Elogio della città di Arezzo

Flaminio Severi

1833 Indice:Severi - Elogio città di Arezzo.djvu Arezzo Elogio della città di Arezzo Intestazione 17 luglio 2019 100% Da definire

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ELOGIO

DELLA

CITTÀ DI AREZZO

Prosa

DI FLAMINIO SEVERI

PREMIATA L’ANNO 1833.

Nel concorso biennale stabilito in Arezzo

dal Senatore Della Fioroja.


FIRENZE

della tipografia bonducciana

1833.

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Se la lode commendatrice delle grandi opere può talora andar vota di fede tra gl’uomini, questo interviene allorchè annunziala un labbro da fortissimi allettamenti a magnificare adescato. Non che la verità non siasi spesso ingenuamente favellata in mezzo alle tenere affezioni del cuore; ma le umane orecchie studiosa accoglitrici del biasimo altrui, sono altresì della lode sospettose e nemiche, per quello stimarsi che i più fanno nell’abbassamento degl’altri elevati, e nell’elevazione depressi meglio che ad emulare incitati. Questo considerando temo non l’encomio d’Arezzo tessuto da un oscuro suo figlio, sia per apparire esagerato e in molta parte da caldo amore per la Patria ispirato. Se non che Arezzo ignota non è, ne i suoi pregj pochi e meschini; anzi sono essi e per novero e per ampiezza stupendi, sicchè sia facile non parlando di tutti ogni sospetto di esagerazione sfuggire e ad un tempo parlare di tali che meritino l’invidia delle più illustri Città. Però due soli ne verrò brevemente narrando, l’uno della fortezza e generosità degl’animi, l’altro dell’eccellenza degl’ingegni. E poichè il divino Alighieri, che supra ogni altro Poeta somigliantissimo [p. 3 modifica]all’epico Greco la ramminga sua vita confortò con un verso potente ma non sempre giusto distributore d’infamia e di gloria, detrar volendo all’Aretino nome, della riviera d’Arno ha cantato:

Botoli trova poi, venendo giuso
   Ringhiosi più che non chiede lor possa
   Ed a lor disdegnosa torce il muso; Purg. XIV.

percorrendo la storia m’adoprerò pur anche a dileguare una taccia dalla propria bile suggerita ad un ingegno nelle acerbità de contrarj casi inasprito.

L’avere origine vetustissima, anzi tale che le memorie oltrepassi, l’avere un nome1 che nel vario di lui interpetrarsi popoli e personaggi famigerati rammenti, si è spesso a lode non picciola attribuito. Ora io trovo che non la sola origine, ma la potenza frutto d’azioni illustri in Arezzo è antichissima: Dalla quale or con l’una ed or con l’altra maniera di grandezza non avendo in alcuna età discordato con meglior diritto potrà taluno apporlo a suo vanto. Favoleggiando gl’antichi non oscura e piena d’anni, ma breve e gloriosa vita essersi da Achille prescelta, vollero certamente ammaestrarne, che come l’attraversare senza fama una lunga età non altro è che avere più numerosi spettatori della propria vergogna, così la longevità dalla celebrità non disgiunta sarebbe cosa ammirabile e peregrina, quanto l’innesto di due rare perfezioni [p. 4 modifica]può esserlo. Adesso è da considerare che mentre le città antiche spesso riduconsi a screditare colle informi rovine la tradizione della passata magnifecenza, le recenti poi comunque in lustro s’accrescano, del venerato aspetto della vetustà i piccioli e spregievoli principj loro a decorare non giungono; Arezzo, ciò che di poche altre interviene, ed è dall’infausta condizione delle prime col suo presente prosperare lontana, e d’altronde tu non solo non ne trovi l’origine, ma neppure così appressarviti puoi che nella debolezza de’ suoi esordi tu la sorprenda: Quasi il Cielo a vie meglio colla coscienza di una fama immemorabile alle virtuose opere accenderla, abbiali a bella posta fra le tenebre dell’età ravviluppati, ed ai profani curiosi occhi sottratti. E acciò nelle mie parole, non sia desiderata ogni autorità della storia, dalle prime distinte testimonianze tramandate intorno ad Arezzo, sino ai tempi da noi non remoti la verrò interrogando. Fatto principio dai Latini Scrittori2: Se la Romana Repubblica ne trionfi già adulta di costernazione colmavasi al sorgere di intestine discordie in Arezzo, se reputavala una delle principalissime Città Etrusche, se anzi la pace e la guerra in quel paese di pendere dal suo esempio non dubitava; dal timore dell’una io la potenza dell’altra misuro, e da questo volontario ossequio degl’Etruschi vedo attribuirsi ad Arezzo il primato della militare prodezza. E ad ottenerlo quante azioni non doverono [p. 5 modifica]abbisognare? non oscure e volgari ma luminose e magnanime, e degne che si ammirassero da quei popoli primi ordinatori dell’Italiana sapienza, e maestri3 avanti dei Greci ai Romani stessi i quali colpa delle istituzioni ebbero a domatori. Che se come il pensiero facilmente tutte queste azioni comprende, non può anche il freddo calcolo enumerando percorrerle; causa ne è l’avvenuta distruzione dei monumenti, ed il tener noi quanto dell’Etruria sappiamo da invidi e nemici scrittori, i quali dicendone ciò che bene alle loro cose tornava, non la libera Etruria, ma quella soggetta prima all’influenza e poscia alla servitù straniera descrissero. Pure quei fatti che in tale decadenza del suo paese intorno ad Arezzo si leggono saranno, credo degl’antecedenti non debole indizio. Discesi i Galli4 dalle Alpi, desolato il terreno col fuoco e col ferro, e rotto vicino alla stessa Città l’Ausiliare Romano esercito, sino a prenderne novo nome il luogo del seguito conflitto, fecersi animosi a circuirla d’assedio; e quei barbari che altra volta la romana grandezza allo stretto nido del Campidoglio ridussero, ed ivi pressochè soffocarono, come allora dalla virtù di Camillo furono delle fatte depredazioni puniti, così questa fiata dalla magnanima resistenza d’Arezzo vennero dal commetterne delle maggiori impediti, e con due anni d’inutili sforzi intorno alle sue mura, alla disfatta che altrove attendevali [p. 6 modifica]apparecchiati. Al quale sommo argomento della prodezza degl’animi un altro non inferiore della ricchezza e potenza sua se ne aggiunge, l’immenso apparecchio5 di frumenti e d’armi dalla Città, all’esercito distruttore di Cartagine somministrato: mentre se alcuno con ciò che le altre Città Etrusche contribuirono attentamente il confronti, conoscerà non tanto di ciascuna di esse, ma quasi di tutte assieme riunite essersi mostrata l’Arretina opulenza maggiore. E tale sua saperiorità ancora nelle altre cose apparve per assai tempo ben chiara, trovandosi che i Latini e Greci scrittori dai rè alla metà del romano impero ed in quel torno fioriti, fecero d’Arezzo più che delle rimanenti Città Etrusche frequente onorata menzione. Anzi alcuni di essi6 laudata avendola come città forte e nelle antiche guerre importante, somministrarono un altro argomento non meritevole di esser taciuto intorno alla verità dei miei detti; poichè e gl’uomini sempre dell’indole de’ luoghi ritraggono, ed inoltre a renderla tale in quelle maniere di combattere colla opportunità del sito dovea l’eccellente qualità degl’abitatori concorrere.

Tralasciati ora i tempi per le barbariche invasioni e per la dominante ignoranza infelici, vengo all’epoca in cui i novi popoli nati dai mischiati avanzi di dissimili nazioni: aggiunsero un grado di bastante fermezza. Allora il sentimento profondo [p. 7 modifica]della Cristiana credenza, cresciuto nell’amore de suoi seguaci quanto più una brutal forza avealo per l’avanti travagliato, vincitore di recente dovunque non meno che l’intero uomo occupò. E come ogni forte commozione ai grandi cuori più latamente s’appiglia, Arezzo dai dominatori della Toscana indipendente, offrendo spesso il governo di se stessa ai suoi spirituali pastori, volle certo rimeritare degli oltraggi sofferti quella fede luminosa, che a lei di buon ora venuta trovò fra i suoi figli dolorose e innumerevoli testimonianze di sangue.7 Ma allorchè tanta parte d’Europa replicatamente rovesciossi sull’Asia, l’ispirazione di quel sentimento, prima sotto il Buglione fè si che pochi Aretini in mezzo a nazioni numerosissime e bellicose avessero come le fatiche, così i premj8 della conquista distinti; poscia nell’impresa men fausta dalla pietà del IX Luigi causata prime le Aretine mani condusse a inalberare il vessillo della croce sulle mura di Damiata, vessillo pel cui trionfo spiegavasi quanto eroismo le feroci passioni e il religioso entusiasmo sanno negl’umani petti eccitare.

Ma nelle deplorabili Italiane guerre di parte, Arezzo al Magno Carlo della indipendenza e privilegj suoi, ed ai successori di non interrotta protezione debitrice si eresse assai spesso a capo dell’imperial [p. 8 modifica]partito in Toscana, e l’insegna a decorarla della sue intraprese indossanne. Le quali or contro l’una ed or contro l’altra delle vicine città conducendo con varia sorte, ma sempre con egual lode di generosità; acquistò di molte e ritenne per alcun tempo il dominio, e contro la fiorentina repubblica, grande più che per le armi per la forza prepotente dell’oro, ebbe lunga ed onorata contesa. Della quale volendo io alcun che rammentare quello prescieglierò che più dirittamente a combattere i versi dell’Alighieri riesca. Niuno poi si meravigli se mentre posso a tale uopo narrare trionfi, di una disfatta io favello; perchè questa avvenuta sotto gl’occhi del poeta, anzi, se lice dirlo di un privato guerriero, sotto i colpi della sua spada, forse causò sola la sua grave censura, per quell’ira che meglio dell’ammirazione ispirar suole la resistenza benchè virtuosa di ostinati nemici.9 Or bene la giornata di Campaldino in danno dei Ghibellini conchiusa, piuchè della vincitrice Firenze riesci a gloria dei vinti Aretini, se e il modo della battaglia e ciò che ne conseguì sia attentamente considerato. Perchè gl’Aretini in numero inferiore dall’animoso Guglielmino guidati perderono la vittoria che facilmente si erano col primo impeto in mano recata non per valore dei nemici ma per malignità della fortuna, la quale con fatal caso le loro forze divise. Nè già se per questo mezzo il vigore de corpi cadde dal numero [p. 9 modifica]oppresso fu del pari prostrata la fortezza degl’animi; mentre dalla vittoria scaduti, l’onore di averla abbondevolmente meritata seppero con intrepida fine a se conservare. Dopo poi la sconfitta chi stimato avrebbe che una città testè privata de validi difensori, costernata dal terrore compagno delle insperate sventure, al presentarsi della nemica battaglia nelle braccia de vecchi il forte suo schermo e nei feminei petti le salde sue mura trovasse?10 Pur così fu, anzi a questo l’antecedente infortunio il Cielo ordinava, onde luogo avesse l’Aretino valore a dimostrarsi non ne prosperi successi solo ma in ogni evento, non ne giovani anni ma in ogni età, non nel forte sesso ma in entrambi indistintamente stupendo. E se a Roma più di Porsenna e di Pirro superati colla generosità, più di Vejo e di Taranto conquistate colle armi, più dei Galli sulle fumanti sue ceneri alla vendetta immolati, più delle altre eroiche imprese divenute comuni per lei senza essere meno grandi, l’unica disfatta di Canne valse il grido di invincibile e sovrumana: Allorchè fra le migliaja de trucidati Cittadini e le minaccie dell’imminente Annibale non altro affetto provò che la gratitudine a chi di lei non avea disperato: e mentre nell’agitata fantasia altri creduto avrebbe ad ora ad ora consegnarsi i cari tetti alle fiamme, e correre [p. 10 modifica]latina strage ogni strada, ella nel più grande degl’infortunj della vittoria più degna per il sentimento de suoi alti destini, e per la volontà non flessibile da umano evento agl’immutabili Numi si avvicinò; Io non a torto mi vò persuadendo dalla giornata di Campaldino discendere la megliore difesa d’Arezzo; e perchè la forza dell’animo meglio fra la compassione degl’avversi casi che nell’invidia de prosperi s’appalesa; e perchè quel fatto è più di qualsivoglia vittoria luminoso e dai raccontati prodigj dell’antica Grecia non affatto lontano.

In oltre una tale natura di uomini come mai potè Dante all’arrogante petulenza di ringhiosi cagnoli paragonarla? Si veramente furono gl’Aretini temerari arrischiando una disuguale battaglia contro coloro che un anno avanti aveano in campal conflitto fugati,11 e che ancor dopo non senza qualche successo nella loro città capitale assalirono!12 Sebbene quando i sdegnosi versi dell’Alighieri hanno tutti i Toscani popoli ad una mano di porci, di lupi e di astute volpi ridotto, non può muover giusto lamento chi trovasi la divisa del cagnolo indossata. Tanto più che l’arroganza agl’Aretini rima proverata e l’eroismo sono forse dal solo evento tra loro distinti, procedendo entrambi dall’operare non dietro il freddo calcolo delle proprie forze, ma dietro gl’impulsi di un animo a niuna morta cosa inferiore. [p. 11 modifica]

Le sventure per altro indistintamente a tutti sovrastando, se gloria è il governarsi in esse con pertinace coraggio, gloria è ancora dopo esse il non giacersi come piante per sempre atterrate, ma anzi come quelle che la furia del vento incurva per un istante, tornarsene prestamente in alto e alla connaturale grandezza ridursi. Or dunque questo secondo vanto Arezzo lo riportò sotto Guido Tarlati suo Vescovo e Duce. Politico13 e guerriero, la città con ampie strade con più largo volgere di mura, e meglio colla ricondotta prosperità crebbe in onore, e il dominio suo colla riduzione dei ribelli e con la conquista di nuovi paesi aumentò. In questo solo infelice che l'assoluta grandezza della sua patria in Toscana, destinata forse a stabilirsi dalle sole sue mani; fu di perfezionare e consolidare impedito. La sorte avara a lui de migliori suoi giorni, e alla città di un degno suo successore, tutto ad un tempo con divisioni con odj con tumulti agitando, aprì all'oro14 dei Fiorentini quella strada che alle spade loro era stata mai sempre impossibile a superarsi. Non parlerò più oltre de tempi posteriori, non perchè questi siano di altrettanta gloria sforniti, ma piuttosto perchè essi meglio per quella delli eccellenti ingegni risplendono, alla quale seconda parte del discorso omai la necessaria brevità mi richiama. [p. 12 modifica]

Ed a percorrerla, se enumererò ben pochi dei tanti in sommo pregio tenuti; sia ciò non che alle angustie di un elogio, alla vastità della materia concesso. Perchè sebbene e le Città e le Castella abbiano tutte indifferentemente qualche celebre uomo prodotto; rade come Arezzo ne educarono infiniti in qualsivoglia parte del sapere eccellenti. Chi inoltre dubiterà averne essa non minori nutriti, anche ai tempi Etruschi e Romani, il quale convinto sia questa dote in lei non dal caso,15 ma dalla felicità del sito dalla salubrità dei frutti e dall’aere suo puro e sottile procedere? Senza di che ne è bastante prova l’invidia contro di Arezzo concitatasi sino ad un fatto, che la barbarie Vandalica dimenticò: Allorquando i marmi innumerevoli per la Città di uomini e fatti memorabilissimi ai posteri ricordatori, furono sterminati16 col fuoco e ad erigere la Cittadella adoperati; quasi non altro fondamento al giogo d’Arezzo farsi dovesse, che la totale oblivione d’ogni passata grandezza. E questa gloria non fu la sola ad Arezzo invidiata: Il primo soggiorno che ai lumi allora risorgenti in Toscana s’aprisse, l’Aretina Università17 un tempo a quella di Bologna e di Parigi in fama compagna, la prediletta dal IV. Carlo e dal III. Federigo Imperatori mancò; e il tempio delle scenze e delle arti fu chiuso là dove nascevano gl’ispirati lor sacerdoti. Peraltro se e [p. 13 modifica]le vetuste memorie e le occasioni di una maggior gloria si dileguarono, non egualmente ad Arezzo si tolse la produzione di una nova serie di ingegni, la quale facesse a sufficienza congetturare e quanti poterono esser gl’Antichi e quanti più sarebbero stati i moderni sotto gl’influssi di meno avversa fortuna.

Venendo a rammentarne alcuni bello è il premettere come la madre feconda dei letterati, lo fu anche di quel Romano loro protettore, che il suo privato nome ha trasmesso non pure all’immortalita, ma ad essere come il meglior fregio di un Principe generoso, dai potenti della terra ambito ed assunto. Si, fu egli Cittadino di questa istessa Città, alla quale in alcun modo appartenne ancora l’altro promotore18 dei buoni studj, degno che da lui il secolo della bella italiana letteratura s’intitolasse. Ora muovendo da quelli che la militare arte con lustro seguirono, fra di essi sia primo, il forte dominatore di Pisa e di Lucca Uguccione, dalle speranze di Dante sotto l’allegorico vetro adombrato, che vincitore a Montecatini dalla imminente signoria dell’intera Toscana non per mancanza19 di valore ma per brutto e inopinato tradimento decadde. Ne, assai dopo picciola militar gloria splendè in Alessandro20 dal [p. 14 modifica]Borro, guerriero che col nome e colle moltiplici sue prospere imprese valse a ravvivare la memoria del vincitore dell’ultimo Dario: in Gio. Battista dal Monte S. M. da Pio V. onorato, dal Cattolico Monarca premiato, e dalla Veneta Repubblica a capo delle sue forze condotto: in Giuseppe Gamarrini celebre nelle guerre di Fiandra, terrore degl’Ugonotti esempio di intrepidezza nelle battaglie, e nelle militari costruzioni, senza pari a suoi tempi. Come poi questi tutti o ebbero negli antenati illustri esempi a quali attenersi, e il proprio non inutilmente consegnarono alla imitazione dei lor discendenti; così in molte altre Aretine Famiglie la militare virtù fu, qual parte di eredità, di generazione in generazione trasmessa. E basti a darne una prova quella di Montauto che per tacere del resto, ha quattro intrepidi ammiragli alle Toscane galere fornito. Nella scienza delle leggi qual Città potè un Anton Boselli vantare? cui ciò che raramente si legge avvenuto, la gloriosissima delle Monarchia quella del sapere umano fu deferita?21 Quale un Francesco Accolti anch’esso Monarca di entrambi i diritti acclamato? E quanta ammirazione non riscossero dai loro tempi i due segretari della Repubblica Fiorentina Leonardo Bruni e Carlo Marsuppini, i quali nel maneggio dei pubblici affari valentissimi, primeggiarono altresì o per Greca e Latina [p. 15 modifica]erudizione, o per poetica vena, o per isterica facoltà? Nelle mediche arti la fama di Sinigardo fu d’avvantaggio raggiunta da Andrea Cesalpino illustre per le piante secondo l’ordine di lor natura disposte e ancor più per la scoperta circolazione del sangue; scoperta che contro le pretese di un famoso straniero dal chiaro tenore22 delle sue opere, e dall’imparziale giudizio dei dotti alla sua gloria fu assicurata. Al Cesalpino aggiungerò due gentili Filosofi Francesco Redi, e Lorenzo Pignotti;23 Celebre l’uno per la smascherata impostura di un arte che seguendo Ippocrate tornò alla modesta ed aurea semplicità, e per l’indagata generazione degl’insetti; l’altro con nome di valente fisico ancora desiderato in Toscana. I quali due, sebbene d’età distanti furono somigliantissimi, in quanto al talento per la sperimentale filosofia il gusto per le lettere, o piuttosto il genio creatore del poeta accoppiarono: mentre dal primo la Ditirambica Poesia fu con lode unica nell’Italiano Parnaso introdotta, dal secondo poi la favola venne ingegnosamente foggiata, e al suo pieno lustro condotta. Ma in quest’arte divina quali uomini non ha Arezzo prodotto? E per dire di quel miracolo di poetica vena ai soli Italiani concesso, quanto bene alla loro patria non augurarono del futuro splendore nella estemporanea poesia, e Niccolò Ceco,24 e l’Aretino unico [p. 16 modifica]dall’Ariosto acclamato? E il maestro di leggiadria nella lingua di delicatezza nel sentimento di verecondia in amore non fu esso dalla sorte tirato ad aprire gl’occhi in Arezzo. La cui casa dagl’ammiratori suoi con amore visitata a dritto rammenta25 che non solo vi nacque, ma e d’avere una tal patria andò non mediocremente contento: Poichè come non esserlo quando tanti immortali nomi a concittadini gli dava, e a lui ancor vivo presentir faceva qual culto d’affetti avrebbe sempre alla sua memoria prestato? Ancora i due Guidi commendano se stessi alla stima dei posteri; questo educatore fra i primi della nostra favella, e legislatore di una spiritosa e tutta di lei propria composizione, quello dell’arte che è poesia agl’orecchi restauratore e Promotore celebratissimo: Dal cui felice pensiero venne alla musica quel beneficio che alle altre umane cognizioni, l’invenzione della scrittura apportò; cosa per verità così grande, che gl’antichi non seppero tenersi dal divinizzarne gl’autori supposti o dal riferirla immediatamente ai benefici numi. Finalmente la patria di Margheritone di Parri, lo fu anche di Giorgio Vasari, che, Italiano Plutarco delle arti nelle quali pur era eccellente, ha lasciata indecisa la palma fra il libro delle sue vite le opere delle sue mani. Però a parlare dei celebri Aretini io ho assunta troppo difficile impresa; poichè nè il dire di tutti è possibile, nè lo scegliere tra essi è più agevole, che tra cose egualmente [p. 17 modifica]nobili ed eccellenti; Seguendo il mio talento avrò imitato l’ape, che tra i similissimi fiori quelli sugge ai quali dal vento è portata, e non dalla propria volontà indistintamente di tutti bramosa. Non ostante io mi lusingo che avrò abbondantemente mostrata la verità di quei versi.

E sono per natura d’un ingegno
   Tanto sottil, che quel che a far si danno
   Passan degli altri le più volte il segno.
         Fac. degl'Uberti Dicta mundi lib 3. cap. 9.

Or dunque o mia Patria non sdegnarti se ho tentato una parte de tuoi vanti così debolmente laudare. Ben sò che dalla natura creata regina d’un vasto paese, su placido colle come su tuo trono seduta ti bei delle odorate fragranze che i tuoi frutteti e i tuoi colti campi a tributo t’inviano. Il tuo suolo26 le tombe ad ora ad ora dischiude di enormi viventi, testimoni di età lontanissime che niuno rammenta, e che tu forse vedesti: I tuoi piccioli fiumi escavano gl’avanzi della tua antichità e i monumenti delle eccellenti tue arti alle osservazioni de dotti presentano. I tuoi monti celano i tesori degl’utili metalli e le tue terre per moltiplice virtù agl’usi della vita concorrono fra le tue acque stesse quelle sono che l’arte salutare invoca in soccorso dei fragili corpi mortali. Si tutto in te, [p. 18 modifica]tutto intorno a te è materia di lode. Ma l’avere sempre emulata la generosa natura del guerriero quadrupede27 che ad insegna tu porti, l’avere la celebrata Atene più che colle tue antiche mura,28 colla produzione dei grandi ingegni eguagliata; Siati o mia patria, una gloria tanto più cara, quanto meno può teco altri dividerla.




Note

  1. Le varie e strane derivazioni assegnate al nome d’Arezzo sono riportate dal Rondinelli. — Relazione dello stato antico e moderno d’Arezzo al Granduca Francesco I. —
  2. Livio lib. 10. an. 488. lib. 10. an 451. lib. 27. an. 541.
  3. Livio lib. 9. an. 444.
  4. Polibio lib. 2. cap. 9. Stor. Univers. tom. XI.
  5. Livio lib. 28. an. 545.
  6. Dione d’Alicarnasso Antiq. Rom. lib. 3. Stor. Univ. tom. XI.
  7. Il numero straordinario dei martiri Aretini è attestato dalla stessa Lettera Pontificia al Comune di Arezzo. Vedi le note del Sig. Ab. Anastasio Angiolucci alle sue stante dove questa lettera è riportata.
  8. Ranieri Salvucci Compendio Storico della Guerra Sacra.
  9. Dante corse a Campaldino estremo pericolo della vita, circostanza che rende più che ragionevole l’esposta congettura.
  10. Ser Gorello nel suo Poema presso il Muratori Script. res. Ital. tom. XV.

    Che senza mura con steccata e fossa
       Difeso fui per donne e per vecchi,
       Ch’altri non m’era campato a riscossa.

  11. Cronaca del Potestà di Arezzo presso il Murat. Script. res. ital. tom. XXIV. — Il citato poema di Ser Gorello —
  12. La medesima Cronaca all’anno 1304.
  13. V. il poema di Ser Gorelo ove si fa un lungo elogio del suo Governo.
  14. Il dì 7 Marzo 1337, Pier Saccone cedè la Città ai Fiorentini per 10 anni patteggiando a proprio vantaggio la somma di quarantamila fiorini d'oro. V. Anche Machiavelli Stor. Fior.
  15. È creduta opinione assai probabile V. Denina Essais. sur le caractere des italiens ec.
  16. I Commissarj Fiorentini nel 1506.
  17. Il Guazzesi ne riporta dei Documenti interessanti. V. L’Ab. Angiolucci nelle note alle sue stanza.
  18. Leone X. da Cardinale fu Canonico della Cattedrale Aretina: V. Una nota al racconto di Arcangelo Visdomini.
  19. V. Iscrizione posta al medesimo nel Palazzo Comunale d’Arezzo.
  20. Per le notizie Biografiche dei personaggi che saranno rammentati. V. Saggi di Lorenzo Pignotti e ancor più le prelodate note dell’Ab. Angiolucci.
  21. Al primo fu coniata una medaglia coll’epigrafe — Monarcae Sapientie ec. — del secondo abbiamo stampate — Responsa Francisci de Accoltis juris utriusque Monarcae — titoli esagerati ma che attestano la venerazione dei loro contemporanei.
  22. V. Nota appiè della Relazione del Rondinelli.
  23. So che i natali di quest’illustre personaggio non appartengono ad Arezzo ma io mi riporto a quanto ne ha detto l’Autore del suo «Elogio Stor. e Filos.»
  24. Pontano de fort. lib. 2. cap. de Coecit. citato anche dal Tiraboschi Stor. della lett. ital. tom. 6.
  25. Iscrizione posta nella medesima.
  26. Si fa allusione — Alle ossa fossili di alcuni punti del Territorio Aretinoa Montauto e ai Paggi detti rognosiAgl’idoletti e ai rottami dei celebri vasi AretiniAlle Terre di ChianiAll’Acque Acidula di Montione analizzata dai Prof. Giuli e Fabbroni.
  27. Il Cavallo sfrenato insegna data ad Arezzo come credersi da Fabbio Massimo.
  28. Laterizie mura dell’antica Arezzo Vitruv. lib. 2. da Plinio pareggiate a quelle di Atene lib. 25.