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partito in Toscana, e l’insegna a decorarla della sue intraprese indossanne. Le quali or contro l’una ed or contro l’altra delle vicine città conducendo con varia sorte, ma sempre con egual lode di generosità; acquistò di molte e ritenne per alcun tempo il dominio, e contro la fiorentina repubblica, grande più che per le armi per la forza prepotente dell’oro, ebbe lunga ed onorata contesa. Della quale volendo io alcun che rammentare quello prescieglierò che più dirittamente a combattere i versi dell’Alighieri riesca. Niuno poi si meravigli se mentre posso a tale uopo narrare trionfi, di una disfatta io favello; perchè questa avvenuta sotto gl’occhi del poeta, anzi, se lice dirlo di un privato guerriero, sotto i colpi della sua spada, forse causò sola la sua grave censura, per quell’ira che meglio dell’ammirazione ispirar suole la resistenza benchè virtuosa di ostinati nemici.1 Or bene la giornata di Campaldino in danno dei Ghibellini conchiusa, piuchè della vincitrice Firenze riesci a gloria dei vinti Aretini, se e il modo della battaglia e ciò che ne conseguì sia attentamente considerato. Perchè gl’Aretini in numero inferiore dall’animoso Guglielmino guidati perderono la vittoria che facilmente si erano col primo impeto in mano recata non per valore dei nemici ma per malignità della fortuna, la quale con fatal caso le loro forze divise. Nè già se per questo mezzo il vigore de corpi cadde dal numero


  1. Dante corse a Campaldino estremo pericolo della vita, circostanza che rende più che ragionevole l’esposta congettura.