leggeva una sfida, più che un omaggio.

«Mi piaci» dicevano quegli occhi. «Ti voglio! Ti avrò.»

Oppure:

«Sciocchina! Pretendi di resistermi? Vedrai!»

Quando furono soli, la signora Cleofe disse a Celanzi:

— Non ti piace?

— Chi?

— L’Emma!

— La trovo bellissima.

Essa lo guardò fisso in viso, poi, abbassando la voce:

— Non potresti sposarla?

— Io?!

— Tu, sì. E perchè no?.... Se la trovi bellissima? [p. 110 modifica]

Il giovine arrossì. E prima di rispondere guardò fuori della finestra sulla terrazza, per vedere se Annetta e Paolo arrivavano.

— Non temere; si sono fermati un po’ in giardino — disse la bella donna.

Poi, mutando tono, riprese:

— Dunque?...

— Dunque.... Sono discorsi assurdi, mi pare. Non credo di averti offesa per aver detto che Emma è una bella ragazza.

— Offesa me?... Che!

— Allora, perchè mi parli di sposare?...

Vi fu un silenzio.

Malgrado la sua naturale disinvoltura, la signora Cleofe pareva un po’ imbarazzata. Cercava le parole. Finalmente rispose:

— Te ne parlo, sul serio, perchè ti voglio bene, e perchè Emma è una buona ragazza capace di renderti felice....

— Ma a che gioco si gioca?... Mi dispiace di parer villano, ma.... credevo.... mi pareva.... ho potuto sperare, insomma, che tu ti volessi occupare della mia felicità in altro modo....

«Ho forse sognato?...

Era eccitatissimo, in preda a un improvviso scoppio di passione, lungamente repressa.

Si chinò su lei; le afferrò le mani con violenza.

— È un pezzo che ti conosco.... ma oggi mi riesci [p. 111 modifica]nuova.... Hai perduto la memoria? O non eri te, venti giorni fa all’albergo del Biscione....

— Taci, taci; calmati! — impose la signora spaventata. — Non ti credevo ingrato al punto di rinfacciarmi così duramente un momento di debolezza....

Celanzi indietreggiò come se lo avesse colpito. Era pallidissimo e le sue labbra tremavano.

— Ingrato?... Un momento di debolezza?... — mormorò sbalordito. Si interruppe dando in uno scoppio di risa, selvaggiamente sarcastico.

La signora Cleofe, povera donna, spaventata da quel contegno — lei che aveva traversato tante volte il fuoco senza averne mai scottate le carni — badava a sorvegliare le entrate per la gran paura che qualcuno sorprendesse Andrea in quello stato.

Egli tornò a chinarsi su lei, e con la voce tagliente della più amara ironia, le domandò a bruciapelo:

— Ne hai avute molte di quelle debolezze nella tua vita?

— Ah, villano!... villanaccio!...

E nell’impeto gli avrebbe sputato in faccia, ma si contenne. Sempre padrona di sè, sempre capace di scegliere quello che meglio le conveniva, si abbandonò su una sedia e si mise a piangere.

Era sicura che nessuno stava per sorprenderli. Annetta e Paolo si bisticciavano in giardino.

Le lagrime della bella donna produssero sul giovane innamorato il solito effetto. [p. 112 modifica]

Restò un momento come sbalordito, mentre nel cuore gli si allargava un prepotente senso di tenerezza.

Si avvicinò di più a lei, la chiamò sommessamente per nome, e non potendo più oltre resistere al dolore che lo straziava, le si buttò ai piedi, le abbracciò le ginocchia, scongiurandola di perdonargli. L’amava tanto! Da tanti anni! L’amava di un amore rinchiuso, rispettoso, ignaro di sè. Avrebbe taciuto ancora, forse sempre, se ella non gli avesse fatto comprendere che intendeva e divideva quella vertigine.... No! questo non era un rimprovero. Era l’espressione più sincera di una eterna riconoscenza. Gli aveva dischiuso il cielo.... lo aveva inebbriato.... Da quell’ora egli le apparteneva per tutta la vita!

Con molta dolcezza, lo sguardo velato da un sottilissimo senso di voluttà, Cleofe si chinò sul giovane, sempre inginocchiato davanti a lei, con le braccia distese lungo i suoi fianchi, come quando era bambino, e lei si compiaceva di quelle infantili carezze.

Lo guardò fissamente, gli sfiorò la fronte col suo alito caldo.

— Sei un angelo — mormorò. — Hai parole affascinanti.

Egli la strinse, ebbro di passione, la coprì di baci, arrovesciandola all’indietro sulla spalliera della sedia, premendola con tutto il suo corpo....

A un tratto, essa balzò in piedi bisbigliando con la voce soffocata: [p. 113 modifica] [p. 115 modifica]

— Bada!... Salgono!...

E andò alla finestra, sporgendosi in fuori, come se guardasse giù nel giardino.

Andrea si rannicchiò in una poltroncina, prese un giornale e finse di leggere.

Passarono alcuni secondi. La voce di Annetta risuonò vicinissima. Pareva stizzita la fresca voce sonora, e impregnata di lagrime.

Paolo la interruppe con l’accento ruvido, sordamente agitato di uno che a stento si domina.

— .... oh! se tu mi amassi come t’amo io!... Se tu intendessi soltanto cosa vuol dire amare come amo io....

— Si andrebbe a Mombello tutti e due, pazzi da legare.... Fa il piacere, sii un po’ ragionevole!...

— Ragionevole.... Sempre questa stupida parola!

— Stupida?... Mi fai ridere.

— Addio. Io me ne vado.

— Come?... Senti, vieni qui. Domani si va a Milano, la mamma....

La voce si allontanava. Si sentì scendere la scala a precipizio: poi un altro grido e un appello disperato:

— Paolo!... oh, Paolo!...

La signora Cleofe che si era allontanata dalla finestra per ascoltare, tornò ad affacciarsi, e vide prima di tutto la cameriera che sorrideva mezzo nascosta dietro una tenda, alla finestra del secondo [p. 116 modifica]piano; poi Annetta affannata che raggiungeva il Brussieri in giardino e afferrandolo alle spalle lo trascinava verso i boschetti, gestendo e parlando con una eccitazione nervosa sempre crescente.

Anche Andrea si era alzato e guardava quella scena.

I due fidanzati sparirono nel fitto delle piante. Il vento portava il suono delle loro voci concitate, a strappi, a buffate.

Tutta al suo amore di madre, come se mai in vita sua altra passione meno pura avesse agitato il suo cuore, la signora Cleofe si mise a piangere sommessamente.

— Povera Annetta mia! Povera la mia bambina! Canaglia di un uomo, tormentarla così!

— Faglielo lasciare — disse Andrea.

— Santo cielo! Anche tu parli come Leopoldo! Credete che io abbia un potere assoluto sul cuore di Annetta?... Sì l’ho avuto quando non amava che me. Dacchè ama quello lì, è finita. Non vedi che non intervengo neppure nelle loro questioni, perchè ho paura d’inasprirle? Nessuno sa quanto soffro.... Perchè, questi bisticci, sebbene un po’ troppo violenti da parte di Annetta, sarebbero niente; tutti gli innamorati di quell’età si bisticciano facilmente; ma io gli leggo in cuore a quello lì. Non è sincero; non ama Annetta. Almeno non l’ama come intendo io. E sai perchè?... Perchè Annetta gli dimostra di amarlo troppo. Io [p. 117 modifica]gliel’ho detto tante volte: amalo meno e ti correrà dietro. Gli uomini sono così. Quando si sentono padroni di noi, ci trascurano.

— Gli uomini, tu dici! Non è giusto, t’inganni: non tutti gli uomini. Io per esempio....

— Tu?!.. — mormorò la signora interrompendolo con una espressione mista d’ironia e di schiettezza — tu?! Se io fossi come Annetta, saresti come Paolo.

Egli protestò; ella sorrise. Poi cambiando tono e fisonomia:

— Ripigliamo il discorso di prima. Non far quella faccia. Hai torto di andare in collera. L’Emma....

— Non voglio. Basta!

- Tu non comprendi. Ti figuri che mio marito...

— Come? Vuoi tirare in ballo anche tuo marito adesso? Non ti ha egli lasciato fare tutto quello che hai voluto?

— Che illusione! Se avessi qualche ascendente su lui non si starebbe qui. Da un pezzo abiterei Milano e la mia Annetta non avrebbe persa la testa per quel maledetto cancelliere....

— L’avrebbe persa per altri.... Non importa. Cosa intendi di dire a proposito di tuo marito?

— Che sospetta.

— Di me?... Impossibile. Povero Leopoldo, mi vuol tanto bene....

— Eppure.... Mi guarda in un modo strano. E l’altra sera, sorridendo di un sorriso che mi ha [p. 118 modifica]gelato il sangue e fissandomi con quei suoi occhi di giudice inquirente, ha detto: La tua carne odora di peccato...!

— Dunque?... eh?... E quel giorno mi tranquillavi!... Va, va! Adesso capisco. Non fui per te che un capriccio.... un momento di debolezza. L’hai detto. Ah! Ah! Ah!... E adesso vorresti farmi sposare l’Emma per liberarti di me....

— Non è vero. Piuttosto per non perderti del tutto.

Pure parlando, ella teneva gli occhi rivolti al bosco dove i due fidanzati continuavano il loro alterco.

Un grido di Annetta, un vero grido di angoscia la fece sussultare.

— Annetta!... Vengo! Coraggio.... la mamma!...

E si precipitò sulla scala esterna, correndo verso il bosco e ripetendo sempre:

— Bambina mia! È qui la tua mamma!

Annetta si buttò singhiozzando fra le sue braccia. — Vuol andarsene — balbettava con la voce rotta — Non mi vuol più! Oh, mamma!

La signora Cleofe volse un’occhiata di fuoco al giovine che era lì a due passi, un po’ imbarazzato, ma niente intimidito.

Egli rispose a quello sguardo stringendosi nelle spalle.

— Bambina mia! Anima mia! Ma ti pare che [p. 119 modifica]valga la pena di disperarti a questo modo? Non sarà altro che uno dei soliti scherzi....

— No, mamma. Dice che non mi ama più!

— Non è possibile, E quand’anche fosse?... io mi trovassi nel caso tuo, so cosa farei. [p. 120 modifica]

— Oh, mamma, non parlare così! tu non sai.... non capisci....

Cleofe ebbe un superbo sorriso, poi disse:

— Bene, prendiamola come vuoi tu. Io dico al signor Brussieri che ci pensa troppo tardi; che un gentiluomo non si ritira....

— Io non mi ritiro, signora — entrò a dire il cancelliere col suo risolino ironico. — Ho dato da mia parola e saprò mantenerla, purchè non mi si spinga agli estremi. Io ho promesso di sposare una buona ragazza che mi voleva bene e pareva disposta a diventare una buona moglie, senza troppe pretese, discreta e modesta come deve essere la moglie di un uomo che ha abbastanza sopraccapi in ufficio e non vuol averne altri in famiglia.

— Ebbene! — esclamò la signora Mandelli, con la voce strozzata dalla collera — chi le dice che mia figlia non abbia a essere la buona moglie di cui ella parla? Non l’abbiamo educata per ciò?...

— Perdono signora, sua figlia ha mille qualità fisiche e morali, è bella.... è.... passionale, come dicono adesso i poeti. Ma appunto per questo ho gran paura che la non sia la moglie....

— Badi, signor Brussieri, badi bene a non mancarci di rispetto!

— Se non vuole che parli, cara signora, tacerò; ma non sarà la mia una casa dove, col pretesto del rispetto, dovrei sempre tacere. [p. 121 modifica]

— Mamma! — supplicava l’Annetta stringendosi affannosamente al seno di Cleofe.

Questa, trascinata dal suo temperamento impetuoso, avrebbe subito messo alla porta quell’impiegatuccio insolente, se l’amore della figlia non l’avesse trattenuta. Si dominò con uno sforzo supremo e impose silenzio alla propria Collera.

— Ella s’inganna, signor Brussieri, — disse sorridendo con finezza. — Noi domandiamo rispetto, non sommissione. In questa casa potrà sempre dire le sue ragioni, precisamente come noi. Del resto io credo che fra noi c’è un equivoco. Via; sediamo un momento su questa panchina e discorriamo da buoni amici. Cosa le ha fatto, infine, la sua fidanzata? Di che cosa è colpevole?

— Colpevole?... Ma le pare.... signora? Non ho detto questo.... non ho... scusi....

S’impappinava. Come tutte le nature ardenti e ineducate, rozze, egli avrebbe risposto magnificamente a un ruvido attacco: quelle parole gentili lo demolivano.

— Glielo dirò io cos’è — disse la signora tirandolo d’imbarazzo. — Mia figlia ha un solo torto, ma grande: le vuol troppo bene.

Paolo restò un momento sconcertato, non volle però darsi vinto. Già troppo gli cuoceva di essere stato battuto una volta. La sua baldanzosa volgarità tornò a galla. [p. 122 modifica]

— Sarà benissimo — rispose — ma tutti i troppi stroppiano, e quando una moglie vuol troppo bene.... è un affare serio.

Le sopracciglia nere, arcuate, lucidissime della signora Cleofe si congiunsero in un movimento di sdegno e rimasero aggrottate.

Invece di rispondere, ella guardò sua figlia. Sperava di scoprire in quel viso adorato un riflesso dei propri sentimenti, un impeto di sdegno, un moto istintivo di rivolta.

Nulla di ciò. Annetta non aveva compreso il plateale insulto; e il suo viso e i suoi occhi, fissi nel viso di Paolo, non esprimevano che l’adorazione più completa, insieme a una inespremibile angoscia.

Cleofe rimase agghiacciata.

— È orribile! — pensò — orribile!

Due grosse lagrime, scottanti, velarono il lampo delle sue pupille. E lei che non si era mai sognata di amare un uomo in quella maniera, lei che nell’amore non aveva cercato altro che l’ebbrezza passaggera, il soddisfacimento di un desiderio impulsivo e di una immensa vanità femminile; lei che era l’orgoglio e l’egoismo in persona — fuori che nel sentimento della maternità — ebbe d’un tratto l’intuizione della terribile potenza dell’amore che tortura, che è devozione, umiltà, annichilimento.

Ne ebbe una impressione profonda, indicibile come se una potenza sopranaturale si fosse rivelata al suo [p. 123 modifica]spirito. E dubitò di se stessa, di non aver vissuto interamente, di essere stata come defraudata delle più forti e delicate emozioni della vita. L’imagine di Leopoldo le traversò il pensiero come un fantasma. Ebbe quasi paura; e istintivamente si rifugiò nel suo amore materno, sentendo che là era grande, che là nessuno poteva vincerla.

— Figlia mia! amore mio! — sospirò quasi senza sapere.

La contemplava, l’accarezzava, la chiamava coi nomi più dolci. Ma la disgraziata le rispondeva appena, assorta nel suo dolore, pendente dalle labbra di quell’uomo, che, solo al mondo, poteva ridarle la pace, la vita. Cleofe sentiva la propria impotenza, senza gelosia, senza ribellione.

Una immensa, infinita pietà empiva il suo cuore; pietà riverente, quasi timida. Quella biondona, dalle forme poderose, con la sua facciona di latte e rosa, le appariva quale una debolissima bimba, circondata di pericoli, incapace di salvarsi senza il suo soccorso. Come soccorrerla?

Non vedeva nulla. Nessuna trovata balenava al suo spirito di solito così rapido e ricco di espedienti. Nulla.

Quell’amore doveva essere indistruttibile, dacché le parole crudeli e villane del cancelliere non l’avevano ucciso sul colpo. Inutile, dunque, il combatterlo.

Bisognava assecondarlo, appagarlo completamente. [p. 124 modifica]Dunque.... blandire quell’uomo, fargli mantenere la sua promessa a qualunque costo.

Poi.... Poi, chi sa!...

Il disgusto sarebbe forse arrivato. Forse l’amore assoluto, l’amore tragico, che ella credeva di vedere per la prima volta, ubbidiva presto o tardi alle stesse leggi fatali, e finiva col consumarsi da sè, come quell’altro, a lei troppo noto.

Chi sa!

Il suo scetticismo di donna galante le veniva in aiuto, le ridava una speranza. Dopo il matrimonio, Annetta sarebbe forse guarita, così, alla maniera comune. La noia, sarebbe venuta del solito passo, e con la noia, la guarigione, la libertà, la padronanza di sè, e forse dell’uomo stesso.

Questo pensiero la rianimò, e risolvette rapidamente di tentare tutte le armi, pur di vincere.

Riprese la conversazione interrotta e con le più belle maniere provò al suo futuro genero che Annetta non era poi tanto esigente; e che, se mai, queste sue esigenze le venivano dalla paura di perdere un uomo tanto superiore agli altri, e tanto amato. Una volta sposati le cose si sarebbero cambiate da sè: Annetta era una buona figliuola, educata alla casa, lavoratrice; sarebbe divenuta senza dubbio una buona madre.

— E quando una donna di cuore diventa madre — concluse finalmente con la sua voce più dolce e persuasiva — le inquietudini sono finite; i malintesi [p. 125 modifica] svaniscono. La maternità è la grande assorbente della sensibilità femminile. Guardi un po’ sua madre; guardi me; rifletta, esamini. Vedrà che, malgrado quanto si possa dire in contrario, l’uomo resta sempre il padrone, e noi, povere donne, non abbiamo che i nostri figli.... per alcuni anni.... poi nulla, o peggio che nulla: la vecchiaia e l’abbandono!...

— Le donne come lei, signora, non invecchiano mai, e non sono mai abbandonate! — esclamò il figlio del guantaio, contento di cavarsela con una galanteria, ma niente affatto insensibile alle grazie della sua futura suocera.

— Bisogna che l’Annetta impari ancora molto dalla sua mamma — soggiunge dopo un momento, con un sorriso che pretendeva d’essere molto fine, ma non raggiungeva la meta.

— Oh! imparerà. Non ne dubiti. Io ero molto più stupida di mia figlia, a diciott’anni.

— Emma viene a chiamarci — disse l’Annetta additando la fanciulla che arrivava di corsa.

Fosse l’ora, il colore del cielo che il sole morente tingeva di rosso, o la particolare disposizione dell’animo suo, Emma apparve in quel momento, come una visione ideale, tra il cupo verde delle fiondi.

Aveva negli occhi uno strano fulgore, nel viso delicato un candore abbagliante; e la semplice veste scura che mollemente cingeva il suo corpo svelto, le dava una distinzione suprema. [p. 126 modifica]

Perfino Annetta ne fu colpita, e forse per la prima volta, capì quanto l’Emma fosse più bella, più seducente di lei.

Un nuovo senso di amarezza la fece trasalire. Non era gelosa di Emma, perchè sapeva che Paolo non avrebbe mai più sposata una figliuola di zingari, e per tante altre ragioni inesprimibili e ugualmente salde; ma quella bellezza, così sfolgorante, in quel momento, le fece male.

Guidata dal suo istinto infallibile, la signora Mandelli osservò furtivamente il Brussieri, e vide quello che aveva immaginato. Egli guardava l’Emma con quella espressione particolare, propria a tutti gli uomini quando desiderano una donna.

Anche questa volta il primo pensiero di Cleofe fu di risparmiare un dolore alla figlia sua. Balzò in piedi e mettendosi davanti a lei in modo da impedirle la vista di Paolo:

— Cosa c’è? — domandò all’Emma con l’accento irritato che tradisce il dispetto.

Subito intimidita da quell’accoglienza e sentendo gli sguardi sconvenienti di Paolo pesare sopra di sè, la fanciulla rispose balbettando:

— Il babbo ti vuole. C’è il fittabile di Bescapè.

— E che bisogno ha di me per parlare col fittabile?

— Io non so. Mi ha detto di chiamarti e sono venuta. [p. 127 modifica]

— Bene. Va a dirgli che vengo subito.

Felice di togliersi dal cospetto di quelle tre persone, che in quel momento le parevano sue nemiche, Emma voltò via e rientrò in casa come se volasse.

— Dunque siamo intesi — disse la signora riepilogando. Poi, invitando col gesto il Brussieri, soggiunse:

— Andiamo!

— Non potrei veramente — rispose costui a mezza bocca, ma resterò ancora un poco per mostrarle che non sono scortese.

— Grazie, Paolo — bisbigliò Annetta pigliandogli il braccio e guardandolo amorosamente.