Elementi di economia pubblica/Parte quarta/Capitolo IV
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Cap. IV. – del commercio.
23. Dalla circolazione delle azioni economiche a vicenda producentisi le une le altre, e rappresentata dalla circolazione del danaro, dalla concorrenza di molti a far le medesime cose ed a venderle, e di molti a comprarle o per la consumazione o per l’uso, nasce il commercio, il quale va distinto dalla parola contratti, baratti ec., in quanto questi si destinano a rappresentare singolarmente il cambio attuale di una merce con l’altra, o l’attuale compra o vendita di una determinata cosa o azione, o anche di un determinato dritto a qualche cosa. Ma il commercio è una parola collettiva destinata a rappresentare la successiva serie di tutti i contratti che si fanno, sia di tutte le merci, sia d’una classe distinta di quelle. Si suole definire da molti il commercio per il cambio del superfluo col necessario; ma questa definizione non sembra esattissima, perchè non sono ben distinte e definite le parole troppo generali di superfluo e di necessario, le quali sembreranno chiarissime a chi soltanto dalle parole alle cose non si ferma giammai a rendersi conto esatto delle proprie idee. Cambiasi spessissimo il superfluo col superfluo; onde invece della suddetta definizione un’altra migliore e più adequata potrebbe sostituirsi, cioè essere il commercio il cambio del non utile o del meno utile relativamente con ciò che relativamente è più utile, presa questa parola utile nel suo primario e generale significato, cioè di ciò che serve, siano le cose utili e servibili di necessità fisica o morale, o di semplice commodità, o anche di delizia e di piacere.
24. Dividesi parimente il commercio in interno ed esterno; chiamasi interno quel commercio che si fa dentro i confini di uno Stato, esterno quello che si fa cambiando cose qualunque, che siano prodotte o manifatte, o almeno rappresentanti un qualche valore o una qualche azione fatta dei membri componenti quello Stato, con cosa di una simile natura di altri Stati. Questa definizione di commercio interno ed esterno, non avendo altro rapporto che a’ confini politici di uno Stato, ne ha uno immediato riguardo al sovrano; e ciò in due maniere: al sovrano come sostenitore de’ pesi dello Stato, ai quali ognuno deve concorrere per mezzo delle proprie azioni o dell’equivalente di queste azioni, il che con il commercio si ottiene; e al sovrano come distributore giusto ed equabile della pubblica felicità, cioè della felicità di tutti quegl’individui che gli sono soggetti. Ora il commercio non si fa soltanto per cambiare uguali cose con uguali cose, ma cercando di dar meno di ciò che meno serve, per avere quanto più si può di ciò che serve. Egli è vero che il commercio suppone eguaglianza, cioè stima simile da una parte o dall’altra, la quale stima determina, come abbiamo veduto, il valor delle cose. Ma questa stima varia, secondo le occorrenze, in varj tempi e in varj luoghi. Se dunque con una determinata quantità di una merce venduta ho comprato una cosa stimata 10, e che questa cosa stimata 10 la rivenda in un tempo ed in un luogo, quando non più 10 ma 12 sia stimata, avrò un profitto di due; sicchè ripigliando con queste 12 della medesima cosa nel luogo dove 10 e stimata, potrò averne 10 ed ; e così di mano in mano per serie cresceranno questi profitti. Premessa questa nozione, si troverà, che riguardando il sovrano come ricevitore ed amministratore dei valori dovuti dai membri di una società per la conservazione e tutela della medesima, il commercio interno vi avrà rapporto in quanto esso è l’effetto e nel medesimo tempo lo stimolo alla produzione di tutti i valori, una parte dei quali è dovuta allo Stato ed al sovrano. Ma il commercio esterno potendosi fare con profitto, cioè con ricevere per una determinata quantità di valori una molto più grande, servirà di stimolo maggiore e più efficace onde aumentare questa produzione di valori, nel medesimo tempo che facendo acquistare dai sudditi di altri Stati una parte considerabile di questi valori prodotti, i cittadini fanno realmente pagare una porzione del tributo e dei pesi dello Stato alle altre nazioni. Riguardando poi il sovrano come distributore della felicità pubblica, il commercio interno vi ha bensì un immediato rapporto come animatore e creatore di produzioni e di opere, ma non come commercio di profitto; perchè il profitto di un cittadino è a spese dell’altro, ella è una mano che riceve dall’altra, onde per questo titolo non solleva i membri dello Stato. Ma il commercio esterno, oltre l’influenza che ha simile al commercio interno di animare e stimolare alla produzione di nuovi valori, ha l’altra considerabile come commercio di profitto; perchè i profitti del commercio esterno sono in vantaggio dei cittadini a spese dei non cittadini, onde cresce la somma del valori per i membri dello Stato, senza la perdita di nissuno dei membri dello Stato medesimo.
25. L’accrescimento del danaro in uno Stato anima l’industria e l’attività dei cittadini, come abbiamo già indicato; ma questo danaro già accresciuto non ha più influenza alcuna sull’industria medesima, se non in quanto, sottratto per qualche circostanza dalla nazione, vi ritornasse per una qualche altra; perchè allora mentre ritorna ad aumentare la massa circolatrice, trovando ciascuno maggior facilità e maggior copia di danaro più dell’usato guadagnata, raddoppia le sue fatiche e la sua diligenza. Oltre di ciò il danaro, accresciuto di troppo, fa diminuire e perdere il commercio esterno; perchè l’aumentato volume dei segni indica l’abbondanza del danaro, e per conseguenza l’avvilimento del suo prezzo. Un minor numero di segni, che la stessa merce rappresenti, indica minore abbondanza, e perciò maggiore stima di quello. Quelli dunque che avranno danaro, procureranno di spenderlo dove è in maggior stima, cioè dove vale di più, ossia ottiene più cose che dove è in minore stima, vale meno e meno cose ottiene; onde ad eguale bontà di mercanzie saranno preferite le nazioni più povere di danaro alle più ricche. E così una nazione che avrà una massa circolante più considerabile, supposta uguale bontà e quantità di prodotti, perderà nella concorrenza con quella che abbia una minor massa circolante.
Da tutto ciò si può comprendere di quanta importanza sia l’aumento e la conservazione del commercio esterno, non solo per l’utile aumento di danaro entrato, ma ancora per il non meno utile e talvolta indispensabile sfogo di danaro uscito; e quanto importuna sia l’impossibile idea di coloro che vorrebbero, che una nazione contenta di sè stessa facesse di meno di tutte le altre, ed in una beata e totale indipendenza tutta in sè medesima e nei confini suoi si concentrasse. Il commercio esterno è quello, che togliendo gli uomini dall’infeconda uniformità li spinge al moto ed al cangiamento. Per legge inesorabile di natura sta fissa la perpetuità e la durazione delle cose, il ben essere e la perfettibilità degl’individui.
26. Si divide il commercio esterno in commercio di produzioni ed in commercio di economia. Il commercio di produzioni è quello che si fa o colle derrate cresciute nello Stato, o colle cose parimenti fabbricatevi. Il commercio di economia è o di trasporto o di rivendita, ed è quello che si fa per mezzo delle produzioni e manifattura di altri Stati, andando a comperarle ne’ luoghi della loro origine, indi portarle e rivenderle alle altre nazioni, profittando sui trasporti e sulla rivendita.
27. In generale, se il prezzo, cioè il danaro rappresentante la somma delle cose vendute, è maggiore del prezzo, cioè del danaro rappresentante la somma delle cose comprate, dicesi che la nazione abbia un commercio attivo. Se il prezzo della somma delle cose comprate sia maggiore del prezzo della somma delle cose vendute, dicesi che la nazione faccia un commercio passivo. Se questi due prezzi sono eguali e si compensino tra di loro, dicesi che la nazione è in bilancio. Ma in qual maniera una nazione può ella mai comperare per lungo tempo di più di quello che ella venda, cosicchè ella faccia escire e consumi tutto il danaro ricavato e ne debba di più; se niente v’è di gratuito in questo mondo, e se ogni contratto è di qualche cosa per qualche cosa? Rispondo che certamente non per lungo tempo, nè continuamente, ma per qualche tempo può il prezzo delle compre eccedere il prezzo delle vendite, perchè tutto il danaro che esiste in una nazione non è perciò tutto in circolazione. Dunque il danaro, che morto e inattivo giace nelle mani di particolari, può per qualche tempo supplire a pagare l’eccesso delle compre sulle vendite, al quale non è potente di soddisfare il danaro circolante; ma quello finito, dovrà senza dubbio scemare ben presto la possibilità di comprare di più di quello che si vende, anzi sminuirà la quantità del danaro medesimo che è in circolazione. Se le cose comperate siano di quelle di uso continuo e comune, escirà una parte del danaro circolante che sarebbe destinata alla riproduzione delle cose che si vendono; onde scemeranno le azioni utili e produttive delle cose che si vendono, ed anche il commercio interno dovrà indebolirsi. Ma nel medesimo tempo, scemata la quantità del danaro, si abbassa il prezzo delle cose tutte che si vendevano prima, quando maggior copia di moneta era in circolo a più alto prezzo, onde per questo capo ritornerà la nazione impoverita a riguadagnare ed a rimettersi da sè medesima in bilancio con vendite più frequenti. Onde chi ben considera le nazioni che hanno un continuo commercio, ed una aperta comunicazione tra di loro e un incessante andare e venire di cose, non possono mai ridursi ad uno stato continuamente passivo l’una rispettivamente all’altra, ma bensì tendono continuamente all’equilibrio. Una di queste nazioni perde per alcuni anni, ma riprende a guadagna per alcuni altri il già perduto. Sono dunque fallaci tutti que’ disperati calcoli che da alcuni autori si fanno, che rappresentano alcune nazioni europee come in uno Stato di stabile e continua passività, rispetto alla somma totale di tutti i loro commerci. Questi calcoli, con qualunque grande apparato di diligenza e di esattezza possano essere fatti, non possono a meno d’essere fallaci, ogni qualvolta per necessaria conseguenza ne risultasse una lunga e continua perdita, che fa una nazione su tali particolari articoli di merci e per tempi limitati. Si potrebbe a mio parere dimostrare con geometrico rigore, che ogni nazione, finchè non scemi o cresca la somma delle sue azioni valutabili, non è attiva nè passiva, ma in bilancio, e che malgrado tutti i calcoli troppo incerti e su dati troppo inesatti necessariamente computati, questo è lo Stato di quasi tutte le nazioni europee duranti intervalli lunghi e sensibili di tempo; e che non si altera per qualche tempo questo Stato di bilancio e d’equilibrio di ciascuna nazione, se non quando realmente cresca o scemi la somma delle azioni produttive, non la somma de’ puri cambj e contratti. Ma un tale paradosso per molti mi porterebbe una discussione troppo oziosa e speculativa, e troppo aspra e lunga, perchè io debba fermarmi ulteriormente sopra di ciò.
28. È dunque utilissimo il sapere la bilancia del commercio di una nazione, cioè l’indagare di tempo in tempo lo stato delle vendite e compre che si fanno dai nazionali cogli esteri. Se una nazione perde attualmente, non si deve perciò lasciarla correre da sè stessa al ristabilimento quantunque infallibile, perchè questo non nasce talvolta se non collo scemamento delle azioni produttive. Il metodo per fare quest’esatta bilancia di commercio è un’operazione assai complicata e laboriosa. Dipende principalmente la maggiore di lei esattezza dai registri delle dogane più o meno bene tenuti, perchè, se in questi siano confuse l’entrata e l’uscita delle merci, nè bene indicato il luogo d’onde le merci vengono e dove sono inviate, i risultati riterranno l’incertezza e la confusione della loro origine, e sarà perduta la principale utilità dell’operazione, la quale non consiste nel sapere astrattamente quanto nel totale perda o guadagni la nazione, ma piuttosto verso qual parte e con quali merci ella perda, e verso qual’altra e con quali altre guadagni, onde incoraggiare tal sorta d’industria e frenare tal altro rovinoso commercio. La mole di questi registri è numerosa, ma lo spirito d’ordine e il prendere le cose da quel punto di vista elevato e chiaro, che le cose tutte hanno ed hanno in un sol modo, sono capaci di condurre a fine ogni vasta impresa. Ciò che è inevitabile si è, che i registri delle dogane non segnano tutte le merci; perchè quelle che sono esenti dalla gabella non sono soggette al registro, e quelle che lo sono, non possono esserlo intieramente ed adequatamente alla somma tutta del commercio, a cagione del contrabbando: il quale cresce in proporzione del peso della gabella, della piccolezza del volume, della vicinanza del centro del commercio ai confini, della complicata corruttibile esattezza de’ custodi; qualità tutte, che siccome rendono quasi incalcolabile la quantità del contrabbando su di ogni merce particolare, così renderanno più o meno erroneo il bilancio totale e particolare per ciò che risulta dai registri delle dogane. Per quelle merci poi che da questi registri non possono sapersi, altra strada non vi sarebbe che il metodo delle notificazioni che si possono esigere dai particolari commercianti: metodo egualmente fallace, perchè, ingelosendo per lo più gli interessati, essi notificano sempre meno del vero. Egli però è da osservarsi, che sia nel commercio d’entrata come in quello d’uscita, essendo eguale gelosia a nascondere le verità, e dall’altra parte conservando gli uomini da cui si esige rendimento di conti, anche nella menzogna, una certa proporzione al verosimile ed alle apparenze conosciute, si possono questi errori nel confronto delle partite d’uscita con quelle d’entrata compensare. Ma il voler sapere esattamente tutto il vero della faccenda suppone nelle dogane e in tutte le leggi mercantili una severità ed un apparecchio spaventevole di lente formalità, che offendono ed aggravano di troppo la delicatissima natura del commercio, e la sdegnosa industria rallentano ed estinguono.
Tuttavia l’operazione continuata per molti, anzi per tutti gli anni con quella esattezza che può combinarsi colla dolcezza che si vuole sempre avere nel reggere le cose di traffico, tutte sull’interesse privato e timoroso degli uomini appoggiate, conduce ad utilissime cognizioni. In generale però si può sapere se una nazione faccia commercio attivo o passivo, cioè, per parlare con precisione, se cresca la somma de’ suoi prodotti, ovvero scemi, dai quattro seguenti indizj che contemporaneamente si verifichino. Sarà dunque segno di prosperità o di aumento della somma de’ prodotti di una nazione, cioè di vero commercio attivo, quando nel medesimo tempo 1° crescerà la popolazione; 2° prospererà l’agricoltura sia in intensità come in estensione; 3° scemeranno gli interessi del danaro; 4° si alzerà il prezzo delle cose tutte. Avrei scritto inutilmente fin qui se non saltasse immediatamente agli occhi d’ognuno, come queste quattro condizioni possono verificarsi simultaneamente in una nazione, se questa non prosperi o non aumenti il suo profitto sopra le altre nazioni con una maggiore estensione di commerci; perchè la popolazione accresciuta indica maggiori mezzi di consumazione, l’aumento dell’agricoltura indica il maggiore aumento, uso ed esito delle materie prime, e l’abbassamento degli interessi del danaro indica un maggior numero di danarosi ed aventi un superfluo da impiegare, ed un minor numero di bisognosi d’imprestito e perciò aventi una maggior forza originaria e reale; mentre l’incarimento delle cose tutte, combinato con questi primi tre fenomeni, non può derivare che dall’aumentata copia di danaro e dall’aumentata circolazione: il che non può nascere nel presente caso dal puro commercio interno, ma dall’aumentato spaccio e profitto al di fuori, che solamente potevano fare questo cambiamento in tutte queste dipendenze dell’economia interna di uno Stato. Dunque con pari ragionamento, sminuendo la popolazione, rallentandosi l’agricoltura, alzandosi gli interessi del danaro, abbassandosi il prezzo delle cose, sarà segno infallibile che la somma de’ prodotti e delle azioni di una nazione, rispetto a quelle con cui era ed è in attuale commercio, sia scemata e diminuita; onde farà un commercio passivo sino all’indispensabile equilibrio, a cui necessariamente deve in seguito mettersi.
29. Noi abbiamo distinto due specie di commercio: commercio di produzioni, il quale consiste in materie prime e in manifatture; commercio di economia, il quale consiste nel trasporto delle produzioni e nella compra e rivendita di questo produzioni. Per riguardo al primo commercio, di cui solo per ora parliamo, e che è il più comune ed universale, e nello stesso tempo il più durevole e desiderabile, egli è facile il vedere come fiorisca e come aumenti, come soffra languore e diminuzione; perchè in tutti questi Elementi avendo diffusamente annoverate le cause tutte per le quali aumentansi e diminuisconsi le produzioni delle materie prime, crescono e scemano le opere della mano degli uomini, quelle saranno tutte di prospero e grande, o di piccolo ed infelice commercio.
30. Solamente, dunque, ristringendo sotto un sol punto di vista quanto nei trattati d’agricoltura e delle manifattura si è partitamente divisato, diremo che per quattro mezzi principali si aumenta il commercio di una nazione, cioè cresce la somma delle utili azioni. Primo, per la massima concorrenza sia dei compratori come de’ venditori, sian pure nazionali o esteri come si voglia; e questa si ottiene col maggior grado di libertà a tutti da fare quel commercio che più piace, non limitata che da quella disciplina che piuttosto aumenta a ciascuno il potere di ben fare, e toglie quello di far male altrui ed alla società. Questa concorrenza da sè sola fa nascere i commerci utili veramente allo Stato, cioè alla maggior parte, e da sè sola distrugge ed annienta quelli che sono dannosi allo Stato medesimo, ed al minor numero soltanto proficui; e distruggendo per legge di continuità ogni salto dal basso all’alto valore, impedisce il temuto monopolio, che in pochi ristringe l’industria ed il premio di quella. Secondo mezzo è il basso prezzo della mano d’opera, il qual basso prezzo nasce e dalla concorrenza medesima, e dal togliere i mezzi di vivere oziosamente agli infingardi, e col libero commercio interno delle derrate, che nasce dalla concorrenza e dalla libertà, onde ogni opera nel minor tempo possibile e dalle più poche mani che si può venga fatta; cosicchè il risparmio di mani in un’opera aumenta la varietà ed il numero di altre fattibili opere in uno Stato. Il terzo consiste nella massima facilità dei trasporti, il che si ottiene da’ canali, dalle strade solide e sicure, dagli alberghi ben provveduti, dal facile noleggiamento de’ carri e bestie da trasporto. Il quarto mezzo, finalmente, consiste nei bassi interessi dei danari. Questi bassi interessi nascono pure dalla concorrenza e libertà del commercio delle derrate, e perciò da quell’altezza de’ generi che nasce dalla concorrenza e dalla libertà medesima, dall’esser quasi tutte le terre di uno Stato coltivate, e ben coltivate; il quale essere bene coltivate nasce pure dalla libertà, e dall’esser queste in molte mani e non in poche distribuite, il quale pure nasce da un’altra libertà. I bassi interessi del danaro facilitano gl’imprestiti, ed aumentano lo stimolo a rendere molto fruttifero quel medesimo capitale, che dando per un solo momento un piccolo profitto sforza il commerciante a non riposarsi, finchè non abbia fatto fare al proprio capitale tanti movimenti, cioè non abbia egli moltiplicate tante azioni utili, che equivalgano a un gran profitto e ad un alto interesse, che nel medesimo tempo in una sola volta altrove si potrebbe ottenere.