Elementi di economia pubblica/Parte quarta/Capitolo V
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Cap. V. – del lusso.
31. Da tutta la mole de’ commerci, dal ristringersi le terre in un minor numero di mani, dall’accumularsi grossi capitali presso alcuni, dalla disuguaglianze in somma delle ricchezze nacque negli uomini una differente maniera di servirsene imperciocchè una gran parte di essi appena ha tanto di che protrarre una laboriosa vita, e la squallida famigliuola nell’umile oscurità senza invidia alimentare. Molti possono vivere più largamente, e godere di un certo agio e di un certo comodo, ed anche ostentare altrui e rendersi osservabili per una succinta pulizia, e per un’ombra di potere col quale tacitamente gli altri più poveri minacciano e padroneggiano. Alcuni poi abbondano talmente de’ mezzi, onde i comodi e i piaceri tutti della vita procacciarsi, che, assorbita facilmente e stanca la facoltà limitata che ha ciascuno di godere e di sentire, sono costretti per vanità e per fasto di rendere partecipi altrui del loro potere e dei mezzi che hanno d’acquistarsi un gran numero di piaceri; onde lo splendore del ricco e la superba di lui liberalità non differiscono dalla compassionevole ed opportuna beneficenza, se non per la differenza dei motivi e il poco discernimento con cui quello impiega i suoi doni e dissipa i suoi tesori. Ho voluto tessere questa diceria per descrivervi che sia lusso, e cosa s’intenda presso a poco dagli uomini per questa parola. Dico presso a poco, perchè è difficile il dare una definizione precisa di un termine, del quale le idee che racchiude variano moltissimo presso gli uomini, secondo le differenti condizioni in cui essi sono, e i differenti gradi di coltura con cui vivono. Chiameremo noi lusso ogni spesa che sia al di là del necessario? Ma in che consiste questo necessario? È egli l’ultimo estremo con cui l’uomo possa vivere semplicemente, o l’ultimo estremo soltanto con cui possa vivere senza dolore? Ma ciò varia secondo la diversa educazione ed i diversi temperamenti degli uomini. Chiamerassi lusso ciò che serve a farci fuggire il dolore, o soltanto ciò che ci procura piacere? Ma dove finisce il dolore, dove comincia il piacere? L’essere privi d’un piacere è per moltissimi un grandissimo dolore. A taluni il non essere rilucenti d’oro cagiona una cupa afflizione; non sarebbe lusso per questi una tal maniera di vestirsi. Dirassi allora lusso ogni spesa al disopra della condizione in cui l’uomo è posto? Ma chi ha mai fissati i limiti che separano queste condizioni, e potrà mai assegnare che tali spese sono della condizione del cittadino, e tali della condizione del gentiluomo? Lungo e superfluo sarebbe il qui dare le definizioni tutte, che date si sono della parola lusso; perchè con questo nome chi ha voluto una nozione complessa significare, chi un’altra; onde sono nate le questioni, se il lusso sia utile o dannoso agli Stati nella politica e nella morale; se alla felicità dell’uomo contribuisca o veramente all’infelicità. Nostro istituto non è d’ingolfarci in simili ricerche, ma bensì di fissare con esattezza che si debba intendere per lusso economicamente, e quale influenza abbia sull’economia degli Stati questa maniera di vivere e di spendere degli uomini chiamata lusso. Per ben definire il lusso, bisogna prendere soltanto le idee che non variano fra tante che si aggiungono a questa nozione. Premetteremo dunque, in grazia di questa definizione, che vi sono dolori, per fuggire i quali è necessario di procurarsi il piacere, la privazione del qual piacere è appunto il dolore che si sente. Vi sono de’ dolori, per togliere i quali basta allontanare la causa dolorifica; quantunque nell’allontanare un tal dolore sentiamo piacere, allontanato però che sia, non si sente più piacere alcuno. Cacciata che io abbia la fame, che è un dolore di questo secondo genere, con qualunque cibo, non sento più piacere alcuno; ed il dolore che dalla fame risulta, non nasce dalla considerazione che io sia privo di un cibo piuttosto che di un altro, ma da una impressione indipendente dalla natura e situazione delle nostre idee. Che se io ho avuto desiderio di un tal cibo piuttosto che di un tal altro, e di cui la privazione mi dispiaccia, questo è un dolore del primo genere, per guarire del quale non posso far altro che cercare del cibo, e darmi quello o un equivalente piacere per guarire da quel dolore, ovvero da savio e moderato vincere la mia inquietudine. Finalmente premetteremo che la causa impellente ed immediata di ogni nostra azione è il dolore, perchè noi non agiremo giammai anche in vista di un piacere o di un utile grandissimo, se prima non nasce in noi una inquietudine prodotta da quel piacere o da quell’utile, che vivamente si presenta all’animo, e ci cagiona un dolore analogo a tutti gli altri dolori. Appartiene alla scienza dell’anima e non all’economia pubblica l’estendersi in questa verità, e svilupparne tutte le conseguenze e tutti i di lei aspetti. Qui basta di averla sufficientemente accennata, e che sia sufficientemente sentita da chi, esaminando con attenzione sè stesso, troverà di non avere mai agito se non per isfuggire un dolore, e la libertà medesima proverà consistere nel potere un uomo eccitare in sè stesso, quando il voglia, inquietudini contrarie a quelle che lo potevano condurre al male. Onde, tutto ciò premesso, definiremo il lusso, ogni spesa che si fa per togliere i dolori che sono una privazione dei piaceri; nella quale definizione s’involve necessariamente l’idea di procurarci un piacere che duri anche dopo tolto il dolore che ci inquieta, o almeno oltre il fine di liberarci dal dolore medesimo. Chi si cruccia di non avere un tal cibo, si cruccia non solo di non cacciarsi la fame, ma ancora di non gustare un tal sapore, mentre qualunque non nauseoso cibo basta a chi cerca solo di sfamarsi.
32. Da questa definizione risulta, in primo luogo, che il lusso è di tutte le condizioni e di tutti i tempi fra gli uomini sociabili; perchè in tutti i tempi e in tutte le condizioni essendo avvezzi gli uomini, dalle scambievoli relazioni e dai reciproci aiuti, non solamente a soddisfare i bisogni, ma eziandio a soddisfarli piacevolmente e comodamente; e ciascuno osservando che tanto più piacevolmente e comodamente vivea, quanto maggior numero de’ suoi simili potea indurre a procurargli questi comodi e piaceri, e che ciò più facilmente e più frequentemente otteneva, quanto più sopra gli altri poteva rendersi osservabile e distinto; nacque negli uomini il bisogno dei piaceri, ossia l’indeterminato sentimento di privazione, ossia la noia, e la voglia di distinguersi, ossia la vanità, che sono le due sorgenti del lusso, come appare dalla definizione data. Data la società vi saranno infallibilmente noia e vanità negli uomini, perchè sono conseguenze infallibili delle relazioni che nascono fra quelli che contrattano fra di loro. Dunque vi sarà sempre lusso, preso nell’esteso suo significato. E in fatti, chi considera in grande ed in esteso la natura umana tutta quanta, troverà fra i selvaggi medesimi impresse profondamente queste due qualità dell’animo nostro, cioè il bisogno dei piaceri nell’avidità con cui si avventano ai liquori inebrianti, coi quali la politica europea li lusinga e li captiva; nella moltitudine delle loro feste e delle loro danze guerriere e in tutto l’apparecchio complicato di lunghe e solenni cerimonie, che fanno essi pure (che noi crediamo così vicini alla rozza e semplice natura, e così lontani dalle arti ed istituzioni nostre) nei loro funerali, nelle nozze ed in tutte le epoche singolari della vita umana. La voglia poi di distinguersi è evidente in essi, a chi considera quant’oro e quante gemme greggie e rozze abbiamo loro carpito dalle mani per poche filze di coralli, per poche chincaglierie di vetri colorati; e in quanto pregio siano presso gli Africani, e quanto superbi li facciano andare, essi che semi-nudi vanno quasi sempre, uno sdrucito cappello ed una rappezzata sopraveste, misero rifiuto di un europeo, cambiata con oro e con uomini, e della quale i loro monarchi e i grandi fanno gala nei giorni solenni e nelle udienze le più maestose. I più poveri poi, che non hanno una fortuna grandiosa, si contentano per comparire e distinguersi d’infiorarsi e cauterizzarsi la pelle, onde rendersi fra gli altri osservabili per una pelle nobile e perpetuamente signorile. E chi fra quelle antiche repubbliche così vantate per la povertà e frugalità loro volesse il lusso ricercare, ve lo troverebbe senza dubbio, che che ne dicano alcuni. In Isparta medesima, in quella Sparta ove Licurgo introdusse un misto di militare e monastica disciplina, eravi e il bisogno dei piaceri e la voglia di distinguersi; ma e l’uno e l’altro erano talmente amalgamati colla costituzione politica, che tutto era utile e virtù pubblica, almeno secondo ciò che la non critica storia degli antichi ci ha tramandato; invece che tutt’altro lusso in quella costituzione poteva essere dannoso. Si annoiavano i Lacedemoni, ma della pace e della sicurezza, e volevano sentire le scosse del rischio e del tumulto. Il suono della lode era lor grato e soave; e per loro più lo era, quando usciva confuso ed avvolto di mezzo allo scroscio delle lancie e delle spade, e misto dei gemiti lamentevoli dei vinti e prigionieri nemici. Io credo che ognuno di quei sobri e severi Lacedemoni sorridesse fieramente nel trovarsi circondato di ferro e pesante sotto l’armi, e le più belle e più minacciose ricercasse con molti sforzi; e le donne loro, che indurivano l’animo a resistere alle molte impressioni della natura e del sangue, l’inalienabile loro vanità impiegassero in quel severo abbigliamento, che più le avvicinasse al vigore ed alla robustezza maschile. Da ciò si può vedere, che chi volesse schiantare il lusso da una nazione, farebbe lo stesso progetto, che chi volesse distruggere alcuna delle facoltà inerenti all’uomo; e che questo lusso può essere egualmente dannoso che utile, secondo che combina o si oppone, o piuttosto risulta dalle circostanze e dalle leggi di uno Stato, buone o cattive. Il dolore dunque, che nasce dalla privazione dei piaceri, fa nascere l’amore dei comodi e l’avidità delle sensazioni aggradevoli, che lusinghino e solletichino l’inoperosa nostra esistenza; fa nascere di poi la sollecita ed inquieta voglia di distinguersi, e tutte le minuzie della vanità, onde rendersi gli uomini propizi e servizievoli. Due sorta di lusso vanno principalmente distinte, cioè due maniere di fuggire il dolore che nasce dalla privazione del piacere. Perchè io posso e scegliere piaceri e comodi, e cercare di distinguermi con azioni che non siano in alcuna maniera produttive ed operative su qualche oggetto, o più generalmente che non suppongano cambj di qualche cosa con qualche cosa, ovvero che non suppongano cambio. Può chiamarsi la prima specie lusso di azioni, ossia morale e politico; la seconda specie, lusso di contratti, ossia economico.
33. Ambedue queste sorta di lusso si dividono ciascuna in lusso di comodo e in lusso di ostentazione; ma noi, fermandoci al lusso economico, divideremo le spese di lusso in quello che cambiano prodotti con prodotti, o prodotti con azioni, verbigrazia servizj personali, gran numero di livree ec. Vede ognuno che quelle spese di lusso che cambiano prodotti con prodotti, sono di gran lunga più utili di quelle che cambiano prodotti con azioni, e che anzi queste possono essere dannose in quanto le persone impiegate ad esercitar queste azioni possono impiegarsi a produrre, o a formare i prodotti perchè sian comodi all’uso di tutti. Ma questo danno non sarà reale nelle nazioni, se non allor quando manchino le braccia alle terre ad alle arti, e queste non mancheranno se non quando il commercio delle derrate e manifatture sia incagliato; perchè coltivate le terre al sommo grado, fiorenti essendo le arti alla massima concorrenza, cioè essendo giunte ambedue alla massima libertà possibile, il contratto di lusso di prodotto con azione, oltrecchè ne scemerà il numero in paragone dei contratti di lusso di prodotti con prodotti, può farsi senza danno, perchè colui che ha ricevuto il prezzo di questa sua azione, lo cambierà con qualche altro prodotto. Da ciò si vede uno degli effetti mirabili della circolazione, la quale fa in modo che le azioni inutili non cagionino perdita nè di tempo nè di produzioni nella società, a misura che questa circolazione è più rapida e più estesa, anzi fa in modo, che le medesime azioni, inutili e viziose in altre circostanze, producono l’ottimo effetto della concorrenza dei compratori in favore dei venditori delle cose consumabili, onde restandone alto il prezzo, la ricchezza originaria ed unica della terra si mantiene in vigore.
34. Ora le spese, qualunque esse sieno, che cambiano prodotti con prodotti, saranno più utili allo Stato facendosi con prodotti del medesimo paese cambiati fra di loro, perchè supponendo equivalente il valore di una cosa cambiata con un’altra, ambedue queste cose rappresenteranno travaglio ed alimento circolante nello Stato, al doppio di quelle che rappresentino cose che si cambiano per un prodotto forastiero; perchè il prodotto forastiero ne suppone la metà, o almeno una parte proporzionale al prezzo del travaglio e degli alimenti consunti al di fuori. Dunque il cambio delle derrate colle manifatture nazionali sarà più utile che con manifatture forastiere, e il cambio delle medesime con manifattura più immediatamente vicine agli alimenti, cioè soddisfacenti ai comodi più estesi e comuni, più utile di quelle che soddisfano ai più raffinati. Ma qui giova considerare che le spese di lusso sono proporzionali alla disuguaglianze dei beni e delle condizioni. Perciò in primo luogo diremo, che a misura che i beni sono in poche mani ristretti, l’influenza delle spese fatte dai posseditori di questi beni si va ristringendo, perchè a misura che il prodotto parte da’ più pochi, ogni operazione che attrae a sè una parte di questo prodotto non può essere che in conseguenza di un’altra, e questa di una altra, fino a tutto dipendere dai primi e pochi posseditori; onde tutto si risentirà della necessaria limitatezza dell’origine, quantunque grandi si vogliano supporre le spese di questi pochi. A misura poi che questi posseditori di beni si moltiplicano, l’influenza del lusso si allarga più immediatamente, perchè crescono le temporanee ed indipendenti spese che si fanno da molti possessori: onde nel tempo che passa dalla produzione alla riproduzione, nel primo caso si farà da un minor numero di cittadini un minor numero di azioni, di quello che nel secondo; onde anche per conseguenza i prodotti stessi, quando il commercio al di fuori sia stretto e ritenuto, avranno minor valore. Dirassi qui: se tutte le terre fossero divise a tutti egualmente, scemerebbero le opere di altrettanto, di quello che se le terre fossero tutte nelle mani di un solo. Rispondo, che non occorre qui esaminare quanto ciò sia vero; ma in primo luogo questa eguale distribuzione di terre è una cosa impossibile, come abbiamo già nella seconda Parte dimostrato; in secondo luogo, trovandosi eguali gli effetti di queste due estreme cagioni, ciò potrebbe condurci (se io non temessi di abusare del tempo e dell’obbligo che mi corre di non diffondermi in teorie troppo recondite) a ricercare qual sarebbe la distribuzione delle terre che producesse il massimo numero di azioni utili e produttive, ossia qual proporzione debba correre tra il numero dei proprietarj delle terre e il numero degli altri abitanti di una nazione, supposti tutti industriosi ed operaj in qualche maniera. Basta accennare qui di passaggio, che la soluzione del problema dovrebbe apparentemente coincidere in ciò, che tanti dovrebbero essere i posseditori di terre quanti bastino perchè misurino e stiano tante volte nel numero di tutti gli abitanti, quante il prodotto di tutte queste terre può entrare a misurare il massimo numero di tutti i travagli, che non solo si fanno, ma che si potrebbero fare da una riproduzione all’altra e che da sè stessa accostandosi la terra alla massima produzione, si accosterà alla miglior distribuzione. Ma tutto ciò non è opportuno al nostro scopo ed ai limiti di una istituzione elementare. Per il che ristringendoci alle più ovvie verità che intorno al lusso ci restano ad esporre, diremo in secondo luogo che le condizioni degli uomini essendo divise con molta disuguaglianze e quasi direi per salti, di maniera che il rango e la condizione essendo misurati non dalla quantità de’ beni soltanto, ma eziandio dalla qualità, nascita ed altre relazioni politiche delle persone, le educazioni, le passioni, le abitudini variano non tanto in ragione dei beni di fortuna di ciascheduno, ma ancora della situazione in cui è posto; per conseguenza osservabile fenomeno si è, che il lusso di una persona è tanto più grande, quanto è maggiore la differenza che passa tra la condizione di chi è immediatamente al disopra di lei, e di chi e immediatamente al di sotto; perchè la voglia di distinguersi, e la scelta dei piaceri per rapporto a noi viene nell’animo nostro imitatore, e sedotto dagli esempj, determinata dal paragone che noi facciamo delle situazioni differenti de’ nostri concittadini. Ore, quelli che sono a qualche distanza elevati sopra di noi o abbassati al disotto, non ci feriscono così immediatamente l’immaginazione, nè siamo interessati ad esaminarli, perchè non entrano se non rare volte nella sfera della nostra attività, come coloro che ci sono immediatamente al disopra e al disotto; onde ci sforziamo di eguagliare l’apparente felicità degli uni e d’innalzarci al disopra degli altri. Perciò, dirette che siano le prime classi dei cittadini verso le spese di lusso più conformi al vantaggio economico di uno Stato, tutte le classi, per un retrogrado movimento, andranno coll’esempio solo uniformandosi alle prime mosse e direzioni.
85. Dopo le cose sin qui dette sarebbe abusare del tempo il più oltre minutamente insistere e ad una per una esaminare la bontà e il danno che all’economia degli Stati derivano da tutte le diverse spese di lusso. Solo giova qui fermarci un momento ad esaminare se le prammatiche che una avara malinconia di molti amerebbe d’introdurre, non sieno anzi direttamente opposte al fine pel quale si desidererebbero. La ricchezza degli Stati non nasce realmente che dalla fatica degl’individui; la fatica degl’individui bisogna pagarla; ma non si determinano gli uomini a fare questi pagamenti, se non per convertirli in mezzi di godere ciò che più li soddisfa. Dippiù l’uomo non fatica, se non in proporzione dell’utile immediato che spera provenirgliene; e gli utili di questa fatica sono somministrati dalla spese de’ ricchi, ossia di quelli che posseggono al di là del necessario fisico. Quanto le prammatiche eseguite saranno maggiori, tanto minori saranno le spese di questi ricchi, o siano gli utili di queste fatiche, e tanto minori saranno i mezzi di convertire i pagamenti in soddisfazioni. Dunque le fatiche medesime e le spese sulla terra sminuiranno, e per conseguenza le produzioni; dunque sarà sminuita quella ricchezza, per conservare ed accrescere la quale si dimandano le prammatiche. Quindi a togliere sensibilmente e generalmente le spese perniciose, il che è sufficiente al fine economico degli Stati, basterà l’esempio che le prime classi dipendenti dal sovrano possono dare, basterà la libertà del commercio, che farà rivolgere una gran parte delle spese sterili in ispese utili.